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Dugout: il social network del calcio
02 dic 2016
Le principali squadre europee hanno già il loro account, ma che cos’è e come funziona?
(articolo)
6 min
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Dal 28 novembre è online un nuovo social network interamente dedicato al calcio. Si chiama Dugout - “panchina” in inglese - ed è stato fondato da due esperti di comunicazione britannici , e finanziato da Philip Green di Arcadia Group (che possiede, fra le altre cose, Topshop).

Su Dugout le squadre professionistiche e i calciatori hanno un loro canale dedicato dove caricano i contenuti, principalmente video, già presenti sugli altri profili social. In aggiunta però ad altri contenuti esclusivi, che sembrano destinati a crescere in futuro. Al momento non sono moltissime le squadre iscritte (in Italia solo Milan, Juventus e Roma) e i giocatori non arrivano a dieci. Eppure il social è già stato tradotto in nove lingue, con una particolare attenzione al mercato asiatico: Cina e Indonesia, e le prospettive di crescita sono profonde. Secondo alcune indiscrezioni anche Pelè dovrebbe tra poco aprire il proprio profilo su Dugout. Come si è arrivati a questo?

Per nulla pretenzioso il video di sbarco del Real Madrid sul pianeta Dugout.

A cosa serve

Con l’ossessione di valorizzare il proprio brand a livello globale, negli ultimi tempi le squadre hanno aumentato a dismisura la quantità di informazione che le riguarda. Il materiale caricato sui social è così tanto che è diventato impossibile tenere traccia di tutto. Dugout offre il vantaggio di organizzare e catalogare in unico posto questa massa di informazione.

Ma se i maggiori club al mondo stanno sposando il progetto di Dugout non è tanto per questo nobile obiettivo d’archiviazione quanto soprattutto per una questione di soldi. Dugout permette alle società di calcio di uscire dal mercato dei social media tradizionali, dentro il quale si sentivano penalizzati a livello economico. Nei video sono già presenti inserzioni pubblicitarie calibrate sull’utente, i cui ricavi finiranno al 50% nelle classe delle società. Un margine decisamente superiore a quello che permette Facebook o Twitter.

Il vice-presidente di Dugout, Kate Burns (ex Google, AOL e Buzzfeed) ha dichiarato che il progetto punta sul target dei millennials, sempre complicato da raggiungere a livello pubblicitario. Da qui la grafica un po’ da PES e la leggerezza complessiva. I contenuti presenti finora su Dugout non si discostano molto da ciò che siamo ormai abituati a vedere sul profilo Facebook e Instagram delle varie squadre: sfide frivole sui campi d’allenamento, brevissimi interviste, compilation di partite o di giocate di archivio, incontri tra sportivi famosi. Tutto accomunato da quel generale tono ironico rarefatto di chi è compiaciuto di lasciarti entrare in un mondo di persone contente di essere quello che sono. L’utente, da parte sua, al momento non può fare molto altro che creare passivamente il proprio account e seguire i club e i giocatori che preferisce.

La cosa più interessante di Dugout è però la possibilità di avere contenuti propri. Non tanto per un’astratta esclusività, quanto per la possibilità di creare dei format con cui i club possono dialogare fra loro. Ad esempio è al momento in corso il “touch challenge” con cui i club presenti partecipano a una sfida comune, in questo caso fare il primo controllo più stiloso possibile su un pallone sparato in aria. Una contesa già vinta a mani basse da Stephan El Sharaawy, che però contiene pochissima creatività. Da una parte perché una vera sfida dovrebbe produrre quanto meno un vincitore, e dall’altra perché, dai, si poteva pensare qualcosa di più interessante. Basterebbe guardare gli allenamenti di FIFA per raccogliere qualche spunto più complesso.

Tutto questo però potrebbe essere solo l’anticamera di una partita più ampia. Non è detto che in futuro i club proveranno a sfruttare Dugout più a fondo, caricando i video live degli allenamenti o di partite amichevoli. Quella della trasmissione di eventi in diretta appare oggi come il terreno di scontro principale tra i vari social media. Twitter ha già stretto un accordo con la NBA e sembra voler puntare forte sulla trasmissione live di eventi sportivi per uscire dallo stallo in cui è precipitato. Facebook non è da meno: ad agosto la Roma ha trasmesso la prima partita live sul social di Zuckerberg, la modesta amichevole col Terek Grozny, che ha raggiunto 150mila contatti unici e 36mila reazioni. Negli stessi giorni Facebook ha trasmesso il “testimonial game” di Rooney tra Manchester UTD ed Everton. Snapchat, da parte sua, ha stretto un accordo con la NFL. Dugout parte indietro ma offre ai club il vantaggio di permettere un migliore margine di monetizzazione.

I giocatori della Juventus fanno cose.

Dentro le squadre

Se la prospettiva degli eventi live rappresenta la portata principale, per arrivarci al meglio Dugout deve sapersi dimostrare migliore dei suoi competitor nel confezionare con stile contenuti con poco spessore. E in questo, finora, Dugout non sembra aver migliorato un certo tipo di creatività artefatta che affligge i social media manager delle squadre di calcio, e che rischia di trasformare la nuova piattaforma in un altro posto banale. Del resto i lati positivi e negativi di una gigantesca tv on demand che trasmette solo video “dietro le quinte” li potete immaginare. Esiste una parte di noi che prova piacere nel guardare Evra stirare mentre canta Tom Jones, o che vorrebbe vedere Xabi Alonso palleggiare per un tempo infinito. Sono regali carini che le squadre di calcio diffondono in mezzo ad informazioni più serie. Ma d’altra parte vedere così tanti contenuti dichiaratamente di contorno, così palesemente poco spontanei, ammassati tutti assieme, può comunicare un effetto di vacuità assoluta. A meno che non ci sia una grande cura che li renda davvero belli e appetibili.

«Il gioco oggi è davvero globale e i tifosi non vogliono solo guardare le partite, vogliono seguire i loro club e i giocatori in giro per il mondo, anche fuori dal campo», ha spiegato Elliott Richardson, co-fondatore e presidente di Dugout. Ma senza l’attenzione necessaria questa apertura potrebbe addirittura sortire un effetto opposto, facendoci apparire il mondo delle squadre professionistiche ancora più artefatto e plastificato di quello che già non è.

D’altronde se negli ultimi anni abbiamo accesso a molte più informazioni sulla vita delle squadre di calcio questo non vuol dire che ne sappiamo davvero di più. Da quando esistono i social media di certo il mondo del calcio non è diventato meno conservatore: le informazioni in più di cui disponiamo non aiutano a farci un’idea più completa di che tipo di persone siano i calciatori professionisti, quali sono le loro vere difficoltà, quali le loro idee sul mondo. Il nostro sguardo, portato dietro le quinte, ci conferma solo certi loro tic, la loro strana forma di vita di clausura. Dobbiamo accontentarci di cose piccole: Leroy Fer che canta Drake a mensa, Mauricio Pochettino che sfida Hugo Lloris o i giocatori del Bayern Monaco che si impegnano in una sorta di “buongiorno kaffèè challenge”. In fondo non è poco, purché sia tutto confezionato meglio di così.

Come dichiara Francesco Totti, rivolgendosi ai tifosi, in un vecchio video ricomparso ora su Dugout: «Sapete cosa penso? Sapete chi sono davvero? Questo è quello che non posso darvi».

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