Il calmo dominio di Milano
di Dario Vismara
Prima della finale contro Avellino, tra gli addetti ai lavori ci si chiedeva, tra il serio e il faceto: “Che modo troverà Milano per perdere stavolta?”. Perché è da almeno tre anni che l’Olimpia è nettamente la squadra favorita per vincere ogni trofeo in Italia, eppure ha portato a casa solo uno Scudetto – in gara-7 dopo aver vinto la sesta all’ultimo secondo, contro una squadra che sarebbe morta sportivamente il giorno successivo.
La pressione di vincere in casa un trofeo che mancava da vent’anni era palpabile, ma è proprio il modo in cui Milano ha vinto a fare notizia: non nella maniera isterica e irrazionale tipica degli anni passati, ma gestendo con calma ogni situazione, imponendo la propria superiorità tecnica, tattica e fisica e facendo sembrare inevitabile la vittoria finale. È del tutto calzante che l’MVP di queste Final 8 sia stato Rakim Sanders, che era stato nominato miglior giocatore anche delle ultime finali Scudetto con Sassari: un jack-of-all-trades che non ha eguali in Italia, capace di giocare in almeno tre posizioni diverse, aprendo il campo in attacco e cambiando su tutti i blocchi in difesa, perché tanto fisicamente non va sotto contro nessuno.
Per dire, la giocata decisiva della finale contro Avellino è arrivata con una palla recuperata a metà campo dalle mani di Acker, per capire quanto è versatile Sanders
Quando puoi contare su una versatilità del genere, difendere con intensità diventa immediatamente più facile – e Milano per certi tratti si è mangiata gli avversari in difesa, costringendoli a fare qualsiasi cosa a una velocità tale da incappare inevitabilmente nelle infrazioni di passi (cinque per Avellino nel solo primo quarto della finale). Lo scarto finale di +67 nelle tre partite disputate rispecchia abbastanza fedelmente la distanza che c’è tra Milano e il resto delle squadre italiane (sebbene Avellino abbia vinto il secondo e il terzo quarto della finale), così come i 52 rimbalzi offensivi raccolti in tre gare.
Quando domini così, per di più con il lusso di tenere fuori Barac e Batista e non potendo contare su Gentile, anche un allenatore considerato burbero come Repesa può concedersi un balletto per festeggiare.
https://twitter.com/DaRonz82/status/701502695807569920
Irpinia Brianzola
di Davide Bortoluzzi
“Ed ecco che Ragland dal pick and roll con Buva serve Leunen libero dall’angolo, 3 punti e vantaggio per… la Vitasnella Cantù”. Cambiate le ultime due parole con “Sidigas Avellino” ed il risultato non perde di significato, ma acquista quel sapore misto di nostalgia e intrigo tipico di ogni déjà-vu. Pino Sacrpanti ha seguito alcuni dei principi cardine nella costruzione della squadra, circondandosi di alcuni “fedelissimi” su cui innestare il resto del roster, ma i parallelismi tra le due squadre non finiscono qui, con il lituano Veikalas a ricordare (non totalmente, per non sfociare nella blasfemia) il Kaukenas del 2004-2005 e Cervi – in particolare quello visto a Milano – il Cusin della splendida annata targata Vitasnella.
I dividendi stanno iniziando a pagare nella seconda parte di stagione, con il filotto di sette vittorie consecutive in campionato e la finale raggiunta in questa Coppa Italia. Quello che più ha impressionato nella kermesse milanese da parte degli irpini – tendenza confermata anche in campionato – è stata la capacità di giocare con lucidità ed efficacia nei finali punto a punto, dimostrando quel killer instinct tipico della squadre esperte e rodate. Inoltre la versatilità delle armi a disposizione di coach Sacripanti ha pochi eguali nel nostro campionato, con la possibilità di alternare a quintetti più tradizionali – quelli con Cervi in campo – quintetti con lunghi più mobili e in grado di aprire il campo, come Leunen e Buva.
Di certo la presenza nel roster di due veterani del basket europeo come Alex Acker e il “figliol prodigo” Marquis Green sta aiutando, ma il protagonista dell’attacco Sidigas in questa striscia vincente è stato sicuramente James Nunnally, che dopo una carriera da journeyman tra NBDL, decadali NBA e campionati minori, sembra aver trovato il trampolino di lancio ideale. Avellino esce da questa Coppa Italia con ancora maggiori certezze di poter essere una concreta sfidante per il titolo, o quantomeno di essere una rivale credibile di Milano – anche grazie all’aria brianzola portata in Irpinia da coach Sacripanti.
Gli ultimi saranno i primi
di Paolo Sinelli
Di norma. nelle squadre che non si chiamano Milano, il decimo delle rotazioni è quello che si trova nel roster con il solo e unico compito di tenere alto il livello degli allenamenti, per produrre saltuariamente tre-minuti-tre di intensità e falli a metà partita, per evitare che i titolari arrivino negli ultimi minuti con la spia della riserva accesa e possibilmente senza commettere sciocchezze da ricordare. Questo nelle domeniche buone, in cui gli viene concesso il privilegio di scendere in campo.
A Cremona c’è Nicolò Cazzolato, 27enne veneto che arriva da tre serie più giù e che la maggior parte della sua vita l’ha passata alla Benetton Treviso: bravo ragazzo per davvero, di quelli che apprezzi istintivamente per impegno e linguaggio del corpo dedito alla causa, come letteratura vuole per l’ultimo delle rotazioni, pronto ad annullare se stesso for a greater purpose. I costanti problemi fisici di Luca Vitali stanno concedendo a Nicolò qualche domenica buona in più rispetto al previsto: arrivava alle Final Eight dopo aver giocato 19 minuti (un punto, -2 di valutazione) contro Torino. In campionato ha realizzato una sola tripla contro Venezia, quattro mesi fa, che è stata anche l’ultima volta in cui ha segnato su azione. Complessivamente, in stagione fino ad ora ha totalizzato più falli (14) che punti (10).
https://twitter.com/LegaBasketA/status/700714007540449280
Contro Sassari in condizioni normali non sarebbe nemmeno dovuto entrare, sicuramente non avrebbe dovuto giocare gli ultimi minuti di partita e ancor più certamente non avrebbe dovuto prendersi la tripla sotto di tre allo scadere. Eppure l’ha presa – anzi, l’ha segnata conducendo un’azione che ha ricordato sinistramente la conclusione dei 35 secondi più incredibili della storia della pallacanestro. Eppure ha scritto una delle pagine più importanti di Cremona, portandola per la prima volta alle semifinali di Coppa Italia battendo i campioni in carica con una rimonta che a cercarle una spiegazione logica significa avvilirla. Nicolò Cazzolato, l’ultimo delle rotazioni.
Il modello felice di Trento
di Dario Ronzulli
Trento-Avellino è appena finita con i liberi di Cervi e la palla persa di Wright: in finale ci vanno gli irpini. Davide Pascolo, uno che la canotta dell'Aquila ce l'ha tatuata addosso, imbocca il tunnel che porta verso gli spogliatoi. La rabbia per la sconfitta è palpabile – vorrei vedere voi... – ed erutta in una manata violentissima a una malcapitata porta.
Dietro Pascolo c'è Toto Forray, un altro che a Trento ha trovato casa: da capitano sussurra alle orecchie del compagno qualcosa che ha l'effetto di un apparente calmante. Più tardi Forray si presenta in zona mista, analizza la sconfitta e poi chiude così: «Ora dobbiamo concentrarci sull'Eurocup e sulla partita di Saragozza». La palestra, il campo, la partita successiva come luogo ideale per sfogare la rabbia di cui sopra.
Intendiamoci: nulla di rivoluzionario. Però l'impressione è che a Trento sia più "semplice" ragionare così. Se guardiamo all'ultimo quinquennio dell'Aquila Basket – limitandoci quindi al periodo della scalata costante ai vertici della nostra pallacanestro – ciò che emerge è una società che non ha mai fatto il passo più lungo della gamba, che si è affidata a uomini prima che giocatori, che ha messo tutti nelle condizioni di poter rendere al meglio. E che soprattutto ha creato un sistema economico che non dipende esclusivamente dal risultato in campo e da quel filo impercettibile che spesso separa vittoria e sconfitta: se vi sembra una cosa banale, rileggete la storia dello sport italiano degli ultimi, toh, 15 anni.
Non è un modello facilmente replicabile e non implica avere la vittoria in tasca, essere allegri quando si perde o non avere nessun tipo di problema vivendo in un castello fatato. Ma è chiaramente il sistema migliore per creare le basi per fare sport ad alto livello e per attutire l'impatto emotivo di una sconfitta bruciante. Ecco: forse Forray ha semplicemente detto a Pascolo: «Dada, tranquillo: noi siamo Trento. Sappiamo come ripartire».
Extras
di Michele Pettene
IronMan Cerella
«I limiti sono fatti per essere superati!». Quando nel 1963 il leggendario Stan Lee creò per la Marvel Comics il personaggio di Iron Man e la relativa battuta, di certo non immaginava che un argentino dal ciuffo ribelle avrebbe preso alla lettera il suo fumetto 50 anni dopo, applicando all'essere umano ciò che era sempre rimasto confinato a cinema e illustrazioni.
Qui la rapida consacrazione a "Uomo d'Acciaio" del Bruno milanese: nel quarto di finale contro Venezia, Cerella s'infortuna al menisco interno; sabato mattina è già sotto i ferri con il Dottor Bigoni dell'Olimpia per tirare fuori il pezzo di menisco che crea problemi, ma osservando l’operazione dallo schermo il chirurgo gli dice “Beh, tieniti pronto per domani”; punti di sutura, nottata di sonno, prova un po' di stretching al mattino, si sente pronto, denti stretti, soglia di sopportazione del dolore aumentata a quota-Iverson e domenica sera in campo per la finalissima contro Avellino.
Risultato: 5 rimbalzi di cui 3 offensivi e una stoppata a tutto campo con testa a livello tabellone, dopo che giusto 10 secondi prima era finito a terra per un colpo allo stomaco. L'arbitro gli fischia fallo, IronMan Cerella non fa una piega e rimane lì a pressare prima che Repesa - impressionato come il resto del Forum - lo richiami in panchina per il meritato applauso. A Bahia Blanca deve scorrere dell’acqua piuttosto speciale.
Reazioni scomposte #1
Quando a sette secondi dalla sirena Nicolò Cazzolato prende la palla e s'invola verso il canestro di Sassari per quella che sarà la sua storica tripla narrata da Paolo Sinelli poco sopra, sulla panchina di Cremona il siparietto che va in scena è parecchio esilarante. Coach Pancotto è scoraggiato perchè Dragovic non ha ricevuto, il resto della panchina è in apprensione con le mani nei capelli, il labiale di Vitali è tutto un "No Nic, no Nic, no Nic..." e poi subito dopo tutti in campo pazzi di gioia a congratularsi con il più inatteso dei Man of the Match. Un membro dello staff della Vanoli a fine partita, con un sorriso ironico dipinto sul volto, confiderà: «Io in Nic c'ho creduto sempre». We can be heroes just for one day.
Reazioni scomposte #2
Durante quegli stessi sette secondi dalla panchina sassarese tutti si stanno sgolando per avvertire Joe Alexander di fare fallo sul palleggiatore, a maggior ragione dopo che un giocatore da 1-su-2 ai liberi in tutta la stagione ha ricevuto palla dalla rimessa. Il buon Joe invece sul +3 sceglie coscientemente di accompagnare l'avversario fino alla propria metà campo stando anche ben distante, mentre Calvani sulla linea laterale sta letteralmente impazzendo, il volto paonazzo, ordinando il fallo fino allo stremo delle forze. Purtroppo per Sassari l'impossibile accade, ma più che la legge di Murphy citata dal presidente Sardara, è la legge di Popovich che ancora una volta ha mietuto una vittima. E al povero Alexander speriamo non abbiano mostrato i gesti (severi ma giusti) dei compagni a tempo scaduto.
Reazioni scomposte #3
Quando porti una ragazza a vedere la Coppa Italia è giusto aspettarsi domande innocenti e ingenue sullo stato dell'arte della pallacanestro italiana, ma che allo stesso tempo sono portatrici di improvvise riflessioni cui senza il suo ausilio non sareste mai arrivati.
Di seguito alcuni dei quesiti tolemaici rimasti senza risposta durante la tre giorni milanese:
- «Ma il #13 (Milan Macvan, ndr) è imparentato con Stewie Griffin?»
- «Secondo te quel #8 là (Amedeo Della Valle, ndr) potrebbe sostituire Sid nell'Era Glaciale?»
- «Perchè quel giocatore così alto (Riccardo Cervi, ndr) salta quando tira i liberi?»
- «A cosa serve vincere la Coppa Italia?»
A voi l’arduo compito di risponderle.
Tifosi d’elite e Cuper-Repesa
Lode e gloria ai tifosi di Avellino. Il colpo d'occhio che ha regalato la tifoseria irpina durante la finale contro Milano sul secondo anello del lato nord del Forum è stato uno spettacolo all'altezza della sorprendente stagione che la squadra di coach Sacripanti sta costruendo giornata dopo giornata e che ha confermato anche durante questa Coppa Italia.
Peccato che dall'altra parte Milano fosse troppo forte e motivata a spezzare il tabù della Coppa, un obiettivo che coach Repesa deve aver preso molto sul serio sin dai rituali pre-finale, con l'imposizione delle mani sul capo dei propri giocatori a trasmettere la solennità del momento. Un po' come Cúper ai tempi dell'Inter, ma fortunatamente per l'Olimpia con risultati ben differenti e vincenti.