Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
L'era degli uomini-jet
19 giu 2015
Dall'arrivo di Usain Bolt la disciplina dei 100 metri ha fatto registrare enormi cambiamenti e un inedito dominio giamaicano. Siamo alla fine di un'era?
(articolo)
17 min
Dark mode
(ON)

Due mesi fa è iniziata la stagione dell’atletica leggera e, a fine agosto, ci saranno i Mondiali di Pechino. Nella disciplina degli uomini-jet, i 100 metri, già in 16 sono scesi sotto i dieci secondi. Manca ancora il più famoso di tutti, Usain Bolt. Se riuscirà a confermarsi nella città che lo consacrò quando aveva 22 anni, allungherà il suo dominio sulla velocità per un’altra stagione. Altrimenti, sarà la fine di una dittatura tra le più salde nella storia dello sprint. In lizza per sostituirlo, al momento, ci sono tre vecchie conoscenze: l’americano Justin Gatlin (33 anni, 9''74 quest’anno), il giamaicano Asafa Powell (32 anni, 9''84) e l’altro statunitense Tyson Gay (32 anni, 9''88). I tre centometristi più forti del pianeta prima che arrivasse Bolt.

Il fatto che siano tornati alla ribalta, dopo tante sconfitte e altrettante squalifiche per doping (Gatlin due, una da un anno e l’altra da quattro; Powell una da sei mesi; Gay una da un anno), fa riflettere. Sulla loro testardaggine, senza dubbio. Ma anche su come si sono evoluti i 100 metri negli ultimi 15 anni. Perché, se a Pechino rischia di vincere Gatlin, che era sul gradino più alto del podio ad Atene 2004, si potrebbe pensare che in questi anni la gara più breve e seguita della regina degli sport non abbia espresso talenti rilevanti a parte lui e Bolt.

E invece non è così. I 100 metri, nell’era del Fulmine, hanno subito cambiamenti enormi. Per capirlo, può essere utile guardare che cos’è successo dal 1999 a oggi. Quanto sono andati più forte Bolt e i suoi compagni di strada rispetto a chi li ha preceduti? Chi sono i protagonisti che hanno animato le gare nell’epoca più spettacolare dei 100 metri? Da dove vengono i talenti che hanno dominato la velocità negli ultimi anni, e come sono cambiati i rapporti di forza tra Paesi rispetto a prima dell’arrivo dell’uomo più veloce di tutti i tempi? Come cambieranno le cose nelle prossime due o tre stagioni, in quello che sembra essere l’inizio della fine del dominio del giamaicano?

Un metro davanti

Nel 2004, ad Atene, si disputarono gli ultimi Giochi Olimpici senza Usain Bolt in finale. Vinse Justin Gatlin, davanti a Francis Obikwelu e all’allora primatista mondiale Maurice Greene. Fu una finale memorabile, con cinque atleti sotto i dieci secondi e i primi quattro raccolti in quattro centesimi: Gatlin 9’’85, Obikwelu 9’’86, Greene 9’’87 e Shawn Crawford medaglia di legno nonostante un sontuoso 9’’89. Asafa Powell finì quinto in 9’’94. Una gara così veloce, fino ad allora, non si era mai vista.

La vittoria di Justin Gatlin ad Atene 2004. Aveva 22 anni.

Se Gatlin avesse fatto lo stesso tempo otto anni dopo, a Londra 2012, non sarebbe arrivato nemmeno sul podio. Sarebbe arrivato quinto, in quella che è stata la finale più veloce di tutti i tempi. Il vincitore, Bolt, ha chiuso in 9’’63, 22 centesimi meno di quanto fatto da Gatlin otto anni prima. Per prendersi l’argento, Blake ha dovuto correre in 9’’75, 11 centesimi più veloce di quanto lo fu Obikwelu ad Atene per ottenere la stessa medaglia. Tra il 2004 e il 2012 Gatlin si è migliorato di sei centesimi, ma ha perso due posizioni nella classifica di arrivo: correndo in 9’’79 ha chiuso terzo, per un pelo. Il quarto, Tyson Gay, è infatti rimasto fuori dal podio per un solo centesimo: con 9’’80, ha fatto nove centesimi meglio di quanto ottenuto dalla medaglia di legno di otto anni prima, Crawford. A Londra, sette finalisti su otto sono scesi sotto i dieci secondi. L’unico che non ce l’ha fatta è stato Powell, infortunatosi a metà gara. Insomma, in meno di un decennio il livello delle finali nelle massime competizioni internazionali è volato alle stelle. I primi sette finalisti di Londra hanno battuto di 11 centesimi quelli che furono i primi sette ad Atene: la media dei loro tempi è stata di 9’’82 contro il 9’’93 del 2004.

Finale dei 100 metri a Londra 2012, la più veloce della storia.

Se prima di Bolt poteva bastare correre in 9’’80-9’’85 per vincere, con il giamaicano in gara quel tempo non è più sufficiente nemmeno ad arrivare sul podio. Dal 2008 in poi i tempi di tutti gli atleti di punta si sono abbassati sensibilmente: nel 2004, i primi venti al mondo correvano mediamente in 9’’99, mentre per i primi dieci il tempo medio era 9’’93.

Quei tempi sono stati abbassati di un decimo di secondo in appena sette anni: i top 20 del 2011 hanno corso tutti sotto i dieci secondi, facendo segnare una media di 9’’89, mentre i top 10 hanno chiuso in 9’’83 (e lo stesso hanno fatto nel 2012). In pratica, durante l’era di Bolt, gli atleti di punta hanno corso un decimo di secondo più forte di quanto si facesse prima. Si tratta di un guadagno di un metro. In altre parole: sotto il regno di Bolt, i più forti al mondo battono i loro predecessori di un metro.

Generazione di fenomeni

Tutto merito di Bolt? Non proprio. Nell’anno in cui si è corso più forte—il 2011—il suo miglior crono non è stato eccezionale: 9’’76 è sì un buon tempo, ma lontano dai suoi livelli migliori. Il metro guadagnato nell’era Bolt è il risultato collettivo di una generazione, quella degli anni Ottanta, della quale il giamaicano è stato simbolo e portabandiera. Tra gli atleti nati dal 1980 al 1989, sono stati ben 40 quelli capaci di sfondare il muro dei dieci secondi. Considerando che l’impresa è riuscita solo a 101 atleti nella storia, significa che questa è stata la generazione più feconda di velocisti che si sia mai vista, almeno secondo le graduatorie all-time.

Non che gli atleti nati negli anni Settanta fossero scarsi, anzi. Il più forte di tutti, l’americano Maurice Greene, è stato il primo uomo al mondo a sfondare il muro dei 9’’80, facendo segnare 9’’79. In precedenza ce l’aveva fatta anche il canadese Ben Johnson, ma gli vennero annullati tutti i record—e ritirate le medaglie—dopo i test antidoping. Maurice Greene è riuscito nella sua impresa nel 1999 e per sei anni è rimasto l’unico a quelle latitudini: il primo a rubargli provvisoriamente il record del mondo, il suo connazionale Tim Montgomery, ha fatto rapidamente la stessa fine di Ben Johnson. Poi è arrivato il 2005. A partire da quell’anno, sei atleti nati negli anni Ottanta hanno fatto meglio di lui. E mentre lo sprinter americano era riuscito solo una volta a chiudere sotto i 9’’80, loro hanno sfondato quel muro in 35 occasioni diverse. Il primo è stato Asafa Powell, che nel 2005 gli ha tolto il record mondiale correndo in 9’’77. Il giamaicano è l’uomo sceso più volte di tutti nella storia sotto i dieci secondi, un altro record tolto a Greene. Ha fatto meglio di 9’’80 in otto occasioni, spingendosi fino a 9’’72.

Tre anni dopo è arrivato il ciclone Bolt, che ha fatto il suo primo primato mondiale (9’’72) il 31 maggio 2008. Finora, l’uomo più veloce di tutti i tempi è sceso sotto i 9’’80 undici volte. Poche settimane più tardi è stato il turno di Tyson Gay, che nel corso delle sue sette escursioni sotto i 9’’80 si è spinto fino a 9’’69 nel 2009. Nel 2010, anno senza competizioni di rilievo, il giamaicano Nesta Carter ha fatto la gara della vita, correndo in 9’’78. Gatlin aveva trent’anni e aveva finito di scontare la sua seconda squalifica da due, quando è riuscito ad eguagliare il suo connazionale Greene: quel 9’’79 gli permise di guadagnarsi il bronzo olimpico a Londra 2012 e fu la prima di quattro gare corse sotto i 9’’80. Il giamaicano Yohan Blake, che gli arrivò davanti in Inghilterra, era da molti considerato l’erede di Bolt prima che gli infortuni lo bloccassero. Nel 2012, The Beast (lo chiamano così per i carichi di allenamenti che si infligge), ha fatto meglio del miglior Maurice Greene quattro volte, spingendosi fino a 9’’69.

I 100 metri di Yohan Blake che fecero immaginare qualcosa di importante.

L’ultimo oro nei 100 metri di un velocista nato negli anni Settanta risale al 2003. A portarlo a casa è stato un atleta minuscolo di un Paese minuscolo: Kim Collins da Saint Kitts e Nevis, che è andato avanti tranquillo a vincere medaglie a dir poco rocambolesche fino al 2011 e, attualmente, è l’uomo più vecchio del mondo mai sceso sotto i dieci secondi. Il ricambio generazionale iniziò nel 2004, con la finale olimpica di Atene: sugli otto finalisti, due—Gatlin e Powell—erano nati nel 1982 ed erano considerati i favoriti per l’oro. Gatlin vinse e Powell arrivò quinto, in quella che fu la prima di una lunga serie di sconfitte da lui collezionate in carriera. Il portoghese Francis Obikwelu e Greene salvarono l’onore degli sprinter della loro generazione. Ma in seguito, con l’eccezione di Collins, nessun atleta nato negli anni Settanta è più riuscito a salire sul podio. Il ricambio generazionale iniziato ad Atene è durato un quadriennio e si è completato nel 2008. Se nel 2003, l’ultima stagione dominata dalla generazione dei Settanta, l’età media dei dieci atleti più veloci del mondo era arrivata a toccare i 27,63 anni, cinque anni dopo gli sprinter in top 10 erano tre anni più giovani. E correvano come mai nessuno prima di loro: 9’’86. Un balzo in avanti feroce, compiuto da un pugno di atleti che erano ancora nella prima metà della carriera.

Nei tre anni successivi, la generazione degli anni Ottanta ha continuato a crescere fino ad arrivare al suo culmine: il biennio 2011-2012. Nel 2011 venti atleti sono scesi sotto i 10 secondi. Non era mai successo. Curiosamente, proprio ai Mondiali di quell’anno (in Corea del Sud a Daegu) si svolse la finale più lenta del decennio: Bolt fu squalificato per falsa partenza, l’unico a scendere sotto i 10 secondi fu Yohan Blake e terzo arrivò l’allora trentacinquenne Collins, che non era nemmeno tra i venti uomini più veloci della stagione quell’anno. Anzi, all’epoca il nevisiano non scendeva sotto i dieci secondi dal 2002.

L’anno successivo, come già visto, la storia è stata radicalmente diversa e il risultato è stata la finale più veloce di tutti i tempi. Dopo il quadriennio 2008-2012, fatto di record e gare stellari, nel 2013 e nel 2014 i tempi hanno ricominciato ad alzarsi. Ma prima di vedere che cosa significhi questo, vale la pena guardare un altro cambiamento portato dall’epoca di Bolt e dalla generazione degli anni Ottanta: la redistribuzione delle forze tra zone geografiche.

La guerra fredda degli uomini-jet

L’era Bolt ha stravolto la geografia della velocità. Prendiamo i primi venti centometristi dell’anno per ogni stagione, tra il 1999 e il 2007: mediamente, nove di loro erano nordamericani, quattro centroamericani, tre africani, tre europei e uno era asiatico, oceanico o sudamericano. Nelle stagioni dal 2008 al 2014, gli atleti in top 20 si distribuiscono così: sette arrivano dal Nordamerica, nove dal Centro-America, tre da Europa e Asia e uno dall’Africa. Un cambio radicale, ma guardare i continenti non è sufficiente per capire gli stravolgimenti nei rapporti di forza.

Prendiamo il Centro-America, che negli ultimi sette anni ha occupato quasi metà delle posizioni nelle graduatorie annuali. Tra il 1999 e il 2007, gli atleti caraibici presenti in top 20 erano mediamente quattro: due giamaicani, un trinidegno e un quarto atleta che poteva arrivare da Saint Kitts e Nevis, dalle Barbados o dalle Bahamas. Nell’era Bolt, tra il 2008 e il 2014, un atleta arrivava da Saint Kitts e Nevis, da Antigua e Barbuda o dalle Cayman. Trinidad e Tobago è cresciuta ed è stata in grado di portare ogni stagione due atleti nelle liste dei migliori al mondo. Ma il balzo che ha sconvolto il panorama dello sprint l’ha compiuto la Giamaica: i due sprinter sono diventati sei. Oggi è una superpotenza in grado di dominare il mondo del rettilineo. E, come si vide qualche anno fa in altri ambiti, una superpotenza può scontrarsi solo contro un’altra superpotenza.

A fronteggiare la terra di Bob Marley ci sono i dominatori di sempre, gli Stati Uniti. Dal 2008 in poi, gli sprinter a stelle e strisce hanno sempre perso in tutte le gare che contavano. Di solito arrivavano dietro l’uragano Bolt, ma in sua assenza è stato Blake a difendere i colori della Giamaica. Tuttavia, gli USA sono tutt’altro che scomparsi. Anche durante l’era Bolt, ogni anno sette sui venti migliori velocisti del mondo sono americani. Nessun Paese ha lo stesso numero di atleti nell’élite dello sprint, nemmeno la Giamaica. È chiaro che la competizione si è concentrata tra due Paesi: quasi due terzi degli uomini più veloci al mondo sono giamaicani o statunitensi. Con l’aggiunta di Trinidad e Tobago, gli atleti provenienti dai tre Paesi più veloci del pianeta occupano tre quarti delle graduatorie top 20. Agli altri resta ben poco. Oceania e Sudamerica, che già erano marginali tra il 1999 e il 2007, non hanno mai più espresso un atleta di alto livello dall’arrivo di Bolt in poi.

Spesso si è portati a pensare che anche l’Europa sia sparita, ma non è così: sprinter europei ce ne sono quanti ce n’erano prima. Rappresentano il 12 per cento delle posizioni nelle graduatorie top 20: ogni anno, quindi, due o tre atleti del Vecchio continente si riescono a intrufolare fra gli atleti caraibici e quelli statunitensi. Non è una questione di oriundi: se è vero che Churandy Martina rappresenta i Paesi Bassi solo perché le Antille Olandesi hanno rinunciato all’indipendenza e che il norvegese Jaysuma Saidy Ndure ha iniziato come portacolori del Gambia, va ricordato che il portoghese Francis Obikwelu (otto presenze in top 20 tra il 1999 e il 2007) aveva esordito come nigeriano. Le prospettive future non sono male per francesi e inglesi, che in questi anni hanno provato a mantenere un ruolo importante nello sprint e hanno molti atleti Under-25 in grado di scendere sotto i dieci secondi.

Il francese Jimmy Vicaut, classe 1992, ha ottenuto tre volte il tempo di 9’’95 tra il 2013 e il 2014. Attualmente, con il connazionale Christophe Lemaitre bloccato dai tanti infortuni, lo sprinter d’Oltralpe più quotato sembra lui.

A essere fagocitata dall’esplosione dei caraibici è stata l’Africa. Tra il 1999 e il 2007 occupava tre posizioni in top 20, ma con Bolt è scesa a una. Colpa delle crisi di Nigeria, Ghana e Namibia (in particolare, namibiamo era Frank Fredericks, che a inizio anni Novanta fu in grado di combattere ad armi pari contro i velocisti americani più forti del periodo). Ghana e Namibia sono scomparse, fagocitate dalle seconde linee giamaicane e trinidegne. La Nigeria, che tra il 1999 e il 2007 era riuscita a piazzare—in momenti diversi—ben sette atleti nelle élite stagionali, è riuscita a sopravvivere ma non conta più come in passato. A inizio anni Novanta sembrava che l’Africa fosse sulla strada giusta per mettere in seria difficoltà gli Stati Uniti. Invece, il suo posto è stato divorato dalla Giamaica e gli africani hanno continuato a dettar legge solo nel mezzofondo.

Gli stravolgimenti degli equilibri avvenuti negli ultimi sette anni hanno avuto un effetto dirompente nella distribuzione delle medaglie mondiali e olimpiche. Tra il 1999 e il 2007, a comandare sul podio erano gli Stati Uniti: su 21 medaglie assegnate in quel periodo, ne portarono a casa otto. Ma le altre tredici si sono distribuite tra atleti di otto nazionalità diverse: Bahamas, Barbados, Canada, Gran Bretagna, Giamaica, Portogallo, Saint Kitts e Nevis e Trinidad e Tobago si giocavano alla pari due gradini del podio su tre. Tra il 2008 e il 2014 sono state assegnate 15 medaglie mondiali e olimpiche, ma se le sono spartite in quattro: otto sono andate alla Giamaica, mentre gli USA ne hanno conquistate cinque. Le altre due sono state vinte da Trinidad e Tobago e da Saint Kitts e Nevis, gli unici Paesi sopravvissuti al dominio di Bolt e soci e alla resistenza degli atleti statunitensi.

Con il duopolio Giamaica-USA, solo otto Paesi sono riusciti a portare un atleta in finale almeno una volta. Tra il 1999 e il 2007, la stessa impresa era riuscita a 14 federazioni diverse. Da sette anni a questa parte, gli otto finalisti dei Mondiali o delle Olimpiadi si distribuiscono così: tre sono giamaicani, due americani, uno di Trinidad e Tobago e due possono essere, a seconda delle volte, britannici, francesi, nevisiani, olandesi o antiguani. Fuori da questi confini, non esistono atleti che negli ultimi sette anni siano arrivati a una finale olimpica o mondiale. Ne restano diversi in grado di affacciarsi nelle graduatorie annuali, ma sono sempre meno. Dal 1999 al 2007 i centometristi in grado di piazzarsi almeno una volta tra i primi venti al mondo potevano avere 21 nazionalità diverse, mentre tra il 2008 e il 2014 i Paesi rappresentati sono stati solo 16.

Capolinea

Ma per quanto potrà durare questa situazione? Per quanto tempo la velocità rimarrà un affare quasi esclusivo fra USA e Giamaica? Soprattutto, per quanto tempo ancora gli atleti più rappresentativi degli ultimi dieci anni continueranno a dettare legge? Non per molto. In atletica, come in tutti gli sport, esiste una legge inesorabile e crudele che dice una cosa semplice: gli anni migliori finiscono e lo fanno in fretta. Il meglio che gli atleti nati negli anni Ottanta potevano esprimere si è già visto ed è stato senza precedenti, ma il futuro non è più loro. Quasi certamente questa generazione porterà a casa l’oro ai Mondiali di Pechino. Ci sono buone probabilità che anche il primo gradino del podio di Rio de Janeiro 2016 sia ancora appannaggio di un atleta nato prima del 1990. Ma poi sarà finita e questo è inevitabile. Al massimo, ci sarà un nuovo Kim Collins, ovvero un corridore in grado di sopravvivere per altri dieci anni ai suoi coetanei. Sarebbe già finita quest’anno, se non fosse per la combinazione di due fattori: primo, l’eccezionale qualità di questa covata di sprinter, superiore a tutte quelle che l’hanno preceduta e quindi più dura a morire; secondo, il livello per ora non eccezionale degli eredi. Attualmente, tra gli atleti nati dal 1990 in poi, sono già 16 quelli che hanno sfondato il muro dei 10 secondi. Ma il più veloce è stato il giamaicano Nickel Ashmeade, classe 1990, che nell’agosto 2013 ha corso i 100 metri in 9’’90.

Trayvon Bromell ottiene il personale di 9’’90 in semifinale agli NCAA Championships. Alle sue spalle, il ventunenne Andre De Grasse chiude in 9''98.

Nel 2013 Ashmeade aveva 23 anni, la stessa età di Asafa Powell quando faceva il suo primo primato mondiale (9’’77), di Yohan Blake quando andava quattro volte sotto i 9’’80 in una stagione e di Usain Bolt quando faceva il primato mondiale definitivo dei 100 (9’’58) dopo il 9’’72 e il 9’’69 dell’anno precedente. Nessuno dei giovani ha sfondato il muro dei 9’’90, per ora. Attualmente, il giovane più quotato per diventare un fuoriclasse sembra essere un ragazzo americano che ha eguagliato Ashmeade pochi giorni fa: si chiama Trayvon Bromell e ha vent’anni. Se non si perde per strada, potrebbe essere l’uomo giusto per mandare in pensione i fenomeni che guardava in televisione da bambino. A parte lui nessuno sembra capace di impensierire, almeno per quest’anno, centometristi come Gatlin, Gay, Powell e Bolt. Gente abituata a sfide stellari da oltre un decennio difficilmente si fa mangiare dalla pressione vedendo un ventenne alle prime armi nella corsia a fianco. E se questi corrono ai loro livelli, a Bromell serve un miracolo per agguantare il podio.

Un altro prospetto interessante è Andre De Grasse, canadese di un anno più anziano. Tre anni fa giocava a pallacanestro, la settimana scorsa ha corso il 200 “ventoso” più veloce di sempre: 19’’58. Poche ore prima, sempre con vento fuori dai limiti regolamentari, ha fatto segnare un interessante 9’’75 sui 100. I suoi primati personali con vento regolare, al momento, sono 9’’97 e 20’’03. Probabilmente quest’anno non basterà per battere gli avversari più anziani nella disciplina più veloce, ma l’entrata in finale è una possibilità concreta sia per Bromell che per De Grasse.

Insomma, per questo biennio i favoriti restano gli stessi atleti che hanno cannibalizzato le ultime tre Olimpiadi e gli ultimi cinque Mondiali, a meno che una delle nuove leve non si migliori in un sol colpo di un paio di decimi. Sembra impossibile, ma un precedente c’è: si tratta dello stesso Bolt. Nel 2007 aveva un personale di 10’’03, nel corso dell’anno successivo si migliorò di 34 centesimi e arrivò a vincere le Olimpiadi di Pechino correndo in 9’’69 a braccia alzate. La cosa fece storcere il naso a non pochi sospettosi, tra cui Carl Lewis. Bolt ha sempre rispedito al mittente tutte le accuse di doping e, nel 2009, è sceso di altri 11 centesimi, arrivando a progredire di quattro decimi e mezzo in un biennio. In ogni caso, anche dando per scontato che un miracolo del genere sia difficilmente ripetibile, agli anni Novanta basterà aspettare solo un paio d’anni, non di più.

Gatlin, Powell e Gay hanno o devono compiere 33 anni e, nonostante siano ancora a livelli altissimi, è improbabile che rimangano tutti e tre così forti anche nel 2017. Bolt ne ha 28, ma non sembra più in grado di migliorarsi e, probabilmente, di trovare stimoli. Yohan Blake, che sembrava il solo in grado di poter arrivare ai livelli del connazionale più celebre e magari superarli, è stato rovinato dagli infortuni. Forse tornerà, ma chissà se sarà lo stesso atleta ammirato nel suo magico 2012. Nesta Carter ha 29 anni ed è stato un bravo gregario, ma non ha mai battagliato ai livelli degli altri cinque. L’anno scorso l’età media dei top 10 superava i 28 anni, più alta anche del 2003, che fu l’ultimo anno dominato dagli atleti degli anni Settanta. L’anno successivo, ad Atene, iniziò il ricambio generazionale, che si completò quattro anni più tardi con l’arrivo di Bolt. Probabilmente il nuovo ricambio è già iniziato quest’anno, anche se in modo più silenzioso. Inizialmente, è improbabile che ci siano ori per le nuove leve. Quando sarà completato, si vedrà che fine avrà fatto quel metro di vantaggio guadagnato dai ragazzi degli anni Ottanta.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura