Il punto di partenza è che non se ne può più di Joseph Blatter. Della sua longevità pallonara, del suo incedere marcio, delle sue ombre, dei suoi dispetti, del suo modo padronale di muoversi nel calcio che suo non è, e forse suo ha reso.
Blatter è l'eterno contrasto tra il calcio visto come sentimento e il suo essere niente affatto sentimentale. È avidità, prepotenza, furbizia, rancore. È bugie, che nemmeno sa dire oppure dice in modo volutamente confuso protetto dalla propria arroganza. Per liberarsi di lui, in realtà, dovrebbe bastare la carta d'identità e i quasi ottant'anni. Se non basta, mettiamoci i sedici anni da presidente FIFA eletto nel 1998), i trentasette dal suo ingresso nel governo del pallone mondiale. Se non basta nemmeno questo, ci sono un cumulo di argomenti di riserva.
ELETTO COL TRUCCO
Il pallone è pieno di scandali, e Blatter spesso governa anche quelli. Già dalla sua prima elezione, nella quale fece votare la fidanzata del presidente della Federazione Giamaicana al posto del delegato di Haiti e ottenne i voti del ConCaCaf grazie a donazioni di denaro di Havelange a Trinidad e Tobago, come confessato tempo dopo da Jack Warner, che del ConCaCaf all'epoca era presidente. Partito così, non possiamo meravigliarci se non vuol staccarsi da una poltrona comoda di potere, annunciando la propria nuova candidatura per il 2015 con un furbamente epico «la mia missione non è terminata». Lui parla di consolidamento della FIFA e della sua buona salute, mentre il calcio mondiale – a qualche giorno dalla ventesima Coppa del Mondo – scopre che di consolidato ha solo il malaffare e la salute non è nemmeno buona, se per l'assegnazione di tutto al Qatar si è ricorsi alla sporca pratica delle tangenti. Ma il pallone sono soldi e se chi lo governa ha cominciato con questo passo non è facile chiedere eccezioni.
LA COPPA SNOBBATA
Blatter è furbo e bugiardo anche sulle minuzie, che poi sono banali forme di rispetto che non esercita. Come gli accade ogni volta che ha di fronte l'Italia. Perché davvero pensa che il pallone sia suo e quindi possa farne ciò che vuole, e se per errore vince chi non gli regala piacere, si vendica come un infante. Come al Mondiale del 2006, che l'Italia ha vinto mentre Blatter la ignorava. Cambia poco, la vittoria resta tale e se rimane un nemico avvelenato nemmeno dispiace. Blatter non va a portare la Coppa a Cannavaro, insomma fa quel che vuole. E potrebbe farlo, se avesse poi una risposta chiara al protocollo violato. Invece, come beccato mentre disubbidisce all'ordine di un genitore, ha cominciato una lunga e pericolosa arrampicata sugli specchi. Cambiando versione di volta in volta, quindi ammettendo il malanimo del gesto. Prima l'ha messa sulla geopolitica, ma già la risposta è complessa da capire, forse persino da elaborare: «Ero convinto che trattandosi di una finale tutta europea l'onore spettasse al mio vicepresidente, e presidente dell'UEFA, Lennart Johansson. Mi sembrava un giusto omaggio al calcio europeo. Ho proposto che a presentare il trofeo fosse il presidente della nazione organizzatrice, Horst Köhler, mentre a consegnarlo al vincitore ci avrebbe pensato Johansson e a dare le medaglie Michel Platini. Sono rimasto stupito nel leggere delle polemiche scoppiate in Italia». Spiegazione balbettante ma chissenefrega. Anzi, no. Poi ne ha detta un'altra: «Non premiai l'Italia per evitare alla squadra campione del mondo, alle oltre 70 mila persone presenti allo stadio e alle tv internazionali di assistere ad uno scandalo. Ancora oggi se entro in uno stadio in Germania mi sembra di entrare all'inferno. Si era detto che io ero a favore dei Mondiali in Sud Africa e la Germania ottenne la manifestazione per un solo voto in più. Così mi hanno caratterizzato come "nemico" della Germania». Per amore dell'Italia, insomma. La stessa Nazionale che di lì a poco, disse, «non meritava i quarti, perché gli arbitri non erano al meglio», riferendosi al rigore assegnato per fallo su Grosso nella gara degli ottavi contro l'Australia, nazione verso la quale si è alla fine pure scusato. E sorridere diventa naturale, anche se poi qualche anno dopo lui stesso insozza il suo pallone, facendo capire che il Mondiale andò alla Germania perché qualcuno comprò qualcun altro. Come al solito.
LA SFIDA A CR7
L'arrogante non conosce i confini nemmeno del buon gusto, di solito. E Blatter è pure arrogante. Non è il fair play il bisogno del calcio, soprattutto quando è artefatto, ma nemmeno un dirigente teoricamente al di sopra può dire a Cristiano Ronaldo (nemmeno un capolavoro di simpatia, ma un fenomeno) che «pensa a spendere i suoi soldi dal parrucchiere», imitandolo con un atteggiamento confinante con il disprezzo. Lo ha fatto a Oxford, mentre diceva che Messi è «un bravo ragazzo che qualsiasi genitore vorrebbe avere in casa». Il finale è inequivocabile: «Mi piacciono entrambi ma preferisco Messi». E nessuno vuol togliere a Blatter il gusto di parlare come si parla al bar tra tifosi qualunque: infatti, andando al bar da tifoso qualunque – e non più da presidente della FIFA. Così il Real Madrid ha reagito e Cristiano Ronaldo è stato più serio di quello che abitualmente appare. E ficcante. Due tweet: «Questo video mostra il rispetto e la considerazione che la FIFA ha per me, la mia squadra e il mio Paese. Ora tutto si spiega. Auguro a Blatter di vivere ancora a lungo per poter continuare a veder vincere le sue squadre preferite e i suoi giocatori preferiti».
E Blatter è goffo nel tentare di imitare Ronaldo, quanto a chiedergli scusa. Ancora una volta, con un infantilismo latente. Lasciando intanto che il suo messaggio restasse, un po' insultante (per quanto CR7 esageri a sentirsi l'intero Portogallo), appeso per il tempo necessario. Poi, eccolo, con due tweet per fare pari: «Caro Cristiano Ronaldo, mi scuso se le mie battute a cuor leggero ti hanno fatto arrabbiare. Non avevo intenzione di offenderti». E la scusa più classica per potersi sentire liberi di insultare [come capita per strada, quando qualcuno inizia con "non ho nulla contro..." oppure "ho molti amici che..."]: sono socio onorario del Real Madrid, e tra i tanti calciatori pieni di talento che ci sono in giro per il mondo ci sei anche tu. Tanti auguri».
DI CHE CALCIO PARLA?
Dietro l'atteggiamento da capo non c'è un'idea di calcio, inteso come gioco (del resto parlo più avanti) che Blatter sembra sostenere. Almeno non in modo coerente. Perché sembra prendere le decisioni sul momento, come quando sempre nel maledetto Qatar si è accorto che d'estate fa troppo caldo e stava pensando di giocare i Mondiali d'inverno. Visto così sembra uno pronto a cambiare sempre, anche una volta ammesso l'errore nella scelta; e invece il vecchio Sepp degli ultimi salti verso la modernità del calcio (che è sempre cosa diversa dal calcio moderno) non vuol sentire parlare. Tenace oppositore della moviola in campo, strumento che ora è possibile e che decenni fa non era proponibile nemmeno. Non la vuole, si dice conservatore e poi «l'uso dei video cambierebbe lo svolgimento del gioco. Il calcio è bello perché si gioca per 90 minuti senza pause, in più è uno sport praticato da umani e quindi bisogna convivere con eventuali errori». Che incoerente rimane, come testimonianza del presidente della stessa Federazione che non ha mai chiarito come si siano accorti gli arbitri in campo della testata di Zidane a Materazzi a Berlino, che in realtà non vide nessuno se non attraverso una moviola clandestina (fu sveglio il quarto uomo Luis Medina Cantalejo a cogliere il replay del maxi-schermo dello stadio) che ripristinò la giustizia in campo. Blatter, cioè, sa che si può fare giustizia. E proprio d'accordo non è. Anzi, sbarra la strada con ferocia.
E però lui è il presidente che ha vietato al portiere la possibilità di prendere con le mani un retropassaggio volontario (novità dal 1° luglio '92, dicono concepita dopo aver visto l'Egitto nel torneo del '90 fare ricorso sistematico al passaggio verso il guardiano dei pali) e che dai Mondiali del 1994 introdusse i tre punti a vittoria invece dei soliti due, mettendo così i presupposti per aumentare lo spettacolo e la velocità del gioco. Certo, ha anche voluto Golden Gol e Silver Gol, esperimenti mal riusciti e subito abbandonati, ma anche le sole due norme cambiate (al netto delle restrizioni un po' cretine sulle esultanze, pure roba sua) una parte di rivoluzione ha permesso di compierla. Poi, non ha voluto continuare. Ricordandosi di dire «sono un conservatore», quasi si vergognasse dei piccoli meriti di prima. E forse ha ragione chi disse che è «un uomo che ha cinquanta idee al giorno, cinquantuno delle quali non sono buone».
SEPP L'INSENSIBILE
Già al calcio sono rimasti pochi sentimenti, Blatter ne riesce a mostrare molti meno. Riuscendo a far odiare la sua azienda, quando deve pensare di dire qualcosa su temi importanti e non strettamente legati al campo di gioco. Ad esempio durante l'ultima Confederations Cup, mentre fuori dagli stadi i brasiliani protestavano per i costi eccessivi della manifestazione e anche del Mondiale, ostentò una pragmatica distanza dalla società reale riconducibile a una frase: «Il calcio è più importante dell'insoddisfazione delle persone. I manifestanti stanno usando la piattaforma del calcio e la presenza della stampa internazionale per ampliare la protesta». Detto dalla stessa persona che non autorizzò, proprio durante la Confederations, il minuto di raccoglimento prima della semifinale Italia-Spagna, chiesto dagli italiani perché poche ore prima era morto Stefano Borgonovo. Niente, si giochi. E altre giustificazioni farlocche come una votazione qualsiasi della FIFA: «Il minuto di silenzio non è l'unica maniera per rendere omaggio alla memoria di un giocatore, in quanto è stata data all'Italia la possibilità di giocare col lutto al braccio. La notizia della morte di Stefano Borgonovo è stata per me un vero choc perché lo conoscevo bene».
Cinico o gaffeur, comunque inopportuno. Del resto è riuscito a dire che in Qatar (dove l'omosessualità è reato) gay e lesbiche «dovranno astenersi dal sesso», scatenando reazioni e poi reagendo e correggendo il tiro come un frainteso qualunque: «Non volevo offendere nessuno. Se l'ho fatto chiedo scusa a tutti».
UN UOMO, TANTI SCANDALI
Il colonnello a riposo dell’Esercito svizzero, direttore tecnico della FIFA dal 1977, segretario dal 1981, presidente dall’8 giugno 1998. Dicono abbia un armadio pieno di scheletri, ma anche un armadio accanto con gli scheletri degli altri. E con questo difende il proprio potere. Non che ci fosse bisogno di conferme, ma nel momento in cui Platini dice: «Non voglio più essere tuo complice», anche se sta parlando della prassi dei giocatori di proprietà di fondi di investimento e siamo in clima elettorale (e Blatter, manco a dirlo, si ricandida per la quinta volta perché «la mia missione non è terminata») usa un vocabolario che più che per il calcio, calza quando si parla di malaffare: complice. Perché Blatter ha vissuto gli anni in cui il calcio è diventato una macchina da soldi – tantissimi soldi – e dove c'è flusso di danaro continuo occorre arginare corrotti e corruttori, esserne al di sopra. E, invece, basta googlare "Blatter+scandali" per trovarsi investiti dai risultati della ricerca. Sembra una rima baciata, perché Sepp lo svizzero da padrone entra un po' in tutto e poi brucia le seconde linee. Un braccio destro dopo l'altro, sono cascati tutti nella rete, mentre lui continuava a mettere insieme mandati. L'elenco annoierebbe, basta l'ultimo. L'assegnazione dei Mondiali del 2022 al Qatar, i pagamenti per 5 milioni di dollari per corrompere funzionari delle federazioni anche con forniture di gas fatti da Mohamed bin Hammam, presidente della Federazione qatariota e manco a dirlo vice di Blatter, che però voleva spodestare per rimpiazzare con Platini: da cui i sospetti di una manovra di matrice svizzera per liberarsi di un competitor, cosa del resto accaduta già nel 2011, con bin Hammam che si ritirò un giorno prima perché coinvolto in uno scandalo tempestivamente perfetto per Sepp.
Il capo del pallone, non ha avuto nemmeno in questa occasione un'uscita felice: «C'è una quantità di razzismo e discriminazione in queste accuse», lui che disse invece quando John Terry, difensore del Chelsea e Luis Suárez, del Liverpool furono pessimi protagonisti di episodi di razzismo nel campionato inglese che «nel calcio non c'è razzismo, forse qualche parola o gesto non corretti. Ma in questi casi basterebbe dire che questo è solo un gioco e stringersi la mano», scatenando l'ira della Federazione inglese salvo poi ritrattare. Come al solito: «I miei commenti sono stati fraintesi».Per non allungare troppo l'elenco, ma rendersi conto del sistema che Blatter alimenta, per i Mondiali in Brasile i costi degli alberghi sono schizzati alle stelle perché il novanta per cento delle camere è stato acquistato (per essere rivenduto) da un'agenzia che ha tra i soci Philippe Blatter, nipote di Sepp.
L'ACCUMULATORE, GALEANO, L'EX MOGLIE
Niente, Blatter non ispira simpatia nemmeno se rappresentato in vignetta. Eppure ha ricevuto un incredibile elenco di onorificenze. In ordine sparso: Gran Decorazione d'Onore in Argento dell'Ordine al Merito della Repubblica Austriaca; Medaglia al Merito per lo Sport in Bolivia; Cavaliere dell'Ordine della Legion d'Onore in Francia; Gran Croce dell'Ordine al Merito di Germania; Cavaliere di I Classe dell'Ordine del Sol Levante in Giappone; Commendatore dell'Ordine Nazionale del 27 Giugno in Gibuti; Gran Cordone dell'Ordine dell'Indipendenza in Giordania; Grand'Ufficiale dell'Ordine Nazionale al Merito in Guinea; Ordine dell'Amicizia di II Classe in Kazakistan; Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di Ouissam Alaouite in Marocco; Membro di I Classe dell'Ordine del Trono in Marocco; Ordine della Stella Polare in Mongolia; Ufficiale dell'Ordine di Riconoscimento nella Repubblica Centrafricana; Commendatore dell'Ordine del Leone in Senegal; Ufficiale dell'Ordine della Stella del Sudafrica in Sudafrica; Ordine dei Compagni di O.R. Tambo in Oro in Sudafrica; Grand'Ufficiale dell'Ordine della Repubblica in Tunisia; Ordine di Jaroslav il Saggio di V Classe in Ucraina; Ordine al Merito di I Classe in Ucraina; Ordine dell'Amicizia in Uzbekistan; Gran Croce dell'Ordine di Francisco de Miranda in Venezuela.
Il dittatore del pallone sembra essere un benemerito, mentre fiumi di denaro continuano a scorrere e a volte si fermano in mani note, e forse le onorificenze sono anche simbolo di un potere diviso per essere esercitata. Anche se in un certo senso pure Rummenigge offrì anni fa una chiave di ragionamento diversa, quella secondo cui per poter comandare ha dovuto dividere il comando: «È un re senza regno, perché il regno non dipende da lui, ma dai principi dei vari continenti che lo hanno eletto». Su una cosa, invece “Kalle” non si è discostato dai pareri comuni: «La FIFA è un coacervo di corruzione», e tale l'ha reso Blatter e allora per quanto durissimo, forse ha fatto bene il New York Times, che non solo in questi giorni ha proposto di abolire la FIFA, ma ha citato Edoardo Galeano per far recitare la verità in modo crudo: «Ci sono dittatori visibili e invisibili. La struttura di potere del calcio internazionale è monarchica. È il regno più segreto del mondo». Il monarca è lui, l'uomo con cui non è nemmeno facile sposarsi (e l'aspetto fisico pare sia l'ultimo dei problemi), visto che ha tre matrimoni alle spalle e il marchio messogli addosso da Graziella Bianca, la terza delle mogli. Quella conosciuta – ma va? - nel pieno di uno scandalo in cui la FIFA era al centro, quella che gli faceva da terapeuta e che lo ha descritto attingendo poco ai giri di parole: «Un uomo con una doppia personalità, come dottor Jekyll e il signor Hyde, in realtà, uno psicopatico. Dentro la FIFA indossa una maschera, la sua vita è vuota perché aspira solamente alla ricchezza e al potere. È viscido come un delfino». La verità è che per quanto attaccato da ogni fronte, Blatter sembra destinato a non cadere mai. Allenato com'è a un uso disinvolto del potere, creato con alleanze facilitate da franchi svizzeri. E allora forse questo non è l'ultimo Mondiale, proprio perché resta sempre in piedi. Tranne in un'occasione: l'unica in cui ci ha fatto divertire. Questa.