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Come si pressa in Serie A
03 mar 2017
Le marcature a uomo sono sempre più diffuse, ma non è detto che siano sinonimo di un buon pressing.
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Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con NOW TV.

Pur con una lentezza che rende difficile distinguere le sue fasi, il calcio continua a evolvere. Uno degli aspetti del gioco maggiormente cambiati negli ultimi anni è la gestione della fase di possesso palla avversaria, dove il pressing sta assumendo un’importanza sempre maggiore. Soprattutto in Bundesliga, con allenatori come Jürgen Klopp o Roger Schmidt, il pressing è diventato centrale per squadre che hanno puntato molto sulla transizione positiva. Ma sarebbe ingiusto ridurre questa situazione di gioco alla scuola tedesca. Anche in Spagna il pressing (e il Gegenpressing) è diventato importante: per squadre che vogliono sempre il pallone per attaccare è diventato fondamentale avere un sistema di riconquista rapida ed efficace.

La Premier League sembra essere più indietro nell’evoluzione. La poca organizzazione nella fase difensiva è uno dei motivi alla base degli scarsi risultati degli ultimi anni, nonostante i vantaggi finanziari. Solo da quest’anno, e con l’imprescindibile aiuto degli allenatori stranieri (Klopp, Pochettino, Guardiola più che altro, ma anche Conte per aspetti diversi), il campionato inglese sembra essersi rimesso in carreggiata sulla strada dell’evoluzione.

E la Serie A? In Italia le squadre sono rimaste un po’ indietro. In generale si punta molto su una buona organizzazione, ma le formazioni tendono a difendere basse e a pensare troppo poco alla riconquista del pallone. La fase di possesso avversaria viene studiata in modo molto analitico, e questo genera come effetto collaterale un livello di intensità meno alto, che rende difficile un pressing alto.

Questo non significa che molte squadre italiane non vogliano pressare alto, è solo che lo fanno in modo più cerebrale e meno agonistico. In questo senso, l’espediente che molti hanno trovato per pressare senza ricorrere a troppa intensità è l’impiego delle marcature a uomo, spesso utilizzate in tutte le zone del campo.

Un sistema di gestione della fase di non possesso con vantaggi e svantaggi molto marcati, ma che in generale aumenta l’attitudine difensiva delle squadre italiane. Le marcature a uomo, rispetto a quelle a zona, sono infatti un ottimo strumento di distruzione del gioco avversario, ma si rivelano meno efficaci nel recupero palla, e quindi nelle premesse per una transizione positiva. Attualmente le marcature a uomo rappresentano uno dei tratti più peculiari della scuola tattica italiana, ma qual è il motivo di questa tendenza?

L’esigenza di marcare a uomo

L’esigenza di marcare a uomo è nata in Italia anche per risolvere rebus tattici particolarmente complessi. Quello posto, ad esempio, da Paulo Sousa e dal suo arrivo in Italia. Il suo 3-2-4-1 alla ricerca della superiorità posizionale, della massima ampiezza e di un intelligente gioco tra le linee ha messo in crisi molte squadre italiane. Contro un sistema del genere è difficile difendere e molte squadre hanno virato verso una difesa più orientata all’uomo, che ha finito per funzionare soprattutto grazie alla staticità della Fiorentina.

Lo scorso anno la Roma ha vinto entrambe le partite contro la Fiorentina, giocando con marcature a uomo diverse. Prima, con Rudi Garcia, è arrivata una vittoria fortunata con un 6-3-1 con i terzini sui trequartisti; al ritorno, con Spalletti in panchina, il 4-2-2-2 ha marcato il centrocampo della squadra di Sousa.

Marcatura con orientamento sull’uomo e sistemi misti

Guardando la Roma è evidente come ci siano vari modi di marcare a uomo. Anzi, in questo caso, più che di marcatura a uomo sarebbe più corretto parlare di orientamento sull’uomo. Le differenze da notare diventano allora il grado di questo orientamento e su quali reparti e avversari c’è più attenzione. Bisogna subito dire che la marcatura a uomo, rigorosa e a tutto campo, - la forma più classica delle marcature a uomo, ogni giocatore ha un suo avversario, che deve seguire per tutto il terreno di gioco - si vede poco nel calcio moderno.

In passato era normale che ogni giocatore prendesse in consegna un avversario, usando come riferimento il suo numero di maglia. Una prassi che gli ungheresi hanno sfruttato nel “Match of the Century”: la storia vittoria ottenuta a Wembley contro l’Inghilterra. In quel caso i “magiari” giocarono smontando il classico sistema dei numeri e schierando in avanti Nandor Hideguti da falso nove. Di fatto furono i primi a mettere in crisi il sistema delle marcature a uomo. Il grande movimento senza palla di Hideguti, che veniva incontro verso il centrocampo, o si defilava sulle fasce, portava fuori posizione i difensori inglesi, aprendo spazi dove si inserivano per concludere Ferenc Puskás e Sándor Kocsis.

Di solito un sistema orientato all’uomo ha bisogno di sfruttare la superiorità numerica nell’ultima linea. Marcelo Bielsa, un allenatore che punta molto sulle marcature a uomo, gioca sempre con un difensore in più rispetto al numero degli attaccanti avversari (quindi contro un attaccante si gioca con due difensori centrali, contro due attaccanti con tre).

L’Atalanta di Gasperini e il Genoa di Juric, pupillo di Gasperini, sono (erano nel caso di Juric) molto vicine a questo sistema di difendere. Entrambe le squadre si schierano con un 5-4-1 in fase difensiva, ma le marcature tendono a cambiare in base al sistema dell’avversario. Non tutti i giocatori devono sempre essere vicini all’avversario di riferimento, lontani dal pallone basta avere un occhio sull’avversario e prendere vantaggio rispetto al movimento della palla. Le marcature a uomo, insomma, sono meno rigorose: se gli avversari cambiano posizione, i difensori non seguono i loro movimenti per tutto il campo.

Le marcature a uomo del Genoa contro il Milan. Simeone pressa contro i due difensori centrali. In questo caso, Bonaventura nel mezzo-spazio viene marcato da Rincon, però con Bonaventura sulla fascia è stato spesso Edenilson a marcarlo.

Un altro sistema difensivo decisamente orientato sull’uomo è ad esempio quello del Bologna di Donadoni. Nel 4-1-4-1 i giocatori inizialmente rimangono nella loro zona, ma poi tendono a staccarsi seguendo i movimenti degli avversari. Gli esterni non si accentrano per aumentare la compattezza, ma preferiscono orientarsi sui terzini avversari: se un terzino avversario avanza, l’esterno segue il suo movimento fino ad affiancare il terzino della propria squadra. Spesso i movimenti possono allora scambiarsi: con il terzino che sale per seguire i movimenti di un esterno. Anche i centrocampisti, nel Bologna, provano a rimanere vicini all’uomo.

Il gioco del Napoli contro le marcature a uomo del Bologna.

Donadoni fa spesso ricorso anche a marcature a uomo individuali. Contro il Napoli i rossoblù hanno messo un centrocampo a tre, avanzando Nagy davanti alle due mezzali in marcatura su Jorginho. La squadra di Sarri non ha avuto in realtà grandi problemi e ha aggirato la marcatura sfruttando in impostazione la grande qualità dei suoi difensori, oltre ad Hamsik.

La soluzione che molte squadre di Serie A hanno scelto è quella di un compromesso: un sistema equilibrato tra marcature a zona e marcature a uomo. Si difende con la difesa a zona, ma se un avversario entra in una zona particolare, allora il difensore lo prende in consegna e gli resta vicino. Quando l’avversario lascia quella zona, il marcatore non lo segue.

È il sistema utilizzato dalla Juventus, ad esempio. I bianconeri nominalmente difendono a zona, ma è una zona meno pura di quella di altre squadre. Una differenza spiegata bene da Daniele Rugani: «Con Sarri era il pallone a determinare i movimenti della linea difensiva, mentre con Allegri si lavora molto di più sull’uomo».

I vantaggi della marcatura a uomo

Le marcature a uomo offrono un paio di vantaggi. Il primo è la semplicità: i difensori hanno sempre un riferimento molto preciso. Soprattutto nei sistema di marcatura più rigorosi, ognuno è responsabile del suo uomo, e questo alleggerisce la loro intensità mentale durante i 90 minuti. Quando le marcature a uomo diventano flessibili diventano anche più difficili: soprattutto quando gli avversari si muovono molto la fase difensiva diventa più complicata da coordinare.

Allargando il discorso a un tema più generale, le marcature a uomo attribuiscono maggiore importanza ai singoli rispetto al collettivo: ci si muove come 10 individui e non come un corpo solo.

Al contrario nella difesa a zona le posizioni dei compagni non sono determinanti. Se almeno tutti i giocatori vicino al pallone sono marcati, non c’è l’uomo libero. Contro una difesa a zona è importante avere giocatori bravi a giocare tra le linee, che aumentino la verticalità e tengano occupato più di un avversario alla volta.

Atalanta e Genoa sono brave proprio a non aprire nessuno spazio tra le linee. Altre squadre inizialmente lo lasciano, e deve essere poi bravo un difensore a uscire dalla linea e a togliere respiro all’attaccante: non permettergli di girarsi e di far guadagnare campo alla squadra.

Essere troppo orientati all’uomo però porta anche degli svantaggi. Un giocatore che segue il movimento di un avversario, lascia la sua posizione e apre degli spazi. Gli spazi che si possono aprire all’interno di sistemi difensivi come quelli di Atalanta e Genoa sono davvero grandi. Ma anche dentro sistemi semplicemente orientati sull’uomo i rischi sono comunque considerevoli: lo abbiamo visto proprio in Bologna - Napoli, dove i partenopei sono stati chirurgici nello sfruttare lo spazio aperto incoscientemente dai rossoblù. Le linee difensive a 5 - come quelle di Genoa e Atalanta - sono più brave a chiudere questi spazi, mentre una difesa a quattro molto orientata sull’uomo è intrinsecamente più esposta. Mescolare troppo uomo e zona, insomma, può generare confusione.

L’Inter con un brutto pressing contro la Lazio. Candreva si orienta al terzino e apre il mezzo-spazio. Brozovic non può andare a pressare il difensore centrale, che avanza, perché lui segue il movimenti di Murgia (che in questa partita ha fatto un ottimo lavoro nel manipolare la posizione di Brozovic per aprire spazi per i suoi compagni). Manca anche Kondogbia, che si ritrova nella ultima linea, insieme con Parolo. Tutta la difesa a quattro dell’Inter marca a uomo.

L’apertura degli spazi nei sistemi che marcano a uomo non è per forza di cose un problema. Quando un avversario prova a occupare lo spazio libero in teoria ci dovrebbe sempre essere un difensore pronto a prenderlo in consegna. I problemi cominciano quando un attaccante riesce a superare un difensore, quando, cioè, chi marca a uomo perde un duello individuale. A quel punto a chi tocca uscire per pressare l’avversario?

Chiunque esca aprirà degli spazi per un altro attaccante. Di solito è un difensore a uscire per bloccare la linea di passaggio, ma alla squadra in possesso basterà cercare una triangolazione per approfittare della situazione. Un duello perso può generare gravi conseguenze nei sistemi a uomo, mentre in quelli a zona ci si può sempre rifugiare nella copertura e nella pressione di altri compagni.

Come si difende con marcature a uomo contro Adem Ljajic? Il serbo ha messo in grave difficoltà l’Atalanta, muovendosi per tutto il campo. In questa situazione l’esterno sinistro sovraccarica il lato destro e si posiziona benissimo nello spazio libero tra le linee.

Gli svantaggi della reattività

Bisogna tenere a mente che nel calcio la fase difensiva non è di per sé passiva, anche per il semplice fatto che vuole condizionare il possesso palla avversario. In questo senso il principale difetto di un sistema di marcature a uomo è che preferisce la reattività alla proattività. I giocatori non pensano in anticipo ma reagiscono solo ai movimenti degli avversari. Cosa che porta chi difende ad essere sempre in leggero ritardo, costretto a dipendere troppo dall’abilità dell’avversario.

Sassuolo in Pressing contro il Milan. I centrocampisti sono orientati molto sull’uomo. Quando Paletta riceve la palla, Abate avanza, Adjapong lo segue e apre più spazio per il difensore centrale del Milan. Bonaventura si offre e Letschert esce dalla linea difensiva per seguire il suo movimento. Suso prova la verticalizzazione verso Bacca e sbaglia, però effettivamente il Sassuolo va solo all’indietro e non riesce a pressare con efficacia il Milan.

Questa reattività porta un altro problema: le difese molte orientate sull’uomo sono più facili da manipolare. I giocatori devono pensare di meno, e questo come detto può essere un vantaggio, ma sono anche portati a muoversi in maniera quasi cieca. I movimenti senza palla possono essere usati come esche per attirare i difensori via da certi spazi. Nella costruzione del gioco, ad esempio, è più utile allontanarsi dal pallone per aprire degli spazi. Per fare un esempio molto comune: i terzini che avanzano per portarsi dietro gli esterni avversari che li marcano a uomo. La struttura dell’avversario cambia e la difesa a quattro diventa una difesa a 6, quindi ci sono più giocatori in zone basse ed è molto più difficile pressare in alto (questo causa anche degli svantaggi in transizione positiva).

Contro marcature a uomo, quindi, il movimento senza palla diventa fondamentale per portare gli avversari fuori posizione e aprire degli spazi che possono diventare letali.

Praet riceve palla da Silvestre, Melegoni esce e va a pressarlo. Così difficilmente il belga potrà giocare in verticale e infatti la passa al terzino sinistro. Dopodiché Praet si abbassa, occupando lo spazio tra terzino e difensore centrale. Normalmente un movimento inutile, quasi errato, che però apre il mezzo-spazio dentro la formazione dell’Atalanta. Situazioni in cui Mario Rui avrebbe fatto il passaggio giusto.

Giocare contro delle marcature a uomo non è semplice, e questo è il principale motivo del loro attuale successo in Italia. La squadra in possesso palla è costretta a esasperare alcuni aspetti del gioco: il movimento senza palla deve essere continuo, e i giocatori devono muoversi incessantemente a fisarmonica, avanti e indietro, scambiandosi posizione, sovraccaricando i lati quando necessario, per slogare lo schieramento avversario.

Ma marcare a uomo aiuta a riconquistare il pallone più efficacemente? Eccoci arrivati alla questione più importante: come si conquista il pallone con le marcature a uomo?

I sistemi a uomo seguono con grande attenzione i movimenti degli avversari e spesso riescono a togliere a chi riceve palla il tempo di girarsi verso la porta. L’effetto collaterale è che è però molto complicato riconquistare il possesso. Banalmente: c’è sempre un avversario di mezzo tra palla e marcatore (questo è anche il motivo dei tanti falli commessi da chi marca a uomo).

Certo, un difensore può cercare l’anticipo, ma le marcature hanno una natura reattiva ed è difficile muoversi più veloci dell’attaccante che si sta seguendo. Gli interventi dei difensori si riducono il più delle volte a interazioni casuali, come spiega Julian Nagelsmann: «In ogni duello ci sono delle componenti di casualità, la palla può rimbalzare in direzioni differenti, sui piedi dell’avversario oppure fuori dal campo. L’arbitro può decidere contro o a nostro favore. Per questo preferisco recuperare il pallone scivolando (da un lato all’altro del campo, nda), bloccando le opzioni di passaggio, portando una pressione intelligente sul portatore di palla, cercando di forzarlo verso un passaggio sbagliato. Una volta riconquistata palla, il tempismo è un fattore importante per creare un’opportunità, quindi è utile arrivarci essendosi risparmiati cinque duelli individuali prima del recupero».

Questione di mentalità

Questo di Nagelsmann è un modo di pensare poco diffuso in Italia, dove le squadre pensano la propria fase difensiva poco in funzione di quella offensiva. Ci si difende per non prendere gol, non per recuperare il pallone. In altre parole, c’è poca reversibilità tra fase difensiva e offensiva. Adesso le squadre della Serie A pressano in zone più alte, ma lo fanno senza la volontà di conquistare il pallone per cercare una transizione positiva. Il pressing è diventato un altro strumento per tenere l’avversario lontano dalla porta, e le marcature a uomo sono uno strumento perfetto al servizio di questa mentalità.

Sia Torino sia Atalanta difendono le rimesse dal fondo con marcature a uomo in tutto il campo. Tante squadre nella Serie A lo fanno, però almeno con una superiorità numerica nella difesa.

La Bundesliga è forse il campionato in cui la fase difensiva è pensata in maniera più offensiva: uno strumento per conquistare il pallone in zone pericolose del campo, un presupposto per una transizione positiva capace di sorprendere l’avversario fuori equilibrio tattico. Le marcature a uomo invece, quando sono manipolate bene, portano il sistema a schiacciarsi troppo all’indietro, allungando il campo da risalire, trasformando una transizione in un contropiede.

A questo atteggiamento si aggiunge il poco coraggio nella costruzione del gioco dal basso. Se i difensori sono marcati si rifugiano presto in un lancio lungo. Una spia di questo la possiamo vedere nella marcatura a uomo alta sui difensori avversari durante il rilancio del portiere. Ci si può leggere un atteggiamento offensivo, certo, ma d’altra parte è anche un’ammissione di debolezza: il pensiero, conservatore, che la costruzione bassa avversaria è migliore del proprio pressing. Molte squadre difendono le rimesse dal fondo molto alte, con l’intenzione di evitare una costruzione bassa, costringendo la squadra avversaria verso un lancio lungo.

Andare a prendere la costruzione bassa avversaria dal rilancio del portiere impedisce alla squadra avversaria di cominciare il gioco come vuole e col ritmo che preferisce, ma la conseguenza è un aumento dell’importanza delle seconde palle. E quindi del fattore aleatorio, un’ulteriore complicazione a una riconquista alta e pulita, e quindi efficace.

Una riconquista palla efficace per andare a segnare passa quindi per una zona grigia, non una costrizione totale dell’avversario, ma la concessione di una specie di libertà illusoria. Il concetto è spiegato bene da Jürgen Klopp, apripista tedesco del pressing: «Si tratta di portare pressione su un giocatore, ma al contempo di concedergli l’opportunità di passare la palla. Ma non è una VERA opportunità».

Klopp vuole invitare l’avversario a costruire il gioco nella propria metà campo, pensando di avere una possibilità di giocare che si rivelerà una trappola. Con un orientamento più forte alla palla e ai compagni è più facile pressare in zone alte, avendo più copertura, aumentando il valore del singolo giocatore che da solo può pressare più di un avversario, e riconquistando davvero il pallone.

Con gli intercetti, invece che con i tackle, il pallone si conquista in maniera più netta: la prospettiva sul gioco è migliore e di solito anche il corpo è orientato meglio verso la porta avversaria. Le marcature a uomo invece hanno, tra gli altri, lo svantaggio che nella transizione positiva ci sono sempre avversari vicini agli attaccanti.

Insomma, il trend della Serie A di difendere in maniera più orientata all’uomo è abbastanza logico. È un sistema che porta vantaggi chiari dal punto di vista difensivo, ma altrettanti svantaggi da quello offensivo.

Le marcature a uomo rappresentano un passo indietro nello sviluppo e nel perfezionamento della fase difensiva. La sfida successiva a cui è chiamato il calcio italiano è quindi quello di combinare la sua storica organizzazione tattica con un’intensità più alta. Per fare un esempio molto attuale: il Red Bull Lipsia, famoso per il proprio pressing, pressa senza sbilanciarsi troppo, mantenendo sempre un buon equilibrio.

La Serie A negli ultimi anni sta già aggiornando in senso offensivo la propria identità. Superare le marcature a uomo significherebbe continuare in questa direzione: migliorare l’integrazione delle due fasi di gioco è ciò che permette un calcio davvero totale e moderno.

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