Per trent'anni la scuola degli allenatori tedeschi ha avuto l'inventiva e la vivacità di una mostra di scaldabagni. In assenza di idee, la Germania si è aggrappata alla figura del Tecnico Santone, con il Moloch Beckenbauer ideale capofila di una generazione comprendente tecnici come Vogts, Rehhagel, Hitzfeld, Heynckes, ma anche Voeller o Klinsmann: allenatori dal carisma smisurato, in grado di tenere le fila dei gruppi più indisciplinati - cosa direbbero i muri degli spogliatoi tedeschi se potessero parlare? - ma di visioni tattiche non estasianti.
La scintilla della rivoluzione è scoccata per una lunga serie di fattori. Innanzitutto i risultati mortificanti agli Europei 2000 e 2004, con la Nationalmannschaft eliminata ai gironi come un'Austria qualsiasi. I milioni a disposizione della DFB per l'organizzazione del Mondiale 2006 hanno propiziato una brusca inversione di rotta e ingenti investimenti anche nella ricerca scientifica e tecnologica applicata al pallone, con Joachim Low nuovo punto di riferimento per l'intero calcio tedesco. In Nazionale sono arrivati tanti ventenni con un talento diverso rispetto a quello del canone del calcio tedesco, in parte figli di un contesto socio-culturale rinfrescato dai migranti di seconda generazione. Pochi anni dopo è arrivato il laboratorio permanente del Borussia Dortmund di Jurgen Klopp, che ha mostrato una nuova via elettrizzante. La vittoria del Mondiale in Brasile è stata la certificazione del successo di questo percorso. È negli ultimi anni che i tedeschi hanno sviluppato una passione quasi morbosa per il lato strategico del calcio, come se fosse ufficialmente diventato la prosecuzione della scienza militare in cui hanno eccelso per secoli. Non semplici allenatori ma ingegneri e architetti, una dittatura illuminata della meritocrazia in cui al 30-35enne senza alcun curriculum "sul campo", ma uscito dalle accademie col massimo dei voti, spetta comunque la precedenza sulla vecchia gloria in cerca di occupazione.
Il caso più eclatante è quello di Julian Nagelsmann, autore di una Bundesliga sorprendente e d'alta classifica con l'Hoffenheim a meno di trent'anni. Ma c'è una storia che rischia di far diventare inattuale Nagelsmann, a fare più rumore di lui, non solo per le origini italiane del protagonista ma perché la rivoluzione magari sembra più morbida nella trascurabile Hoffenheim, ma fa più rumore se sconvolge una delle squadre del salotto buono, lo Schalke 04.
Italo Tedesco
Domenico Tedesco è nato il 12 settembre 1985 a Rossano Calabro, provincia di Cosenza. Due anni dopo i suoi genitori hanno lasciato la Calabria per emigrare nel Land del Baden-Wurttemberg, uno dei due Stati del Sud della Germania. Il papà ha trovato lavoro come stampatore della Esslinger Zeitung, il quotidiano locale di Esslingen, a 15 chilometri dalla capitale Stoccarda. Se mai ce ne fosse il bisogno, sgombriamo subito il campo da luoghi comuni stile Pane e Cioccolata con Nino Manfredi o copertina di Der Spiegel con la P38 sul piatto di spaghetti: nell'infanzia e nell'adolescenza di Domenico non si segnala alcun episodio di intolleranza o discriminazione e lui stesso, con il suo tedesco inappuntabile e il suo eloquio pacato, privo anche della gestualità tipica degli italiani, è lontanissimo dal cliché del migrante italiano in Germania.
In questa famosa scena di Pane e Cioccolato, film di Franco Brusati girato nel 1973, Nino Manfredi emigrato in Svizzera esulta in un bar a un gol di Capello contro l'Inghilterra. Si fatica a capire perché gli altri avventori tifino con così tanto accanimento contro l'Italia.
Ad ogni modo, i riferimenti alla criminalità organizzata non sono del tutto scomparsi: lo prova questo articolo comparso su Die Welt, testata altrimenti rispettabile, in cui una chiosa finale che vorrebbe essere divertente recita più o meno: «Visto che è nato in Calabria, Tedesco non dovrebbe avere difficoltà a imporsi in un ambiente difficile come lo Schalke».
Ma la vita di Domenico Tedesco è la vita normale di un bambino cresciuto e diventato adulto nel Ventunesimo Secolo, perciò smaliziato e ben consapevole fin da piccolo dell'aspetto mediatico di quella che sarebbe diventata la sua professione. Affascinato dal giornalismo sportivo, a 14 anni ha fatto un piccolo stage proprio nella redazione dell'Esslinger Zeitung, che seguiva principalmente le squadre della regione con una predilezione per quelle di Stoccarda. «Un giorno ho partecipato a una conferenza stampa di Michael Feichtenbeiner, allenatore degli Stuttgarter Kickers che allora giocavano in Zweite Liga», ha raccontato a Der Westen. «C'erano tanti giornalisti molto più esperti di me ma sono riuscito a fargli una domanda, e quando ho visto che gli altri colleghi si appuntavano la risposta mi sono sentito molto orgoglioso».
La vita diventa presto calciocentrica, ma con l'elasticità delle nuove generazioni Tedesco lascia comunque una porta aperta al resto del mondo. Si fa strada come ingegnere alla Mercedes, lavora nel commercio internazionale e prende un Master in Innovation Management. «All'inizio della mia carriera davo per scontato di poter tornare al mio lavoro originario in qualsiasi momento», ha dichiarato alla Bild, «era un sollievo soprattutto mentale avere la possibilità di una via d'uscita».
La carriera da allenatore era cominciata nel 2011, a 25 anni, viceallenatore dell'Aichwald, paesino di 7 mila abitanti a mezz'ora di macchina da Stoccarda: la squadra locale militava in Kreisliga A, approssimativamente tra la settima e l'ottava divisione del calcio tedesco. Com'è ovvio, il suo superiore di allora, Manuel Oetinger, spende oggi parole al miele: «Parlava molto ma senza essere un chiacchierone. Era un tipo ambizioso, simpatico, molto comunicativo. Dava istruzioni essenziali e molto chiare, dando prova di essere un tipo molto competente, ed era anche bravo con il pallone».
Nel 2013 torna nella sua città, dove abita tuttora con sua moglie e sua figlia nel quartiere di Cannstatt, a 500 metri dalla Mercedes Benz Arena. A Stoccarda si occupa dell'U-17: anche se non ci sono dati certificati, le leggende - esistono anche leggende risalenti ad appena quattro anni fa - parlano di una cinquantina di partite condotte a una media punti di 2.06. Lo nota Andreas Hinkel, ex difensore del club che oggi allena la seconda squadra dello Stoccarda, appena tornato in Bundesliga: «Nonostante non abbia un passato da calciatore, come allenatore ha qualcosa dentro che gli altri non hanno. Ha il fuoco del motivatore che ti cattura, e un'incredibile capacità di lavorare coi giovani». In società però non sono dello stesso avviso: Tedesco si aspetta un trattamento in linea con le sue discrete ambizioni, invece nel 2015 a sorpresa non arriva quel rinnovo del contratto che si attendeva come un atto dovuto. Si sposta dunque di una novantina di chilometri più a nord e si accasa a Hoffenheim, sempre nell'U-16.
Alla guida dell'U-19 c'è Julian Nagelsmann, un altro ragazzino fenomenale con la perniciosa tendenza a prendersi troppo sul serio: il suo non casuale soprannome è "mini-Mou" e gliel'ha dato Tim Wiese, portiere a fine carriera in procinto di diventare lottatore di wrestling. La prima squadra è allenata dall'olandese Huub Stevens, l'uomo seduto su una panchina di San Siro la notte del 21 maggio 1997, quando lo Schalke 04 aveva vinto ai rigori la coppa UEFA contro l’Inter e Domenico Tedesco faceva più o meno la seconda media. A febbraio del 2016, l'ormai vecchio Huub deve scendere a patti con il suo cuore: una fastidiosa aritmia potrebbe farlo finire sotto i ferri e lui non può più preoccuparsi dell'Hoffenheim, che langue in penultima posizione in Bundesliga. La dirigenza decide per una svolta epocale: spazio a Nagelsmann, a 28 anni allenatore più giovane della storia della Bundesliga.
Tedesco viene promosso all'U-19 dell'Hoffenheim negli stessi mesi in cui, proprio insieme a Nagelsmann, sta seguendo i corsi alla DFB-TrainerAkademie, la Coverciano tedesca che rilascia il patentino da Fußball-Lehrer necessario per allenare club professionistici in Germania. Il sistema scolastico tedesco assegna dei voti che vanno da 6 (gravemente insufficiente) a 1 (il massimo). All'esame finale il miglior punteggio è proprio di Domenico Tedesco: 1,0, la perfezione. Il secondo è quello di Nagelsmann. Tempo dopo, interpellato su questa circostanza, Tedesco ha avuto buon gioco a schermirsi: «Non sempre al punteggio migliore corrisponde l'allenatore migliore». Sono amici, senza dubbio, ma non sembra il folgorante inizio di una strepitosa rivalità? Lo scopriremo, se andrà bene, tra non prima di trent'anni. Intanto segnamoci sul calendario sabato 23 settembre, giorno di Hoffenheim-Schalke 04.
Cosa vedete in questa foto? Amicizia più o meno sincera, sana competizione, o già una qualche forma di antipatia professionale che cova sotto la cenere?
Nagelsmann fa faville con l'Hoffenheim: lo salva e l'anno dopo lo porta fino alla prima storica qualificazione europea della sua storia (playoff di Champions, poi gironi di Europa League dopo l'incontro troppo ravvicinato con il Liverpool di mastro Klopp). Mentre l’amico diventa grande, Tedesco - che pure è due anni più vecchio - attende con relativa pazienza la sua occasione. Arriva a marzo e sembra la classica trappola da schivare prima che sia tardi: una squadra di paese che milita in seconda divisione all'ultimo posto, in una realtà palesemente superiore ai propri mezzi, in una città senz'alcuna attrattiva dal significativo soprannome di "Gelsenkirchen dell'Est". Ma Domenico accetta il viaggio ad Aue, sui Monti Metalliferi della Sassonia, nell’unico toponimo tedesco conosciuto composto solo da vocali, dove lo stadio locale è capiente più o meno quanto l'intera popolazione del paese.
L'allenatore precedente, il bulgaro Pavel Dotchev, ha lasciato la squadra a 5 punti dalla salvezza a 11 giornate dalla fine, con la miseria di 19 punti in 23 partite. L'approccio di Tedesco è sensazionale: introduzione immediata di un rigoroso 5-4-1 tutto pensato in verticale, 10 punti nelle prime 4 partite, una svolta impressionante in mentalità ed efficacia, i due scontri diretti in casa contro St. Pauli e Monaco 1860 vinti senza concedere gol. Nelle 11 partite a disposizione fa 20 punti (6 vittorie, 2 pareggi e 3 sconfitte, 1,82 punti a partita, media raddoppiata) e la squadra di "Domenigoh" arriva quattordicesima.
La salvezza aritmetica arriva all'ultima giornata, nonostante uno 0-1 a Dusseldorf che lascia l'amaro in bocca al giovane favoloso, infastidito dall'obbligo di fare una faccia felice dopo un risultato negativo - ancora tracima quella sfacciataggine giovanile che gli fa sembrare ogni sconfitta un'offesa imperdonabile al suo ego. Oltre agli incredibili risultati, il metodo-Tedesco è stato seducente giorno dopo giorno grazie anche alla comunicazione, chiara e trasparente, che ha imposto a sé stesso e alla squadra fin dagli allenamenti. Tedesco parla bene anche inglese, francese e spagnolo e non ha problemi anche con gli stranieri più refrattari alla lingua di Goethe. Lo hanno notato interrompere di colpo un allenamento per chiedere ai giocatori di spiegare l'esercizio che stavano eseguendo, e perché lo stavano eseguendo. Il suo presidente Helge Leonhardt lo saluta con una benedizione: «Non siamo abbastanza per lui, è uno che deve appartenere alla Bundesliga».
Quattro suggestivi minuti sulla memorabile stagione dell'Aue, soprannominati “i Martelli”, talmente fieri delle proprie origini da presentare Tedesco con le parole “Benvenuto in miniera!”.
L'effetto Nagelsmann crea un effetto di emulazione anche nei quartieri nobili del fussball: per esempio lo Schalke 04, nobile decaduta rimasta fuori dall'Europa per la prima volta dopo 8 anni, atteso alla stagione dove si dovrebbe "celebrare" il sessantesimo anniversario dall'ultimo titolo nazionale. A giugno il club della Ruhr paga qualche centinaio di migliaia di euro all'Aue per risolvere il contratto di Tedesco e portarlo tra i grandi. In un calcio contemporaneo sempre più bulimico di facce e storie nuove, la parabola velocissima di Domenico è perfetta per riempire i blog e i social per almeno una settimana.
Arriva addirittura l'endorsement di Joachim Loew, il Guru in persona, che non ha problemi a dire di un semi-debuttante che «lo Schalke ha fatto la scelta migliore, il ragazzo farà strada». Il problema, semmai, è rimanere a galla. Gli analisti più riflessivi hanno sottolineato che lo Schalke 04 è una delle panchine più rischiose e problematiche dell'intera Bundesliga: c'è un presidente, Clemens Toennies, che odia aspettare e un direttore sportivo che non si è fatto scrupoli a liquidare in pochi mesi Markus Weinzierl, l'allenatore del supposto rilancio naufragato al decimo posto. Ce ne sarebbe per farsi due domande, ma Tedesco ha approcciato la sua prima avventura in cima alla piramide con l'ottimismo e la spavalderia del debuttante, mostrando anche un discreto senso dell'umorismo: «Se devo scegliere tra una vittoria per 4-3 e una vittoria per 1-0, non ho dubbi: scelgo una vittoria per 4-0».
Il futuro è un'ipotesi
La nuova avventura è iniziata bene: primo turno di coppa superato contro la Dinamo Berlino, eccellente esordio in campionato contro il Lipsia. Alla Veltins Arena è sceso in campo uno Schalke diverso, molto più compatto e concentrato, che ha liquidato i vicecampioni uscenti con un ineccepibile 2-0 che porta anche la firma di Konoplyanka, il talentuoso ucraino che aveva salutato Weinzierl dandogli del "vigliacco". I commenti a fine partita sono stati entusiasti: Leon Goretzka, leader tecnico in campo e già promesso sposo del Bayern dopo il Mondiale 2018, ha detto che «Tedesco ci ha preparato benissimo. Sapevamo esattamente cosa fare e tutto è andato secondo i piani». Anche l'allenatore del Lipsia Hasenhuttl ha elogiato la qualità della fase difensiva.
Il rapido contropiede che porta al 2-0 di Konoplyanka contro il Lipsia è un buon esempio del culto della verticalità che Tedesco condivide con tanti suoi giovani colleghi.
Ma i tifosi più romantici hanno storto il naso nel vedere in panchina per 90 minuti il capitano storico Benedikt Howedes, a cui Tedesco aveva tolto la fascia (affidandola al portiere Fahrmann) ufficialmente per "responsabilizzare il gruppo". Al suo posto, difensore destro nella linea a 3, il giovane Thimo Kehrer, che ha avuto sulla coscienza il gol della sconfitta in trasferta contro il neopromosso Hannover alla seconda giornata. Nel settore ospite, scontento della prestazione asfittica dello Schalke (solo un tiro in porta), hanno esposto uno striscione di solidarietà con il loro capitano, che il giorno dopo è stato ufficialmente ceduto alla Juventus, la squadra per cui Tedesco fa il tifo sin da bambino. Domenico si è prodotto in complimenti di rito nei confronti del vecchio campione che ha voluto tentare una nuova esperienza, ma su Facebook la versione di Howedes non è stata altrettanto pacifica: «Sono senza parole. Nelle ultime settimane il rapporto di fiducia è stato messo alla prova più volte, non solo togliendomi la fascia. I partenti si possono trattenere, se si vuole». Alcuni tifosi non particolarmente brillanti hanno iniziato a ironizzare sui social sul fatto che Tedesco sia un bugiardo, e la prova è nel cognome che porta pur essendo un italiano.
Il campionato sta procedendo fra alti e bassi. Alla terza giornata è arrivato un 3-1 allo Stoccarda che ha esaltato le doti sciamaniche di Tedesco: all'intervallo, sul punteggio non certo disastroso di 1-1, ha operato due cambi tattici che hanno portato lo Schalke avanti 3-1 dopo appena tre minuti della ripresa. Quindi è arrivata la prima vittoria in trasferta, a Brema, un 1-2 in rimonta sempre all'insegna di vorticosi cambi di posizione degli undici titolari e di un 3-4-3 in cui le chiavi del gioco sono sempre più in possesso di Goretzka. Ma alla quinta giornata, martedì scorso, alla Veltins Arena si è presentato il Bayern Monaco e gli uomini di Ancelotti, piuttosto inveleniti da alcune critiche recenti, non hanno fatto prigionieri: 0-3 maturato nella prima mezz'ora, uno Schalke coraggioso in avvio ma troppo ingenuo e dati finali sul possesso palla sconsolanti (66,1% a 33,9%) che hanno fatto sospirare Tedesco: «Dopo l'1-0 era difficile contrastarli e pressarli, perché impostavano l'azione in sei».
Uno dei mantra di Tedesco, apparentemente uno che non ha ancora sbagliato un colpo a livello mediatico, è: “Le vanità personali sono completamente fuori luogo”. Magari questo discorso a fine partita – a 1:43 - per celebrare la vittoria sul Lipsia rappresenta una piccola eccezione.
Qualche cassandra, o qualche opinionista particolarmente prudente, ha chiesto a Tedesco se aveva mai sentito parlare di Karl-Heinz Marotzke. Lui ha nicchiato, ma farebbe bene a informarsi: Marotzke era l'allenatore a cui nel 1967 era stata affidata la guida dello Schalke a soli 32 anni, e ha detenuto per mezzo secolo il record di allenatore più giovane della storia del club. Ma la sua fu un'esperienza rovinosa: una sola vittoria nelle 13 partite e fu cacciato d'imperio, con l'etichetta più umiliante che insultante di "inesperto". Nel giro di un anno - sic transit gloria mundi - finì ad allenare il Ghana nel torneo di calcio delle Olimpiadi di Città del Messico 1968, la sua carriera si perse in mille rivoli e non tornò mai ad allenare in Bundesliga. Chissà se Tedesco,così energicamente proteso verso il futuro, riuscirà a prendersi un po' di tempo per studiare il passato.