Western Conference
Houston Rockets-Minnesota Timberwolves
di Dario Vismara
1) L’attacco di isolamenti e pick and roll ossessivi di Houston può avere successo anche nei playoff oppure riemergeranno i limiti mentali della squadra?
Che gli Houston Rockets potessero vincere una valanga di partite in regular season non è esattamente una sorpresa: il sistema di Mike D’Antoni in passato ha reso guardabili persino Chris Duhon e lanciato la carriera dello sconosciuto Jeremy Lin, figuriamoci quali possono essere i risultati con James Harden e Chris Paul a dividersi il volante della squadra. Una volta capito che i Rockets avrebbero veleggiato verso il miglior record della NBA, però, il focus si è concentrato su altro, andando a tirare fuori tutti gli scheletri dagli armadi delle due stelle, che nei prossimi mesi avranno molto da dimostrare sulla loro consistenza nei playoff.
La vera differenza rispetto al passato e alle precedenti versioni delle squadre di D’Antoni è quanto i Rockets riescano a essere incisivi anche nella propria metà campo. Avere il sesto miglior rating difensivo della lega è un risultato assurdo per una squadra con quell’attacco, soprattutto perché è stato basato su una qualità che si fa sempre più importante con l’avanzare della stagione, ovverosia la capacità di cambiare su tutti i blocchi.
Più ancora di quanto riusciranno a fare in attacco o di quanti ostacoli mentali dovranno superare, sapere quanta fisicità mettere sui cambi difensivi, quando aiutare e quando rimanere sui tiratori, come costringere gli attacchi ai peggiori tiri possibili senza concedere mismatch sono qualità importantissime in post-season, dove il gioco si trasforma in una pallacanestro di cambi: conta quanto li sai fare bene in difesa e quanto li sai attaccare bene in attacco.
I Rockets, però, possono contare su due dei migliori giocatori in isolamento di tutta la lega e questo è un vantaggio incalcolabile rispetto al resto della concorrenza: con l’avanzare dei playoff le difese si fanno sempre più sofisticate e sempre più brave a toglierti quello che sai fare bene, costringendoti spesso a “instupidire” il tuo attacco per non finire in un vicolo cieco e mettere punti a tabellone. Gli Houston Rockets però non hanno di questi problemi perché il loro attacco è già “stupido”, ovverosia basato su soluzioni tanto semplici (pick and roll centrali e isolamenti) quanto ad altissima efficienza (uno contro uno, roll a canestro del lungo e tiratori appostati sul perimetro) nel momento in cui sono gestite da giocatori di quel calibro. Una logica quasi binaria, ma che nei playoff funziona quasi più di un sofisticato movimento di palla giocato da squadre di talento inferiore: pensate a quanta strada hanno fatto i Cleveland Cavaliers negli ultimi anni affidandosi al talento individuale di LeBron James e Kyrie Irving circondati di tiratori.
Basterà per arrivare fino in fondo e battere anche i Golden State Warriors? È quello che vogliamo scoprire, anche perché questa squadra ha ancora bisogno di essere “testata” in situazioni mentalmente difficili, e il ricordo di James Harden che molla completamente in Gara-6 contro i San Antonio Spurs privi di Kawhi Leonard è ancora fin troppo fresco nelle memorie di tutti. Ma sarà una delle storie più interessanti di tutti i playoff, e in un modo o nell’altro finirà per definire non solo questa stagione, ma - volenti o nolenti - anche come ricorderemo due giocatori generazionali come Harden e Paul.
Golden State Warriors-San Antonio Spurs
di Dario Ronzulli
2) Fino a dove può ragionevolmente arrivare Golden State senza Steph Curry?
Partiamo dai numeri: con Curry in campo gli Warriors hanno un irreale 120.4 di rating offensivo e 105.7 di difensivo, e il Net Rating a +14.7 è il migliore tra i giocatori di Golden State e tra quelli di rotazione dell’intera lega. Quando invece Steph si siede in panchina o comunque non è in campo, c'è un crollo verticale in attacco - 106.1 di offensive rating e una percentuale reale dal campo che passa dal 61% al 53.9% – con la difesa che migliora seppur di poco, 103.1.
Anche i numeri quindi certificano la sensazione comune, ovvero che l'attacco degli Warriors con Curry sia una cosa e senza Curry sia tutt'altra. È ovvio che sia così: la sua velocità di esecuzione e il range di tiro rendono impossibile per le difese fare delle scelte che escludano la marcatura del numero 30. Senza di lui, Golden State ha un attacco più “prevedibile”, pur rimanendo comunque di alto livello.
C'è un’altra statistica da tenere a mente. I primi due migliori tiratori dell'NBA in situazioni di clutch per percentuale reale sono Kevin Durant (64.1%) e Steph Curry (60.2%). Significa che quando la situazione è in equilibrio – e in post-season capita spesso – Golden State ha due assi terrificanti da poter mettere sul tavolo: altro motivo per cui difendere contro questi due al loro meglio, e specialmente quando vengono coinvolti direttamente nei pick and roll, è un'impresa per chiunque. Gli Warriors restano una squadra d'élite anche senza Curry ma per arrivare a giocarsi il titolo per il quarto anno di fila non possono pensare di percorrere tutta la strada rinunciando al papà di Riley.
Per rispondere alla domanda iniziale, ipotizziamo che il recupero dalla distorsione al ginocchio sia più lento di quanto si augurano nella Baia e di quanto dichiarò Steve Kerr (“Curry non potrà giocare il primo turno playoff”). Contro questi Spurs, i campioni in carica non dovrebbero avere particolari problemi ma già eventualmente contro Portland – ripensando a questo match di regular season e alla stagione di Damian Lillard - le cose si complicherebbero. Superato lo scoglio semifinale e presumendo che vada tutto secondo pronostico, la finale di Conference contro Houston affrontata senza Curry vedrebbe Golden State non favorita - o meno favorita, se preferite -, con il peso dell’attacco quasi tutto sulle spalle di Durant. Che non è uno scenario catastrofico, intendiamoci, ma non si tratta neanche della situazione migliore in assoluto per gli Warriors che hanno bisogno, quest’anno più che mai vista la concorrenza agguerrita, del loro supereroe.
3) Quindi dobbiamo rassegnarci al fatto che San Antonio non avrà Kawhi Leonard?
Eh, temo proprio che Kawhi lo rivedremo dopo l’estate, quando comunque il mistero che lo ha circondato fino ad oggi non verrà svelato interamente. Resterà uno di quei segreti tipici americani come l'Area 51 o le schede per Al Gore in Florida. Per come è andata la stagione, è molto più facile pensare ad una San Antonio senza Leonard contro Golden State e con tanti dubbi sugli anni a venire.
Ormai il Social Media Manager va di copia-incolla cambiando solo l’avversaria.
Gli Spurs si sono aggrappati al treno playoff con la forza della disperazione, trascinati da LaMarcus Aldridge che dopo l'All-Star Game si è preso più responsabilità che in tutti i mesi precedenti passati in Texas (27.9 punti e 9.6 rimbalzi sui 36 minuti con 31.3% di Usage). Senza dimenticare l'apporto dei veterani e di Manu Ginobili, che è una categoria a parte, gli Spurs sono stati encomiabili per come hanno reagito alla prospettiva, ad un certo punto molto concreta, di mancare la post-season dopo 20 anni, ma contro gli Warriors hanno chance tendenti al nulla. Detto che è lecito attendersi comunque gare tatticamente interessanti – glielo dite voi a Gregg Popovich di non provarci a mettere granelli di sabbia negli ingranaggi di Steve Kerr? -, al di là di ciò la stagione degli Spurs passerà alla storia per l'affaire-Leonard. Per quanto è stato possibile ricostruire, l'MVP delle Finals 2014 non gioca perché non si sente sicuro, non si sente al 100%, ha paura di rifarsi male al quadricipite: si allena regolarmente ma al momento di giocare dice no e assiste in borghese. Gli inviti dei compagni a mettere da parte i timori sono per ora caduti nel vuoto e l'unico appiglio per vederlo in campo nei playoff è proprio che si tratti dei playoff.
Una eventuale presenza di Leonard nella serie contro Golden State non cambierebbe l'equilibrio generale ma darebbe sicuramente enfasi allo scontro e, probabilmente, contribuirebbe a dare indizi più certi sul futuro di Kawhi. Lui ha dichiarato di voler rimanere Spurs a vita, ma non è detto che la dirigenza o lo spogliatoio abbiano lo stesso pensiero.
Portland Trail Blazers-New Orleans Pelicans
di Daniele V. Morrone
4) Anthony Davis è diventato talmente enorme da poter vincere una serie di playoff da solo?
Il tema principale di questa serie tra Portland e New Orleans ha effettivamente a che fare con l’esplosione di Anthony Davis come uno dei primi cinque giocatori della lega. Dopo aver assistito alla sua definitiva ascesa all’Olimpo della NBA, ora siamo di fronte a un turno di playoff in cui deve farci capire se è arrivato al punto di poter spostare una serie praticamente da solo.
I Pelicans si affideranno totalmente a lui, a partire da come difendere l’attacco di Portland: contando sul fatto che almeno in prima battuta Portland proverà sempre a far partire un pick and roll per mettere Lillard in condizione di tirare, Davis dovrà dimostrarsi in grado di cambiare sul perimetro in maniera distruttiva, anche se la stella dei Blazers ha dimostrato che in questa stagione neanche la mano in faccia lo riesce a fermare. Coach Alvin Gentry potrebbe pensare di togliere Davis del tutto dal pick and roll di Lillard nei momenti freddi della partita, mettendolo dalla parte opposta dell’area per chiedergli solo di intervenire in aiuto e concentrando i suoi sforzi solo nei momenti del bisogno. Bisogna inoltre considerare se Gentry preferirà chiedere a Davis questo sforzo extra per provare a contenere direttamente Lillard o se opterà per distribuire la fatica, magari mitigando soltanto l’impatto di Lillard decidendo di giocare con tanti esterni come piace a lui e accettare di cambiare su tutti i blocchi sempre così da avere Davis più fresco quando si tratterà di attaccare.
Perché alla fine quello che realmente conta per i Pelicans è il trade-off tra quanto un difensore fantastico come Davis deve sforzarsi in difesa senza perdere troppa lucidità poi davanti. Per quanto sia giusto preoccuparsi di come limitare gli avversari più talentuosi, questa serie ha senso per i Pelicans solo ed esclusivamente se Davis porterà tutto il suo potenziale offensivo su ogni singolo possesso. Se insomma potrà attaccare in modo lucido e sfruttare il suo essere un mismatch vivente per la difesa di Portland, che non ha nessuno da potergli mettere contro in grado di stargli dietro dal punto di vista fisico o atletico. Con Davis parliamo di un giocatore in grado di segnare 40 punti contro qualunque difesa anche solo agendo dalla media distanza, l’evoluzione sui due lati del campo di quella che era stata la Rivoluzione di Kevin Garnett. In questo senso non penso neanche che sarà Jusuf Nurkic a doverlo marcare, perché già in stagione Portland si è preoccupata di come nascondere il bosniaco su avversari decisamente meno pericolosi di Davis. Ma anche l’opzione di vederlo marcare da chi come Al-Farouq Aminu non ha il fisico ma ha i piedi per stargli dietro rischia di costare caro, se Davis dovesse essere sempre lucido da poterlo puntare.
Se la stagione di Davis da quando Boogie Cousins è uscito dai giochi è stata Garnettiana, riuscire a passare il turno con questa squadra rappresenterebbe una nuova consapevolezza della sua forza non solo come aspirante dominatore della lega, ma ne cementificherebbe anche la legacy come vero erede di KG.
Oklahoma City Thunder-Utah Jazz
Di Nicolò Ciuppani
5) Oklahoma City ha una “marcia playoff” oppure è la squadra inconcludente vista in regular season?
I playoff sono indubbiamente il momento della stagione in cui lo star power fa tutta la differenza del mondo. Le partite diventano immancabilmente punto a punto perché le squadre si conoscono progressivamente di più e le distanze si accorciano. OKC in questo ha sicuramente un vantaggio, perché avere tre giocatori in grado di prendersi tutti i tiri più pesanti è oro in situazioni di ristagno (sebbene Carmelo Anthony sia ormai in involuzione totale e in una forma fisica forse pure peggiore di quella che aveva ai New York Knicks). Altre due caratteristiche che spesso sono determinanti ai playoff sono il controllo dei tabelloni e una difesa asfissiante. Nel primo caso, benvenuti a Rebound City: i Thunder sono una macchina da rimbalzi offensivi, con Steven Adams che è campione mondiale dei pesi massimi di taglia-fuori, Westbrook che è in grado di prendere qualunque rimbalzo fuori dalla portata di chiunque anche a costo di saltare sopra la testa di un avversario fuori dal campo, e in generale tutta la squadra sembra sopra il par per dominare le plance se decidesse di farlo.
Per quanto la riguarda la difesa… purtroppo per loro non siamo ai livelli del passato. I Thunder non hanno una pessima difesa, ma sono solamente sufficienti. Sicuramente prima dell’infortunio di Andre Roberson erano una difesa ottima, ma dall’infortunio del loro miglior difensore perimetrale si sono assestati su un livello più basso, probabilmente perfino sotto la sufficienza. Questo non solo perché Roberson era in grado di mettere pezze sopra le scorribande insensate di Westbrook, che si perde alla ricerca di rubate dietro la palla o lascia perdere l’uomo cercando di saltare su una linea di passaggio, ma perché la sua presenza dava un tono all’ambiente (meglio del tappeto del Drugo Lebowski) e spingeva tutti a difendere al proprio meglio.
È possibile che ai playoff la musica cambi e che quindi tutti i Thunder decidano spontaneamente di accendere l’interruttore ed essere completamente focalizzati nella loro metà campo, rendendosi una vera e propria mina vagante per la post-season. Tuttavia la miglior qualità dei Thunder (quella di essere in grado di portare qualunque partita punto a punto) è anche un’arma a doppio taglio, nel senso che sono veramente in grado di portare QUALUNQUE partita, anche quelle estremamente facili, punto a punto. Il loro rendimento nel clutch non è stato minimamente efficiente come quello dell’anno scorso, pertanto il rischio di vederli vincere partite in cui sono molto svantaggiati come quello di perdere gare vinte in partenza è reale.
I Thunder insomma sembrano la squadra rischio per eccellenza: potrebbero andare molto avanti nella post-season come bruciarsi molto più rapidamente di quanto ci si aspetta.
6) La difesa di Utah è in grado di mettere la museruola all’attacco dei Thunder, aka Westbrook against the world?
Occorre rimettere le cose al giusto contesto: i Jazz hanno praticamente la miglior difesa della lega, essendo secondi ai Boston Celtics ma distanziati solamente da un decimo di punto, pur dovendo fare a meno di Rudy Gobert per buona parte della stagione. Tuttavia l’anno scorso la difesa dei Jazz collassò ai playoff, anche se per mano dei Golden State Warriors che erano praticamente ingiocabili, mentre al turno precedente fu quella a tenerli in vita contro dei Clippers in una serie più dimenticabile che altro. I Jazz insomma non sono solo in grado di fermare potenzialmente i Thunder, ma di fermare chiunque, almeno all’apparenza.
Questi playoff saranno comunque un banco di prova notevole: gli attacchi avversari punteranno Donovan Mitchell in più occasioni e proveranno a muovere Gobert fuori dal pitturato il più spesso possibile, con i Thunder che dovranno punire continuativamente dall’arco appostando George e Brewer nei due angoli ad aspettare lo scarico o il ribaltamento. Ma nelle serate in cui il tiro non dovesse entrare, i Thunder spesso smettono di eseguire in attacco per affidarsi alle loro stelle e ai loro isolamenti; e se magari gli isolamenti di Westbrook o George sono sufficientemente efficienti per sopportare un periodo di magra, una serie di iso dell’ultimo Melo o di un Raymond Felton in delirio di onnipotenza sono completamente deleteri per l’inerzia della gara. Quante volte Utah riuscirà a costringerli a tiri a bassa efficienza determinerà l’esito della serie.
Eastern Conference
Toronto Raptors-Washington Wizards
Di Fabrizio Gilardi
1) Riuscirà Toronto a perdere Gara-1 anche quest’anno?
Per i meno attenti: Toronto ha un record di una vittoria e 11 sconfitte in Gara-1 in tutte le serie di playoff della propria storia, con l’unica vittoria arrivata alle semifinali di Conference del 2002 contro Philadelphia. Ancor di più: lo 0-9 al primo turno ha portato con sé situazioni tragicomiche come la sirena del cronometro di tiro umana del 2014.
Comunque la risposta alla domanda dovrebbe essere no, perché Washington è pur sempre la peggior squadra ad essersi qualificata per la post-season record alla mano, e anche in quanto molto poco squadra (vedi dopo), ma soprattutto perché questo è un anno di rottura rispetto a tutte le tradizioni recenti, a partire dal fatto che lo slogan “We The North” è abbastanza fuori luogo, potrebbero usarlo al massimo i Timberwolves che stanno un centinaio di miglia più vicino al Polo Nord rispetto ai Raptors.
In stagione regolare Toronto e Washington hanno vinto due scontri diretti a testa, John Wall non ha giocato in alcuna delle quattro partite ed a fare le fortune dei Canadesi è stato il rendimento della panchina, come testimoniato anche dai +/- complessivi di queste sfide: -28 Valanciunas, -26 Ibaka, -13 DeRozan, -12 Lowry, +41 VanVleet, che però ha problemi alla spalla destra. Ed è da vedere come e quanto le rotazioni di Casey cambieranno rispetto alla sorta di Platoon System utilizzato nelle 82 partite. E Wall sarà in campo. A pensarci bene sarebbe un peccato staccarsi completamente dalle proprie radici, mai dimenticare da dove si viene, è del tutto possibile che i Raptors arrivino anche alle Finals, ma poi, solo poi.
La Striscia non si tocca. Perciò la risposta è sì, un grandissimo sì.
2) Quanto si odiano gli Washington Wizards da 1 a 10?
Fissare il fondo di questa scala a 10 è come limitare i contratti individuali dei giocatori a un ammontare massimo prestabilito: funziona e aiuta il pubblico a comprendere, ma non rende merito all’eccellenza.
Sono bastate poche partite giocate senza John Wall per far riemergere attriti che sembravano ormai superati come quello tra l’All-NBA uscente e il compagno di reparto Bradley Beal, mentre Marcin Gortat ormai sembra divertirsi nel mettere il punto esclamativo alle dichiarazioni di chiunque (compreso coach Scott Brooks) sottolinei l’altruismo della squadra quando Wall non c’è e l’egoismo che invece trasuda quando c’è. E poi l’Instagram-gate: Otto Porter è molto attivo e interagisce con alcuni altri compagni, ma è l’unico Wizard a non seguire il profilo di Wall, dinamica che in uno spogliatoio sano verrebbe salutata con una risata e una vigorosa scrollata di spalle, ma non a Washington, dove c’è anche Markieff Morris che cambia atteggiamento e fazione a seconda di quale delle sue personalità prenda il sopravvento, probabilmente seguendo i cambiamenti di meteo e fuso orario.
Come migliorare la situazione? Firmando Ty Lawson per i playoff, che tra problemi con l’alcool e annessi guai legali per guida in stato di ebbrezza, carattere complicato e una storia di spogliatoi implosi anche a causa della sua presenza è esattamente tutto ciò che il discusso presidente e GM Ernie Grunfeld non avrebbe dovuto nemmeno lontanamente pensare di portare nella capitale.
Gli Wizards sono un treno ad alta velocità che ha preso fuoco appena uscito dalla stazione e che rischia di deragliare da un momento all’altro, ma che prima del disastro può anche travolgere e spazzare via qualsiasi ostacolo e avversario si trovi lungo la strada. Una mina vagante vera e propria, totalmente fuori controllo e pericolosa sia per se stessa che per gli altri.
Voto 10, ma solo perché non si può arrivare a 15.
Boston Celtics-Milwaukee Bucks
3) Boston sarà senza Kyrie Irving: quanto si abbassa il ceiling della squadra?
di Michele Pettene
La risposta più brutale sarebbe: di almeno due serie. Ovvero: sembra impossibile che una squadra priva del proprio candidato all’MVP stagionale possa sperare di arrivare alle Finali NBA, il naturale obiettivo sussurrato un po' ovunque fino a metà anno per quella che all'epoca era la miglior squadra della Eastern Conference. L'infortunio al ginocchio di “Uncle Drew” ha abbassato giocoforza le aspettative, rendendo pericolosa già la serie con Milwaukee e ancor di più quella del secondo turno contro una Philadelphia lanciatissima o una Miami tostissima.
A Boston mancheranno sia l'effetto gravitazionale che Irving provoca sulle difese avversarie - con evidenti benefici per spaziature e tiri aperti - sia la sua capacità fenomenale di crearsi un tiro dal nulla nei momenti di massima tensione che l'ex-Cavs ha già superato con successo nella sua ancor giovane carriera, condizioni che si presenteranno con maggior frequenza nei playoff e che richiederanno un salto di qualità ai temporanei go-to-guy dei Celtics. Non che la squadra di Brad Stevens sia nuova a questo tipo di situazioni, e proprio la favolosa capacità dell'allenatore e dei suoi giocatori di riplasmarsi, fare gruppo e salire di livello nei periodi successivi a infortuni demoralizzanti potrebbe demolire qualsiasi previsione razionale sul finale di stagione di Boston. Il record senza Kyrie è 14-8, un 63.6% leggermente sotto al 68% con il #2 in campo ma più che vincente, così come non sono incolmabili il plus/minus (+4.3 con Kyrie, +0.4 senza) e il Net Rating (+5.2 con; +2.2 senza) con Irving fuori dai giochi, seppur il record si abbassi al 50% contro squadre da playoff.
In definitiva, se sembrano non esserci dubbi sul fatto che la miglior difesa della Lega continuerà a produrre numeri frustranti per gli attacchi avversari (101.5 il Defensive Rating e 33.9% la percentuale concessa da dietro l'arco, migliori dati dell'NBA), rimarrà da capire chi e con che risultati erediterà il testimone del proprio leader nei quarti periodi di questi playoff: la sorpendente point guard di riserva Terry Rozier, lo spettacolare rookie Jayson Tatum - miglior tiratore da 3 della squadra con il suo 43.4% - e la guardia super atletica Jaylen Brown sono i candidati più immediati, ma anche i meno avvezzi a certe atmosfere, caratteristica che potrebbe proporre il sempreverde Al Horford come alternativa più affidabile quando diventerà fondamentale trasformare un possesso cruciale in un canestro decisivo.
4) Al quinto anno nella NBA, è arrivato il momento in cui Giannis Antetokounmpo deve piazzare la sua bandierina: come Davis a Ovest, può vincere una serie da solo?
di Dario Vismara
Da ormai qualche anno ci ripetiamo un po’ tutti che il secondo miglior giocatore della Eastern Conference gioca a Milwaukee, dove però non hanno ancora assistito a un passaggio del turno nelle due apparizioni precedenti di Giannis Antetokounmpo ai playoff. Esattamente come in passato, i Bucks non partono con i favori del pronostico o con il fattore campo a favore, ma possono contare sul miglior giocatore della serie di un discreto margine rispetto a tutti gli altri, e considerando le assenze tra le fila dei Celtics questo turno potrebbe rivelarsi più imprevedibile rispetto a un normale seed numero 2 contro seed numero 7.
Ovvio che la maggior parte delle responsabilità ricada sul numero 34, che dovrà dimostrare di saper portare la sua strabordanza fisica non solo in un ambiente di playoff, ma anche con un impegno continuo su entrambe le metà campo. Antetokounmpo è un mostro e quando può attaccare il ferro in avvicinamento è assolutamente inarrestabile, ma ha i suoi punti deboli: la percentuale effettiva del 37.2% al di fuori del pitturato è un dato che non può essere sfuggito a Brad Stevens, e la difesa dei Celtics farà di tutto per “murare” la strada che conduce Giannis verso il ferro mandando uomini in pre-rotazione e sfidandolo a scaricare il pallone sul perimetro, dove gli atleti di Boston possono annullare i tiratori riluttanti di Milwaukee.
Togliere la palla dalle mani di Antetokounmpo e gestire i rientri in transizione difensiva sono i due imperativi categorici per qualsiasi squadra che affronta Milwaukee, e non sorprenderebbe se Stevens dovesse schierare una zona 2-3 per costringere i Bucks a pensare nell’attacco a metà campo, mossa che - unita alla mancanza di tiratori affidabili - potrebbe riscuotere molti dividendi. La speranza per Milwaukee è che Giannis prenda tutte le alchimie tattiche dei Celtics e ne faccia poltiglia, sottomettendo qualsiasi difesa al suo unico volere: al quinto anno in NBA, sarebbe il segnale che il mondo non si è sbagliato sul suo conto.
Philadelphia 76ers-Miami Heat
5) E se Philadelphia si svegliasse dal sogno scoprendo che l’assenza di tiro di Ben Simmons è un problema insormontabile ai playoff?
di Lorenzo Bottini
Qualche giorno fa Ben Simmons e Markelle Fultz sono andati in carcere per incontrare Meek Mill. Per quanto sia strano che degli atleti professionistici, e soprattutto dei rookie, vadano a cercare consigli come se fossero dentro una gigantesca puntata di The Wire, Mill è diventato una specie di figura messianica nella scena di Philadelphia. Gli Eagles quando entrarono sul campo per il Super Bowl suonarono fortissimo una delle sue canzoni più celebri, Dreams & Nightmares. In questo caso i sogni sono rappresentati dalla stagione irreale dei Sixers, issatisi fino alla terza posizione ad Est contro ogni più assurda aspettativa. Gli incubi invece sono causati dal jumper dei due rookie, una stranezza che durante la stagione regolare è stata trattata come un animale esotico ma che nei playoff rischia di diventare un serio tallone d’Achille per la squadra allenata da Brett Brown.
Simmons non ha tentato una vera tripla in 81 partite di regular season e tira poco con più del 50% ai liberi. Nonostante ciò, è già diventato uno dei giocatori più forti dell’intera NBA e questa post-season sarà il primo banco di prova della sua lunga carriera. Davanti si troverà uno dei peggiori avversari possibili, ovverosia i Miami Heat e Erik Spoelstra. Gli Heat hanno un roster profondissimo e pieno di difensori che prenderanno in consegna a turno Simmons per cercare di limitarne l’impatto offensivo. Josh Richardson, Justise Winslow, James Johnson e Dwyane Wade avranno tutti il loro turno sul prossimo ROY, ma i due che si divideranno il lavoro pesante saranno Johnson e Richardson. Già nelle quattro partite in regular season Johnson ha dimostrato di essere un cliente davvero tosto per Simmons grazie alla sua strapotenza fisica, le braccia lunghissime e una mentalità da villain. Richardson è uno dei migliori difensori sugli esterni dell’intera Lega e cercherà di entrare anche nella testa di Simmons pressandolo sui 28 metri di campo. Il piano di Spoelstra consisterà nel concedergli sempre il tiro da fuori rimanendo nel pitturato per tagliargli le linee di penetrazione.
Miami passerà sotto tutti i blocchi e resterà attaccata ai tiratori, coprendo tutte le linee di passaggio possibili e costringendolo ad accontentarsi della soluzione da fuori. Una situazione che si è ripetuta per tutta la stagione senza però che Simmons si scomponesse più di tanto, perché come hanno scoperto in molti fermare Ben è più facile sulla carta piuttosto che sul campo. Phila ha trovato una serie di modi per lanciare Simmons come una catapulta verso il ferro, bloccando il bloccante o mettendolo in pick and roll usando degli eccellenti tiratori come Redick o Covington come bloccanti. Il risultato è stato che Simmons è uno dei migliori realizzatori nel pitturato, sia per quantità che per qualità. Nessuna delle difese incontrate finora però ha la disciplina degli Heat e Spoestra è un maestro nell’aggiustare di corsa la squadra. Bisognerà aspettare Gara-3 o 4 per capire che cosa avrà escogitato questa volta il coach di Miami.
L’altro grosso punto di domanda con il quale si affacciano i Sixers alla loro prima post-season dopo 6 anni risiede nelle condizioni di Joel Embiid. Il centro camerunense è rimasto ai box nelle ultime partite a causa di una frattura orbitale e non sarà disponibile per le prime partite della serie, ragionevolmente le prime quattro. La sua presenza però sarà indispensabile per garantire un’altra dimensione all’attacco di Phila contro una difesa ostica come quella di Miami (o anche semplicemente perché Embiid è uno dei giocatori migliori al mondo). I possessi in post saranno vitali quando gli Heat faranno di tutto per abbassare i ritmi della partita per trasformarla in una guerra di posizione sulle due metà campo. La squadra della Florida è al suo meglio quando riesce a ingolfare i motori avversari, costringendoli a sbattere come le onde sugli scogli sul loro fortino difensivo; Phila invece ama correre ($ spingendo la palla in transizione per sguinzagliare l’estro di Simmons e per far grandinare triple.
Sarà una serie di contrasti, tra l’esperienza degli Heat e il talento acerbo dei Sixers, tra il sistema offensivo di Brown e quello difensivo di Spoestra. Sarà sicuramente una di quelle da seguire con maggior interesse nel primo turno.
Cleveland Cavaliers-Indiana Pacers
di Dario Vismara
6) Qualcuno ha capito davvero quanto sono buoni i Cleveland Cavaliers dopo le trade?
I Cleveland Cavaliers post-deadline del mercato sono forti nella stessa maniera in cui lo erano quelli pre: vanno esclusivamente dove li porta LeBron James. Sembra quasi di essere tornati indietro di otto anni, quando l’ultima versione dei Cavs pre-Decision si schiantò miseramente sui Boston Celtics al secondo turno dei playoff. Mai come quest’anno una squadra di James è così legata alle prestazioni del Re, che a 33 anni ha fatto una regular season totalmente fuori da ogni logica nella metà campo offensiva, ma che per i limiti dei suoi compagni si è fermata a malapena a 50 vittorie.
Se non altro questi Cavs sono un po’ più coerenti e meno polemici rispetto a quelli precedenti, non fosse altro perché Isaiah Thomas e Dwyane Wade non sono più nello spogliatoio ad accusare Kevin Love senza alcun fondamento. Ora tutti sanno esattamente qual è il ruolo richiesto a loro: la speranza è che questa chiarezza gerarchica si tramuti anche in un’intensità difensiva non dico buona (per quella ci penseranno i loro avversari al primo turno, gli Indiana Pacers, che i Cavs farebbero bene a non sottalutare) ma quantomeno sufficiente, perché pensare che Cleveland vinca una serie grazie alla difesa è irrealistico quando la point guard dal rendimento più alto in stagione si chiama José Calderon.
Fresh Prince x King James
Ad ogni modo, l’ultima partita persa contro i Philadelphia 76ers ha dimostrato come neanche segnare 132 punti possa bastare per battere i Cavs senza patemi, e che quando le percentuali al tiro da tre sostengono gli assalti al ferro di James l’attacco di Cleveland è pressoché inarrestabile per una squadra della Eastern Conference, in particolare con la strutturazione con Kevin Love da centro. Per migliorare il rendimento difensivo, ci vorrebbe un ritorno a livelli accettabili di diversi protagonisti del titolo del 2016: Tristan Thompson è ormai la controfigura di se stesso, destino inevitabile nel momento in cui decidi di fare un figlio con una Kardashian (anzi, quella Kardashian); J.R. Smith ha passato una stagione interamente rinchiuso nella sua testa, svegliandosi di tanto in tanto da una situazione comatosa che ha mandato ai pazzi lo staff tecnico di Cleveland, che lo ha inserito e tolto dal quintetto base cercando invano una soluzione.
Se i Cavs vogliono avere qualche speranza di titolo, il recupero di questi due veterani deve sopperire all’assenza di esperienza dei nuovi arrivati: tolto George Hill, sul quale la giuria è ancora in camera di consiglio, diversi membri della rotazione non hanno mai avuto esperienza di playoff ad alto livello, a partire da Rodney Hood, Jordan Clarkson, Larry Nance e Cedi Osman, i quattro “atleti” che dovrebbero mettere una pezza alle amnesie o alle mancanze del resto del roster. La squadra è numericamente profonda, per quanto qualitativamente sospetta (in altri tempi LeBron l’avrebbe definita “top heavy as fuck”) e nettamente sbilanciata verso la metà campo offensiva.
Eppure, con il 23 in campo in versione playoff e nella nuova versione in cui fa da rollante in tantissimi i giochi a due, voi davvero vi sentireste di scommettere contro di lui?