Negli ultimi anni le operazioni del mercato in uscita sono uno degli aspetti sempre più importanti nella gestione di una società. Il concetto di plusvalenza è uno dei più centrali negli ultimi anni, specie in un campionato senza grandi disponibilità economiche come la Serie A. Quello delle plusvalenze è un sistema complicato, che abbiamo provato a spiegare in un pezzo di qualche tempo fa e che in Italia è spesso utilizzato per facilitare la gestione di una società.
Va da sé che l’obiettivo di ogni società è massimizzare i ricavi, quindi nella realtà tutte le vie vengono battute nei limiti di ogni singolo gruppo dirigenziale, ma c’è chi delle “plusvalenze” ha fatto una vera arte e chi invece fatica a creare le condizioni per incassarne di importanti. In questo pezzo ho preso come orizzonte di riferimento l’ultimo quinquennio, cercando di ricostruire come si sono mosse da questo punto di vista le sette squadre più ricche del calcio italiano, partendo da una classifica pura e semplice delle plusvalenze incassate e analizzando le diverse strategie messe in atto.
Nel periodo che va dalla sessione di mercato estiva del 2012 alla sessione di mercato invernale del 2017 la squadra che ha incassato più soldi con le plusvalenze è stato il Napoli (225,9 milioni), seguito nell’ordine dalla Juventus (217,5 milioni), dalla Roma (209,2 milioni), dalla Fiorentina (109,2 milioni), dall’Inter (108,4 milioni), dal Milan (100,4 milioni) e dalla Lazio (ferma ad “appena” 48,4 milioni).
Balza agli occhi la spaccatura fra le prime tre squadre, tutte sopra i 200 milioni, il gruppo formato dalla Fiorentina e dalle milanesi, che si attestano attorno ai 100 milioni, e la Lazio fanalino di coda. Dati che mettono in evidenza diverse strategie e modi di procedere. Differenze che, come vedremo fra poco, non sono solo fra gruppo e gruppo ma anche fra squadre che nel risultato finale hanno ottenuto risultati simili.
Le plusvalenze sistematiche della Roma
Partiamo da Napoli, Juventus e Roma, ovvero i club che hanno incassato di più negli ultimi cinque anni vendendo giocatori a un valore superiore a quello iscritto a bilancio come ammortamento residuo. Sviscerando i dati anno per anno, si nota che solamente i giallorossi (il cui direttore sportivo è stato Sabatini per tutte le sessioni di mercato esclusa l’ultima invernale, condotta da Massara) hanno fatto delle plusvalenze un vero e proprio mantra.
Pur non avendo mai incassato una plusvalenza maggiore di 28,3 milioni per un singolo giocatore (Pjanic, inserito a bilancio nella stagione 2015/16), non è passato anno senza che la Roma riuscisse a mettere a bilancio in questo modo da un minimo di 28,6 milioni (nel 2012/13) a un massimo di 77,5 milioni (nel 2015/16). Grazie a queste operazioni, fra le quali vale la pena citare anche le cessioni di Marquinhos (2013/14, plusvalenza di 27,5 milioni), Romagnoli (2015/16, plusvalenza di 23,9 milioni), Lamela (2013/14, plusvalenza di 15,3 milioni), Benatia (2014/15, plusvalenza di 14,3 milioni) e Gervinho (2015/16, plusvalenza di 12,5 milioni), la Roma ha potuto far fronte anno dopo anno a ricavi probabilmente inferiori al potenziale societario (basti pensare che manca da anni un contratto con un main sponsor che affianchi la società con il suo marchio sulle magliette) reinvestendo sul mercato i frutti del lavoro di Sabatini e riuscendo a creare una squadra il più delle volte molto competitiva e che, se non si fosse imbattuta nel periodo d’oro della Juventus, si sarebbe potuta togliere soddisfazioni anche in termini di risultati, nonostante un fatturato di partenza che l’ha vista partire svantaggiata rispetto ai bianconeri e alle milanesi.
Quando si ironizza sui costi avuti dalla Roma a causa delle “crasse” commissioni protagoniste di molti acquisti conclusi da Sabatini, bisognerebbe quindi ricordarsi che la sua gestione “aggressiva” del calciomercato ha portato nelle casse societarie la bellezza di 209,2 milioni, ottenuti senza pregiudicare più di tanto il potenziale tecnico della rosa, riuscendo spesso a trovare dei sostituti migliori rispetto ai calciatori venduti con un buon ritorno economico. In questo scenario il 2016/17 è finora un po’ in controtendenza, visto che la plusvalenza maggiore sono i 4,8 milioni incassati per Ljajic, ma viste le richieste dell’Uefa per adempiere alle richieste del Fair Play Finanziario è molto probabile che entro il 30 giugno la Roma concluda almeno una importante cessione che permetta di migliorare i conti societari della stagione e mantenere la media altissima dei milioni in plusvalenze incassati stagione dopo stagione.
Poche ma buone: le plusvalenze di Napoli e Juventus
Diverse, seppur con risultati simili, le strategie di Napoli e Juventus, arrivate a un totale di plusvalenze superiore ai 200 milioni grazie a singoli giocatori venduti a peso d’oro più che a una strategia ripetuta anno dopo anno. Per i partenopei (con Bigon direttore sportivo fino alla sessione invernale 2015 e Giuntoli in quelle successive) è il trio formato da Lavezzi (2012/13, plusvalenza di 31,6 milioni), Cavani (2013/14, plusvalenza di 64,4 milioni) e Higuain (2016/17, plusvalenza 86,2 milioni) ad aver portato nei forzieri del club gran parte del totale generato con le plusvalenze.
Nelle due stagioni 2014/15 e 2015/16 è invece mancato il “botto” in uscita: non si è andati oltre ai 12 milioni di plusvalenze totali per ogni anno. L’unica altra cessione del quinquennio con la quale il Napoli ha realizzato una plusvalenza superiore ai dieci milioni è stata quella di Gabbiadini (2016/17, 11,4 milioni).
Discorso simile per la Juventus, che di plusvalenze molto redditizie ne ha incassate tre e tutte nelle ultime due stagioni: Vidal (2015/16, 36,7 milioni), Morata (2016/17, 15,9 milioni) e Pogba (2016/17, 96,5 milioni). Negli anni precedenti le plusvalenze migliori erano state incassate tramite le operazioni legate alle comproprietà di Berardi, Immobile e Zaza, giocatori che non erano nemmeno nella rosa della Juventus al momento della cessione.
Si nota insomma un’evoluzione nelle strategie societarie. Se un tempo la carenza di giocatori di valore rendeva quelli presenti un patrimonio da salvaguardare, oggi si adotta una strategia più aggressiva: per alzare l’asticella degli acquisti ci si pongono anche meno problemi quando è il momento di incassare da qualche cessione eccellente. Le plusvalenze, anche per la migliore squadra italiana, sono il “volano” per restare competitivi rispetto ai più ricchi club d’Europa, irraggiungibili lavorando sulla sola crescita del fatturato.
La situazione della Fiorentina e delle milanesi
Passando al “secondo gruppo”, la divisione anno per anno mette in evidenza la strategia della Fiorentina, che punta a incassare 30-35 milioni di plusvalenze ogni stagione per far quadrare il bilancio (35,7 nel 2012, i Viola hanno bilancio su anno solare, 33,4 nel 2013, 29,2 nel 2015 e 35,7 nel 2016). L’unica annata nella quale l’obiettivo non è stato raggiunto è stato il 2014, con appena 5,2 milioni di plusvalenze e un conseguente bilancio in rosso di 37 milioni. Per arrivare all’obiettivo Pradè prima e Corvino poi, sono spesso riusciti a vendere un giocatore capace di far realizzare da solo una plusvalenza di 20 milioni, nell’ordine Nastasic (2012, 24,4 milioni), Jovetic (2013, 22,1 milioni), Cuadrado (2015, 21,8 milioni) e Marcos Alonso (2016, 26,5 milioni). L’Inter, con Branca responsabile dell’area tecnica fino a febbraio 2014 sostituito poi da Ausilio nelle operazioni di mercato, nel quinquennio preso in esame ha dato l’impressione di voler fare mercati con plusvalenze importanti ma di non essere quasi mai riuscita nell’intento di vendere un calciatore a prezzo elevato (fatta eccezione per Kovacic, stagione 2015/16 e 21,3 milioni di plusvalenza, nessuno ha permesso di incassare una plusvalenza superiore ai 9 milioni). Nonostante questo i nerazzurri sono riusciti a portare a casa 33,9 milioni di plusvalenze nel 2012/13 (fra le quali Faraoni 7,9 milioni e Coutinho 7,8), 20,7 nel 2014/15 e 34,1 nel 2015/16. L’ultima stagione non è stata così soddisfacente sul fronte cessioni, visto che l’Inter è ferma a 12,6 milioni di plusvalenze e ai 3,7 milioni di Biraghi come plusvalenza più elevata. Anche per questo molto probabilmente entro il 30 giugno, così come la Roma, verrà ceduto un giocatore per fare cassa.
Molto deludente il Milan, che riesce a tenere la scia di Fiorentina e Inter grazie ai 35,3 milioni di plusvalenza incassati per Thiago Silva nel 2012, anno solare nel quale il bilancio del Milan ha registrato 53,4 milioni di plusvalenze, più di quante sono state realizzate in totale nei quattro anni successivi. La difficoltà del duo Maiorino-Galliani è evidente nei numeri: nel 2013, con Braida ancora in società, le plusvalenze sono state 24,1 milioni (fra le quali i 9,9 milioni dati dalla cessione di Pato), dal 2014 con Maiorino a sostituirlo e Galliani a dirigere le operazioni i rossoneri non hanno fatto meglio di 9,6 milioni nel primo anno, 1,3 nel secondo e 12 nel terzo (grazie ai 9 incassati per la cessione di El Shaarawy). La politica degli acquisti a parametro zero, che teoricamente apriva le porte a plusvalenze in caso di successiva cessione, non ha funzionato perché molti di questi non hanno reso quanto ci si poteva aspettare ed essendo stati contrattualizzati con uno stipendio elevato sono risultati comunque incedibili fino alla scadenza del contratto. Inoltre nella rosa del Milan sono stati davvero pochi i giocatori che in questi cinque anni hanno aumentato il loro valore tanto da diventare una eventuale preziosa merce di scambio sul mercato.
La prudenza della Lazio
Chiudiamo con la società che meno di tutte se ne è avvalsa nell’ultimo periodo, ovvero la Lazio. Se si fa eccezione per le stagioni 2013/14 (23 milioni dei quali 15,7 incamerati con la cessione di Hernanes) e 2016/17 (22,7 milioni dei quali 18,9 per Candreva), nelle altre tre annate prese in considerazione la Lazio ha incassato in tutto 3,2 milioni di plusvalenze.
Nonostante questo il bilancio della Lazio non ha mai presentato passivi preoccupanti. La gestione Lotito si caratterizza per garantire la sostenibilità societaria indipendentemente dalle plusvalenze, considerate non indispensabili e realizzate solo quando determinate condizioni di mercato lo richiedono. Nella rosa attuale della Lazio ci sono alcuni giocatori che si sono valorizzati in maniera importante negli ultimi anni (Keita e Felipe Anderson su tutti). In caso di una loro cessione, soprattutto in concomitanza di una molto probabile qualificazione all’Europa League, è quindi ipotizzabile che Lotito reinvesta sul mercato gran parte degli introiti, non avendo particolari buchi di bilancio da coprire.