Ogni mercoledì europeo un carnevale fuori stagione, rumoroso e orgogliosamente vestito di bianco, ci aspetta nel nostro feudo con una fiducia quasi irresponsabile nelle nostre possibilità. Risultati clamorosamente sfavorevoli sono stati ribaltati contro gloriose rappresentanti di potenze del calcio come Germania, Italia o Belgio, grazie a prestazioni poco meno che miracolose, però perfettamente spiegabili facendo appello a fattori che vanno al di là di ciò che è strettamente calcistico. Le ragioni tecniche, tattiche e anche fisiche che danno a una squadra una fisionomia e che ne definiscono lo stile derivano in primo luogo dalle qualità di ogni giocatore e, in second'ordine, dalle richieste dell'allenatore. Si dipende da uomini che svolgono funzioni circoscritte nel tempo, e perciò mutevoli. Ma una squadra, prima di tutto, è uno stato d'animo.
(Jorge Valdano, Miedo Escenico, saggio pubblicato su Revista de Occidente, luglio-agosto 1986)
Miedo escenico è un’espressione coniata da Gabriel Garcia Marquez in un articolo scritto per El Paìs nel 1983 per definire la propria paura di parlare in pubblico. Massimo esempio di connubio tra calcio e letteratura, Jorge Valdano le prese in prestito per descrivere il groppo che coglieva alla gola le squadre ospiti dello stadio Santiago Bernabeu, in quegli anni Ottanta in cui il Real Madrid - pur non vincendo mai la Coppa dei Campioni - era passato alla storia per alcune clamorose rimonte europee tra andata e ritorno: da 0-3 a 6-1 contro l'Anderlecht (1984), da 0-2 a 3-0 contro l'Inter (1985), da 1-5 a 4-0 contro il Borussia Monchengladbach (1985), da 1-3 a 5-1 ancora contro l'Inter (1986).
A sottolineatura della serietà delle parole di Valdano: nello stesso numero di quella rivista era pubblicata un'intervista a Jacques Derrida, interrogato sul rapporto tra sport e modernità.
Il concetto di paura, tuttavia, lascia sostanzialmente indifferenti i tedeschi. Nella semifinale di ritorno di Coppa Campioni 1987 il Bernabeu già si immagina un'altra notte da leggenda, necessaria per rimontare il pesante 1-4 incassato a Monaco di Baviera, con coda disciplinare per Juanito, reo di un’orrenda pedata in faccia a Lothar Matthaeus.
Ma il Bayern si accrocchia attorno al portierone Pfaff e concede un solo inutile golletto a Santillana, infliggendo al Real Madrid un'eliminazione europea che i “merengues” non subivano da più di tre anni. Gli ultras castigliani - non molto inclini a incassare le sconfitte - la vivono male, tempestando l'area tedesca di palline da golf, pietre, sbarre di ferro e altra oggettistica dopo neanche un quarto d'ora. L'arbitro francese Vautrot è costretto a una sospensione di qualche minuto e nel referto usa la mano pesante; l'UEFA punisce il Real chiudendo i cancelli della Casa Blanca per due partite.
Il momento più cruento della violenta semifinale 1987 tra Real Madrid e Bayern Monaco. Juanito verrà punito con cinque anni di squalifica internazionale.
Bussolotti e Bruscolotti
Nonostante un terzo e un primo posto negli ultimi due campionati, il Napoli di Maradona non è ancora riuscito a imporsi lontano dall'Italia. La partecipazione alla coppa UEFA 1986-1987 era durata due partite, il tempo di farsi sbattere fuori ai rigori al primo turno dal non irresistibile Tolosa: il palo fatale era stato colpito proprio da Maradona, ancora inebriato dai fumi dell'Olimpo dove era asceso dopo il Mondiale messicano. Per lo storico esordio in coppa Campioni, perciò, ci si può aspettare di tutto. Per compilare il tabellone a 32 squadre, il regolamento UEFA prevede nove teste di serie, calcolate in base al ranking, e 23 non-teste di serie. Il Napoli fa parte di queste ultime e le squadre da cui deve guardarsi sono i campioni uscenti del Porto, il Benfica, il Bayern Monaco, l'Anderlecht, la Dinamo Kiev, il Bordeaux, il Rapid Vienna, la Steaua Bucarest e appunto il Real Madrid.
Il 9 luglio 1987, nelle sale dell'InterContinental Hotel di Ginevra, alla presenza del direttore generale del Napoli Luciano Moggi, il presidente UEFA Jacques Georges avvia le procedure di sorteggio con la lentezza ieratica tipica di questi riti del tutto nuovi per gli “azzurri”. Tutte e nove le teste di serie saranno abbinate a una non-testa di serie, fino a esaurimento delle prime; la speranza del Napoli è dunque di non essere estratto nei primi 9 accoppiamenti, per giocarsi poi il primo turno contro avversari più morbidi tipo l'Omonia Nicosia o i campioni di Lussemburgo del Jeunesse Esch. Con il passare dei minuti, sotto lo sguardo febbrile di Moggi, i campioni d'Italia schivano le pallottole Bayern, Porto, Benfica, Anderlecht. È rimasto solo il Real Madrid e nell'insalatiera delle non-teste di serie ci sono ancora 15 palline; le possibilità che al Bernabeu ci finisca il Napoli sono oggettivamente scarse. Ma il diavolo ha il veleno nella coda.
A Madrid, dunque, con due piccole consolazioni: il ritorno da giocare al San Paolo e l'andata da giocare a porte chiuse. Da Buenos Aires, dove si trova per la Coppa America, Maradona commenta con il consueto understatement: «Ho già battuto più volte il Real. Ce li mangiamo». Invece, di fronte ad altri accoppiamenti del calibro di Neuchatel Xamax-Kuusysi Lahti, il presidente del Real Mendoza non sa nascondere il dispiacere: «Poteva essere la finalissima». Dispiacere condiviso anche dai ventimila tifosi napoletani disposti a seguire il Napoli ovunque, tranne che in uno stadio vuoto. Alla vigilia del suo 50° compleanno, Moggi perde ogni desiderio di festeggiare: «Peggio di così si muore».
Quaranta secondi di Jeunesse Esch-Aarhus, campioni di Lussemburgo contro campioni di Danimarca. Anche questo era un primo turno di Coppa Campioni 1987-88.
Per l'assalto all'Europa Ferlaino si è assicurato per 4 miliardi di lire i servizi del centravanti della Seleçao Antonio Careca, il tassello mancante al completamento di una linea offensiva MaGiCa insieme al “Pibe" e a Bruno Giordano. Ma, a tre giorni dall'esordio in campionato a Cesena e a una settimana da Madrid, Careca alza bandiera bianca per un fastidio all'adduttore, e i piani di Bianchi devono ridursi al solito atteggiamento “Diegocentrista”. Dal canto suo, Maradona sbandiera i suoi precedenti mai banali al Bernabeu con la maglia del Barcellona. La prima volta, una vittoria per 0-2 su un campo ridotto ad acquitrino, su cui il “Pibe" aveva danzato e sfornato due assist per Esteban e Quini. La seconda volta, una finale di Copa de La Liga in cui aveva segnato uno dei gol più mefistofelici del suo repertorio, sberleffo in faccia al madridismo. La terza volta, infine, un ko amaro anche nelle conseguenze: a fine partita, in spogliatoio, il presidente Nunez gli aveva pubblicamente addossato le colpe della sconfitta e i due erano quasi venuti alle mani, anticipando il divorzio che si sarebbe consumato in estate, portandolo a Napoli.
Per la cronaca, il povero diavolo cui Maradona infligge quell'indimenticabile culata è il difensore Juan José Jimenez.
Maradona non mette piede in Spagna dal 1984 e forse, in cuor suo, ne farebbe volentieri a meno. Nel mondo Real il clima è elettrico anche per il divieto di trasmettere la partita in diretta tv, che ha spinto i tifosi sul piede di guerra. La delegazione napoletana salita a bordo del charter Bologna-Madrid conta una settantina di persone i cui sentimenti sono equamente divisi tra l'eccitazione e il timore di finire stritolati da un miedo escenico più subdolo del solito: nessuno spettatore, va bene, ma l'odore della Storia di cui sono impregnati quei muri, quei seggiolini, quelle assi di legno immobili e silenti. Su dieci tentativi, nessuna squadra italiana ha mai eliminato il Real in uno scontro andata e ritorno; solo l'Inter di Herrera c'è riuscita ma a Vienna in partita secca, nella finale 1964. E il Real Madrid, in questa competizione, non perde in casa dal 1973.
Timoroso di stuzzicare il super-attacco madridista, capace di 18 gol nelle prime tre partite di campionato, Bianchi sceglie la guerra di trincea, combattuta attorno alla coppia centrale Renica-Ferrario e alimentata dai polmoni di Nando De Napoli e Salvatore Bagni (pure lui dolorante, al ginocchio). Sola e Romano hanno il compito di portare rifornimenti a Giordano, in sostituzione di un Maradona che si iscriverà fin da subito al partito dei latitanti. Non sta meglio Beenhakker, che ha fuori sia Valdano che Hugo Sanchez, sostituito dall'antico Santillana, storico castigatore dell'Inter; Bianchi gli piazza contro l'aguzzo "palo e fierro" Bruscolotti, che lo limiterà a dovere. Ciro Ferrara si occupa di Butragueno. Dall'altra parte, il ruvido Chendo "non lascia toccar terra a Maradona", pure raddoppiato a turno dagli altri difensori.
Il calcio d'inizio è per le 21:45 locali. Diego e compagni si liquefanno quasi subito, soggiogati dal ritmo infernale del Madrid che attacca in massa anche coi difensori, raramente contrastati da un Napoli preoccupato di non abbandonare le posizioni. È così che il numero 5 Sanchis viene lasciato libero di arrivare fin sul fondo, dove viene malamente falciato da Renica. Michel trasforma. Gli stinchi e i piedoni di Garella evitano il tracollo anticipato, mentre il Napoli ha una sola occasione, seppur gigantesca, spedita da Giordano sulla traversa dopo uno sfarfallamento di Buyo.
Il deserto del Bernabeu rende tutto virtuale, fittizio. I continui fischi del mediocre arbitro Igna rendono ancora più snervante lo stillicidio di appoggi e filtranti con cui il Real coglie spesso di sorpresa la difesa napoletana. È forse questa la vera natura del miedo escenico: micidiale trappola psicologica che ti fa avere paura di ciò che non è vero (un pubblico ostile), a prescindere che quel pubblico ci sia o no. È quasi sempre e solo Madrid; le opportunità del Napoli - che pur non mancano, come l'autopalo di Gordillo e la seconda palla-gol di Giordano calciata su Buyo - hanno sempre i contorni dell'episodio.
A un quarto d'ora dalla fine arriva il raddoppio, deviazione di De Napoli su tiraccio da fuori di Tendillo, e ciò che rimane della partida del silencio è fatto solo di note a pié di pagina, compreso l'esordio internazionale di uno sbarbatissimo Ciccio Baiano. Al di là delle abituali giaculatorie anti-arbitro di Maradona, il 2-0 è un risultato su cui nessuno ha da ridire. Rileggendo le cronache d'epoca si scopre che le chiacchiere sul calcio sono in fin dei conti sempre le stesse: loro più esperti, noi troppo ingenui, ma al San Paolo sarà un'altra musica.
Napul'è mille paur'
Puppuliare (o, se preferite, pippìare) è un termine squisitamente napoletano che descrive il sobbollimento del ragù tenuto sul fuoco per ore, in attesa di omerici pranzi della domenica. La parola ben si adatta alle strade e alle piazze di Napoli che si svuotano all'imbrunire del 30 settembre 1987, trasportando verso casa o verso lo stadio lunghe fiumane borbottanti di auto e motorini. Le guide tv dell'epoca tramandano palinsesti straordinari, quelli dei classici mercoledì di coppa anni Ottanta e Novanta con nove ore di calcio ininterrotte, da Milan-Sporting Gijon alle 15 fino alla differita di Verona-Pogon Szczezin che si conclude dopo mezzanotte. Lo stesso studio pre-partita della RAI è una piccola bottega dell'incredibile: accanto al conduttore Gian Piero Galeazzi sono seduti, in rispettoso silenzio, Paulo Roberto Falcao e Ugo Tognazzi.
Al San Paolo sono in 84 mila, seconda affluenza di tutti i tempi dopo un Napoli-Perugia di campionato del 1979 in cui tutta la città si era data appuntamento per fischiare Paolo Rossi che aveva osato dire di no a Ferlaino. Il Real Madrid si è lasciato contagiare dall'atmosfera speciale, alloggiando in un lussuoso hotel di Castellammare di Stabia, a stretto contatto con camerieri e inservienti locali. Tre giorni prima, a Pisa, Careca ha finalmente debuttato in serie A: il Napoli ha perso 1-0 ma è pressoché certo di ottenere la vittoria a tavolino, dal momento che Renica è stato centrato in testa da una rondella di ferro piovuta dagli spalti.
All'ingresso dei “merengues” per il riscaldamento, il boato del San Paolo è impressionante, e ancora nessuno ha scritto l'inno della Champions. Improvvisa e beffarda, premonitrice, inizia a soffiare una tramontana gelida. Il Napoli è carico come una luminaria a Capodanno; lo è soprattutto quel Napoli più umile e operaio, i Bagni, i De Napoli, i Francini che al Bernabeu era squalificato. La partenza dei ragazzi di Bianchi è travolgente ("il Real è ai paletti", Bruno Pizzul). Dopo 9 minuti un trasfigurato De Napoli scodella in mezzo un pallone ripetutamente colpito di testa da Careca e poi da Francini, che dopo la respinta incerta di Buyo tira sotto la traversa un pallone che fa tremare la terra.
È uno dei primi tempi più belli della storia del Napoli: limitatamente alla sua storia europea, potremmo accostarlo all'intensità del secondo tempo di Napoli-Chelsea 2012 (allenatore Mazzarri) o dei primi 15 minuti della ripresa di Napoli-Benfica di quest'anno, per stessa ammissione di Sarri il punto più alto del suo biennio partenopeo. È possibile riguardarlo integralmente su YouTube, dov'è stato pubblicato come un feticcio da qualche tifoso azzurro nostalgico.
Il lato più clamoroso di tutta la vicenda è la seconda prestazione "normale" di un Maradona a cui forse, una volta tanto, sta venendo meno il fiato per l'emozione. Ma manca solo un gol per azzerare tutto e il Napoli lo sfiora ripetutamente con Careca, di testa (stupendo riflesso di Buyo) e soprattutto di piede, al 41'. Lo scatenato Francini percorre 60 metri palla al piede e serve a Careca un pallone finanche banale; ma il brasiliano lo appoggia maldestramente a Buyo, sentendo d'improvviso su di sé il peso della delusione di 85 mila tifosi. Non è casuale che quelle vecchie lenze del Real passino alla cassa nel giro di tre minuti: ancora Francini, per troppa generosità, regala una palla a Michel che la scarica a Hugo Sanchez che subito imbuca per il velenosissimo Avvoltoio Butragueno. Il "noooo" di Sandrino Mazzola, spalla di Pizzul in telecronaca, è il segnale che fa calare il sipario. Decisamente no, il Real Madrid non soffre il miedo escenico.
Nessun tifoso del Napoli ha contezza dei 45 minuti successivi; per quanto ne sanno e ne sappiamo, potrebbero anche non essere mai stati disputati. I tabellini riportano una sciocca espulsione di Carnevale e un tranquillo tran-tran amministrato con saggezza del Real, contro un Napoli annichilito dalla devastante implosione delle sue grandi speranze. L'entusiasmo più pazzesco ci mette un attimo a trasformarsi nello scoramento più nero. La crudeltà della Coppa Campioni a eliminazione diretta, così fascinosa eppure così complicata, sta tutta in questa partita. Ma nessuno ne farà mai una colpa al più colpevole di tutti, un Maradona deludentissimo, "umanamente sbollito, da rigenerarsi come un pneumatico liso" (sempre Brera).
Quel Napoli-Real Madrid, carico di illusioni come la fine dell'estate, è il prologo in stile-Troisi di una stagione a suo modo indimenticabile per il Napoli, destinata a concludersi nel modo più balordo che ci sia. Ma la squadra esiste e l'anno dopo diventerà ancora più solida e cinica con l'innesto di un brasiliano con la testa talmente da tedesco che a casa sua l'hanno soprannominato, non a caso, Alemão. La Coppa dei Campioni 1987-88 sarà vinta, contro ogni pronostico e con cinque pareggi in cinque partite dai quarti in avanti, dal PSV Eindhoven del baffuto Guus Hiddink. Anche loro, il 9 luglio, facevano parte delle 23 non teste di serie.