Quando mancavano ancora 4 minuti al termine della finale playoff tra Benevento e Carpi, i giocatori del Benevento stavano già festeggiando. Ciciretti colorava di giallo i capelli dei compagni in panchina, in campo i calciatori ridevano, saltavano e sparavano il pallone in aria a caso, come per convincere tutti che era inutile continuare a giocare. Baroni, l’allenatore del Benevento, chiedeva invece disperatamente di mantenere la calma. Il tappeto sonoro creato dal pubblico sembra gettare un incantesimo per cui nulla ormai può più succedere.
Alla fine il Carpi butta via gli ultimi due attacchi, fra cui uno in cui Lasagna sbaglia di diversi metri un cross che poteva essere una buona occasione. L’esplosione dello stadio Vigorito è così forte che sembra contenere qualcosa di molto più profondo del grido di una semplice tifoseria. Per tutti i playoff il Benevento ha tenuto una media spettatori sbalorditiva, 1 beneventano su 7 era allo stadio: dietro agli “stregoni” c’era un’intera città, una delle più esotiche della penisola.
Malaventum cambiò in nome in Beneventum per i romani che qui riportarono un’importante vittoria su Pirro. Nei secoli è stata crocevia di invasioni disparate che hanno creato un’identità ambigua e uno spesso strato di credenze popolari e magiche. La strega è il simbolo di Benevento: della sua squadra e del suo liquore, da cui poi la squadra ha preso il colore giallo (in un derby contro l’Avellino che ha scelto il verde per onorare il proprio liquore, l’Anthemis).
La Janara, la strega della zona, è una presenza di sfondo costante nella cultura popolare beneventana: “stregoni” è il soprannome dei giocatori del Benevento e “streghe” quello delle giocatrici della squadra femminile. Nei secoli scorsi le streghe si riunivano sotto un albero di noce del fiume Sabato per tenere i loro sabba e venerare il demonio. In alcuni racconti questo presenziava sotto forma di cane o caprone seduto su un trono vicino l’albero. Per tenerle lontane i beneventani dovevano tenere una scopa o un pacchetto con grani di sale fuori dalla porta: le streghe sarebbero state costrette a contare i fili della scopa o i granelli di sale fino al sorgere del sole, che le avrebbe fatte scappare.
Promozione lampo
Il Benevento è stato fondato nel 1929 e questa è la prima promozione in Serie A della sua storia, festeggiata un anno dopo la prima promozione in Serie B della sua storia. Nei festeggiamenti un tifoso ironizza: «87 anni per arrivarci, un anno per andarsene». È la seconda squadra a salire in A, insieme alla Spal, proveniente dalla Serie C con in mezzo un solo anno di purgatorio. Non può essere un caso, se aggiungiamo anche l’esempio del Frosinone due anni fa. Un dato che dice qualcosa su una tendenza generale in Serie B, dove l’ascensore sembra funzionare solo per chi è stato promosso dalla C o retrocesso dalla A. Avere una squadra palesemente fuori categoria come il Cagliari lo scorso anno o il Verona in questo può aiutare. Ma anche disporre di una squadra rodata, con meccanismi tattici che i giocatori hanno interiorizzato come una seconda pelle fa spesso la differenza in un contesto come la Serie B, in cui la maggior parte dei club vive una condizione cronica di instabilità. Gli esempi della Spal o del Cittadella vanno in questa direzione.
Va però detto che il Benevento non aveva nessuna di queste condizioni. I giallorossi hanno dovuto innanzitutto salutare il proprio allenatore, che ha chiesto la rescissione per divergenze con la società: «Avrei voluto che i programmi coincidessero. Si parlava di obiettivi, di calciatori e tanto altro, comunque ho rispetto di tutti». Dichiarazioni che giustificavano un generale pessimismo dei tifosi: il Benevento non sembrava avere le risorse per affrontare la Serie B. In panchina però è arrivato Baroni, che negli ultimi anni ha giocato quasi sempre stagioni di vertice, col Pescara due anni fa e con il Novara nel 2015-16, entrambe le volte eliminato ai playoff, raggiunti però in maniera insperata. Nelle sue mani è stato messo un gruppo radicalmente ristrutturato rispetto all’anno prima. In estate sono arrivati: Raman Chibsah, Filippo Falco, Lorenzo Venuti, Michele Camporese, Alessio Cragno, Marko Pajac e Fabio Ceravolo, quasi tutti titolari quest’anno e quasi tutti arrivati in prestito. A questi si è aggiunto Nicholas Benito Viola, arrivato a gennaio dal Novara e diventato in poco tempo una colonna tecnica della squadra di Baroni. Gli unici giocatori dell’undici titolare rimasti dall’anno prima sono Amato Ciciretti, rivelazione della scorsa Lega Pro, e Fabio Lucioni, il capitano, detto “Lo zio” per una vaga somiglianza con Bergomi. Un difensore proveniente da un’era calcistica così lontana che ha dichiarato che il segreto della promozione dello scorso anno era stato un bicchiere di vino nello spogliatoio prima della partita.
L’ossatura del Benevento promosso è fatta per lo più da ex giovani promesse, finite alla periferia del calcio di primo livello. Calciatori fra i 22 e i 26 anni, cresciuti in prestigiosi settori giovanili dopo i quali sembravano essersi bruciati.
Il Benevento non è stata la migliore squadra di Serie B. Ha chiuso la classifica al quinto posto, 9 punti dietro il Frosinone terzo (ed eliminato ai playoff), con la sesta miglior difesa e il quinto miglior attacco. Si è presa lunghe pause di rendimento lungo il campionato e sembrava essere complessivamente meno attrezzata di quasi tutte le squadre con cui si è giocata questa promozione. Ma è stata anche la squadra che ha reso possibili questi playoff.
Il 13 maggio, alla penultima giornata di campionato, il Benevento ha affrontato il Frosinone con tantissime assenze. Con una vittoria i ciociari avrebbero mantenuto sopra i 10 punti il vantaggio dalla quarta e si sarebbero assicurati la matematica promozione in Serie A. Al 93esimo, sull’uno a uno, Ceravolo segna di testa in mischia il gol del 2 a 1. È un meccanismo perverso e forse non perfettamente meritocratico: il Frosinone è riuscito a non essere promosso pur avendo chiuso il campionato con addirittura 9 punti più del Benevento.
Princìpi offensivi
Prima di quella partita il Benevento aveva messo insieme appena 10 punti nelle ultime 15 partite che sembravano poter vanificare una grande stagione. Nonostante non abbia brillato per continuità, il Benevento ha saputo pesare le proprie vittorie, vincendo diversi scontri di vertice e mettendo in campo le migliori prestazioni nei momenti chiave dell’anno. Questo forse a causa della discontinuità di molti dei suoi talenti, ma anche per il modo di giocare del Benevento, così poco speculativo da confinare con il masochismo in certe partite in cui la squadra ha faticato a gestire le partite.
Come già il Pescara e il Crotone lo scorso anno, il Benevento ha raggiunto la promozione attraverso una fiducia incondizionata verso le proprie idee di gioco. Prima della finale di ritorno contro il Carpi Baroni aveva detto ai suoi giocatori: «Giochiamo sereni, giochiamo con la testa, dobbiamo avere il coraggio di quello che siamo». Proponendo un calcio coraggioso, offensivo e abbastanza moderno.
Lo schema di base è un 4-2-3-1 zeppo di interpreti offensivi e piedi buoni. L’azione parte quasi sempre dai piedi di Camporese (ma anche Lucioni è piuttosto sicuro in impostazione) sui lati hanno giocato Gyamfi (terzino destro scuola Inter) e Walter Lopez (terzino con esperienza internazionale). Con Viola in campo la squadra lascia più responsabilità ai centrocampisti di impostare, ma anche i difensori sanno giocare palla con sicurezza sotto pressione e non si fanno problemi a tornare anche sui piedi di Cragno (che per la sua abilità tecnica è cercato dal Napoli).
Nella coppia di mediani non c’è un giocatore del tutto conservativo. Raman Chibsah, cresciuto nella primavera della Juventus, è un centrocampista dinamico, capace di coprire ampie porzioni di campo, con e senza il pallone. In fase difensiva ha un atteggiamento aggressivo: accorcia sempre in avanti in pressing per togliere tempo alla costruzione avversaria, specie nella fase di riaggressione (un gol contro il Perugia, nella semifinale playoff, nasce da questa sua riconquista); col pallone non si fa problemi a partire in conduzione per diversi metri (specie col 4-4-2 queste corse a perdifiato diventano fondamentali per collegare i reparti). Accanto a lui Nicholas Viola invece si muove poco e preferisce far correre il pallone, usando il suo sinistro per cucire il gioco sia nel corto che nel lungo. Cresciuto come trequartista, è stato progressivamente abbassato nel corso della sua carriera e quest’anno, davanti la difesa, ha giocato a un livello che in pochi si sarebbero aspettati (i suoi calci piazzati sono stati un’arma importante).
Viola, con la maglia dei Led Zeppelin, riceve una targa dal comune di Benevento.
La scelta dei trequartisti varia a seconda della strategia di gara. Nella sua versione più spregiudicata Baroni è arrivato a schierare Puscas a sinistra (una punta riadattata), Ciciretti a destra e Falco al centro: tutti giocatori offensivi, che quest’anno hanno dovuto spendersi in un grosso lavoro difensivo. Le diverse caratteristiche li rendono complementari. Puscas è un giocatore fisico che può portare palla sulla fascia o affiancarsi al centravanti per aggiungere presenza fisica in area di rigore (il suo doppio tecnico-tattico era Karamoko Cissè, oppure Pajac, più ala pura). Dall’altra parte Ciciretti è una fonte di gioco cercata spesso direttamente dalla difesa: ama accentrarsi e accorciare sempre in zona palla, per cercare poi il cross o il cambio di gioco sul lato debole.
Filippo Falco, al centro, è invece un giocatore più verticale, che ama partire palla al piede in conduzione e cercare la conclusione in porta col sinistro (6 gol quest’anno). Per questa sua tendenza a voler definire l’azione è stato a volte schierato direttamente come seconda punta, a girare attorno a Ceravolo. Quando non va in verticale, si sposta verso gli esterni per sovraccaricare un lato, spesso il destro se in campo c’è Ciciretti.
Fabio Ceravolo è uno di quei centravanti che conoscono le difese di Serie B come il bagno di casa propria. A 30 anni ha concluso la sua miglior stagione realizzativa con 20 gol; ma il suo contributo alla squadra si è espresso soprattutto nell’instancabile lavoro senza palla, nei suoi continui tagli oltre la linea difensiva avversaria e nei movimenti in orizzontale per offrire una linea di passaggio.
Flessibilità e pragmatismo
Lo spirito offensivo del Benevento è stato rivendicato anche da Baroni poco dopo la promozione: «Questa è una squadra che ha fatto più supremazia, che ha fatto più tiri in porta, seconda per palleggio. Che è stata straordinaria per tutta l’annata». Dichiarazioni di gusto che ricordano quelle di Oddo lo scorso anno, quando il suo Pescara aveva trionfato ai playoff esprimendo un calcio posizionale divertente e spregiudicato. Ma sarebbe sbagliato aspettarsi nel Benevento un altro Pescara.
Baroni non è un allenatore integralista. Il suo calcio offensivo si esprime più che altro per princìpi di fondo: il Benevento sa giocare un calcio diretto e verticale in certe situazioni, ma ha anche la pazienza per dominare l’avversario attraverso la supremazia territoriale. È tranquillo nel giocare il pallone sotto pressione e non si fa problemi a portare molti uomini sopra la linea del pallone, con i trequartisti esterni che vengono verso il centro e aprono lo spazio per la sovrapposizione di entrambi i terzini in ampiezza (il gol di Puskas nella finale playoff, arrivato da un inserimento profondo di Venuti). D’altra parte la fase difensiva è abbastanza prudente: al pressing diretto sui difensori si preferisce una schermatura delle linee di passaggio e la formazione di due linee difensive strette in un blocco non così alto; anche il gegenpressing non è molto strutturale e passa soprattutto per l’iniziativa dei singoli.
Anche la pericolosità offensiva, più che su giocate mandate memoria, passa per la libera associazione dei giocatori e delle loro caratteristiche. Gli strappi in velocità di Falco; l’ampia visione di gioco di Viola; l’aggressività di Chibsah; la creatività di Ciciretti e la sua tendenza a rientrare verso il campo; l’istinto di Puscas o Cissè a buttarsi dentro l’area partendo da sinistra.
L’empirismo di questo calcio è dimostrato dall’idea che, cambiando i giocatori, cambia anche la pelle tattica della squadra. Baroni ha fatto ruotare molto i suoi uomini, usandoli a seconda della loro efficacia tattica e della strategia di fondo. Dal 4-2-3-1 si è a volte passati a un modulo “ad albero di natale” con tre mediani e due trequartisti dietro all’unica punta. Ancora più spesso è stato utilizzato un 4-4-2 abbastanza ortodosso che cercava con insistenza il gioco sulle catene laterali e un gioco più diretto verso le punte e i loro movimenti a elastico.
Con il 4-4-2 Baroni provava a risolvere uno dei principali problemi difensivi del Benevento, cioè i cambi di gioco. Entrambi i mediani faticavano a coprire lo spazio alle spalle e ai fianchi, i trequartisti esterni rientravano spesso con pigrizia (specie Ciciretti) e si creava una zona grigia sulla quale le squadre arrivavano ad affondare più o meno direttamente.
Il giocatore chiave per questi cambi di spartito è stato Mirko Eramo, ex Sampdoria che ha giocato in quasi tutte le posizioni del campo. Baroni ha usato il suo atletismo da trequartista esterno, a destra e a sinistra, centrocampista esterno del 4-4-2 e o interno in un 4-3-2-1. Soprattutto nei playoff ha rappresentato un importante fattore di equilibrio in assenza di Ciciretti.
Come prepararsi alla Serie A?
Questa flessibilità, sul cui fondo si può leggere un certo pragmatismo, tornerà utile al Benevento e a Baroni nell’impatto con la Serie A. L’esotismo del Benevento, i suoi giocatori di culto, il suo gioco divertente hanno destato un interesse simile a quello che c’era stato lo scorso anno nei confronti del Pescara. Una squadra che ha bruciato in davvero poco tempo l’hype di cui era circondata: il suo coraggio si è trasformato in arroganza, la coerenza tattica in ingenuità.
Difficilmente Baroni avrà un approccio così naif al suo primo campionato di Serie A, ma molto dipenderà dai giocatori che avrà a disposizione. L’ossatura di questo Benevento era formata soprattutto da calciatori in prestito e la società si è innanzitutto mossa per le conferme. Non ci è riuscita per Alessio Cragno (“L’uomo Cragno”), tornato al Cagliari, ma sono già arrivati i riscatti di Chibsah e Gyamfi; Puscas sembra andare verso il rinnovo del prestito con l’Inter (che però sta provando a usarlo come pedina di scambio per altre trattative). Lorenzo Venuti resterà a Benevento, nella trattativa con la Fiorentina pare sia stato decisivo addirittura l’intervento del sindaco Clemente Mastella. Per Falco c’è da trattare con il Bologna che ne possiede il cartellino mentre Ciciretti, interamente giallorosso, è cercato da squadre importanti.
A queste conferme si dovranno aggiungere anche degli acquisti. Sembra vicino l’arrivo di Massimo Coda: un attaccante molto simile a Ceravolo, fisico compatto, tecnicamente completo, forse con un repertorio più vasto, ma il cui impatto con la Serie A è ancora tutto da verificare (fece 2 gol col Parma tre stagioni fa). A questo potrebbe aggiungersi Federico Dionisi, già autore di 8 gol in Serie A col Frosinone. Da Carpi potrebbe arrivare il portiere Belec e il terzino sinistro Gaetano Letizia. La strategia sembra insomma quella di continuare a prendere giocatori dalla Serie B fuori scala per il contesto
Del resto gli stessi giocatori del Benevento quest’anno sembravano avere uno spessore tecnico superiore a quello della Serie B. Molti di loro provengono da settori giovanili prestigiosi e a inizio carriera sembravano promettere più di quanto hanno dimostrato finora. Il prossimo anno si potrà misurare il loro impatto sulla Serie A: la staticità di Viola diventerà un problema con ritmi più alti? Ciciretti reggerà l’impatto fisico con difensori più atletici? Chibsah riuscirà ancora a fare la differenza col pressing contro avversari più tecnici? Fabio Lucioni come giocherà contro Higuain o Dzeko dopo una vita passata a marcare centravanti di Lega Pro?
Le risposte a queste domande saranno una delle storie più interessanti della prossima Serie A, nella speranza che il Benevento abbia il coraggio di non rinunciare ai propri princìpi, ma che allo stesso tempo abbia la forza per reggerli in un contesto di più alto livello. Dopo il Pescara sarebbe brutto ritrovare in Serie A un’altra squadra ambiziosa rivelatasi velleitaria.