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Dimitrov ha iniziato a lavorare il suo talento
12 ott 2016
Meglio tardi che mai.
(articolo)
12 min
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Fin da ragazzino, da quando vinse Wimbledon juniores nel 2008 era evidente quanto Grigor Dimitrov avesse modellato la propria gestualità sui calchi dei movimenti di Roger Federer. Un anno fa ha detto, sminuendo forse un po' la sua emulazione più o meno inconscia: «Non ho idoli bensì modelli. Io e mio padre eravamo sempre alla tv per guardare Agassi e Sampras, poi è arrivato Federer e tutto è cambiato. Mi rivedo un po' in lui per il rovescio a una mano». I tifosi del Maestro, da parte loro, si sono divisi su Dimitrov: c’è chi ha visto in lui un emulatore indegno, e chi invece un erede legittimo di quella corrente di pensiero (una retorica) che viene definita il vero tennis.

Nella stessa intervista citata sopra, Dimitrov ha aggiunto: «Credo di essere stato paragonato a lui troppo presto. All'inizio mi faceva piacere, era divertente, poi però il paragone è diventato pesante e mi schiacciava un po', la gente parlava solo di quello. In qualche modo mi ha ferito e sono davvero felice che sia tutto finito. Ora posso riderci su e pensare al futuro».

Quindi, Dimitrov non nasconde la sua riluttanza a isolarsi dalle pressioni esterne, ma non è stato questo l'unica difficoltà della sua carriera. A fine 2013 ha abbandonato l’accademia in cui si allenava, a Stoccolma, per farsi allenare dal coach Roger Rasheed, che secondo alcuni lo ha impelagato in un tennis eccessivamente robotico e poco brillante. A settembre 2015 si è legato all'ex coach di Del Potro, Franco Davín, abbandonato però poco prima di Wimbledon 2016 dopo aver messo su una clamorosa sceneggiata alla finale di Istanbul (persa contro Schwartzman), rompendo tre racchette in fila e mostrando al pubblico tutta la sua vulnerabilità.

Dimitrov alla fine viene anche squalificato.

In estate Dimitrov si è accasato a Dani Vallverdu, introdotto nel mondo del coaching da Murray che lo usava come sparring: Vallverdu ha un best ranking di numero 727 al mondo nel 2005 e iniziò a lavorare con lo scozzese proprio mentre esalava gli ultimi respiri come giocatore nel 2010, a 24 anni. Passato poi a Berdych e, per un breve periodo, a Del Potro, Vallverdu si è accordato con Dimitrov su un «progetto a lungo termine in cui credo molto. Sono pronto ad occupare a lungo questo ruolo». Progetto che il bulgaro ha voluto condividere con quello che alcuni considerano il miglior coach al mondo.

Parlando del gioco di Dimitrov in senso stretto Vallverdu si è espresso così: «Viene da un periodo in cui aveva perso un po' di identità, non sapeva che tipo di giocatore fosse. Io spero di dargli una mano e semplificare il suo tennis. Ha mille opzioni ma queste devono emergere soltanto quando si trova in situazioni complicate». Vallverdu fondamentalmente ha spinto per staccare ulteriormente il cordone ombelicale da "Re Roger" e oggi Dimitrov si presenta in campo come un giocatore differente dal suo passato da top 10, ma forse proprio per questo con potenzialità maggiori.

Come è cambiato Dimitrov

Il dritto è ormai generalmente il colpo più emblematico delle qualità complessive di un giocatore, anche e soprattutto a livello strategico. In questo senso Dimitrov nel corso della sua carriera nel circuito maggiore ha attraversato tre macro-fasi che coincidono con altrettante versioni del suo dritto.

La prima fase era caratterizzata da un tennis molto à la Federer e il dritto di Dimitrov rispecchiava piuttosto fedelmente le caratteristiche di quello dello svizzero. Soprattutto Dimitrov era molto abile a riprodurre quella violenta accelerazione del braccio e anche del polso che David Foster Wallace definì frustata liquida, parlando del dritto di Federer. La fluidità di Dimitrov produceva una grande velocità sulla palla per via dell'accelerazione in avanti del braccio, e anche un po' di rotazione se necessario.

Contro Djokovic a Madrid 2013, prima dell'arrivo di Rasheed. Il dritto di Dimitrov è molto fluido e si nota bene l'accelerazione del braccio e del polso che produce anche un leggero topspin. L'attacco lo fa con il finale sopra la testa e dà ancora più rotazione, ma in generale il braccio è molto libero.

Rasheed ha pulito il gesto molto istintivo e naturale di Dimitrov, e forse questo è stato uno dei suoi principali errori. Nel periodo in cui ha lavorato con il coach australiano Dimitrov ha reso il gesto tecnico del dritto molto più ordinato ma non per questo più efficace, anzi: la minor accelerazione del braccio ha impedito a Dimitrov di raggiungere con costanza i picchi di velocità che toccava in precedenza. Il suo colpo è rimasto più "ingessato", così come il suo gioco, intrappolato in scambi più lunghi e senza la possibilità di sprigionare il talento necessario per emergere dalle complesse ragnatele da fondocampo.

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Qui contro Baghdatis all'Australian Open 2015: potrebbe accelerare e uccidere lo scambio ma il dritto è troppo pulito, quasi "da maestro", e non abbastanza aggressivo. In questo modo perde campo e subisce il vincente del cipriota.

Vallverdu ha dovuto raccogliere i cocci, provando nuove modifiche al dritto del bulgaro. Dimitrov ora colpisce la palla con la stessa fluidità delle prime fasi di carriera, ma ha deviato il percorso intrapreso da Rasheed in un dritto che non ha più la frustata del primo periodo, ma che ha più rotazione e riesce ad essere sempre aggressivo. La traiettoria della testa della racchetta segue direttrici più verticali e rotonde, l'avambraccio gira più intorno al corpo anziché spingere quasi totalmente in avanti e in questo modo la palla prende molta più rotazione, ma il colpo non perde fluidità. La velocità del colpo è un po' diminuita ma le traiettorie sono molto più cariche e lo spin compensa il leggero calo di velocità.

Dimitrov con questo nuovo dritto ha inevitabilmente rivisto il suo gioco. Nelle sue prime uscite estive, nei tornei su cemento americano, il bulgaro scambiava con molta attenzione accelerando solo nei momenti in cui era quasi sicuro di chiudere il punto, e prediligeva invece inizialmente la semplice ricerca degli angoli, della profondità e della regolarità.

In questo scambio, a Cincinnati contro Simon, Dimitrov imposta il punto alla maniera spagnola. Non accelera ma preferisce giocare tre dritti consecutivi arrotati (dalla prospettiva si vede bene l’altezza della palla sulla rete) e profondi, cambiando angolo ogni volta. Lo spin e la profondità di palla spingono Simon fuori dal campo e forzano il suo errore. Forse Vallverdu intendeva anche questo quando parlava di «semplificare il suo tennis».

Nel corso nelle settimane Dimitrov ha trovato sempre più confidenza con il suo dritto, calibrandolo sempre meglio sulle sue scelte tattiche, e all’ultimo torneo di Pechino il suo potenziale ha trovato un riscontro nei risultati. Dimitrov riesce a sviluppare un palleggio aggressivo e profondo, alternandolo a giuste accelerazioni, o in alternativa a cercare gli angoli. Seppur faccia ora più fatica a generare un vincente diretto con il dritto, la traiettoria arrotata gli consente sia di tenere un po' più lontano l'avversario dal campo, sia di avere il tempo di prendere la rete su un attacco che non è mai calibrato al 100% della velocità massima.

Bastano rotazione e angolo un po’ stretto con il dritto per avere il tempo di scendere a rete. Da manuale poi la volée di rovescio in avanzamento che prende in controtempo Pouille.

Dimitrov ha quindi anche riscoperto l'attacco a rete che ora utilizza molto spesso, in un periodo storico dove - soprattutto in seguito alla cura-Edberg su Federer - diversi top player come Raonic, Nishikori e Del Potro hanno migliorato il loro gioco verticale e lo utilizzano sempre più frequentemente.

Ma il lavoro con Vallverdu ha investito anche l’altro fondamentale al rimbalzo: Dimitrov ha sempre sofferto di un po’ di mancanza di continuità nella profondità con il rovescio. Questo era dovuto a un paio di difetti tecnici che si è portato dietro più o meno con continuità fino a pochi mesi fa. Durante la preparazione del rovescio, Dimitrov non sempre riusciva a puntare il piede destro in avanti ma piuttosto in laterale, e questo gli faceva perdere un po’ di distanza dalla palla; il busto, inoltre, troppo spesso tendeva ad alzarsi e arretrare, senza rimanere sopra la palla e dare controllo al corpo.

Contro Ungur a Istanbul nel 2016, soltanto pochi mesi fa, ancora sotto la gestione Davín: Dimitrov tende ad andare in laterale con il busto un po’ arretrato. Impatta troppo dietro e non riesce a caricare il rovescio, che finisce sempre corto e gli fa perdere inesorabilmente campo.

Vallverdu ha lavorato per migliorare molto la coordinazione nel footwork e nei passetti di avvicinamento al rovescio e ha permesso a Dimitrov di colpire con il busto molto più sopra la palla (come fa Wawrinka, per intenderci) e con una traiettoria della racchetta più rotonda, che scende un po’ di più sotto la palla prima di colpire e che dà anche più topspin. Questo si traduce in un miglior controllo dei colpi in anticipo, in una maggiore profondità (anche grazie alla sicurezza data dalla maggiore rotazione) e in una migliore capacità di colpire con due passetti in diagonale in avanzamento. Aumenta anche la possibilità di avere un lungolinea stabile e profondo che spesso è molto utile per uscire dagli scambi nella diagonale sinistra.

Pochi giorni fa contro Nadal: lo spagnolo insiste a oltranza sulla diagonale sinistra ma Dimitrov cerca benissimo la palla, lascia inizialmente cadere la racchetta durante la preparazione e gioca una serie di rovesci molto carichi e profondi. Decide di prendere in mano lo scambio con un bel rovescio lungolinea e costringe Nadal ad accorciare: subito Dimitrov può tornare a comandare con il dritto.

I miglioramenti durante le settimane sono stati evidenti: anche a causa della scarsa fiducia accumulata in precedenza, Dimitrov a Cincinnati ha prodotto un tennis regolare e fluido ma ancora lontano da quello attuale, nonostante abbia sfiorato la prima finale in carriera in un Master 1000. Il dritto ora è un colpo sicuro sia in manovra che in finalizzazione, ed è emblematica l’istruzione di Lendl negli appunti che Murray consultava al cambio campo durante la finale di Pechino: «Non lasciare che detti il gioco con il suo dritto».

Il rovescio ha inizialmente un po’ sofferto nel timing, ma nel corso del tempo è diventato più solido e sicuro, come ha dimostrato la differenza di resa tra la partita contro Murray agli US Open e quella, progredita, nelle fasi finali di Pechino (tra cui la finale contro lo stesso Murray). Anche lo splendido back, mai smarrito, e la palla corta di rovescio rimangono opzioni validissime dalla parte sinistra.

Anche la condizione atletica, oltre alla precisione nel footwork, sembrano in netta crescita e gli consentono di vincere anche miracolosi punti in totale difesa. Rimane un unico grave difetto che è quello del dritto in corsa, mai colpito in avanti e su cui non riesce mai a trovare la corretta distanza dalla palla anche perché scappa dalla linea di fondo.

Con il dritto in corsa ancora non ci siamo.

Ora cosa dobbiamo aspettarci?

Grigor Dimitrov sembrava l’erede di Federer ma per ritrovare la strada smarrita ha dovuto lavorare sul proprio gioco, effettuando dei cambiamenti tecnici che lo hanno fatto somigliare a un giocatore più regolare e solido. Se qualche anno fa Laura Golarsa in un video dimostrava che le somiglianze tra Federer e Dimitrov stessero più nel braccio che nel footwork e nel lavoro del corpo, paradossalmente ora si potrebbe dire che la situazione si stia invertendo e che Dimitrov si sia allontanato di braccio dal modello-Federer, ricercandone però sempre di più la perfezione nel movimento dei piedi.

Dimitrov sembra però aver intrapreso una diversa strada anche dal punto di vista psicologico. A fine 2015, riferendosi anche alla rottura della relazione con Maria Sharapova e a quella professionale con Rasheed, diceva della sua annata: «Ho iniziato bene in Australia giocando bene con Murray, poi da lì è andato tutto storto. Ho perso fiducia dopo quel match, ho cambiato qualcosa nella racchetta e molte cose nella vita. Ho cominciato a fare fatica negli allenamenti, non stavo tanto bene fisicamente e il mio livello di gioco ne ha risentito. Tutto ciò mi ha destabilizzato. Spero di non ripetere gli stessi errori nel 2016».

Praticamente a un anno di distanza le sue dichiarazioni sono completamente capovolte nello spirito. Dimitrov ora dice che «per un giocatore che è stato nei primi 10 dover ricominciare la scalata da capo è difficile, ma ho dovuto accettarlo e ritornare alle basi. Mi sono chiesto cosa farei se non giocassi a tennis, o cosa potrei fare se mi allenassi di più: credo che ogni persona nella propria vita arrivi a un punto in cui tira una riga e decide cosa vuole fare sul serio. Mi sono creato un mio mondo, mi sono dato delle regole e mi sono circondato di determinate persone. Sono grato del fatto che tutto sia andato nel modo in cui è andato, perché mi ha aiutato a capire tante cose».

Quando parla del periodo più difficile, Dimitrov utilizza il passato. E si capisce soprattutto quanto sia diminuito il suo narcisismo in campo e quanto sia cresciuta la consapevolezza di dover essere pragmatico. Dimitrov non fa più determinate cose per dimostrare di saperle fare, né perché deve seguire un codice d’onore interno che gli impone un certo grado estetico da mostrare sul campo a prescindere dalla sua utilità concreta. Dimitrov sembra aver realmente capito come si vince, e se due anni fa raggiunse la posizione numero 8 con un tennis tecnicamente istintivo, unito alla rigida preparazione atletica di Rasheed (prima veniva assalito troppo spesso dai crampi), c’è la concreta possibilità che il lavoro molto più completo di Vallverdu possa estendere il suo potenziale in modo più ampio, permettendogli di raggiungere qualsiasi tipo di risultato.

Come dimostra la sconfitta di oggi (per pochi punti) contro un giocatore comunque valido e in fiducia come Vasek Pospisil, manca però ancora un po' di continuità: dopo una settimana intensa a Pechino e un'altra bella vittoria a Shanghai contro Gasquet (due soli giorni dopo la finale contro Murray), Dimitrov è arrivato con le pile un po' scariche e soprattutto nei punti importanti contro Pospisil ha mostrato un po' di carenza di intensità.

Philippe Bouin diceva di Federer: «Con il talento non si è necessariamente dei campioni. La cosa che più mi piace di Federer è il modo in cui ha dominato il suo talento, perché il talento può essere la cosa peggiore per te. Federer è uno dei più talentuosi giocatori che ci siano ma ha deciso di servire il suo talento, di cambiare la sua vita. Ha cambiato la sua mentalità per sfruttare a pieno il suo talento». Se c’è una cosa in cui Dimitrov deve assomigliare a Federer è proprio questa, e forse ha già iniziato a farlo.

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