A maggio del 2014, poco dopo aver conquistato il quarto titolo consecutivo con l’Ajax, con cui ha superato il record di Rinus Michels, Louis van Gaal e Guus Hiddink, Frank De Boer aveva snobbato un suo possibile arrivo all’Inter: «Mai parlato con l'Inter però preferisco Premier, Bundesliga e Liga. Il calcio italiano è molto in ribasso nella considerazione internazionale». In quel momento, invece, le quotazioni di De Boer erano molto alte: il Liverpool lo aveva cercato qualche mese prima («Aveva quattro candidati e mi ha chiesto se ero interessato. Quella volta ho detto che volevo stare all’Ajax») e il suo passaggio sulla panchina del Tottenham sembrava tutt’altro che impossibile:«Hanno parlato informalmente con l'Ajax del mio contratto. Credo che siano abbastanza contenti del loro manager, ma è normale che prendano informazioni su un possibile successore».
Avrebbe potuto andare quasi ovunque, ma ha deciso di rimanere all’Ajax. Qualcuno sostiene perché si era promesso col proprio staff di centrare i quarti di finale di Champions League. Non solo, però, De Boer non è mai andato oltre il girone di qualificazione della Champions, ma negli ultimi due anni ha anche ceduto al PSV la supremazia in patria (l’ultimo campionato perso dolorosamente all’ultima giornata). Per questo le sue quotazioni sono scese e il giudizio sulla sua esperienza è più ambiguo di quanto non fosse allora, anche se lui è meno incerto nel giudizio sulla sua esperienza: «Quando sono arrivato l’Ajax non giocava a calcio. Non creava. Io volevo giocare in modo dominante, un calcio d’attacco, sviluppando i giovani della nostra accademia e creando una squadra competitiva. Oggi il gioco di posizione e la tecnica individuale sono fattori chiave nell’Ajax»
E quando De Boer si attribuisce questi meriti è difficile dargli torto. Quello maggiore è stato di aver ridato all’Ajax un’identità definita e più o meno rispettosa della tradizione tattica del club: sin dal suo arriva la squadra ha giocato con un 4-3-3 molto riconoscibile, all’interno del quale sono stati lanciati molti giovani. Sebbene in modo più opaco rispetto ai suoi antenati, De Boer è riuscito a ricreare una specie di “Stile Ajax”, ed è forse questa la ragione che ha maggiormente affascinato la proprietà interista: quella di poter lavorare su un progetto tecnico e tattico non legato al breve periodo, cosa che Mancini non assicurava. Non è un caso che durante la conferenza di presentazione di De Boer sia stata citata un numero spropositato di volte la parola “filosofia”.
Si è letto che fra le ragioni delle dimissioni di Mancini ci sia stato un disaccordo di fondo sulle strategie di mercato. Che il tecnico, in pratica, avrebbe voluto più libertà e risorse per gli acquisti, mentre la società non era più disposta a concederla. Mancini è un tecnico che pretende giocatori pronti e che mira a risultati certi; De Boer è abituato a ragionare su cicli medio-lunghi, impostati su un’identità tattica chiara. Almeno per quello che abbiamo visto finora, senza dimenticare, cioè, che all’Ajax quella è di fatto l’unica via per ottenere risultati.
Rimettere le fondamenta
Da Mancini a De Boer, l’Inter passa da un allenatore gestore a un allenatore demiurgo, che, da tradizione olandese, è abituato a plasmare in profondità la struttura della squadra. Sarà un passaggio traumatico, a due settimane dall’inizio del campionato, per una squadra che De Boer troverà tatticamente quasi in macerie. La stagione dell’Inter dello scorso anno è stata per certi versi indecifrabile: all’inizio del campionato la squadra non riusciva ad esprimere una proposta di gioco vera, ma coglieva risultati al di sopra delle proprie prestazioni adattandosi al gioco dell'avversario; mentre nella seconda parte dell’anno il gioco è parzialmente migliorato a fronte di risultati peggiori.
Il problema principale dell’Inter 2015/16 era soprattutto quello di non avere una struttura posizionale chiara, che rendeva impossibile sviluppare una fase offensiva credibile. I giocatori si distribuivano in campo in modo anti-economico, riducendo invece che ampliando il numero di linee di passaggio. Un problema il cui risultato era il bassissimo numero di tiri in porta di Mauro Icardi, nobilitato da una percentuale di conversione altissima. Anche la fase difensiva rispecchiava questa confusione: Mancini ha alternato un pressing alto continuo a partite giocate soprattutto provando a ridurre gli spazi dietro. L’Inter lo scorso anno è stata vittima della propria ambiguità, troppo indecisa tra giocare nello spazio e dominare il pallone.
La prima certezza da cui l’Inter potrà ripartire è che quest’anno ogni ambiguità sarà spazzata via: De Boer ama dominare il possesso, cercando di aprire e chiudere gli spazi con la circolazione di palla. L’Ajax di De Boer degli ultimi anni è stata una delle squadre con la proposta di calcio posizionale più definita e fedele a sé stessa, e sarà interessante vedere come il tecnico rimetterà le fondamenta a una formazione dalla struttura così confusa.
Da giocatore, Frank De Boer era un difensore centrale che amava impostare il gioco. Nato e cresciuto nell’ultimo Ajax davvero vincente della storia, è stato il sergente di campo di Louis van Gaal, che se lo è portato dietro al Barcellona nell’ennesima evangelizzazione oranje della catalogna. Con questo curriculum da accademico del Calcio Totale, De Boer ha assorbito delle idee tattiche che devono molto a quello che è stato quasi il suo unico allenatore. Sono tanti i punti in cui il calcio di De Boer sembra coincidere con il dogma elaborato da van Gaal. Tanto in alcuni gusti precisi: l’amore per il 4-3-3, per la ricerca ossessiva delle ali, l’essenzialità quasi spoglia delle geometrie; quanto in alcuni principi più profondi e generali: la scrupolosità con cui si rispettano i riferimenti spaziali, il rifiuto della squadra corta a tutti i costi, l’attenzione molto rigida al fatto che l’iniziativa individuale sia limitata ad alcuni momenti dell’azione.
Struttura e prima costruzione
La struttura posizionale del 4-3-3 dell'Ajax di De Boer aveva un’esattezza geometrica vicina a un dipinto di Mondrian.
Le tre punte schiacciate sulla stessa linea; il triangolo di centrocampo (in questo caso con la mezzala che scivolando fa da vertice alto) è stretto. Distanze da accademia.
Ci sono stati dei cambi di modulo ma i risultati non sono stati confortanti e questo schema, nel corso dei 6 anni di De Boer all’Ajax, è stata di coperta di linus irrinunciabile. D’altronde il 4-3-3 offre riferimenti abbastanza sicuri ai giocatori, ed era molto importante per una squadra come l'Ajax, soggetta a ogni mercato a cambi di interpreti nevrotici, avere un sistema così solido.
La mentalità offensiva di De Boer faceva sì che anche la linea difensiva si comportasse in base al modo in cui si pensa di attaccare, piuttosto che a quello con cui si voleva difendere. Non c’era quasi mai un centrocampista che si abbassava ad aiutare l’impostazione e se guardiamo alle statistiche sui passaggi, i difensori ne realizzavano mediamente più di tutti gli altri. Nel corso delle stagioni l’influenza sull’impostazione si è orientata sempre sul giocatore della linea con maggiore qualità: se nei primi anni Blind, da terzino sinistro, è stato di fatto il regista della squadra, successivamente si è passati a Denswil e poi a Veltman (o a Riedewald, quando era in campo), che quest’anno è stato il giocatore dell’Ajax con più passaggi completati - per questo De Boer non sarà contento dell’infortunio di Ansaldi, che ha i piedi migliori di tutto il roster difensivo interista e che quest’anno potrebbe essere più importante del previsto.
Nell’Ajax i difensori salivano finché non avevano un’opposizione, e molte squadre in Eredivise preferivano schermare le linee di passaggio piuttosto che portare pressione, mantenendo ritmi molto bassi. Una volta pressati, potevano cercare il movimento di una mezzala che si smarca, altrimenti si girava da un esterno all'altro finché non si trovava una traccia verticale libera. È uno sviluppo dell’azione paziente, per non dire lento, in cui nessuna giocata viene forzata. Una costruzione che imprime un ritmo estremamente compassato alle partite e che ha contribuito a far guadagnare a De Boer la fama di allenatore “noioso”.
“Le ali, non dimenticare le ali”
A differenza di altre versioni della scuola di calcio olandese, De Boer non ama le squadre raccolte. Il suo Ajax non ha mai giocato su distanze corte, lavorando sui vuoti e i pieni creati in campo dalle nuvole di giocatori che si spostano sovraccaricando determinate zone del campo. La costruzione lenta dal basso permette all’Ajax di distribuirsi in tutte le ripartizioni del terreno di gioco, creando i presupposti per mettere in difficoltà numericamente gli avversari: moltiplicando, cioè, le situazione di uno-contro-uno dove poteva pesare il maggiore spessore tecnico e atletico dei propri giocatori.
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Qui il centrale, van der Hoorn, usa il pivote, Gudelj, solo per uno scambio un uno-due corto, si fa ridare il pallone e avanza nella metà campo avversaria, trovando poi la traccia interna per l’ala che attacca alle spalle il terzino. Qui l’azione completa. Un altro esempio è il gol di qualche mese fa al PSV, in cui il centrale avanza, lancia in diagonale verso l’ala aperta sul lato opposto, che mette al centro per la finalizzazione di Sigthorsson.
L’Ajax di De Boer creava meno linee di gioco di quelle che permetterebbe il 4-3-3, di cui De Boer sfruttava il vantaggio più ovvio e semplice, per ragioni geometriche, nella creazione di triangoli. La maggiore forza offensiva dell’Ajax di De Boer - in un contesto di gioco piuttosto ripetitivo, come detto - risiedeva nella sua capacità di distendersi fino a sfruttare tutta l’ampiezza del campo.
Una delle principali indicazioni che Cruyff dava ai suoi centrocampisti era di prendersi il tempo per ragionare la giocata e di non dare la palla alle ali “come se scottasse”. De Boer non ha seguito del tutto questo principio: i suoi centrocampisti spesso rimangono al centro proprio per favorire l’aprirsi di linee di passaggio pulite verso le ali, e solo in un secondo momento (e non sempre) si allargano in appoggio, dove comunque si limitano a giocate essenziali. Raramente portano palla per più di dieci metri e i più talentuosi di loro, come per esempio Riechedly Bazoer, sono sembrati piuttosto castrati. I giocatori sapevano in anticipo cosa dovevano fare e a volte non c'era proprio bisogno di ragionare la giocata.
L'Ajax di De Boer teneva gli esterni molto larghi e alti, quasi a pestare le linee laterali: mentre ai centrocampisti veniva messa la camicia di forza del sistema, alle ali veniva concessa quasi tutta la libertà creativa a disposizione della squadra. Potevano accentrarsi leggermente per consentire la sovrapposizione del terzino e sviluppare una catena laterale classica.
Oppure potevano rimanere larghi fino alla linea laterale e attaccare nell’uno contro uno (o contro due, o contro tre). Le ali avevano un ruolo creativo fondamentale nel sistema di De Boer, ed è forse anche per questo che negli ultimi anni li ha ruotati come colture intensive: Cerny, Younes, El Ghazi, Kishna, Sulejmani, Fischer sono solo alcuni degli innumerevoli esterni sperimentati dal tecnico olandese.
In zona avanzata l’esterno poteva decidere se crossare o cercare lo scambio con uno dei centrocampisti arrivato a supporto, e che a questo punto non deve più limitarsi a giocate scolastiche ma deve assumersi più responsabilità di rifinitura e definizione del gioco.
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Qui Younes, fondamentale la scorsa stagione, decide di accentrarsi e di chiedere lo scambio con Klaassen, re degli assist lo scorso anno. Qui la gif del gol.
Pur producendo molto gioco sugli esterni, l’Ajax non sovraccaricava i lati del campo, preferendo mantenere una struttura posizionale più regolare, a costo di (o forse proprio per) moltiplicare le situazioni in cui l’ala si trova in isolamento uno contro uno.
L’Inter possiede, al momento, calciomercato permettendo, la coppia di ali offensive più forti della Serie A e modellare un’identità di gioco che ne esalti la pericolosità sarà uno sviluppo quasi naturale per De Boer: Candreva e Perisic sono entrambi giocatori che possono diventare devastanti se inseriti all’interno di un binario su cui volare ad attaccare la fascia con continuità, quante volte preferiscono, in un sistema che li pone spesso in situazione di uno contro uno.
In alternativa al dribbling o allo scambio in profondità, una volta che la prima costruzione ha schiacciato l’avversario nella propria trequarti, l’Ajax era anche molto bravo a trovare il cambio di gioco sul lato debole. L’idea di De Boer era di costringere gli avversari a difendere un campo non solo troppo largo, ma la cui ampiezza era occupata da tanti uomini in linea pronti ad attaccare l’area. Fin dalla prima costruzione bassa, e al giro palla ossessivo da dietro, l’obiettivo è avanzare lungo un campo lunghissimo e larghissimo dove far galleggiare in orizzontale gli avversari, da destra e sinistra, fino a slogarli.
Raramente l'Ajax cercava la transizione immediata e veloce, anche per una prudenza eccessiva che non voleva alzare troppo i ritmi, e si trovava spesso a ricominciare l'azione da un attacco posizionale. La conseguenza è che trovare la profondità oltre alla linea difensiva avversaria è molto complicato e l'aggiramento sui lati diventa quasi obbligato.
Intensità
La controindicazione più pericolosa di distribuire i giocatori così distanti tra loro è che, una volta perso il pallone, il recupero risulta per forza di cose non troppo efficace, proprio per la scarsa densità di uomini in zona palla. E sebbene i giocatori siano istruiti per giocare in modo essenziale, la ricerca delle linee di passaggio è spesso difficoltosa (guardate per esempio questo complicatissimo triangolo cercato da Younes e Milik). Anche per questo l’Ajax ha faticato soprattutto in Europa, dove ha trovato squadre che giocavano a un’intensità più alta di quella della Eredivisie.
Indicativa in questo senso la disfatta subita in Europa League dal Red Bull Salisburgo un anno e mezzo fa, una squadra che giocava a ritmi spesso folli, che hanno travolto l'Ajax di de Boer.
Questo è successo anche perché le spaziature tra i reparti non erano sempre corrette, e se i centrali di difesa si trovano a cercare riferimenti su un centrocampo davvero troppo vuoto, in pressing bastava far saltare una marcatura preventiva che il sistema veniva attaccato frontalmente, del tutto disarticolato.
Il problema delle spaziature era aggravato dal fatto che l’idea di De Boer era comunque quella di portare una pressione alla prima costruzione avversaria piuttosto aggressiva, e spesso anche efficace.
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Ecco un esempio di pressione ben riuscita, con Gudelj che si fionda sul pivot avversario, riconquistando palla e generando un 3 contro 2 in area convertito da Milik.
Fluidità, centravanti, trequartista, mercato
Se uno dei princìpi del calcio olandese è quello della fluidità nell’interpretazione dei vari ruoli, la libertà che De Boer concede ai suoi giocatori è molto relativa e sempre controllata. Alle ali è concessa libertà di prendere l’iniziativa individuale, ma pur sempre dentro i binari esterni. Se Milik veniva incontro a offrire un riferimento, qualcuno doveva pur occupare la sua posizione di centravanti, altrimenti quella casella resta vuota, no? De Boer in realtà non ha dato una risposta chiara in proposito. L’unico vero precedente in tal senso, negli ultimi anni, dopo la partenza di Christian Eriksen, è rappresentato dalla presenza in campo di Davy Klaassen, che giocava riempiendo la casella vuota del sistema.
Klaassen è un giocatore molto intelligente, che coniuga un buon dinamismo a una grande capacità di lettura delle situazioni. A lui era affidato il compito di offrire la valvola di sfogo a un sistema a volte troppo bloccato; a lui veniva chiesto di accorciare spesso in zona palla, o di andare a inserirsi nello spazio svuotato dal centravanti, o di effettuare l’ultimo passaggio oltre la linea difensiva, sdoppiandosi nei ruoli di rifinitore e finalizzatore.
Nelle ultime tre stagioni Klaassen ha messo insieme 29 gol e 20 assist e non ha smesso di ricevere incoronazioni dagli accademici olandesi: «È il centrocampista perfetto, può giocare in tutti i ruoli del centrocampo e dell’attacco» ha dichiarato Cruyff. De Boer lo ha definito “un esempio” per tutti i giovani del settore giovanile dell’Ajax.
L’Inter non ha un giocatore di questo tipo in rosa. Forse Brozovic è quello che ci si avvicina di più (anche se alle volte le sue letture sembrano puramente istintive). Banega non ha il dinamismo per coprire porzioni così ampie di campo, né un tale repertorio di movimenti senza palla. "El Tanguito" ama sentirsi al centro della manovra, e vuole giocare il pallone come sente (e in quanto a capacità da finalizzatore: contro il Celtic lo abbiamo già visto sbagliare la conclusione, a cui è arrivato sbilanciato, dopo un comunque ottimo inserimento in area).All’interno di un sistema che richiede questa disciplina ai propri centrocampisti rischia di trasformarsi in uno dei più grossi equivoci della stagione nerazzurra. Allo stesso modo Kondogbia, che sicuramente guadagnerà a giocare da mezzala (contro il Celtic si sono visti già più movimenti verticali).
E forse è per questo motivo che l’Inter sta cercando Joao Mario, che per certi versi è il giocatore che più si avvicina all’ideale di De Boer: tecnico, dinamico e scrupoloso tatticamente quanto basta per poterne fare la casella vuota del nuovo sistema. Anche in questo caso, però, De Boer non potrebbe avere la certezza che Joao Mario (che in carriera non ha mai segnato moltissimo) si trasformi in un incursore di primo livello e magari anche per questo ha provato a giocare con Jovetic vicino a Icardi.
Ad ogni modo, il centrocampo rimane il reparto con più incognite al momento, anche se De Boer ha finora lavorato con del materiale peggiore di quello che avrà a disposizione da subito all’Inter, e non è detto che il suo equilibrio tra individualismo e universalismo - finora sbilanciato verso il secondo concetto - non sarà rimodellato in una squadra più matura di quelle che ha allenato finora, con più solisti, anche.
Non è detto neanche che Banega non possa diventare il suo numero ‘4’ davanti la difesa, e che la costruzione non passi più da lui che dai difensori (anche se in questo caso si possono avere dei dubbi sul suo adattamento all'esigenze del ruolo, è sempre meglio non mettere limiti a Banega). Oppure, non è detto che non riesca a inculcare a Brozovic i prìncipi della disciplina olandese, trasformandolo in un centrocampista universale perfetto. E non è detto che Icardi non possa migliorare il suo gioco di appoggi e la sua influenza sulla manovra.
D’altronde, in conferenza stampa De Boer ha dichiarato che vuole che “tutti restino” e, poco più avanti, ha detto, quasi parlando a sé stesso: «Nel calcio di oggi è fondamentale adattarsi, quindi dovremo giocare con diversi moduli: possiamo giocare 5-3-2, 4-3-3, 4-3-1-2. (…) Sono abituato a giocare col 4-3-3 o col 4-2-3-1 ma siamo aperti ad altri moduli». Un atteggiamento confermato dal secondo tempo dell'amichevole con il Celtic di Brendan Rodgers, giocato con il 4-4-2.
Provare e riprovare
Quel che è certo, però, è che finora De Boer non ha dimostrato grande flessibilità. Nel corso degli ultimi 6 anni l’Ajax ha ripetuto i suoi meccanismi fino allo sfinimento: le critiche rivolte al suo gioco non erano basate solo sulla lentezza della manovra ma anche sulla sua ripetitività. In Olanda il suo calcio è stato definito “robotico” - una critica che assomiglia a quelle rimediate da van Gaal in Inghilterra - e si diceva potesse prendersi un anno sabbatico proprio per studiare a fondo e sviluppare in maniera più articolata la sua proposta di gioco posizionale, ammettendo in un certo senso le proprie lacune tattiche. Anche per questo motivo pare sia saltato il suo approdo all’Everton a giugno.
Ma sarebbe sbagliato considerare De Boer un allenatore cerebrale e dogmatico. Per quanto le sue idee tattiche rispecchino parte della rigidità di quelle di van Gaal, De Boer sembra avere un approccio molto più laico e meno freddo al mestiere di allenatore. Qualche mese fa, interrogato sul piano gara prima di un match contro il Feyenoord, ha dichiarato che «giocare col cuore è molto più importante che giocare con la tattica».
Quello che arriva all’Inter non è un tecnico del tutto formato, ma ha le idee chiare e lo spirito critico per mettersi in discussione: due qualità che sono mancate a quasi tutti i suoi predecessori. È vero che non ha mai affrontato una situazione del genere, ma sembra avere gli strumenti tattici - e più in generale sul piano delle idee - per non irrigidirsi, peccato mortale che il campionato italiano punisce con la gogna pubblica e, poi, l'esilio.
Il nemico principale di De Boer al momento sembra essere il tempo: per un allenatore pedagogo, abituato a cercare la sicurezza nella semplicità dei meccanismi mandati a memoria, ci sono appena due settimane di lavoro e di calciomercato prima dell’inizio del campionato. Quando in conferenza gli è stato chiesto quanto ci vorrà per vedere il suo gioco, De Boer si è destreggiato in un complicatissimo equilibrio di compensazione dei contrari: «Di solito dopo la pausa invernale si vede come una squadra vuole giocare, ma è un tempo troppo lungo, dobbiamo essere pronti fin da subito. Ci vorrà tempo, ma dovremo avere pazienza, ma sono sicuro che con tutti i talenti che ci sono in questo gruppo impareremo molto presto».
La sera del 21 agosto l’Inter esordisce in trasferta contro il Chievo, e conoscendo il pubblico calcistico italiano, se le cose non dovessero andare per il meglio, a fine partita Frank De Boer potrebbe già venire messo in discussione. In bocca al lupo Frank, e buon lavoro.