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Dietro al miracolo
03 dic 2015
L'Albania di De Biasi per la prima volta in 70 anni di storia si è qualificata per gli Europei. Ma qual è lo stato di salute del movimento calcistico più debole dei Balcani?
(articolo)
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“Miracolo albanese” è stata una delle definizioni più abusate all’indomani della storica qualificazione dell’Albania agli Europei del 2016. A rileggere i giornali del giorno dopo, si ha l’impressione che i successi della Nazionale allenata da Gianni De Biasi, arrivata per la prima volta in quasi settanta anni alla fase finale di un torneo internazionale, non siano altro che l’espressione più alta di un movimento calcistico su larga scala. Ai successi della Nazionale rossonera, seguendo questo filo di pensiero, dovrebbero di qui a poco seguire quelli delle squadre di club e del massimo campionato nazionale, la “Kategoria Superiore”, finora relegato nella periferia più estrema del calcio che conta. Se però non ci si ferma alla prima impressione, l’idea che viene fuori è molto diversa.

Sguardo rivolto all’estero

Per capire qualcosa di più del calcio in Albania bisogna tornare alla notte del 13 luglio scorso. In Brasile la Germania ha da poco battuto l’Argentina conquistando la sua quarta Coppa del mondo, a Tirana e nelle altre città dell’Albania migliaia di persone scendono in piazza per festeggiare. Un’immagine apparentemente priva di senso, ma che può essere spiegata in maniera più semplice del previsto. Pur amando pazzamente il calcio gli albanesi non hanno mai avuto una squadra importante sulla quale puntare e per cui gioire, sia a livello di nazionale che di club.

La passione per il pallone, inversamente proporzionale alla competitività del calcio albanese, ha incoraggiato l’affermazione di un tifo di tipo globalizzato, in cui un abitante di un minuscolo centro albanese, in assenza di meglio, può scegliere di tifare per un club di una città lontana migliaia di chilometri o “adottare” la Nazionale di un paese con il quale ha poco o nulla da condividere: oltre che per la Germania, nell’ultimo in tanti hanno fatto il tifo per l’Italia, il Brasile o altre “grandi”. Lo stesso avviene a livello di club, visto che il campionato più seguito in Albania non è la Kategoria Superiore ma la Serie A, considerata il “vero” campionato nazionale, o in alternativa Liga e Bundesliga.

Non è un caso che Gianni De Biasi, attuale c.t. dell’Albania e nuovo eroe della Patria, abbia confessato di passare la maggior parte del proprio tempo da c.t. lontano dal "Paese delle Aquile", dove non trascorre più di dieci giorni al mese. In aperta rottura con i propri predecessori, non appena arrivato, nel dicembre 2011, l’allenatore trevigiano ha allontanato dal giro della nazionale tutti gli esponenti della “vecchia guardia” e insieme al suo vice, Paolo Tramezzani, è andato a cercare gli uomini per il suo progetto in giro per l’Europa, negli altri campionati, all’interno di quella diaspora albanese fatta di emigrati di prima e seconda generazione.

I componenti del 4-1-4-1 schierato nell’ultima gara delle qualificazioni in Armenia erano tutti “stranieri”. Dalla Svizzera vengono il 22enne Berat Djimsiti (Zurigo), vera scoperta del tecnico trevigiano, l’ex granata Migjen Basha (Lucerna), l’altro mediano Taulant Xhaka (Basilea) e i due componenti della catena di sinistra, Naser Aliji e Shkëlzen Gashi (entrambi ancora del Basilea). Seconda per rappresentanza è l’Italia, con il laziale Etrit Berisha, il pescarese Ledian Memushaj e il napoletano Elseid Hysaj, giocatore più prezioso dell’intera rosa, mentre nel campionato francese (Nantes) gioca il capitano ed ex laziale Lorik Cana, in quello turco (Basaksehir) la punta centrale Sokol Cikalleshi e in Croazia (Rijeka) l’esterno destro Odise Roshi. Tenendo conto dell’intera selezione, i rappresentanti della Kategoria Superiore sono solo due: Hamdi Salihi, punta centrale dei campioni in carica dello Skënderbeu, che nelle ultime qualificazioni ha giocato in tutto una sessantina di minuti, e il secondo portiere Alban Hoxha del Partizani Tirana, che però nella cavalcata verso Euro 2016 non è mai sceso in campo.

Finalmente l’Albania

Con intelligenza, De Biasi ha sfruttato l’obbligata “esterofilia” degli albanesi, facendone il vero segreto del successo della nuova Nazionale. Fino al suo arrivo sul mappamondo del calcio l’Albania praticamente non esisteva. La Nazionale dell’aquila bicipite non era mai arrivata alla fase finale degli Europei né ai Mondiali e non era mai stata veramente in corsa per l’obiettivo, accontentandosi in genere dell’ultimo o del penultimo posto nel proprio girone di qualificazione. Le imprese memorabili fino a oggi erano uno 0-0 casalingo strappato alla Germania Ovest nel lontano ‘67, che contribuì alla mancata qualificazione dei tedeschi alla successiva edizione degli Europei in Italia, e un 2-0 rifilato al grande Belgio di Pfaff e Ceulemans nelle qualificazioni per Messico ‘86.

Nel giro di pochi mesi il cambio di rotta è stato netto e per certi versi imprevedibile. Quando è sbarcato a Tirana, nel dicembre 2011, l’Albania era reduce dall’ennesimo girone di qualificazione disastroso (per Euro 2012), in cui aveva raccolto solo 9 punti in 10 partite, riuscendo nell’impresa di perdere anche col Lussemburgo.

Con De Biasi le cose cambiano subito. Nelle qualificazioni per i Mondiali brasiliani del 2014 l’Albania parte bene, battendo Cipro, Slovenia e Norvegia in trasferta, arrivando fino al secondo posto nel girone, alle spalle della Svizzera. Dopo la sosta estiva inizia la discesa: con un solo punto nelle ultime quattro partite l’Albania chiude penultima, come d’abitudine.

Ma il tecnico italiano è il primo a intravedere in quel percorso i segnali di qualcosa di nuovo da cui ripartire e su quelle basi De Biasi costruisce l‘impresa. Nel girone di qualificazione per Euro 2016 l’Albania parte subito forte: vittoria in trasferta con un Portogallo orfano di Ronaldo, pareggio in casa con la Danimarca, seconda vittoria (a tavolino) in Serbia (nella famosa partita del drone) e ancora vittoria in casa con l’Armenia.

Alla fine dell’andata i rossoneri sono davanti a tutti, con 10 punti. Ancora una volta le forze sembrano venire meno sul più bello. Prima il pareggio a Copenhagen e poi la doppia sconfitta interna con Portogallo e Serbia sembrano concretizzare gli spettri dei fallimenti passati. Ma questa volta l’Albania non viene meno all’appuntamento decisivo, vincendo per 3-0 a Yerevan contro l’Armenia. Per la prima volta migliaia di albanesi, in Patria e all’estero, si trovano a festeggiare e non per una squadra straniera. Dal 74.esimo posto del ranking FIFA in cui si trovava all’arrivo di De Biasi, l’Albania arriva fino al 32.esimo.

Il mito della rinascita albanese

I successi delle ultime settimane non devono però spingere a sopravvalutare lo stato di salute del calcio albanese, che resta precario. Le colpe vanno cercate lontano: in una regione, quella balcanica, che ha regalato talenti al calcio internazionale, l’Albania ha da sempre spiccato per mediocrità. Sulla sponda orientale del canale di Otranto il calcio è arrivato tardi: la prima squadra di club è il KS Vllaznia di Scutari, fondato nel 1919, seguito un anno dopo dall’attuale KF Tirana (ex 17 Nëntori), la più titolata delle squadre albanesi, e via via da tutte le altre. Il primo campionato si gioca solo nel 1930, in un’epoca di crescente influenza politica italiana, e vedeva la partecipazione di appena sei squadre. Allo stesso anno si fa risalire la fondazione della Nazionale, che però giocò la sua prima partita ufficiale solo nel 1946, contro la Iugoslavia. Ma sullo sviluppo del calcio albanese ha pesato soprattutto la morsa del vecchio regime comunista, che aveva chiuso il "Paese delle Aquile" al resto del mondo, creando un isolamento internazionale paragonabile a quello dell’attuale Corea del nord.

La Nazionale che partecipò ai campionati europei di Praga nel 1958.

I grandi cambiamenti sono iniziati nel 1990 e non solo in ambito calcistico. In soli due decenni passati (90s e 2000s) la popolazione albanese è calata da quasi 3 milioni e duecentomila unità (1989) a poco più di 2 milioni e 800mila (2011). Quasi 500mila persone hanno lasciato l’Albania nel primo decennio del nuovo millennio, dirigendosi in larghissima maggioranza verso Italia e Grecia. Negli anni più recenti si è registrata un’inversione di rotta, con un’accelerazione nei rimpatri (tra il 2009 e il 2013 gli albanesi tornati a casa sono stati 133.544, tanti quanti erano rimpatriati tra il 2001 e il 2011) ed è iniziata anche un’emigrazione al contrario, quella degli italiani andati in Albania per studio o lavoro (oggi circa ventimila).

Il fatto che questa accelerazione sia avvenuta dopo l’ultima crisi finanziaria dimostra, però, che a causarla sia più il peggioramento delle prospettive economiche nei paesi di emigrazione (Italia e Grecia su tutte) che il presunto miglioramento di quelle dell’Albania. Il PIL albanese, che immediatamente prima della crisi era arrivato a crescere a ritmi cinesi (7,5 per cento nel 2007), nel prossimo biennio dovrebbe far registrare un aumento di circa il 2,5 per cento; un dato superiore a quello di tanti paesi dell’area euro, ma decisamente insufficiente per chi ha da recuperare decenni di mancato sviluppo. Attualmente il reddito pro capite degli albanese resta pari a un terzo di quello medio dei paesi dell’Unione Europea, inferiore anche a quello delle vicine Macedonia e Montenegro.

Nel mondo del calcio dei progressi reali si sono registrati solo negli ultimissimi anni. Basta dare uno sguardo alla Kategoria Superiore, dove fino a poco tempo fa vigeva il dominio incontrastato delle tre squadre della capitale—il KF, il Partizani (attualmente in B) e la Dinamo—capaci di spartirsi il 75 per cento dei titoli assegnati dal dopoguerra. Gli ultimi cinque titoli sono andati allo Skënderbeu, storico club della piccola città di Coriza, a testimonianza di un dinamismo sconosciuto prima.

Un segnale del miglioramento arriva anche dalle prestazioni dei club albanesi in ambito continentale. Anche qui, fino a oggi, e come per la Nazionale, i risultati dei club albanesi si misuravano in termini di imprese estemporanee. Come quella del Flamurtari Valona, che nella stagione 1987/88 arrivò fino agli ottavi di Coppa UEFA, dove riuscì a battere in casa per 1-0 il Barcellona, prima di venire travolto al Camp Nou da Lineker e compagni.

Per tornare all’oggi, è incoraggiante il percorso dello Skënderbeu, impegnato con Besiktas, Lokomotiv Mosca e Sporting Lisbona nel girone H di Europa League: dopo tre sconfitte di seguito, i campioni in carica di Albania sono riusciti a ottenere un’importante vittoria sui portoghesi dello Sporting. I progressi a livello di club sono evidenziati anche dal ranking UEFA, dove ora proprio lo Skenderbeu occupa la 193.esima piazza, la più alta mai raggiunta da una squadra albanese. Il punto di svolta può essere individuato nella stagione 2013/2014. Quell’estate, dopo anni di eliminazioni al primo turno, lo Skënderbeu e il Kukësi arrivano fino ai playoff di Europa League, arrendendosi rispettivamente al Chernomorets Odessa (ai calci di rigore) e al Trabzonspor.

In cerca di credibilità

Quanto sta avvenendo di positivo trova spiegazione anche in alcune “riforme” attuate nell’ambito del calcio albanese, a partire dal progressivo passaggio del controllo dei club dalle mani degli enti locali, che puntavano al massimo alla sopravvivenza, a quelle di imprenditori privati disposti a investire. Oggi i top club locali, come Skënderbeu, Kukësi, KF Tirana, Flamurtari e Partizani Tirana, non appartengono più ai rispettivi distretti, mentre altre società come il glorioso (per gli standard locali) Vllaznia restano di proprietà del dipartimento di riferimento, che si oppongono a ogni tentativo di privatizzazione.

Anche la riduzione della massima serie a dieci squadre, decisa sempre nel 2013, rientra in una politica che mira a valorizzare i pochi club più competitivi e in grado magari di attrarre anche qualche sponsor dall’estero e realizzare strutture per far crescere i giovani. All’avanguardia in questo processo c’è il Flamurtari con il suo presidente Sinan Idrizi. Arrivato solo un anno fa a Valona, Idrizi ha portato al club sponsor esteri (i turchi di Trk/AtlasJet) e sta lavorando con il governo albanese al progetto “Valona Sport”, che prevede la costruzione di un nuovo stadio e varie strutture sportive, per un valore complessivo di 40 milioni di euro.

In poco tempo è cresciuto anche il numero di calciatori arrivati dall’estero, attualmente 55, pari al 17 per cento del totale, provenienti per lo più da Brasile, Serbia, Montenegro e Nigeria. L'unico italiano è il 33enne romano Emanuele Morini, che prima di arrivare al Partizani Tirana aveva giocato in Grecia e Bulgaria e in diversi club di Lega Pro.

Ma ancora più che l’assenza di capitali e strutture, forse l’incognita che grava maggiormente sul futuro del calcio albanese è l’assenza di credibilità, causata soprattutto dalla diffusione capillare del calcioscommesse. Più che un sospetto, la presenza di giocatori corrotti e match truccati in Albania rappresenta una certezza. Tante sono le gare internazionali, compresi preliminari di Europa League e Champions, che hanno attirato l’attenzione delle autorità anti-scommesse, senza però che poi si arrivasse mai a provvedimenti concreti.

L’impressione è che, a fronte di un fenomeno talmente diffuso, la UEFA abbia scelto di voltarsi dall’altra parte. La sola conseguenza pratica è stata che, da tempo, la Kategoria Superiore non è quotata dalle agenzie di scommesse internazionali e da circa un anno nemmeno da quelle albanesi. Ad allontanare anche gli ultimi bookmaker legali è stata la partita della scorsa stagione tra Flamurtari e Teuta: una vera e propria messa in scena finita per 2-1 con gol al 95’ della squadra di casa su “pasticcio” difensivo.

Il portiere del Teuta protagonista della gara farsa, Alfred Osmani, ha ricevuto una squalifica di sei mesi che però non è bastata a restituire credibilità al campionato. Nel rapporto del 2015 la FederBet, autorità di controllo sul gioco d’azzardo, ha inserito l’Albania nella top ten dei campionati più truccati, insieme a Malta, Cipro, Montenegro e altri paria della scena calcistica internazionale. Campionati in cui, come ha commentato un osservatore internazionale, «gli spettatori sono gli unici a non conoscere il risultato delle partite».

In un tale contesto, i successi della Nazionale da soli non possono bastare per restituire credibilità al calcio in Albania. La speranza, però, è che proprio da questa Nazionale, dai suoi uomini e dall’entusiasmo che sono riusciti a creare, il calcio albanese possa trovare gli strumenti per crescere. Di norma un buon movimento calcistico è la base per una buona Nazionale. Nel caso albanese, per una volta, le cose potrebbero andare al contrario.

Ringraziamo Enxhi Fero de “Il calcio albanese” (@EnxhiFero2) per la collaborazione all'articolo.

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