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Anche Montella ha le sue colpe
28 nov 2017
Il tecnico rossonero non aveva un compito facile ma ha sbagliato troppe scelte. Quattro esempi delle sue responsabilità.
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12 min
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Foto di Marco Luzzani / Stringer
(copertina) Foto di Marco Luzzani / Stringer
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Anche dopo lo 0-0 contro il Torino, la quarta partita casalinga di fila in campionato in cui il Milan non è riuscito a segnare, Vincenzo Montella continuava ad aggrapparsi alla convinzione che, prima o poi, le cose si sarebbero aggiustate: «Abbiamo fatto un’ottima partita, abbiamo creato tanto e sbagliato qualche occasione per mancanza di serenità e per qualche scelta finale. La squadra ha avuto armonia di gioco, continuità, ha alzato i ritmi quando c’era da alzarli. Vedo una squadra in netto miglioramento, sia in fase di possesso che di non possesso. Se continuiamo a crescere così chi ci sta davanti non è irraggiungibile».

Montella continuava a descrivere uno scenario che non combaciava più con quello della società e dei tifosi, il cui entusiasmo - dopo un record di abbonamenti a San Siro - è calato rapidamente e ha toccato il punto più basso con i fischi alla squadra alla fine della partita contro il Toro. L’esonero ha semplicemente certificato questa situazione, che ha portato alla promozione di Gennaro Gattuso in prima squadra. Ormai da diverse settimane i segnali di una differenza di vedute tra l’allenatore e la dirigenza continuavano ad accumularsi: «È da un po’ che assisto da vivo al mio funerale, è un vantaggio perché ti accorgi di tante cose», aveva dichiarato Montella dopo la partita contro l’AEK Atene, in un suo slancio di humor nero.

Nonostante i risultati negativi, Montella ha comprensibilmente difeso fino all’ultimo il suo lavoro. Forse sentiva già da tempo la terra mancare sotto i piedi (Mirabelli prima della sfida con i granata aveva dichiarato che «non c’era più tempo per sbagliare, il Milan gioca per vincere e non per partecipare») e provava a nasconderlo pubblicamente. Forse invece il suo ottimismo era autentico, nonostante lo scadimento delle prestazioni negli ultimi mesi: alla 14.esima giornata il Milan ha 9 punti in meno rispetto allo scorso campionato, ha subito gli stessi gol, ma ne ha segnati 6 in meno. Un anno fa il primo posto era distante appena 4 punti, adesso i rossoneri sono settimi a -18 dal Napoli e a 6 punti di distanza dal sesto posto occupato dalla Sampdoria, che oltretutto deve recuperare una partita.

Tutto questo dopo la campagna acquisti più onerosa della storia rossonera, la lente che ovviamente distorce qualsiasi considerazione sul gioco e sui risultati. Montella ha lasciato il Milan ben al di sotto delle aspettative generate dai grandi investimenti estivi: nei risultati, ma anche nei progressi a livello di sistema che era lecito aspettarsi a questo punto della stagione.

Ho provato a riassumerli in quattro punti, cercando di inquadrare il percorso che ha portato all’esonero.

1. Non è riuscito a dare solidità alla difesa del Milan

La gestione di Montella si è caratterizzata per la ricerca costante di un compromesso tra una fase di non possesso aggressiva, che puntasse a minimizzare i tempi di recupero della palla, e la qualità del materiale a disposizione, che ha più volte suggerito al tecnico di rifugiarsi in lunghe fasi di difesa posizionale. L’anno scorso il Milan aveva progressivamente rinunciato a difendere alto e con aggressività, preferendo controllare gli spazi nella propria metà campo proteggendo il centro; quest’anno invece, dopo l’innalzamento della qualità in difesa grazie alla campagna acquisti, che avrebbe in teoria garantito una prima costruzione più pulita e maggior controllo del pallone, Montella era tornato a proporre un atteggiamento più spregiudicato, alzando l’intensità e l’altezza del pressing.

La pesante sconfitta contro la Lazio (4-1) ha però evidenziato le difficoltà del Milan a sostenere quel tipo di aggressività. I rossoneri hanno pagato il baricentro alto soprattutto in transizione, e da quel momento Montella si è comportato con maggiore prudenza, con il passaggio alla difesa a 3 e ad ampie fasi di difesa posizionale, favorite dal nuovo sistema scelto, il 3-5-2. Il passaggio dalla difesa a 3 - sembrato quasi scritto nel destino del Milan dopo l’arrivo di Bonucci - non è comunque bastato per risolvere i problemi: il Milan ha continuato a concedere con troppa facilità lo spazio tra le linee ai lati e alle spalle del mediano, e nonostante il passaggio alla linea a 5 ha faticato sia a coprire la profondità (vedi la partita contro la Roma) che a difendere l’area di rigore (vedi il derby).

Ultimamente Montella aveva proposto un sistema fluido che disegnava una difesa a 3 in fase di impostazione e una linea a 4 in fase difensiva, con le rotazioni che formavano un 4-4-2. È stato l’ultimo tentativo per avere una migliore copertura degli spazi, ma garantendosi allo stesso tempo fasi di pressing alte e intense, più facili da sostenere con la disposizione di partenza del 4-4-2. L’equilibrio, però, non è stato trovato: la Juventus ha sfruttato le incertezze su come difendere, se alzandosi o restando in posizione, per trovare comode ricezioni tra le linee con Dybala, il Napoli ha scelto invece di attaccare alle spalle la difesa, mettendo a nudo ancora una volta i problemi nella copertura della profondità.

La squadra di Sarri riesce a trovare Mertens tra le linee, poi attacca velocemente la profondità, sfruttando i limiti evidenziati dalla fase difensiva rossonera per andare in vantaggio.

In Serie A solo il Napoli e la Juventus concedono meno tiri del Milan, eppure la squadra di Montella ha finora subito 18 gol, gli stessi dell’anno scorso, nonostante conceda in media 4 tiri in meno a partita. Alla sosta il Milan era, dopo il Napoli, la miglior squadra del campionato per passaggi concessi in assoluto e nella propria trequarti, affrontando però il 61% delle conclusioni avversarie all’interno dell’area di rigore, una percentuale identica a quella del Verona. Aver lasciato meno possesso e meno occasioni agli avversari non ha ridotto in maniera proporzionale la pericolosità dei tiri subiti: la qualità delle occasioni concesse, frutto di limiti che non sono mai stati superati, è rimasta troppo alta per avere una solidità difensiva in linea con le statistiche.

2. Non ha trovato il modo di far segnare l'attacco

La sterilità della manovra resta il problema più grave non risolto da Montella, tangibile e certificato dai numeri, a differenza dei limiti evidenziati in fase difensiva. Il Milan ha segnato 6 gol in meno rispetto all’anno scorso, anche se tiene di più la palla e tira di più. Soprattutto da fuori area però: i rossoneri hanno collezionato più conclusioni di tutti in Serie A fuori dagli ultimi 16 metri, e hanno tirato meno del Cagliari e del Chievo da dentro l’area di rigore. Nel primo tempo della partita contro il Napoli, la squadra di Montella non è riuscita a giocare nemmeno un pallone nell’area azzurra, un record negativo eguagliato solo dal Benevento contro il Napoli e la Juventus.

I cambi di sistema non hanno migliorato la situazione: i princìpi della fase di possesso sono rimasti gli stessi a prescindere dalla disposizione di partenza. Il Milan puntava a occupare tutti i corridoi nella trequarti avversaria, raggiungendola soprattutto con verticalizzazioni taglia-linee o cambi di gioco (in particolare di Rodríguez da sinistra verso il lato destro) dopo aver consolidato il possesso nella propria metà campo.

L’assenza di meccanismi consolidati per un passaggio più manovrato dalla difesa alla trequarti, e di un centrocampista in grado di gestirne i tempi, ha ridotto la possibilità di creare vantaggi posizionali e ha legato la pericolosità del Milan alla qualità dei giocatori in ricezione alle spalle del centrocampo avversario. Una volta raggiunta la trequarti ai rossoneri è spesso mancata profondità, tanto sui lati quanto al centro, e così la creazione di vantaggi si è fondata sulle iniziative personali del singolo. Di Suso in particolare, troppo spesso unico sbocco per rifinire o concludere una manovra altrimenti incapace di sorprendere il blocco difensivo avversario. Lo spagnolo domina quasi tutte le statistiche offensive: è il capocannoniere (5 gol) e il miglior assist-man (3), è il giocatore che tira di più e ha creato più occasioni, mentre nei dribbling viene superato soltanto da Franck Kessié.

Le difficoltà affrontate finora dai nuovi centravanti – Kalinic, André Silva e Cutrone – sono lo specchio fedele dei problemi offensivi del Milan. Le tre punte hanno segnato complessivamente 5 gol, in parte per colpa loro, ma soprattutto perché la manovra rossonera ha quasi sempre faticato a costruire chiare occasioni da gol.

3. La duttilità tattica è diventata confusione

Col passare del tempo i cambi di sistema e gli esperimenti tattici che hanno coinvolto diversi giocatori hanno rafforzato la sensazione che Montella non riuscisse più a controllare le difficoltà, come uno scultore che nonostante gli interventi non riesce a dare la giusta forma alla sua opera. La flessibilità che l’ex tecnico rossonero sperava diventasse un punto di forza della sua squadra si è trasformata piuttosto in confusione.

Montella ha cominciato la stagione dando continuità al 4-3-3 utilizzato come sistema base nella scorsa stagione, poi ha ripiegato verso il 3-5-2 dopo la sconfitta contro la Lazio, un cambiamento programmato già in estate dall’ex tecnico milanista con l’arrivo di Bonucci. Infine sembrava aver raggiunto una certa stabilità con il passaggio al 3-4-2-1, che sfumava però in un 4-4-2 in fase di non possesso.

Pur partendo dal 3-5-2, Milan si è schierato col 4-4-2 in fase difensiva anche contro il Torino.

Diversi giocatori hanno poi girato per il campo alla ricerca della posizione migliore all’interno del sistema. Borini è stato progressivamente arretrato a giocare da esterno di centrocampo sia a destra che a sinistra, fino a ritrovarsi terzino a Napoli.

Ricardo Rodríguez ha iniziato il campionato da terzino, poi ha occupato il ruolo di esterno e quello di centrale sinistro in difesa, che ha messo in evidenza la qualità del suo mancino in impostazione e mascherato i limiti atletici nel coprire tutta la fascia. Kessié e Montolivo hanno giocato sia da interni che da vertici bassi del centrocampo, Locatelli - un regista, sulla carta - a Napoli è stato addirittura avanzato senza successo sulla trequarti, zona di influenza di Calhanoglu con il passaggio al 3-4-2-1 dopo un periodo iniziale da mezzala sinistra.

Bonaventura si è alternato tra il ruolo di mezzala e quello di esterno a sinistra, ma con libertà di accentrarsi e favorire lo sviluppo della manovra, una soluzione inusuale in sistemi che non prevedono la presenza di un terzino che compensi i movimenti dell’esterno e hanno ridotto le possibilità del Milan di attaccare in ampiezza.

I moduli hanno un’importanza relativa nello sviluppo del gioco e la duttilità è sicuramente una risorsa importante per un calciatore, ma la frequenza degli interventi di Montella non ha favorito la nascita e il consolidamento delle intese di cui avrebbe avuto bisogno una squadra completamente rinnovata, che ha cambiato quasi tutti i titolari rispetto alla scorsa stagione.

4. Ha fatto impazzire Suso

La gestione di Suso è emblematica di quanto fosse diventato difficile per Montella costruire il contesto ideale per far esprimere al meglio la sua squadra. Il fatto di essere riconosciuto come il miglior giocatore del Milan, da cui sono spesso dipese le sorti offensive rossonere, non ha risparmiato lo spagnolo dagli esperimenti di Montella.

Da esterno d’attacco del 4-3-3 Suso ha indirizzato le prime due giornate contro il Crotone e il Cagliari, firmando un gol e un assist in tutte e due le partite. Col passaggio al 3-5-2 è stato quindi schierato da seconda punta, un ruolo che ha limitato le sue possibilità di ricevere dinamicamente tra le linee entrando dentro il campo da destra e anzi lo ha portato più che altro a muoversi in senso opposto, dal centro verso le fasce per contribuire allo sviluppo dell’azione.

Ha poi giocato da mezzala, contro l’AEK e nel secondo tempo del derby, per migliorare la fluidità del possesso e gestire meglio i tempi del passaggio dalla difesa alla trequarti avversaria, e infine è stato riportato sulla trequarti col 3-4-2-1, in cui occupava uno dei due posti alle spalle del centravanti, ma col compito di ripiegare a centrocampo in fase difensiva. In quel ruolo ha giocato una grande partita contro il Chievo ed è stato decisivo contro il Sassuolo, segnando in entrambe le occasioni due gol iconici: calciando sul secondo palo dopo essersi accentrato da destra.

Nella partita contro il Torino, in cui erano infortunati tutti gli esterni destri di ruolo, Montella è tornato a sperimentare. Suso è infatti arretrato stabilmente a centrocampo da esterno del 3-5-2, un ruolo poco nelle sue corde a livello tecnico e fisico. Lo spagnolo era naturalmente portato a entrare dentro il campo, impedendo al Milan di occupare l’ampiezza a destra (alle sue spalle non aveva un terzino di ruolo, ma Zapata), e la posizione arretrata, che in più di un’occasione lo ha portato a ricevere spalle alla porta nella propria metà campo, lo ha esposto agli anticipi di Ansaldi.

Suso sta per ricevere il passaggio di Zapata, ma viene bruciato alle sue spalle da Ansaldi.

Suso ha caratteristiche tecniche e fisiche chiare e uno stile di gioco definito, costruito sulla minaccia del suo piede sinistro quando rientra da destra. Lo spagnolo è stato portato da Montella a un livello mai toccato prima e sta disputando la migliore stagione della sua carriera dal punto di vista realizzativo: ha già segnato 5 gol, due in meno di quelli totalizzati nell’intero campionato scorso. Eppure per un certo periodo il suo utilizzo ha rappresentato un problema, tanto da essere escluso dai titolari in un paio di partite dopo il passaggio al 3-5-2.

«Suso e Bonaventura sono due risorse, hanno dimostrato il loro valore. Fanno parte della squadra e ci daranno una mano. Il 4-3-3 abbandonato? L’anno scorso siamo arrivati a 23 punti dal terzo posto, abbiamo un’altra squadra, altri calciatori, qualcosa di diverso dobbiamo fare. Per un modulo del genere servono esterni che segnano 12/15 gol ciascuno», aveva detto Montella dopo la sconfitta contro la Roma, in cui Suso era rimasto in panchina per dare spazio alla coppia André Silva-Kalinic.

Le incomprensioni che per un certo periodo hanno contraddistinto il suo rapporto con Suso sono il simbolo delle difficoltà di gestione che Montella ha dovuto affrontare in questi mesi. Si sapeva che il radicale rinnovamento della rosa avrebbe richiesto del tempo per fornire certezze e consolidare le intese su cui fonda il gioco di ogni squadra. E non si può nemmeno ignorare il rendimento al di sotto delle aspettative dei giocatori che avrebbero dovuto garantire il salto di qualità (Bonucci e Biglia su tutti, ma in generale si fa fatica a trovare un nuovo acquisto che abbia reso secondo le aspettative).

Ma i continui interventi di Montella, piuttosto che migliorare le cose, hanno finito per generare confusione, contribuendo alle prestazioni deludenti accumulate dal Milan in questa prima parte di stagione.

Adesso tocca a Gattuso, che nelle poche esperienze maturate finora ha mostrato uno stile, tattico quanto nel rapporto con l’ambiente e la squadra, molto diverso da Montella. L’ex bandiera milanista ha davanti a sé una sfida difficile, e non è detto che le esperienze fatte nella sua breve carriera bastino per ribaltare l’inerzia di una stagione fin qui negativa, in un ambiente così complicato. Gattuso avrà davvero bisogno dell’appoggio di tutti per mostrarsi all’altezza della situazione: società, tifosi e squadra.

Al momento niente di questo sembra scontato.

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