Quel 20 maggio 1998 ad Amsterdam a giocarsi la finale di Champions League non arrivano due squadre dello stesso livello. Nonostante le squadre in questione siano due nobili come Juventus e Real Madrid. Nonostante il percorso verso la finale sia stato simile per entrambe, che avevano passato senza particolare patemi sia i quarti (grazie al 4-1 della Juve alla Dynamo Kiev al ritorno, e al 3-0 del Madrid al Bayer Leverkusen) che la semifinale (chiudendola stavolta all’andata: con un 4-1 della Juve con il Monaco, e il 2-0 del Madrid al Borussia Dortmund).
In quel momento la Juventus è al picco del ciclo di Lippi ed è la squadra più forte d’Europa. Alla terza finale di Champions League consecutiva e al secondo scudetto di fila, il terzo nelle ultime quattro stagioni. Dispone del miglior giocatore e capocannoniere della competizione in Alessandro Del Piero, che con 4 gol tra andata e ritorno della semifinale si stava dimostrando in perfetta forma con l’arrivo delle partite più importanti. La semifinale, in particolare, aveva mostrato bene di cosa era capace Del Piero prima dell’infortunio, il modo in cui era capace di coniugare la tecnica alla precisione. Un’arma estremamente distruttiva nelle partite a scontro diretto - probabilmente come non se ne vedevano dai tempi di van Basten - un giocatore che il sistema di Lippi sfrutta sia come finalizzatore che come rifinitore.
L’assist in semifinale di ritorno è Del Piero tanto quanto il gol di mezza rovesciata che chiude il passaggio del turno.
Dall’altra parte c’è un Real Madrid che sembra il gigante addormentato del calcio europeo. Un’immagine così chiara da diventare parte della cultura pop: la Mitsubishi la utilizza in uno spot televisivo dove un eremita racconta ad un avventuriero delle ultime notizie di cui si ricorda, tra i gossip della politica di Franco e il Madrid “è ancora campione d’Europa no?”… tanto era un ricordo remoto, insomma.
Il Real deve ancora raggiungere una dimensione globale ed è ancora incastrato nel duello contro il Barcellona per la supremazia in patria. Sembra veramente una squadra di un altro secolo, con ancora il violetto repubblicano sullo stemma e sulla maglia, l’azienda spagnola Kelme come sponsor tecnico e i soldi investiti in stelle della Liga più che d’ambito Europeo: come il regista Redondo dal Tenerife o la coppia d’attacco balcanica formata dal montenegrino Mijatovic dal Valencia e il croato Suker dal Siviglia. Gli stessi Roberto Carlos e Seedorf sono giocatori ancora in attesa di esplodere quando arrivano a Madrid. La squadra può vantare il ragazzo prodigio del calcio europeo, il ventunenne Raúl, ma per il resto non ha le basi per pensare di aprire un ciclo dominante in Europa.
Eppure per questo Real Madrid la Champions League è un’ossessione tale da drenare tutte le energie. Da campione in carica finisce una Liga giocata male che lo vede arrivare solo quarto, 11 punti dietro il Barcellona campione. Una settimana prima della finale lo stesso Heynckes va dal presidente Sanz per disperazione. Sente che lo spogliatoio non lo segue minimamente, che l’ossessione per la coppa ha fatto deragliare l’anno in Liga e l’attenzione alla preparazione per la Finale stessa. Hierro e Panucci parlano di un Real focalizzato solo nella finale di Amsterdam, che non riesce a pensare ad altro, Raúl dice che in Liga la squadra spegne completamente l’interruttore.
Il Real Madrid, quindi, arriva alla finale con la necessità di vincere, pur essendo consapevole che la Juventus non solo è favorita per la stampa e i tifosi neutrali, ma anche per i tifosi stessi del Madrid.
Qui la prima parte della Finale (purtroppo in castigliano, se preferite il russo c’è qui). Qui la seconda.
La Juventus mostra i muscoli
L’inizio è subito dai ritmi subito alti. Le squadre mostrano di voler e poter reggere l’impatto fisico a centrocampo, il marchio di fabbrica con cui la squadra di Lippi prende il vantaggio sugli avversari. Neanche un minuto e già Roberto Carlos vola e cade male su di un contrasto aereo di Di Livio. La Juventus non è facile da affrontare per nessuno perché è la prima a cercare il contatto fisico e l’ultima a togliere la gamba. Un impatto muscolare che spesso finisce per condizionare mentalmente gli avversari, meno pronti a sporcarsi la maglia per 90 minuti andando su ogni singolo pallone diviso.
Heynckes decide di provare a contrastare il dominio fisico nel centro del campo della Juventus utilizzando due giocatori in grado di reggere i contrasti come Seedorf e Karembeu, che formano il rombo con Redondo vertice basso e Raúl vertice alto. Un rombo molto stretto che una volta subito l’impatto fisico della Juventus e la sua capacità di pressione a tutto campo reagisce male: piano piano le posizioni in campo ruotano in senso antiorario portando Karembeu ad affiancarsi a Redondo al centro, finendo per creare un doble pivote. A quel punto, Seedorf e Raúl finiscono alti e larghi sulla trequarti per provare a ricevere liberi dalla pressione avversaria e trovare corridoi per le due punte, Mijatovic e Morientes.
Raúl viene affogato dall’atletismo della Juventus: regala solo pochi tocchi di classe, poi finisce schiacciato tra le gambe degli avversari. Tende quindi a ricevere largo più che centrale.
La posizione del centrocampo modifica anche la difesa, che prova parecchi lanci lunghi verso la linea laterale per trovare i giocatori che si sono allargati. Una strategia che, unita al generale nervosismo del Real e all’agonismo della Juventus, crea i presupposti per una partita tesa, fisica. In questo contesto gli unici a riuscire a spiccare tecnicamente sono Del Piero e Zinedine Zidane. Se Del Piero riesce a dare un minimo di chiarezza tecnica anche senza rallentare, Zidane è invece fondamentale per dare delle piccole pause alle giocata sulla trequarti centrale, altrimenti schiava della foga agonistica dei centrocampisti che salgono oltre il centrocampo appena possono.
La Juventus comunque non gioca male: la palla viaggia veloce e quando le giocate codificate riescono è un piacere vedere tanta fluidità di esecuzione unita al talento di Zidane e Del Piero.
Il primo tiro in porta della partita ad esempio arriva con un’azione eseguita perfettamente dopo aver rubato palla alti. Davids passa il pallone in orizzontale di esterno sulla trequarti e il velo di Del Piero che permette la sponda di Inzaghi per la conclusione di Deschamps.
Lo stile di gioco scelto da Lippi serve per esaltare il vantaggio atletico che il suo centrocampo ha sugli avversari: i due attaccanti più Zidane non sono esenti dal lavoro senza palla, ma vengono comunque aiutati da dei veri e propri cingolati alle spalle che corrono il campo in verticale in modo instancabile. I fastidi fisici portano Conte a poter partire solo dalla panchina, ma il centrocampo a quattro dietro Zidane è formato da Di Livio, Deschamps, Davids e Pessotto. Lippi cavalca lo spirito del tempo di un calcio italiano che risponde all’arrivo di Sacchi a fine anni 80 soprattutto spingendo sull’accelerazione delle innovazioni dal punto di vista atletico in allenamento. I corpi dei calciatori vengono spinti al massimo dell’esplosività e della tenuta, portando anche i giocatori tecnici a doversi adattare a una muscolatura più accentuata per reggere i nuovi ritmi di gioco.
Il Real Madrid alle prese con l’impatto atletico della Juventus perde palla sulla propria trequarti. Qui si vede come la tecnica di Zidane riesca ad uscire anche dove non ci sarebbe spazio per lui. Poi la troppa foga porta i compagni a passarsi sopra sprecando l’occasione.
Hierro vs Del Piero
L’equilibrio della partita sembra potersi spezzare solo grazie a un singolo episodio. Quando il Real Madrid riesce a fare pace un minimo con i ritmi di gioco e si avventura alzando il baricentro si aprono i varchi necessari alla Juventus per poter essere verticale anche con la palla a terra, e la Juventus è inarrestabile se ha campo: toglie il fiato agli avversari, sembra di giocare sempre correndo dopo aver ricevuto un pugno nello stomaco.
In una partita dai tanti (troppi) errori tecnici, Zidane sembra di un altro pianeta per la capacità di controllo, la freddezza abbinata alla calma e l’eleganza della conduzione.
La Juventus ha un vantaggio tattico nella fascia centrale del campo e il motivo principale del fatto che non sia ancora riuscita a segnare è uno: la capacità di Hierro di difendere Del Piero e Inzaghi. Se per il secondo si limita a tagliargli le linee di passaggio con anticipi, lasciando ai compagno di reparto la copertura della profondità, contro Del Piero mette su un clinic difensivo come pochi se ne sono visti a quel livello. La difesa del Real Madrid ha due terzini dallo stile differente, con Panucci più bloccato e attento a seguire gli attaccanti avversari e Roberto Carlos più sollecitato in fase di possesso. Il capitano Sanchis non ha fisico e si occupa più che altro di seguire in marcatura Inzaghi, provando a stare dietro ai suoi movimenti, mentre Hierro, oltre a gestire la linea, fa il lavoro di due centrali.
Hierro è possente e intelligente, i contrasti aerei sono tutti suoi e in area ha capito che la squadra ha bisogno prima di tutto di sicurezze e non si fa quindi prendere dalla foga nel gestire la linea: si occupa principalmente di togliere dal campo Del Piero, cercando di farlo ricevere il meno possibile difendendo con un posizionamento perfetto. Quando il numero 10 scende a centrocampo a prendere palla arriva puntuale il fallo tattico (cosa che gli costa il primo giallo della gara già al minuto 23). Togliere Del Piero dalla partita limita drasticamente l’imprevedibilità dell’attacco juventino, che risulta più legato ai pattern di Lippi (come palla esterna e cross teso per l’inserimento di un centrocampista) e quindi più prevedibile per gli avversari. Solo per rendere l’idea del livello del lavoro difensivo del centrale spagnolo ecco due situazioni tipiche della partita di Hierro su Del Piero, forzato a ricevere sempre spalle alla porta lontano dall’area.
La prima è quella dell’anticipo puro, leggendo la situazione prima di entrare sulla linea di passaggio:
Qui si possono sentire i cocci dell’anima di Del Piero in frantumi dopo l’anticipo di Hierro a rubargli quella che dovrebbe essere la sua notte. Cosa simile a questa dove poi toglie di mezzo anche le speranze di Pessotto.
La seconda è quella della scivolata per impedire la conduzione:
Stabilisce il contatto prendendo le distanze prima di scendere in scivolata. Come qui dove corregge un anticipo sbagliato con un bel respiro prima di andare giù a togliergli palla.
Come accade spesso nel calcio, è proprio il Real ad avere l’occasione più importante di tutto il primo tempo. Col passare dei minuti era cresciuto il coinvolgimento di Mijatovic, staccatosi sempre di più dal ruolo di compagno di reparto di Morentes per abbracciare un profilo più di ampio respiro con appoggi lontani dall’area e movimenti coordinati con Raúl, con cui forniva sempre un riferimento esterno e uno sulla trequarti. Da questi movimenti arriva l’unica vera occasione da gol del primo tempo.
Sfruttando la prima occasione in cui Redondo riesce a tenere palla e utilizzando quella che è probabilmente la richiesta tattica di Heynckes di andare a cercare spazio sull’esterno il Real arriva a pochi centimetri dal gol con Raúl dopo la perfetta azione di Mijatovic.
L’occasione da gol poteva essere il tanto sperato cambio di contesto, invece poco cambia, le occasioni non arrivano e la Juventus che può recuperare più che facilmente il pallone a centrocampo soprattutto con Deschamps, poi però finisce per sprecarlo arrivata sulla trequarti. Mentre il Real Madrid ormai si sente comodo nel bloccare le trame dei rivali non ha molte armi oltre la verticalità per arrivare pulita agli attaccanti. Il lancio lungo per Morientes è di Montero. Con due squadre così bloccate passa veramente tanto tempo tra la palla toccata in un’area e poi nell’altra. È una partita di momenti che però fatica a produrli. Per fortuna c’è Zidane.
«La cosa difficile non è farlo, ma pensarlo» gli scappa al commentatore guardando la giocata. No è difficile anche farlo.
I rimedi di Lippi
L’impressione è che più passano i minuti e più gli spazi inizialmente presenti tra i reparti del Real vengono meno. La scelta dei “Blancos” di lanciare lungo dà più fastidio del previsto alla Juventus, che recupera sì palla facilmente, ma molto meno in alto di quanto sia abituata a fare e non può correre abbastanza una volta fatto. La soluzione pensata da Lippi è l’ingresso in campo di Tacchinardi per Di Livio e il passaggio alla difesa a quattro con l’arretramento di Pessotto.
Lippi decide quindi di andare a specchio contro il Real Madrid: perde profondità sugli esterni ma toglie agli avversari i lanci facili sull’esterno (lì ora ci sono i terzini). Tacchinardi aumenta la varietà di palloni da far arrivare davanti e permette di non perdere la supremazia fisica centrale. La duttilità tattica è una delle caratteristiche principali della Juventus di Lippi, e lo si nota dalla semplicità con cui si adegua a un cambio di sistema tanto radicale nel corso di una partita tanto importante.
Lo sviluppo del secondo tempo è in linea con il primo per numero di occasioni create, ma le due squadre a specchio, invece di bloccare la situazione la aprono un po’. Il Real è disposto ora a giocare palla a terra e la partita assume finalmente connotati più piacevoli, pur rimanendo priva del talento di Del Piero, ormai cancellato dalla gara. Lippi alla lunga però trova i frutti della sua mossa: la Juventus assume il controllo tattico della gara riassestando le distanze a centrocampo riuscendo quindi a recuperare palla subito e ovviando all’assenza di Del Piero coinvolgendo di più Inzaghi, ora libero di svariare non avendo esterni a dargli fastidio sulle fasce. Inzaghi riesce a tirare in porta due volte consecutive, raddoppiando rapidamente il numero delle conclusioni in porta della Juventus di tutto il primo tempo.
Anche lui però non sembra veramente in giornata. Sbaglia anche l’occasione più da Inzaghi di tutta la partita sprecando una palla che rimpallato gli finisce tra le grinfie libero in area.
Il gol di Mijatovic
Quello che però si aspettava da tanto, l’episodio in grado di cambiare le sorti dell’incontro non arriva come l’inerzia sembra poter portare a favore della Juventus. A metà del secondo tempo, con le due squadre che giocano a viso aperto, la Juventus che sembra costruire piano piano i presupposti per il suo vantaggio. Però ecco che Mijatovic tira fuori dal cilindro il gol decisivo, quello per cui ancora oggi viene fermato per strada a Madrid.
Da un cross sul secondo palo deviato arriva il tiro al volo con poche velleità di Roberto Carlos viene però deviato involontariamente da Iuliano in scivolata, che semplicemente lo aggiusta la ricezione per Mijatovic che al limite dell’area piccola raccoglie e segna con eleganza.
La posizione di fuorigioco di Mijatovic è quanto ci si ricorda ancora oggi della partita. Questo gol è l’unica vera istantanea che abbiamo in testa, ed è un peccato perché parliamo di un giocatore di assoluto livello, arrivato addirittura secondo dietro a Ronaldo per il Pallone d’Oro della stagione precedente. Capire se sia regolare o meno è impossibile. L’inquadratura stretta delle telecamere dell’epoca non permette di capire se al momento del tiro Pessotto, rimasto indietro dal cross di Panucci, sia dietro la linea tenendo in campo il montenegrino.
Ancora oggi i tifosi della Juventus giurano sia chiara la posizione di fuorigioco e quelli del Madrid invece come sia chiara la posizione arretrata di Pessotto al momento del tiro. Nell’anno del rigore negato a Ronaldo, la Juventus è ancora al centro di un episodio controverso, solo dalla parte di chi pensa di aver subito un torto.
Quello che colpisce dei minuti successivi al gol è che la risposta della Juve non è nervosa, ma immediata (con un tiro di prima di Inzaghi che finisce fuori di pochissimo) e razionale. La Juventus è cosciente di essere una squadra in nulla inferiore al Madrid e ricomincia semplicemente da dove aveva lasciato. Mancano però poco meno di venti minuti e Lippi non vuole assolutamente arrivare agli ultimi minuti per trovare il pareggio. L’entrata di Fonseca per Pessotto va proprio in questa direzione. La Juventus torna con la difesa a 3 inserendo Fonseca accanto a Del Piero e Inzaghi.
Il centrocampo non è esattamente quello adatto a reggere una squadra che vuole attaccare, avendo Davids e Deschamps parcheggiati sulle fasce e uno Zidane molto lontano dall’area, ma Lippi non vuole stravolgere subito il sistema e non ha comunque tante altre possibilità dalla panchina.
Il messaggio che però passa ai giocatori è proprio quello che serve un gol assolutamente, cosa che affretta la manovra della Juventus già afflitta dal problema di trovare l’uomo in area. L’occasione che Davids si crea da solo dal nulla è l’unica che porta ad un tiro nello specchio.
Diventare anche più verticali per la voglia di arrivare davanti il prima possibile non aiuta la situazione.
Il Real Madrid è bravo ad approfittarne: dà spago alla foga della Juventus e assesta il possesso invece di affondare. Qualsiasi cosa arrivi in area c’è sempre Hierro a fermarla e ricominciare l’azione. La dinamica della partita sembra prendere una brutta piega, Lippi inserisce Conte (unico centrocampista rimasto in panchina) al posto di Deschamps.
C’è poco da poter cambiare tatticamente e la strategia è ormai in mano ai giocatori, la palla se non passa per Zidane arriva troppo presto e senza molto senso in area. Praticamente al Real Madrid basta non perdere la calma per portare a casa la coppa negli ultimi minuti di forcing inconcludente della Juventus.
La fine di un ciclo
Una finale che aveva tutto per rappresentare l’apogeo del dominante ciclo di Lippi ne segna invece la fine. Sembra quasi un segno del destino che anche il ginocchio di Del Piero faccia crack nel novembre del 1998, lui non sarà più lo stesso e Lippi durerà solo qualche mese in più. La Juve non è più la stessa, il ciclo sembra veramente essersi esaurito dopo Amsterdam: Lippi non ha più il controllo della sua rosa, non ha la voglia o la forza di provare una rivoluzione a metà anno per aprirne uno nuovo, e nel febbraio del 1999 dà le dimissioni dopo un clamoroso 2-4 interno contro il Parma.
La Juventus di Carlo Ancelotti, dopo un periodo di assestamento in campionato, rimarrà una delle squadre più forti d’Europa, ma perderà l’aura di dominio avuta sotto Lippi. Con quella che era una squadra in grado di andare ben oltre l’immaginario di grande in Italia, in grado di ispirare perfino il Alex Ferguson nella costruzione del suo Manchester United poi campione d’Europa battendo in semifinale proprio la Juventus di Ancelotti. «La Juventus ha rappresentato un modello per il mio Manchester United quando negli anni '90 dominava in Europa. La vittoria al Delle Alpi nella semifinale di UEFA Champions League è stata la dimostrazione della nostra crescita».
Con un simile dominio una sola coppa può essere considerata un bottino magro, ma così va il calcio degli scontri diretti.
Per il Real Madrid invece non ci sarà nessuna inversione di tendenza. Certo rialzare la coppa 32 anni dopo l’ultima rende giustizia alla sua storia e toglie quel peso che per anni aveva ossessionato la squadra, ma il Real Madrid campione non è ancora realmente pronto ad aprire un ciclo vincente. È una squadra ancora in costruzione e lo stesso Heynckes lascia subito dopo la vittoria, ritenendosi incapace di fare di meglio con questo gruppo.
Ci vorrà Florentino Perez come presidente due anni dopo e la sua scelta di inaugurare l’era dei Galattici da affidare alla leggende Del Bosque per aprire il ciclo che risvegliasse realmente il gigante facendolo tornare ai fasti di un tempo. L’anello di congiunzione tra la Juventus di Lippi e il Real Madrid di Del Bosque è la presenza in campo di Zinedine Zidane.