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Dove può arrivare il Torino
21 dic 2016
Il punto sulla squadra di Mihajilovic dopo le due brutte sconfitte in campionato.
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Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con NOW TV.

«Non mi piace quando si parla del Torino come una squadra che lotta e basta, tutte le squadre devono lottare: il Toro è una squadra che lotta, gioca e crea, sposa bene l’atteggiamento e la qualità»

Sinisa Mihajlovic, 4 dicembre 2016

Non è semplice provare a inquadrare il Torino al di fuori dell’epica del “cuore Toro”, della squadra eroica e avvincente che compie imprese ma crolla sul più bello. Non solo perché il ricordo degli ultimi anni di storia granata (come dei cento prima di quelli) è sempre accompagnato dalla stessa sensazione, inequivocabile - che è un misto di qualificazioni insperate, mancate per un rigore sbagliato al novantaquattresimo e poi riacciuffate per vie legali, di imprese in terra spagnola ed eliminazioni a testa alta, di grandi giorni e di tanti altri incolori. Mettici anche che l’allenatore che più di tutti sta provando ad allontanare quest’etichetta, quasi fosse un malaugurio, potrebbe completare un’insperata rimonta nei minuti di recupero all’esordio a Milano contro il Milan, sua ex-squadra, e che Belotti al novantaquattresimo calcia il rigore che pareggerebbe la partita, ma lo sbaglia.

Mihajlovic ha chiarito perfettamente la dimensione attuale del Torino al termine del ritiro estivo: «Vogliamo tornare in Europa in due anni, ma questo non significa che non ci proveremo già questa stagione». Dalla prima conferenza stampa, Mihajlovic ha parlato del Torino come di una squadra al centro di un percorso di crescita, ed è stata una scossa di energia in un ambiente che dopo cinque anni di gestione Ventura aveva un po’ perso la bussola delle proprie ambizioni: il Torino è da sesto posto? È da decimo posto? Come sono le squadre da decimo posto? Fissare una data non vicinissima per il ritorno in Europa potrebbe sembrare poco ambizioso, perché il Toro in fondo ha occupato quei palcoscenici solo due anni fa, ma in parte serviva a comunicare il messaggio: Europa in due anni, sì, ma per poi restarci. Insomma, più banalmente, per fare un passo duraturo in avanti nelle gerarchie del calcio italiano.

Peraltro, il presidente Cairo non si è sentito subito di condividere testualmente le ambizioni del tecnico serbo, ma ha puntualizzato: «La sua fiducia però mi fa piacere». Solo successivamente, a idillio sbocciato, Cairo si sarebbe confidato: «Posso tranquillamente affermare che la squadra che abbiamo costruito abbia legittime ambizioni d’Europa». Il motivo è che il presidente si innamora così tanto dei suoi allenatori da assorbirne e condividerne gli stati d’animo: «Con Ventura non si poteva parlare ufficialmente di Europa perché non voleva pressioni. (...) Ma con Mihajlovic è tutto diverso, il serbo la pressione la vuole sentire tutti i giorni».

Valdifiori – Belotti – Baselli – Benassi – Gol. Il Torino sa essere una squadra molto divertente.

La velocità e la pazienza

Tutta questa Europa che c’è nell’aria ha sostanzialmente tre padri fondatori: Belotti, Ljajic e Iago Falque. Mihajlovic non manca mai di ricordare in conferenza stampa che il Torino ha uno dei migliori attacchi del campionato (qualche settimana fa era il primo, adesso è il quarto), e ha 35 buone ragioni per farlo. Il Torino ha segnato tanto, in media più di 2 gol a partita, soltanto 4 volte su rigore, e mancano all’appello anche 2 rigori sbagliati da Belotti che avrebbero potuto ingrossare il bottino. Le statistiche avanzate descrivono però uno scenario diverso, e attribuiscono al Torino il decimo attacco del campionato con 18,55 xG. In pratica il Torino, che ha segnato 31 gol su azione, ha realizzato più del 167% della produzione attesa.

Il dato relativo ai gol segnati è certamente inflazionato, in primis per via delle goleade. Assieme alla Fiorentina e al Napoli, il Torino è l’unica squadra del campionato ad aver segnato cinque gol in una partita. Anzi, in due partite: contro il Bologna prima e contro il Cagliari poi. Vincere due volte 5-1 è un evento così insolito da condizionare necessariamente tutte le rilevazioni correlate. Un’altra ragione è che il Torino ha segnato molti gol bellissimi, quindi a bassa percentuale di realizzazione: Ljajic a Palermo ha sfidato le leggi della fisica e della probabilità; Iago Falque, un metro e settantaquattro, ha già segnato due gol di testa, e questo non c’entra niente con gli xG ma serve per rendere lo stato di grazia; Belotti continua a segnare a un ritmo doppio rispetto alle occasioni che si procura (5,14 xG, 11 gol su azione).

Non si è ancora creata l’intesa necessaria a sviluppare transizioni brillanti. Ljajic fa un’ottima sponda ma poi senza palla non sa cosa fare.

Infine, va detto, il Torino ha un tasso di precisione destinato a scendere. È infatti, dopo il Cagliari, la squadra più efficiente del campionato: converte in gol il 13,73% dei tiri tentati. Considerando soltanto i tiri in porta, la percentuale di trasformazione sale ad un esorbitante 40,23%, il valore più alto del campionato, nonché il settimo valore considerando tutte le squadre dei 5 principali campionati europei.

A volte il Toro sembra transumare per il campo, in attesa che la palla arrivi nei piedi di uno dei tre e si compia la magia. La fase offensiva segue sviluppi diversi, soprattutto a seconda dell’avversario, ma Mihajlovic non rinuncia mai a costruire dal basso. Il triangolo costituito dai due difensori centrali e Valdifiori è il nucleo dell’azione, ma il regista non si abbassa mai per ricevere: se è schermato, i difensori giocano in orizzontale oppure possono avanzare alla ricerca di spazi, per servire le mezzali. Sempre in base alla situazione di gioco, Valdifiori valuta il lato da attaccare, può insistere a destra costruendo un rombo con Zappacosta, Benassi e Iago Falque, oppure disporsi a sinistra con Barreca, Baselli e Ljajic.

L’uscita della palla è eseguita sempre con coraggio, ma a volte con poca chiarezza. Qui non si capiscono Valdifiori e Hart.

Dopo la prima fase di consolidamento del possesso, che Mihajlovic vincola a due fattori imprescindibili, la velocità d’esecuzione e la pazienza, il Toro si affida alla creatività dei suoi attaccanti. A questo punto le cose si fanno divertenti. Ljajic e Iago Falque si trovano spesso a combinare sullo stesso lato, con l’idea di arrivare sul fondo o di cercare l’inserimento del centrocampista sull’altro lato. Più Ljajic è libero da compiti difensivi, come contro il Crotone, più si sistema verso il centro del campo, fino a disegnare un 4-3-1-2 o un 4-2-3-1, moduli che Mihajlovic ritiene ormai stabilmente integrati nel playbook del Toro. Una volta impossessatosi della sua zona, asseconda l’istinto, come sottolineano i 2,9 dribbling tentati ogni 90 minuti, con una percentuale di riuscita del 77%.

In alternativa, per muovere le difese avversarie, il Torino si affida al lancio lungo di Valdifiori su Belotti. I risultati non sono sempre confortanti.

Cambi e ricambi

Mihajlovic sa bene che i risultati del Torino, sia sportivi che finanziari, sono e saranno legati a doppio filo alla crescita dei giovani in rampa di lancio: Belotti, Baselli, Benassi, Zappacosta, Barreca, Boyé. Così, dopo aver lanciato Donnarumma, sta continuando a lavorare in segreto per l’Italia in ottica Russia 2018. Per prima cosa, si è concentrato moltissimo sulla crescita di Baselli, e come al solito è stata una battaglia personale, una questione d’onore, un metterci-la-faccia: «Questa è una sfida personale che voglio vincere e sicuramente la vincerò. Sicuramente vedrete un Baselli più cattivo».

E poi ancora, qualche settimana dopo: «Tutti dicono che ha carattere e se ce l’ha deve tirarlo fuori. Deve darsi una sveglia, se capissi che lui non ha nelle corde le possibilità di migliorare non glielo chiederei nemmeno, ma visto che ha grande talento io devo provarle tutte e arrivare alla medicina giusta che gli faccia tirare fuori le palle. Ho rifiutato 3 volte lo scambio perché credo in lui. Però mi deve dare risposte e il prima possibile». Le risposte stanno iniziando ad arrivare adesso. Dopo Crotone-Torino, Baselli è diventato un giocatore un po’ più intenso, sia nel linguaggio del corpo, per come usa il fisico, per come richiama le marcature, che nei numeri grezzi: rispetto all’anno scorso, a parità di intercetti, tenta e vince un contrasto in più ogni 90 minuti. Ha anche ridotto drasticamente i passaggi chiave, ma questo si spiega alla luce del diverso ruolo della mezzala nel sistema di Ventura e in quello di Mihajlovic.

Baselli sfila il pallone a Fofana.

A proposito di passaggi chiave, chi l’avrebbe mai detto, quasi a metà stagione, che Belotti avrebbe raddoppiato rispetto all’anno scorso la propria quota di passaggi chiave ogni 90 minuti? Al momento ne fa registrare 2,2, è primo tra i centravanti ed è subito a ridosso dei primi 20 del campionato. Il Gallo ha ricevuto da Sinisa lo stesso trattamento, quel pane-al-pane vino-al-vino che fa bene ai giovani e li tempra sani e forti: «Se perde la cattiveria diventa uno normale. Non deve mai mollare e deve sempre dare il massimo, è questo quello che gli ha permesso di arrivare in Nazionale». Che poi è un po’ quello che pensiamo tutti di Belotti.

Dalla panchina, Mihajlovic pesca regolarmente l’energia di Lucas Boyé in attacco (subentrato 9 volte) e di Joel Obi a centrocampo (subentrato 7 volte). Una soluzione interessante nella faretra di Sinisa è Maxi López, che a furia di smaltire lavatrici si sta ritagliando uno spazio da trequartista tattico, alle spalle di due punte come Belotti e Boyé, ad esempio, con il compito di calamitare palloni alti e servire gli uomini in profondità.

Nel frattempo, Barreca ha approfittato degli infortuni di Avelar e Molinaro per imporsi titolare alla prima stagione in Serie A. Dodici partite sono un campione ridotto, e non sarà facile nascondere sotto il tappeto i limiti difensivi palesati contro Napoli e Juventus, ma la sua maturazione potrebbe significare che abbiamo finalmente trovato un rarissimo esemplare di esterno sinistro italiano di piede sinistro. Manca alla Nazionale da Balzaretti in poi – per una strana coincidenza, un altro torinese cresciuto nel Torino.

Su la testa

La curiosità statistica che salta all’occhio è che il Torino ha già subito 7 gol su colpi di testa, e ne ha subiti 7 nati sugli sviluppi sul calcio d’angolo, per un totale di 12 gol, che sommati a un altro paio di gol subiti su cross da situazione statica (quello di Immobile, quello di Melchiorri, il secondo di Higuaín) restituiscono l’idea di una squadra estremamente fragile, seppur spesso ordinata nelle distanze tra i reparti. Il Torino è sedicesimo in campionato per numero di duelli aerei vinti (181), ed è sempre sedicesimo per percentuale di duelli aerei vinti (47,26%). I quattro difensori centrali impiegati (in ordine di presenze: Castán, Rossettini, Moretti, Bovo) condividono qualità molto utili a questa squadra e a questo sistema di gioco, come l’esperienza e la tecnica di passaggio, ma non sono Glik e Maksimovic, né per physique du rôle, né per affidabilità complessiva.

In effetti, stando ai dati, la parola “fragilità” si può leggere ovunque. Soltanto tre volte la porta di Hart è rimasta inviolata – è stato contro i fanalini di coda Empoli, Pescara, e Crotone, e in tutte e tre le occasioni il portiere inglese ha commesso almeno un grande intervento. Il Torino ha già subito 23 gol su azione, ed è andata anche bene: il valore degli xG subiti (25,74) è il diciassettesimo del campionato. Concede molti tiri (16° posto), altrettanti tiri in porta (13° posto), e per fortuna il rapporto tra tiri in porta e tiri totali concessi è assai vantaggioso (4° posto). Sono tanti piccoli segnali di allarme, che avvicinano pericolosamente il Torino alle statistiche collezionate dalle squadre in lotta per non retrocedere.

È sufficiente un’uscita sciagurata di Zappacosta perché Castro arrivi al tiro da ottima posizione.

I problemi arrivano da lontano: Mihajlovic non dispone marcature rigide, i giocatori devono orientarsi sui movimenti degli avversari cercando di non sparigliare troppo la struttura della squadra, e soprattutto comunicare, dialogare di più in campo, compiere delle scelte in poco tempo. Diversi titolari, purtroppo, non riescono a mantenere costanti l’intensità e la concentrazione (Ljajic e Valdifiori su tutti, ma anche Baselli, Belotti, Barreca, Zappacosta), ed è facile che uscite tardive o letture sbagliate aprano il campo agli avversari. Il Torino aggredisce con gli attaccanti, ma è raro che riesca poi a controllare il pallone nella zona di recupero.

Quando ci riesce però…

L’atteggiamento aggressivo serve soprattutto a spezzare il possesso dei difensori, a forzarne le giocate, all’occorrenza spendendo un fallo - il Torino è terzo in campionato per numero di falli. Il cambio di rotta rispetto alla gestione Ventura, attendista e conservatrice nell’altra metà campo, è stato accolto positivamente da tifosi e giocatori, su tutti il capitano Benassi: «Ho fatto passi avanti nella cattiveria e nell'aggressività, riesco a recuperare il pallone con maggiore frequenza e questo grazie anche a Mihajlovic».

Contro le difese a tre, Mihajlovic schiera i tre attaccanti in parità numerica sui difensori, e quindi concede più spazio per la ricezione degli esterni, come contro Palermo e Fiorentina. Contro le difese a quattro, invece, Belotti si occupa di entrambi i centrali con il supporto di una delle due ali che si avvicina, in base al lato su cui si sviluppa l’azione. Se il playmaker avversario si abbassa tra i centrali per ricevere, lo prende in consegna direttamente Belotti (come visto contro l’Inter) e il Toro conserva lo schieramento.

Negli ultimi due turni, Juventus e Napoli hanno brillantemente approfittato dell’inferiorità numerica centrale del Torino affidando l’impostazione del gioco ai difensori. Contro le squadre che possono far circolare la palla con tutti gli effettivi, Mihajlovic sembra non avere contromosse adeguate, in parte anche a causa delle lacune della rosa.

Sul rinvio del portiere, il Toro lascia sempre almeno un terzino libero di ricevere e salire. Se i reparti non sono abbastanza compatti, c’è subito il pericolo di una transizione.

Corrente alternata

Successivamente i movimenti verticali di Valdifiori sono determinanti nel dettare i tempi alla squadra. Valdifiori può anche essere assegnato direttamente al regista avversario, come contro la Sampdoria, e quindi spostato più avanti rispetto alla suo posizione naturale. Il tempismo nelle uscite non è sempre perfetto, e la compattezza tra le linee del Toro, che non può contare su una linea di difesa particolarmente veloce, ne risente.

La struttura fissa, dunque, è quella del 4-3-3, sempre molto evidente sia sull’inizio azione del Torino che su quello degli avversari. Con questa disposizione, i granata cercano di mantenersi stretti in orizzontale. Tendono invece a concedere distanze in verticale, quando portano i tre attaccanti molto vicino alla porta avversaria, ma la sola minaccia del pressing è spesso sufficiente a convincere le altre squadre al lancio lungo, piuttosto che avventurarsi tra le linee nemiche. Contro le squadre che invece vogliono costruire, il Torino si riserva di assecondare il “momentum” della partita: a volte attende all’altezza del centrocampo, a volte Belotti si accende trascinando i compagni al seguito.

Ovviamente l’interruttore emotivo è difficile da padroneggiare, soprattutto per una squadra molto giovane dalla trequarti in su, e questa è una parziale spiegazione del perché abbiamo assistito a prestazioni difensive generalmente molto blande (Inter, Fiorentina, Roma) in cui il Torino ha ugualmente fatto risultato, o è andata molto vicina a farlo. La squadra di Mihajlovic dipende molto dall’intensità che riesce a mettere in campo, può interpretare una buona fase difensiva, può aggredire la costruzione avversaria su diverse altezze del campo, ma non può farlo in maniera sistematica.

Anche nelle giornate meno brillanti, il Toro non perde mai “il polso” della partita – e quando le energie fisiche e nervose ritornano, riprende ad applicare un pressing sufficientemente efficace, e di conseguenza a ritrovare brillantezza offensiva. Certo che le energie, per il momento, sembrano indispensabili: 18 dei 27 gol subiti sono arrivati nei secondi tempi.

Il quadro finale descrive una squadra che ha concesso molti gol e che ha subito più o meno indiscriminatamente da ogni squadra. In fondo, però, il Torino ha concesso la maggior parte di quei gol a partire da situazioni di gioco facilmente allenabili, come i cross o i calci d’angolo, sulle quali è lecito attendersi miglioramenti nel breve. Oppure li ha subiti a causa di “mismatch” incolmabili per questa difesa, come quelli contro Higuaín e Mertens nelle ultime due settimane. Qualunque fossero, di sicuro Mihajlovic non ha ancora trovato le risposte che cercava.

L’Europa vicina e lontana

Sul percorso di crescita del Torino si inserisce a fagiolo la riforma delle competizioni UEFA, che, semplificando molto, nel prossimo triennio ospiteranno fino a sette squadre italiane anziché sei (c’è ovviamente di mezzo il ranking, ma questo è lo scenario più probabile). La società di Cairo vuole iniziare a lottare più o meno stabilmente per un piazzamento europeo, per questo ha bisogno di una garanzia di introiti a medio termine, e per questo ha bisogno di avviare quanto prima quel circolo virtuoso per cui risultati positivi chiamano risultati positivi, e tanti risultati positivi ti permettono anche un anno di risultati negativi senza grosse ricadute.

Ad oggi, al di là della disorganizzazione difensiva e della panchina corta, il Torino è soprattutto una squadra divertente, con tanti giocatori giovani, tanti giocatori estremamente peculiari (quanto è complessa la monodimensionalità di Valdifiori?) e un allenatore che sembra sinceramente innamorato del proprio lavoro: «A me piace vedere ogni tipo di partita, vado a vedere anche la Juve perché sono curioso, voglio capire come giocano tutte le squadre. E cerco di trasmetterlo ai miei giocatori, li riunisco per vedere i filmati, più tempo passano insieme a parlare di calcio meglio è. Anche mezz’ora in più è importante».

Sinisa Mihajlovic aveva una missione: uscire indenne dalla vorticosa retorica che circonda i Derby di Torino, soprattutto dopo che il Toro era riuscito, solo negli ultimi due anni, nell’impresa di perderne due nei minuti di recupero e altri due con 4 gol al passivo. Tanto per coprire per intero lo spettro della beffa e del dolore. Ne è uscito sconfitto, ma ha potuto ammirare una squadra a sua immagine e somiglianza, combattiva, intensa, ambiziosa, un po’ confusa. Poco male, allora, essere scivolati al di fuori del treno Europa League: per quest’anno conta piuttosto dimostrarsi «squadra che lotta, gioca e crea». Ma più di tutto, rifiuta le etichette.

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