Due sono i ricordi nitidi del mio Milan anni '90, di quello che per me, poco più che bambino, rimarrà per sempre il Milan.
Il primo è una maglia numero 10 che si gonfia alla velocità dei dribbling di un calciatore montenegrino. Quella padronanza di palla, fatta tutta in punta di scarpino, e poi il suo sinistro, che un giorno mi spinse a comprare la prima maglia (taroccata): Savicevic.
Il secondo ricordo ha sembianze, colori e pose opposte: è quello di una maglia che, seppur non slim fit come quelle moderne, rimaneva composta a causa della possanza fisica di chi la indossava. La sua corsa tanto scoordinata quanto efficace, un'elevazione energica, una corsa vigorosa. Quella maglia era la numero 8 e di Marcel Desailly era la rievocazione.
A distanza di anni non riesco a inquadrare il mio amore dicotomico: il "Genio" ispirava con le sue azioni dalla trequarti, i suoi lanci in profondità e i suoi zig-zag sulla fascia che cercavo di emulare nel salotto di casa con una pallina in spugna. Ma rimanevo altrettanto stregato dalla potenza con cui Desailly usciva dalla fase difensiva, dal tempo (spesso non ortodosso) degli anticipi e dalla capacità di impostare le ripartenze.
Rielaborando oggi quella duplice attrazione, provando a darle una ragion d’essere, si potrebbe dire che undici Savicevic avrebbero avuto la peggio contro undici Desailly. Perché va bene la classe, la fantasia, il guizzo, ma poi in un modo o nell'altro l'avversario lo devi fermare, la porta la devi difendere e in campo devi correre e faticare. E poi magari riesci a buttarla dentro neanche troppo per il sottile:
Desailly decide Reggiana - Milan (2 gennaio '94).
Primavera marsigliese
Le caratteristiche che faranno di Desailly un pilastro delle squadre in cui giocherà (compresa la Nazionale francese), Marcel le aveva nel DNA fin da giovane. Nato da genitori ghanesi, Odenke Abbey acquisisce nazionalità e nomi francesi quando la madre sposa il console transalpino ad Accra e a soli quattro anni, seguendo il percorso del fratellastro, inizia ad adattare i geni al pallone nelle giovanili del Nantes.
Seth, il fratello maggiore, più grande di sette anni, si impone come giovane promessa nella rosa dei canarini e viene soprannominato dall'allora mister Suaudeau “The rock” per l'imponenza fisica e la prestanza del suo gioco.
Per Marcel il fratello è un esempio da seguire: simili per prestanza corporea e fisicità d'azione, Seth Adonkor era un centrocampista difensivo con eccellenti doti da “rastrellatore di palloni” e non trascurabili qualità offensive e tecniche. La testimonianza più memorabile è il lancio che fece per il compagno di squadra José Touré nella Coppa di Francia 1983 vinta dal PSG sul Nantes e che l'attaccante seppe custodire e depositare in rete così:
Nello stesso periodo, nel vivaio canarino, milita un altro giovane calciatore: Didier Deschamps. Il destino del futuro capitano della Nazionale è destinato a legarsi strettamente a quello dei fratelli Adonkor-Desailly. Quando nel novembre del 1984, per via di un incidente stradale, Seth perde la vita a soli 23 anni, la dirigenza del Nantes incarica Deschamps di annunciare in prima persona al coetaneo Marcel il triste avvenimento. Il loro legame assume da subito una sfumatura diversa, che va oltre la semplice condivisione dello spogliatoio, che diventerà un’amicizia che—come entrambi avranno modo di ricordare in più occasioni—«va ben al di là del campo».
Dopo la trafila nelle giovanili, nel 1986 Desailly arriva in prima squadra esordendo diciottenne nel campionato transalpino, sempre sulle tracce del fratello, da cui ha ereditato il soprannome. Le sue doti fisiche impongono la collocazione in campo come stopper, ruolo che caratterizzerà la sua adolescenza calcistica. Dopo 6 anni, 162 presenze e 5 gol viene acquistato, nel 1992, dall'Olympique Marsiglia, dove ritrova Deschamps e l'ex compagno di difesa Eydelie.
In realtà era stato vicinissimo a firmare per il Monaco: all'epoca la famiglia viveva lì e la piazza sembrava la più adatta per farlo crescere nel migliore dei modi. Tuttavia alla fine scelse l'OM, una squadra costruita per vincere in una piazza con molta pressione addosso. «Avevo bisogno subito di una grande per potermi esprimere nel migliore dei modi»: nel periodo marsigliese Marcel si forgia come difensore centrale, avvalorando il peso del numero 6 sulle spalle.
Il lavoro su sé stesso e sulle sue doti tecniche-tattiche è favorito dall'ambiente: oltre ai due amici (ed ex canarini al Nantes) condivide il reparto arretrato con tre pilastri, i giovani Barthez e Angloma, ma soprattutto Basile Boli. Quest’ultimo, pur avendo solo quasi due anni in più di Marcel, lo accompagnerà nella sua definitiva crescita difensiva e nell'approccio alla fase di finalizzazione. «Basile era più goffo di me in campo con la palla tra i piedi, ma era molto più tosto. Per me era un modello per come cercava sempre di essere migliore del giocatore che doveva marcare».
Il senso del gol in area di un giovane Desailly (St. Etienne - Marsiglia 1993).
Nel roboante 6-0 con cui l'OM strapazza il CSKA Mosca il 17 marzo 1993, l'ultimo gol, segnato da Desailly, è un po’ il manifesto della sua crescita, oltre che l'occasione in cui palesa l'innata sensibilità offensiva. L'azione infatti si sviluppa a partire da un suo spunto offensivo. Sulle conseguenze di un calcio d’angolo da lui provocato, si piazza al centro dell’area come fosse un centravanti. La difesa russa cerca di sventare, ma la palla schizza nuovamente in area, dove Marcel, con una torsione da attaccante puro, ha l’occasione per insaccare in gol. È la sua prima rete internazionale.
L'età media dell’OM è bassa (il più vecchio è il 33enne Völler) e inversamente proporzionale alla qualità del gioco, all'ordine in campo e all'affiatamento tra e nei reparti. L'esperienza a Marsiglia per Marcel si rivelerà tanto breve quanto intensa: 47 partite giocate e una Champions League vinta proprio nell'anno in cui la Coppa dei Campioni prende la nuova denominazione.
In finale l'Olympique, capitanato da Deschamps, batte a Monaco il Milan 1-0 con gol della spalla difensiva Boli: per i rossoneri è l'unica sconfitta sulle undici partite giocate nel torneo, per l'OM la prima vittoria del trofeo. Desailly, all’epoca 24enne, è il centrale di sinistra di una difesa a cinque ed è impegnato con i compagni di reparto a neutralizzare gli attacchi di van Basten, Massaro e Papin: la fisicità della giovane retroguardia francese schiaccia fino all’annientamento la fantasia di Lentini, Albertini, Donadoni e Rijkaard.
Quello dell’OM è il trionfo di un gruppo in cui il tutto è più della somma delle evoluzioni dei singoli. E questo tutto era l'humus ideale per l'adolescente (calcisticamente) Desailly. Se avessi avuto modo all’epoca di studiare, rivedendoli su YouTube, i suoi movimenti, forse non mi sarei mai invaghito di un attaccante della Serie A: sarei corso dal mister per chiedergli di farmi giocare centrale di difesa, anziché terzino, lo avrei convinto a farmi salire sui calci d’angolo, ad allenarmi negli anticipi.
Highlights Olympique Marsiglia - Milan, finale Champions League 1992-93.
Estate rossonera
«Quando penso alla mia esperienza al Marsiglia mi sembra di averci vissuto cinque-sei anni, in realtà ci sono stato solo un anno e due mesi». Il primo successo personale importante traghetta Marcel verso la sua piena giovinezza calcistica, il momento di massimo splendore della sua carriera. L'incrocio con il Milan a Monaco è fatale: nell’ottobre dello stesso anno si veste di rossonero. Ariedo Braida, in missione a Marsiglia per Alen Boksic, rimane colpito dalle doti fisico-tecniche del difensore e lo consiglia al Milan, che lo acquista per quasi undici miliardi di lire (unico acquisto di quella sessione autunnale).
«A Milano arrivai da perfetto sconosciuto, senza pretese»—ha raccontato in un'intervista a So Foot—«Davanti a me per i tre posti da straniero c’erano van Basten, Boban, Savicevic, Raducioiu, Laudrup e pure Papin, che era Pallone d’Oro. Insomma, ero l’ultimo. Capello mi mandò in campo perché diceva che mi allenavo bene. E mi lasciava tirare pure i calci di punizione, non una grande idea. Penso di essere arrivato al momento giusto».
Talmente giusto che nella stagione 1993-94, la sua prima italiana, conquista con la nuova squadra scudetto e Champions League, diventando il primo calciatore a vincere il trofeo dalle grandi orecchie due volte consecutive. E a scalare le classifiche di apprezzamento di noi piccoli milanisti (anche se in provincia purtroppo la sua maglia taroccata era impossibile da trovare).
Milan – Monaco, semifinale Champions League 1993-94. Desailly segna il gol dell'1-0 (3-0 finale).
Chiuso in difesa da Baresi, Costacurta, Maldini e Tassotti (praticamente il blocco difensivo della Nazionale italiana) a Capello non resta che affidarsi a un’intuizione: «Il nostro punto forte è la difesa, è favolosa, ma bisogna creare più azioni per segnare». Colpito dalla sua capacità di adattarsi all'impostazione generale della squadra, avanza Marcel sulla linea di centrocampo, in posizione bassa: in questa nuova veste Desailly ha modo di rispolverare le sue doti difensive e di aggressività, accompagnandole con buone capacità di lettura dell'azione e di impostazione del gioco.
Attitudini che vengono esaltate dalla qualità dei colleghi di reparto come Albertini, Boban, Donadoni, Savicevic, Laudrup ed Eranio. Desailly, intuita la chiave di volta, prende a lavorare per la finalizzazione, anche in prima persona, del gioco. Inizia a dare brio a un ruolo che ai miei occhi era solo di sudore e fatica, a dare una dimensione artistica a un purgatorio territoriale fatto di passaggi inutili e azioni interlocutorie.
Dopo il primo gol in campionato, contro la Reggiana, dichiara: «In Francia ho segnato pochissimo perché giocavo più per la difesa. Quando sono venuto in Italia mi è stato chiesto di aiutare Papin e Savicevic. Negli allenamenti ho scoperto di avere delle qualità».
Sebbene i suoi tecnici in Francia lo avessero già intuito, è la trovata consapevolezza nei propri mezzi il momento chiave della carriera tattica di Desailly. A Capello va riconosciuto tutto il merito di aver esaltato e coniugato le nuove doti di Marcel, di averne fatto un nuovo calciatore. Non solo a livello pratico, ma anche estetico. In un Milan farcito di autori del bel gesto, di danzatori sul campo, il francese assicurava un gioco tanto silenzioso quanto efficace, ricco di sostanza.
L'operaio elegante si fa spazio tra i pittori, legittima il suo ruolo, la sua arte. «Noi giocheremo come sempre, con la nostra zona. Anche se qualcuno ha diffuso la voce che io potrei trasformarmi in marcatore puro per bloccare Boksic. Balle. Giocherò a centrocampo, il Milan non si snatura, anche se Alen è un grosso giocatore», commenterà—non senza una dose di stizza—alla vigilia di un Lazio-Milan nel febbraio del '94.
«Un allenatore come Capello è stato fondamentale per me: durante gli allenamenti sentivi il peso del suo sguardo e io avevo bisogno di sentire addosso questo tipo di pressione. Era un mister molto esigente e questa sua caratteristica mi ha aiutato a tirare fuori il meglio di me».
Desailly si trova a suo agio: corre (anche) per gli altri e le palle che partono dai suoi piedi sono presto in cassaforte tra quelle dei compagni più dotati.
In campionato scende in campo 21 volte, segnando una rete e registrando un solo cartellino giallo (a dimostrazione del miglioramento della sua qualità di interdizione), ma è in Europa che Marcel fa la differenza, ravvivando la tradizione di notti magiche. Gioca 6 partite andando in rete 2 volte: una in semifinale contro il Monaco al Meazza, l'altra a chiudere il memorabile poker che annienta il Barcellona nella finale di Atene. La partita del “te lo ricordi il gol incredibile di Savicevic?”.
Milan – Barcellona, finale CL 1993-94, le azioni di Desailly.
Il match di Atene è stato, per certi versi, la partita della rivalsa: per Desailly, ma anche per tutto il resto della squadra. Prima della finale Cruijff aveva dichiarato: «Il Milan non è niente di speciale: basa il suo gioco sulla difesa, noi sull’attacco». Per spiegarsi meglio aveva fatto un esempio, spiegando che i blaugrana avevano speso per Romario, autore di 30 gol in 33 partite, la stessa cifra che il Milan aveva sborsato per Marcel. «Mi pare eloquente», aveva chiosato.
Rileggendo il match contro il Barcellona emerge la preziosa funzione di Desailly nelle dinamiche tattiche del Milan di Capello: "The Rock", posizionato davanti alla difesa, recupera una quantità infinita di palloni, la qualità dell’interdizione costringe spesso i blaugrana a commettere fallo per evitare le ripartenze dei rossoneri. Raramente il pallone viene allontanato in modo fortuito e senza una successiva costruzione. «Conoscevamo i nostri punti di forza e riuscimmo a vincere anche se erano tutti focalizzati sulla fase difensiva».
Il gol del 4-0 nasce da un suo recupero sulla trequarti spagnola; complice un tocco filtrante di Albertini, Desailly entra in area superando la linea difensiva col suo solito incedere ciondolante e, dopo un controllo col piattone apparentemente approssimativo, spiazza Zubizarreta in uscita con un tocco sotto a girare sul secondo palo.
L'uno-due campionato-Champions del primo anno rossonero si completa con il terzo trofeo della stagione, la Supercoppa europea vinta a discapito dell'Arsenal. Ma al Milan non è tutto rosa e fiori. Prima del secondo campionato vinto, quello del 1996, sono tre i titoli persi in finale: le Coppe Intercontinentali del '93 e del '94, rispettivamente contro San Paolo e Vélez Sarsfield. E poi la Champions del '95 contro l'Ajax.
In quell’edizione, dopo aver vinto per 1-0 al Parco dei Principi, il Milan ottiene la finale battendo i parigini anche al Meazza con una doppietta di Savicevic. Il secondo gol nasce da un recupero palla di Desailly nel cerchio di centrocampo: con tre falcate e controllo al volo elude l'intervento in scivolata di due avversari e serve con un tocco di esterno destro il montenegrino, che può involarsi verso la porta e battere Lama. Nell'azione c'è tutto Desailly: interdizione, dribbling, controllo palla in velocità e assist preciso sulla corsa del compagno. Rivedendo le immagini si ha la sensazione che avrebbe potuto proseguire in solitaria, che le falcate di Marcel avrebbero tagliato la difesa del PSG come lama nel burro.
Milan - PSG, semifinale ritorno CL 1994-95.
Della finale con gli olandesi, oltre al gol decisivo di Kluivert a cinque minuti dalla fine, è passato alla storia il salto con calcio volante annesso di van Gaal: l'allenatore dei "lancieri" protestò a bordocampo imitando l'intervento rischioso, a sua detta falloso, che Desailly fece su Litmanen, impedendo all'attaccante finlandese di entrare in area di rigore. L'arbitro invece fischiò punizione per il Milan.
Il senso della posizione e la coordinazione del movimento, nell'occasione, fanno trasparire la grande coscienza nei propri mezzi e la sicurezza del gesto atletico, proprio sui bordi della correttezza, con cui ferma l’attaccante dei "lancieri", in una zona molto sensibile del campo, ne è la prova conclamata.
Autunno londinese
Con un trasferimento di 4,6 milioni di sterline, nel '98 Desailly si trasferisce a Londra per rinforzare la retroguardia del Chelsea. Quell'anno la squadra londinese mette a segno alcuni colpi di mercato con l'obiettivo dichiarato di vincere la Premier League (arriverà terza): insieme a Desailly sbarcano a Londra anche Albert Ferrer dal Barcellona e Pierluigi Casiraghi dalla Lazio.
Il giocatore dichiarò, in un'intervista rilasciata a Four Four Two, di aver firmato prima del suo trasferimento in Inghilterra un pre-contratto con il Manchester United dopo aver parlato al telefono con Alex Ferguson, ma di aver optato per la squadra con ambizioni per lui più intriganti.
Con il saluto al Milan, la sua maglia che non ho mai avuto sarebbe diventata un cimelio, il ricordo vintage di un centrocampista estinto, di un modo di giocare evaporato: solo l'apparizione di qualche giovane promessa, come vedremo, permetterà di intravedere sul campo i tratti distintivi del miglior Marcel mediano, a testimonianza di una sorta di inattuabile eredità tecnico-tattica: le rocce dai piedi buoni rimangono rare, quasi come i diamanti grezzi.
La carriera inglese di Desailly mantiene comunque una forte base di italianità. In panchina lo allenano Gianluca Vialli prima (fino a settembre 2000) e Claudio Ranieri poi (fino a maggio 2004). I due mister fanno arretrare di qualche metro l'azione di Desailly, che si trova a fare coppia fissa, collaudata anche in Nazionale, al centro della difesa con Frank Leboeuf. E a fare da chioccia a un giovane John Terry, che in un’intervista all’Irish Mirror riconoscerà che: «Crescere con giocatori del calibro di Duberry, Leboeuf e Desailly ha sicuramente migliorato il mio gioco».
Il Chelsea rappresenta in tutto e per tutto la maturità calcistica di Desailly, ma in un certo senso ne segna il processo involutivo connaturato con l’avanzamento dell’età: torna nella posizione in cui aveva esordito da giovane, lascia le chiavi del centrocampo e l'onere di dover curare contemporaneamente le fasi difesa-attacco, per intascare quelle della retroguardia.
Marcel abbandona il fervore del numero 8 ed entra nei panni, con l'avanzare degli anni, del leader silenzioso, ma presente. «Marcel non parlava spesso» ha dichiarato ancora Terry «E allora un giorno gli chiesi perché e, nonostante fossi soltanto un ragazzino, mi degnò di risposta: "Perché se parli troppo la gente si abitua e dopo non fa più effetto. Io parlo solo quando c’è qualcosa d’importante da dire". Ho cercato di imparare anche dalle piccole cose come questa e ho tentato di dare sempre il massimo. Marcel, anche dopo aver vinto la Coppa del Mondo, pur avendo vinto tutto nel calcio, si allenava sempre allo stesso modo e questo è stato un esempio incredibile per me».
Sulle spalle, al Chelsea, ha di nuovo il numero 6, come ai tempi dell'OM: ciò non significa che avesse dimenticato come ci si comporta in area di rigore. In una partita di Champions League a Stamford Bridge contro il Copenaghen mette a segno un gol nel miglior stile “Desailly-attaccante boa”, con un tiro dal limite dell'area durante un'azione arrembante per raggiungere il pareggio. Coordinazione, potenza, precisione:
Chelsea - Copenaghen 1-1 CL 1998-99.
Al primo anno, come già con i rossoneri, arriva subito un trofeo: è la Supercoppa europea vinta contro il Real Madrid, a cui farà seguito il double della stagione successiva, Coppa d'Inghilterra - Charity Shield, tutti trofei vinti con Vialli in panchina (e in campo nella doppia veste player-manager).
Alla fine Marcel collezionerà circa 200 presenze, di cui quasi la metà da capitano, e 6 gol: pur giocando quasi sempre come “libero” nella difesa a cinque, spesso come centrale a fianco di John Terry dopo la cessione di Leboeuf al Marsiglia, e come centrale sinistro nella retroguardia a tre.
Il fascino calcistico del giovane Desailly inizia ad affievolirsi, compensato da una cristallizzazione delle sue doti di leadership e autorità. Nella ruvida Premier League i difensori centrali sono calciatori potenti, forti nel gioco fisico, ma con piedi discreti: Adams, Campbell, Ferdinand.
Nessuno di loro è in possesso della virtuosa propensione alla costruzione della propria azione, a discapito della distruzione di quella avversaria, di Desailly. Marcel si cala nel ruolo, ma è come se da cigno si trasformasse in anatroccolo: «In Italia il gioco era più tattico, in Inghilterra più veloce: c'è meno possibilità di giostrare col pallone ed è più probabile commettere fallo; negli ultimi anni della carriera ho sentito il bisogno di tornare nella mia posizione naturale».
L'importante militanza di Marcel, come giocatore e come uomo di spogliatoio, nella storia del club londinese è stata rimarcata, oltre che dai ricordi dei tifosi, anche dagli ex compagni di squadra: Terry, in occasione della 500.esima presenza con la maglia del club, ha voluto ricordare il suo compagno di squadra: «Mi ricordo quando Marcel era capitano e in un incontro con la direzione del club assecondò il passaggio del testimone: non smetterò mai di ringraziarlo per aver creduto in me come futuro capitano della squadra e per tutti i consigli che mi ha dato in campo e fuori, permettendomi di diventare il calciatore che sono».
A testimonianza dei meriti che vanno riconosciuti a Desailly per aver dato vita a un nuovo prototipo di ibrido difensivo, non del tutto centrale, ma neppure del tutto centrocampista, c’è da dire che il suo lascito tecnico-tattico è duro a morire, e crea epigoni. Nella finale di Capital One Cup contro il Totthenam di inizio 2015, Mourinho ha deciso di schierare, data l'assenza di Matic, il giovane francese Kurt Zouma a centrocampo, snaturando la classica posizione dell'emergente difensore.
A fine partita, soddisfatto dalla prestazione del suo giocatore, Mourinho ha commentato: «È molto difficile per un difensore centrale giocare a centrocampo: devi pensare più velocemente e prendere decisioni più rapide; ma il nostro nuovo Marcel Desailly ha lavorato duro questa settimana e in campo ha fatto un buon lavoro».
Cosa sarebbe successo se le epoche "Blues" di Mourinho e Desailly fossero coincise? Come avrebbe potuto adattare la sua impostazione di gioco, Mou, con a disposizione una pedina come Desailly? Gli avrebbe lasciato qualche possibilità di tornare il giovane Desailly o lo avrebbe ingabbiato nel suo esasperato difensivismo, quello in cui la difesa rimane in linea compatta e i centrali di centrocampo rimangono dietro la linea della palla senza proiezione in avanti? L’autunno, per quante calde ottobrate possa riservare, è sempre l’anticamera dell’inverno.
Inverno qatariota
Nel 2004 Desailly ha lasciato il palcoscenico calcistico europeo per trascorrere la vecchiaia da capitano in Qatar: nelle fila dell'Al-Gharafa, squadra della città di Doha, allenata dal francese giramondo Bruno Metsu. Per la terza volta nella sua carriera, dopo Milan e Chelsea, ha vinto un trofeo nella prima stagione di militanza, la Qatar Stars League, il massimo campionato qatariota: ma sono pur sempre soddisfazioni invernali, da fine d’anno.
Durante la stagione successiva, nonostante il successo con 14 punti di vantaggio sulla seconda, la squadra è stata smantellata e Desailly si è trasferito al Qatar Sports Club, con cui ha giocato 7 partite prima del ritiro ufficiale. Prima che la roccia si sgretolasse in tanti minuscoli granelli di sabbia.
Francia e Ghana
Il legame di Desailly con la sua terra d'origine è sempre stato controverso e altalenante. Ha deciso senza esitazioni—come il fratello Seth prima della prematura scomparsa—di diseredare la nazione dei suoi genitori, foss’anche calcisticamente, e di giocare per la Francia. Dopotutto ha sempre vissuto in Francia, dove si è trasferito quando aveva solo quattro anni, e i suoi modelli di riferimento, le sue ambizioni, erano tutte dentro l’Esagono.
L’esordio con la maglia dei galletti avviene nel 1993, durante le sfortunate qualificazioni ai Mondiali americani, ma è in previsione degli Europei del '96, sotto la guida tecnica di Aimé Jacquet, che Desailly diventa una pedina importante della formazione bleus.
Francia - Azerbaijan 10-0, qualificazioni Euro '96 (il gol dell'1-0 è di Desailly).
In quell'Europeo, assieme a Thuram, Blanc e Lizarazu forma una delle difese più solide degli anni ’90: la Francia arriva in semifinale. Ma è nel Mondiale di casa del '98 che Marcel raggiunge il tetto del mondo.
L’esperienza inglese lo ha già spogliato del brio vissuto durante gli anni milanisti: così come nei "Blues" inglesi, nella Nazionale transalpina il suo compito è quello di apportare esperienza e solidità al pacchetto difensivo, lasciando al centrocampo—ricco di qualità tecnica e muscolarità—i compiti di interdizione e impostazione del gioco.
Allenamento semiserio francese per disinnescare Ronaldo alla vigilia della finale mondiale '98.
La finale del 12 luglio allo Stade de France, però, per Marcel è un ricordo agrodolce, perché finisce anzitempo, al 68.esimo minuto: dopo aver rimediato un primo cartellino giallo per proteste a inizio secondo tempo, venti minuti più tardi si troverà costretto ad abbandonare il campo per un'entrata dura su Cafu. Nel mezzo, al 15.esimo minuto, aveva salvato un gol dopo un'uscita incerta di Barthez, evitando l'1-2 dei brasiliani: in un universo parallelo senza Zidane, Marcel ha salvato un intero Mondiale.
Dopo il Mondiale, con i "Bleus" Desailly ha conquistato l’Europeo del 2000 e le Confederations Cup del 2001 e 2003, da capitano: la fascia, per chiudere il cerchio, l’ha ricevuta da Didier Deschamps. A oggi è il terzo calciatore ad aver vestito per più volte la maglia della Nazionale, dietro solo a Thuram e Henry.
Il rapporto con la sua terra d’origine, per Marcel, ha assunto una rinnovata importanza dopo il ritiro dal calcio giocato: si è trasferito ad Accra, e per diverso tempo e a più riprese (2010-2012) è sembrato molto vicino alla panchina della Nazionale: «Ho dimostrato vero interesse nel progetto, ma forse non sono ancora pronto. Ho voglia di provare altro dopo la mia lunga carriera da calciatore. Non ho mai giocato col Ghana, ma non escludo che un giorno potrò allenare la Nazionale».
Nel giugno 2011 ha inaugurato un impianto sportivo, il “Lizzy Sports Complex”, in memoria di sua madre: «Quando annunciai a 13 anni a mio padre che avrei voluto fare il calciatore, lui mi considerò un pazzo, chiamava il pallone “uovo”. Mia madre invece mi supportò insegnandomi a non dimenticare le mie radici. Questo è anche per lei». Il "Lizzy Sports Complex" è uno dei più organizzati centri in Africa Occidentale finalizzati alla formazione sportiva dei giovani, oltre che essere un centro che fornisce occasioni di inclusione sociale ed educazione tout court.
I temi dell’educazione per l’infanzia, perorati anche durante il periodo in cui è stato ambasciatore dell’UNICEF, sono sempre stati accompagnati da una presa di coscienza politica molto forte.
Gli scontri più duri, come molti altri rappresentanti della Nazionale blanc beur black degli anni ’90, li ha avuti con Le Pen. Quando prima di Euro 96 il politico ha criticato l’eccessiva multirazzialità della squadra, Marcel ha risposto: «La forza della nostra squadra è proprio la sua componente multirazziale. Questa deve essere anche la forza del Paese». E quando nel 2002, al primo turno delle elezioni presidenziali, il partito nazionalista guidato da Le Pen ebbe un expolit, Desailly—all’epoca capitano della Nazionale—reagì così: «Voi giornalisti non siete abituati a un calciatore che prende posizione, ma nonostante non gradisca questo assalto mediatico non potevo tirarmi indietro: sono il capitano della Francia e non ho dubbi sul fatto che certe cose vadano dette. Credo sia incontestabile che Le Pen sia a capo di un partito fascista».
Per l'eternità
Per comprendere quanto sia stata costante, e su altissimi livelli, la carriera calcistica di Marcel Desailly, basta scorrere la lista dei riconoscimenti ricevuti in carriera. È stato inserito nelle Hall of Fame di ogni squadra in cui ha giocato, nel Top XI di quasi tutti i Mondiali o Europei che ha disputato; gli è stato addirittura tributato un intero videogame calcistico:
“Marcel Desailly Pro Soccer” sviluppato nel 2004 da Gameloft per Nokia N-Gage.
Pelé lo ha citato nella lista FIFA 100, un simposio dei migliori calciatori viventi secondo il gusto e la competenza di "O Rei". Se Desailly figura in quella lista è perché tra tanti piedi buoni, geni del pallone e talenti cristallini, tra i corridori, gli interditori e i mastini, è indispensabile qualcuno con entrambe le capacità: il guizzo nell'anticipo, il controllo di palla che sembra approssimativo, ma non lo è per niente, la lettura del movimento del compagno, la capacità dell'assist al posto giusto nel momento giusto; qualcuno che poi, soprattutto, di testa o di piede, sappia buttarla dentro, ogni tanto. Che sappia essere roccia, ma anche avere i piedi buoni. Proprio come Marcel Desailly.