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Cinquantaquattro anni dopo
03 lug 2016
Löw imita Conte e la Germania infrange la maledizione volando in semifinale. Come si dice "peccato" in tedesco?
(articolo)
12 min
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Per 54 anni le notti di generazioni di giocatori della Nazionale tedesca sono state infestate da un incubo, un enigma: la Nazionale italiana.

Da quella prima sfida ai mondiali cileni del 1962, finita in pareggio, la Germania non è mai riuscita a trovare la chiave per sconfiggere l’Italia in competizioni ufficiali, per una “maledizione” quasi priva di senso e irripetibile nello scenario del calcio mondiale. Una situazione che ha generato un complesso di inferiorità apparso evidente al momento di osservare le formazioni: Löw ha stravolto la normalità della Germania per far fronte agli azzurri di Conte.

Chissà, invece, per quanti anni questa notte di Bordeaux tornerà sotto forma di incubo per i giocatori della Nazionale italiana, e di noi tifosi. Adesso che non possiamo più contare neppure sulla nostra storica e magica imbattibilità contro i tedeschi ci sentiamo più vulnerabili: e sbagliamo, perché l’Italia è sembrata davvero allo stesso livello dei campioni del mondo.

La più lunga partita di scacchi si giocò a Belgrado nel 1989: durò addirittura 20 ore e dopo 269 mosse venne dichiarata patta. Non per abusare della trita metafora scacchistica, ma il quarto di finale tra Italia e Germania è stato davvero qualcosa di simile nell’attenzione alle conseguenze di ogni mossa: e se non fosse stato per quei maledetti rigori, magari sarebbe durato in eterno. La sfida inizialmente sembrava sbilanciata: il maggior talento dei tedeschi è innegabile, con ben 11 giocatori, portiere incluso, in grado di creare gioco; eppure questa differenza è stata annullata dalla preparazione tattica e atletica della squadra di Conte, almeno fino a quando le due squadre si sono scomposte: cioè fino ai rigori.

La metamorfosi di Löw

Se non puoi battere il tuo nemico, diventa come lui: sembra questa l’idea dietro il sorprendente piano gara della Germania. Löw abbandona il classico 4-2-3-1 e sceglie il 3-4-3 già usato nell’amichevole di fine marzo a Monaco di Baviera (i tedeschi vinsero per 4-1), una mossa che ha diverse motivazioni e un unico vero obiettivo: annullare la supremazia tattica della Nazionale italiana riducendo tutto a duelli individuali, puntando quindi sulla superiorità tecnica. La scelta della difesa a tre è in ogni caso molto intelligente, perché elimina ogni possibilità di profondità per i due attaccanti azzurri: la coppia centrale Hummels-Boateng aveva mostrato qualche problema nelle spaziature difensive, e mantenere il due contro due con gli attaccanti azzurri avrebbe comportato un rischio maggiore.

Partita a specchio: l’Italia riesce comunque a creare un 2 vs 2 con le punte, ma è impossibile verticalizzare. La Germania gioca a scacchi.

In questo modo, la Germania si è garantita anche un consolidamento del possesso basso (Löw evidentemente non si è accontentato di avere il miglior “portiere di movimento” al mondo) e un maggior sfruttamento dell’ampiezza, con i due terzini altissimi sulla linea dell’attacco, Hector a sinistra e Kimmich a destra. In fase di attacco posizionale, Gomez e Muller giocano vicini, stile Pellè-Eder, e a volte i tedeschi si ritrovavano con un 3-3-4 che sembra la copia perfetta di quello dell’Italia.

Rispetto all’amichevole di 3 mesi fa, però, c’era in campo Mario Gomez come punta centrale, invece di Götze falso nove, che aveva aiutato tantissimo con i suoi movimenti creando superiorità sulle fasce. In questo modo la Germania ha provato ad allungare la difesa azzurra, senza grande successo: le ricezioni tra le linee erano quasi impossibili, e un punto di riferimento centrale è molto più facile da gestire per i nostri tre difensori.

Tant’è che il gol della Germania, al minuto 64, è nato proprio da un movimento ad uscire di Gomez: l’Italia blocca perfettamente l’inizio azione tedesco costringendo Neuer a un lungo lancio (sbagliato) sulla fascia sinistra. Gomez va sul pallone ma lo recupera solo per un errore di Florenzi: nel frattempo l’uscita in fascia di Barzagli (in raddoppio dietro a Florenzi) crea spazio per l’inserimento di Hector che non viene seguito da Sturaro. Poi una serie eccezionale di combinazioni fortuite (la deviazione di Bonucci porta il pallone perfettamente sul piede sinistro di Özil) e di errori italiani (De Sciglio e Giaccherini entrambi meno reattivi del tedesco) permette alla Germania di passare in vantaggio.

Il 5-3-2 della Germania in fase di non possesso: la mutazione è completa, Löw si traveste da Conte.

Meno verticale

Per la prima volta in questi Europei l’Italia ha affrontato un avversario di livello che aveva studiato tutti i nostri meccanismi di gioco e preparato contromosse specifiche: una storia molto più complicata rispetto a Belgio e Spagna. Conte ha mantenuto il suo normale assetto di gioco, senza modificare nulla se non per obbligo: è la Germania che si è adattata all’Italia.

L’inizio azione dell’Italia è stato completamente bloccato dagli uno contro uno previsti da Löw: i difensori però non hanno rinunciato a giocare il pallone, determinando così un giro palla molto basso e orizzontale, aumentando la necessità di scaricare in fascia (alla fine è De Sciglio a servire più spesso Pellè, 12 volte).

Schweinsteiger fa segno con la mano sinistra di assorbire l’inserimento di Giaccherini, ma toccherebbe a lui: si apre una linea di passaggio perfetta in verticale, ma Parolo preferisce il cambio di campo su De Sciglio (fuori inquadratura).

La sostituzione di De Rossi davanti alla difesa spetta a Parolo, che esegue benissimo il ruolo per quanto riguarda la fase difensiva (il migliore con 5 palloni intercettati, 4 contrasti vinti e 3 palloni recuperati), ma alla lunga priva l’Italia di verticalità.

La zona centrale del campo è intasatissima, è vero, ma Parolo ha la tendenza allo scarico facile o al cambio di campo, anche quando avrebbe un’opzione migliore in verticale: e così l’Italia, già bloccata ad inizio azione dal pressing tedesco, si ritrova senza più rifornimenti per attivare le combinazioni automatiche delle due punte.

In 54 minuti contro la Spagna, De Rossi ha eseguito gli stessi passaggi in avanti di Parolo in 120 minuti contro la Germania.

Priva della sua verticalità, l’Italia è andata alla ricerca dei cambi di gioco, provando a sovraccaricare una fascia per liberare spazio sull’altra, ma senza ottenere grandi risultati. In realtà alcuni momenti di vero gioco verticale si sono visti dopo l’infortunio di Khedira, quando al suo posto è entrato Schweinsteiger che si è ritrovato a inseguire Giaccherini senza averne il passo.

A quel punto Bonucci è riuscito ad attivare il suo passaggio laser, ma vuoi per la bravura di Neuer vuoi per il piedone di Boateng, l’Italia non è riuscita a capitalizzare la miglior occasione di tutto il primo tempo.

Prima regola dell’Europeo: non lasciare libero Bonucci. Giaccherini approfitta di nuovo della staticità di Schweinsteiger, ma alla fine la Germania si salva. L’Italia attacca con il classico 3-1-6 visto nel corso del torneo.

Al tempo stesso, l’Italia attacca l’inizio azione tedesco, rendendo difficilissima la vita di Kroos, schermato perfettamente da Eder e Pellè in zona centrale, e da Sturaro quando si sposta sulla sinistra. Uno dei grandi problemi di Conte era quello di resistere al dominio del pallone della Germania e soprattutto alla corrispettiva fase di gegenpressing per recuperarlo appena perso: nel primo tempo gli azzurri hanno saputo gestire con calma entrambe le situazioni, senza lasciarsi disunire. Nel secondo, invece, l’Italia ha iniziato ad abbassarsi troppo, generando due tipologie di problemi: l’attrazione dei difensori tedeschi fino quasi al limite dell’area e la distanza eccessiva dalla porta avversaria.

Ormai lo abbiamo ripetuto fino allo sfinimento su queste pagine, l’Italia non è una squadra da contropiede, e quanto più si rinchiude tanto più fa difficoltà a ripartire: mentre un Pellè spaventoso nei duelli aerei (6 vinti su 6) è riuscito a far risalire spesso la squadra, Eder si è eclissato, totalmente tagliato fuori dal gioco, con soli 36 palloni giocati, meno persino dei 49 di Buffon.

In una partita fatta comunque di pochissimi tiri nello specchio (3 a 3), l’Italia è rientrata in corsa grazie ad un calcio di rigore, che è stato l’unico nostro tiro nella porta del secondo tempo: anche qui, un errore di Boateng (saltato quasi da muro nella pallavolo) ha rotto l’incredibile equilibrio difensivo tedesco.

Tikinaccio alla tedesca

Qual è l’eredità che Pep Guardiola lascia al calcio tedesco? A questa domanda si cerca ormai di rispondere da mesi e la partita di ieri può aver fornito un piccolo segnale: per lunghi tratti di partita la Germania ha ricercato un possesso palla che in primo luogo ordinasse le posizioni dei giocatori, impedendo che gli errori lasciassero spazio alle transizioni italiane. Il dominio del pallone, insomma, raramente riusciva a disordinare l’Italia, e basti pensare che con il 62% totale di possesso la Germania ha tirato nello specchio 3 volte come l’Italia, ed ha effettuato solo 5 giocate utili in più in area avversaria: la produzione offensiva è stata praticamente la stessa.

Il consolidamento del possesso palla tedesco sembrava molto simile a quello della Spagna di Del Bosque nel biennio 2010-12, ribattezzato come “tikinaccio” (crasi tra tiki-taka e catenaccio). Si parte dunque da un blocco che sa praticare il gioco di posizione (il Barça all’epoca, il Bayern adesso) per poi arrivare a una degenerazione di quel gioco, più adatta al calcio delle Nazionali: si tratta in ogni caso di una rivoluzione culturale, che molto probabilmente non avremmo mai visto se non ci fosse stato questo triennio di Guardiola in Bundesliga.

Nel consolidamento del possesso tedesco, Kroos diventa un normale centrocampista da scarico laterale e da cambi di campo.

Gli scarichi laterali di Özil, finito a fare la mezzala, e Schweinsteiger.

Mentre quella Spagna, però, esaltava i suoi giocatori più tecnici anche in un possesso più orizzontale, la Germania di ieri dava l’impressione di aver sacrificato il suo talento sull’altare della speculazione tattica. Özil è stato a lungo tagliato fuori dal gioco; Kimmich, in teoria un creatore di linee di passaggio e di gioco, addirittura costretto a cercare il cross come un terzino “normale”.

Tutto questo sacrificio tattico, in un certo senso anche auto-umiliante, ha portato però solo a un pareggio nei 120 minuti, senza che la Germania sovrastasse mai l’Italia (tranne in alcuni periodi del secondo tempo): era davvero questo il miglior piano gara possibile per i tedeschi?

La capacità della Germania di schiacciare il proprio avversario, mettendo in atto tutti i meccanismi corretti per non perdere il pallone: gli spazi di mezzo sono occupati, gli esterni garantiscono ampiezza.

L’Italia è riuscita a non farsi schiacciare troppo, mantenendo un baricentro medio non troppo lontano da quello tedesco (51 metri vs 58) ed ha avuto una grande compattezza verticale e orizzontale (lunghezza 27 metri, larghezza 45 metri). I supplementari sono serviti fondamentalmente a dimostrare che l’Italia aveva ancora molta forza nelle gambe, nonostante l’incredibile dispendio fisico.

Difficile chiedere qualcosa di più a questa squadra, che nella partita più importante si è ritrovata senza fonti di gioco a centrocampo. Due le aveva già perse prima del torneo (Marchisio e Verratti), due in questa occasione (De Rossi infortunato e Motta squalificato): eppure si è giocato alla pari contro i campioni del Mondo.

Nell’infinità di multiversi possibili ce ne sarà sicuramente qualcuno in cui Conte ha fatto tre cambi meno conservativi, rischiando magari un giocatore offensivo in fascia (El Shaarawy) o scegliendo qualcuno di più tecnico al posto di Zaza per tirare il rigore. E chissà come è finita la partita in quei multiversi. In questo in cui scrivo, però, dobbiamo arrenderci all’evidenza dei fatti: Conte si fidava di quei giocatori, e il modo in cui abbiamo giocato, dall’inizio alla fine, è l’unico modo in cui riteneva potessimo giocare. E per poco non ha avuto ragione di un quarto di finale che ci avrebbe lanciati come favoriti verso il resto del torneo.

Il cucchiaio mancato

Ai rigori l'Italia smette per forza di cose di essere squadra e diventa un insieme di singoli e perde, quasi ricordandosi del suo inferiore livello tecnico: tra promesse di cucchiaio, passettini da Bolshoi, sguardi bassi per non guardare mai il miglior portiere del Mondo, questi Europei scivolano via. Inutile cercare capri espiatori, questa squadra se ne va con gli applausi di tutti gli osservatori di calcio internazionali.

Sta agli spettatori italiani scegliere se ricordare 120’ e un Europeo giocato senza risparmiarsi, con una concentrazione a tratti ascetica, tenendo testa ad avversari sempre migliori sulla carta, o cedere all’amarezza di quei momenti in cui un calciatore può finire schiacciato sotto pensieri controproducenti o addirittura ridicoli, solo come in nessun'altra situazione questo sport preveda, senza appigli tattici né psicologici a cui aggrapparsi, senza foglie di fico con cui coprirsi. D’altra parte, è successo a calciatori di maggior talento rispetto a Pellé, Zaza e Darmian.

Così, l’Italia abbandona la competizione dimostrando di essere la squadra più vicina a un club per organizzazione tattica ed esecuzione dei meccanismi in campo: avessero giocato bendati, gli azzurri avrebbero ottenuto gli stessi risultati.

Questa specie di primato strategico, e in generale l'ottimo Europeo, non devono però offuscare il momento storico che stiamo vivendo: il movimento calcistico italiano sta affrontando una delle fasi peggiori della sua storia. Mentre il resto del mondo discute di come migliorare il sistema delle squadre B (e anche C) e di centri federali in ogni città, noi parliamo di mostruosità come il campionato Primavera Under21 (chiamatelo direttamente “Campionato bamboccioni”); e molte altre se ne potrebbero citare, nell’inettitudine di un sistema che continua a tutelare l’interesse particolare invece di quello generale.

È giusto quindi dare i meriti all’allenatore: i due anni di Conte sono stati molto intensi e lasciano un'eredità tattica significativa e stimolante: sta a Giampiero Ventura non sperperarla. Nonostante la sconfitta ai rigori, il lavoro del nuovo allenatore del Chelsea rimane uno dei migliori nella storia della Nazionale italiana, considerato anche il materiale a disposizione.

I tedeschi riescono a eliminarci per la prima volta nella storia, ma per farlo si sono dovuti arrendere all’evidenza, provando a trasformarsi in italiani. Se volete, provate a consolarvi pensando a questo.

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