Pep Guardiola è noto per palesare, con una certa frequenza, il suo amore per il bel gioco complimentandosi con gli avversari. Per quanto questo entusiasmo sembri a molti artificioso, è difficile leggere nelle parole di Guardiola della disonestà, anche perché i suoi apprezzamenti poggiano su basi solide e osservazioni piuttosto condivisibili. Sembra piuttosto sincera ammirazione, game recognize game, il vero che riconosce il vero.
Nel gennaio 2017, mentre il Burnley lottava per la salvezza e Guardiola attraversava il momento peggiore della sua esperienza inglese, il City ha strappato una sofferta vittoria per 2-1 al Turf Moor, il più antico (anno di costruzione: 1883) e il terzultimo per capienza tra gli stadi della Premier League. Uno stadio che Sean Dyche ha reso una fortezza quasi inespugnabile nel corso dei cinque anni di mandato da allenatore dei Clarets.
Al termine della partita, Guardiola era ridotto a un fascio di frustrazione e tic nervosi, come raramente l’abbiamo visto in precedenza, eppure ha trovato un momento di pace interiore per avvicinarsi a Dyche e congratularsi: «Sei il primo allenatore contro cui non sapevo come giocare, ci avete aggredito, avete questo gioco lungo, molto rapido… ho dovuto cambiare sistema di gioco due/tre volte durante la partita, ci avete messo molto in difficoltà».
Se Sean Dyche fosse un calcio di rigore, sarebbe questo calcio di rigore (dai tempi in cui vestiva la maglia del Chesterfield).
L’eccezionalità del Burnley
Il gioco del Burnley non c’entra nulla con quello del City di Guardiola, né in generale con i principi del gioco di posizione, ma con la capolista della Premier condivide l’estremità nelle scelte, la forte identità tattica, e il rendimento superiore alla media e alle aspettative. In Premier League la squadra di Dyche è penultima per percentuale di possesso palla (43.7%), penultima per precisione dei passaggi (72.3%), penultima per passaggi corti a partita (277) e prima per passaggi lunghi (77). Come conseguenza dello stile diretto, è anche prima per fuorigioco fischiati (3.3 pg).
Ancora, è seconda per palloni spazzati (32.3 pg), ampiamente prima per duelli aerei vinti (22.5 pg) e prima per precisione nei cross (26.3%). È la squadra che concede più tiri del campionato (16.9 pg), ma è anche prima con enorme distacco nella classifica dei tiri contrastati dai difensori (6.2 pg, +35% rispetto alla seconda). In più, il 50% di questi tiri arrivano da fuori area (miglior percentuale del campionato) e solo il 6% all’interno dell’area piccola (terza miglior percentuale).
In apparenza, è una squadra che rifiuta la moderna evoluzione del gioco, abbracciando il kick & run di stampo primonovecentesco, ma ad uno sguardo più analitico il Burnley incarna la ricerca ossessiva dell’efficienza in ogni aspetto del gioco. «Non seguiamo una fede cieca, abbiamo un ottimismo autentico», ha detto Dyche per spiegare come avrebbe preparato la partita di quest’anno contro il City (poi persa 3-0, ma al termine di un’altra ottima prestazione).
Quell’ottimismo che, nonostante le statistiche qui sopra, ti porta anche a segnare dopo 24 passaggi consecutivi.
Come ha notato Mark Thompson su Statsbomb durante la passata stagione, analizzando le statistiche di posizione sui tiri bloccati dal Burnley saltano fuori dei dati completamente al di fuori della media della lega. Nella media generale della Premier League il 14.33% dei tiri viene eseguito con uno o nessun difensore sulla traiettoria: nel Burnley questo valore scende a 1.67%. Significa che ci sono sempre, 99 volte su 100, più o meno, almeno due uomini pronti a coprire lo specchio della porta e a respingere la conclusione.
Sempre nella media del campionato inglese, le conclusioni tentate dalle zone esterne dell’area di rigore trovano l’opposizione di cinque o più uomini nel 4.37% dei casi, perché l’angolazione molto stretta rende difficile scalare in direzione della porta e occupare quella porzione ridotta di campo: nel Burnley, questa cifra si alza al 16.67%. Il che significa che non c’è tiro diretto verso la porta dei Clarets che non debba passare attraverso una selva di gambe.
In questa stagione, il rapporto medio tra tiri in porta subiti e il totale dei tiri concessi è di 33.15%, e nel Burnley si abbassa a 25.38%, mentre il rapporto medio tra gol subiti e il totale dei tiri concessi è di 10.84%, e nel Burnley si abbassa al 4.62%. In entrambi i casi, il miglior dato del campionato.
Dopo due stagioni in cui il Burnley rappresenta l’eccellenza difensiva del campionato sotto qualunque lente statistica, difficilmente si può parlare di coincidenza, o di impatto del breve periodo. L’efficacia nel chiudere tutti gli spazi in area di rigore è soprattutto merito del grande sacrificio in copertura delle ali, che permettono ai terzini di restare strettissimi in fase di difesa posizionale.
Il 6-3-1 blocca l’accesso in area. Gueye lancia una preghiera che si spegne altissima.
“Realismo positivo”
Quando gli avversari si portano a ridosso della trequarti, trovano una linea di sei uomini a schermare tutta l’area di rigore in ampiezza, e devono anche aggirare la pressione di due o tre centrocampisti che attaccano il portatore di palla. Gli attacchi cedono per frustrazione, e finiscono per prendersi molti tiri da posizioni proibitive, poco efficienti, cioè da fuori area oppure nelle zone esterne dell’area di rigore.
A questo sistema fondato sulla tenacia, sulla fiducia reciproca, sul livello altissimo di concentrazione e sul rispetto geometrico delle distanze tra i giocatori e tra i reparti, Dyche ha aggiunto un paio di intuizioni che ne riflettono l’animo innovatore e meticoloso. Ad esempio, il gran numero di uomini a copertura dell’area di rigore permette ai due difensori centrali di interpretare una zona purissima.
Non è raro vedere i due centrali Mee e Tarkowski (così come l’anno scorso Michael Keane, venduto in estate per 35 milioni di euro all’Everton, i cui tifosi chiedono adesso un rimborso per malfunzionamento) lasciare completamente libero il diretto avversario e muoversi rispettivamente in direzione dei due pali, seguendo l’angolo di tiro del tiratore. Un po’ quello che si fa alla Playstation per difendere il secondo palo sulle punizioni, ma applicato nel corso dell’azione, con la palla in movimento.
Appena parte il cross, Tarkowski è libero da marcature e corre a coprire il palo. Il baricentro del Burnley è bassissimo.
Dyche è stato un difensore centrale nel corso della sua carriera da calciatore, e come molti ex-difensori ama ricordare che «la difesa è un’arte in via di estinzione, e credo che sia un aspetto tremendamente importante del gioco».
D’altra parte, ci tiene a distaccarsi dalla canonica figura dell’allenatore britannico, a cui viene associato per via delle caratteristiche peculiari del suo calcio: il 4-4-2, il baricentro basso, la solidità difensiva, l’attaccante grosso e forte di testa. «Il nostro è un realismo positivo. Ci chiediamo: quali cose possiamo fare per affrontare la sfida? Non esiste dire: forza ragazzi! Possiamo farcela! Se ci crediamo, vinceremo! No, non funziona affatto così».
Dyche rivendica di aver costruito con metodo l’attuale stato di forma della sua squadra, combinando la definizione di un’identità forte alla preparazione della singola partita sui punti deboli dell’avversario. «Non ha nessun senso dire “il City non è poi così forte”, perché lo è. Qui non diciamo cose prive di senso, diciamo ai giocatori la verità. Loro sono una grande squadra, con grandi giocatori, una grande struttura, quest’anno giocano ancora più stretti senza palla e ancora più ampi in fase di possesso. Allora ci chiediamo: che cosa possiamo fare?».
Contro il City, il Burnley ha giocato una partita coraggiosa, soprattutto nel primo tempo, riuscendo a mettere in crisi la costruzione bassa del City con le marcature a uomo a tutto campo. Questo è un altro forte punto di contatto tra i due mondi, che Dyche ricorda di aver mutuato direttamente dal playbook di Guardiola. Come scrive Tim Quelch in From Orient to Emirates, il libro che ripercorre gli ultimi trent’anni di storia del Burnley: «Mentre il Barcellona veniva acclamato per le fitte trame di passaggi, era soprattutto la fase di pressing a impressionarlo maggiormente».
Delph è costretto al lancio lungo per Sané, che viene spostato da Lowton. Grazie al movimento di Defour, il Burnley ha la superiorità numerica per consolidare il possesso.
Il Burnley alterna sapientemente un approccio più aggressivo a un approccio più attendista nel corso della partita, ma appena alza la soglia dell’intensità, il pressing si rivela efficacissimo. Se persino il City ha avuto difficoltà ad aggirare la pressione a uomo organizzata da Dyche, squadre con meno qualità come il Crystal Palace o lo Swansea sono crollate sul piano nervoso, regalando al Burnley i gol della vittoria.
Anche la fase di possesso, a dispetto delle statistiche, è notevolmente organizzata, soprattutto nella lettura delle situazioni di gioco, e capace di interpretare spartiti diversi. È raro vedere il Burnley ricorrere al lancio lungo contro squadre che aspettano nella propria metà campo, con il baricentro basso. I difensori centrali, soprattutto Tarkowski, con grande fiducia conducono la palla proprio per invitare la pressione avversaria e liberare spazi in avanti.
Nella prima fase di consolidamento è fondamentale il supporto di Jack Cork, classico centrocampista box-to-box dalle movenze eleganti, uno dei tanti giocatori di mezza età che Dyche ha sollevato dalla mediocrità e portato in Nazionale (insieme a lui anche Tom Heaton, portiere che salterà quasi tutta la stagione per infortunio, Kieran Trippier, adesso al Tottenham, e il già citato Michael Keane).
Successivamente diventano fondamentali le letture da regista offensivo di Defour, e soprattutto il supporto costante in ampiezza delle ali: l’islandese Gudmundsson e l’irlandese Brady, ora infortunato e sostituito dallo scozzese Arfield. La palla si muove sempre in diagonale, da un lato all’altro del campo. Questo rende più agevoli le ricezioni, e di conseguenza gli scambi rapidi. Come risulta evidente quando il Burnley affronta le dirette avversarie di bassa classifica, sono pochi gli errori tecnici in rapporto alla difficoltà delle giocate e soprattutto alla caratura dei giocatori a disposizione.
Contro le squadre che invece alzano il baricentro e aggrediscono il possesso, Dyche si rifugia volentieri nel kick & run. Il lancio lungo consente di aggirare il pressing alto e sbloccare rapidamente una potenziale transizione. Dyche può permettersi di usare Chris Wood, gigante neozelandese di 191 cm, come un ariete con cui fare breccia nelle difese avversarie ancora non perfettamente allineate, sorprese dalla rapidità dell’azione.
Contro il Liverpool, la sua presenza è stata sufficiente per disinnescare l’aggressione della squadra di Klopp. È stato continuamente cercato con palle lunghe, ha vinto 6 dei 7 duelli aerei che ha ingaggiato e ha trascinato su tutta la squadra, pronta ad accorciare nella sua zona. L’alternativa a Wood è il gallese Vokes (188 cm), che viene utilizzato spesso a partita in corso, proprio al posto di Wood, e ne eredita specularmente le funzioni. Insieme hanno messo a segno 7 reti (4 Wood, 3 Vokes), quasi la metà delle 15 segnate fin qui dal Burnley.
La difesa del Liverpool si fa trovare impreparata, il Burnley vince due duelli aerei e in tre tocchi trova il gol.
Il Burnley è, in gran sintesi, una squadra che fa del senso pratico una virtù, combinandolo a una grande lucidità nel decision-making. Una squadra che in attacco vive ogni calcio piazzato, dalle rimesse laterali alle punizioni da metà campo, come un’occasione irripetibile per trovare la via del gol, e che in difesa nasconde l’area di rigore agli avversari e gioca a spazzare la palla il più lontano possibile, con un piano preciso per creare superiorità nella zona in cui cade il lancio.
English blood, Irish heart
L’identità di gioco e le caratteristiche fisiche dei giocatori ricalcano notevolmente quelle dell’Irlanda di Martin O’Neill, con il vantaggio di una superiore qualità nel centro del campo. Come O’Neill, anche Dyche è stato allevato nel Nottingham Forest di Brian Clough, ma vent’anni dopo rispetto agli anni d’oro, e rappresenta l’ultimo tassello della legacy di Big ‘Ead.
Con l’Irlanda, il Burnley condivide anche quattro giocatori fondamentali: il terzino Ward, la prima riserva in difesa Long, l’ala Robbie Brady e la seconda punta Jeff Hendrick, raro caso di mediano reinventato trequartista in tempo di enganche che compiono il percorso inverso, proprio perché funzionale ai ritmi di pressing e ripiegamento imposti da Dyche.
Contro il Leicester, due settimane fa, Robbie Brady si è rotto il tendine rotuleo del ginocchio destro e mancherà tantissimo al Burnley per il resto del campionato. Dal suo piede sinistro partivano tutti i calci piazzati e tutti i cross destinati verso il centro dell’area. Quest’anno aveva già segnato 3 gol e realizzato 3 assist, giustificando il titolo di “trasferimento più costoso della storia del Burnley” (15 milioni di euro).
Il piede sinistro di Robbie Brady.
Pur essendo una delle società più antiche di Inghilterra, i Clarets non hanno mai avuto la possibilità di permettersi grossi investimenti. Quando Dyche ha conquistato per la prima volta la promozione in massima serie, nel 2014, per il Burnley è stata soltanto la seconda apparizione nella moderna Premier League.
In quel momento, la società si trovava in grosse difficoltà economiche. A differenza delle altre neopromosse, ha condotto una campagna acquisti mediocre, limitandosi a pescare sei giocatori dalla Championship per una spesa complessiva intorno ai 13 milioni di euro, ed è retrocessa matematicamente con due giornate ancora da giocare. Del resto, soltanto un anno prima, come ricorda con orgoglio Dyche, il Burnley era stato costretto a vendere Charlie Austin «per essere sicuri che non ci staccassero l’elettricità nello stadio».
Nel frattempo, però, la dirigenza ha dirottato i suoi investimenti sulla costruzione di un nuovo centro sportivo nell’area di Gawthorpe, su quelle colline dove alla fine degli anni Ottanta - il periodo più buio della dissestata storia del Burnley - il giardiniere del club si recava a raccogliere del terriccio per riempire i buchi disseminati sul prato del Turf Moor.
Il centro di Gawthorpe ha richiesto un investimento tra i 10 e gli 11 milioni di sterline (con la collaborazione di uno sponsor, che ha investito ulteriori 5 milioni). Una cifra ridicola rispetto ai proventi nell’ordine del centinaio di milioni distribuiti dal nuovo contratto televisivo, eppure insostenibile per la posizione economica del Burnley all’epoca.
«Certo, è un grande investimento, ma c’è bisogno di fare dei progressi come società. Senza un campo di allenamento, non è possibile», aveva risposto Dyche a un giornalista che gli chiedeva se una spesa del genere non rischiasse di compromettere i risultati a breve termine della squadra.
L’attuale sesto posto in campionato - per differenza reti, in realtà è un quarto posto condiviso a 31 punti con il Tottenham e il Liverpool - rappresenta un progresso oltre ogni ragionevole aspettativa, soprattutto dopo la retrocessione che sembrava compromettere sul nascere i timidi segnali di rinascita. Con la forza dell’ottimismo, Dyche ha portato il Burnley dove mai si era trovato negli ultimi cinquant’anni.