Donnarumma al Manchester UTD
di Federico Aquè
Primo indizio: esiste un rapporto consolidato tra il Manchester United e Mino Raiola, che ha portato allo United i suoi giocatori più forti, Paul Pogba e Zlatan Ibrahimovic, oltre che Henrikh Mkhitaryan e Sergio Romero. Secondo indizio: il Real Madrid spera ancora di comprare David de Gea, che potrebbe essere coinvolto in un giro di scambi assurdo, obbligando il Manchester United a trovarsi un nuovo portiere titolare. Terzo indizio, il più complottistico: fermato in aeroporto meno di un mese fa, Donnarumma ha risposto «vado a Manchester» alle persone che gli chiedevano dove fosse diretto. Era davvero una battuta per nascondere un viaggio a Disneyland con la fidanzata o la verità usata per tenere nell’ombra la trattativa con lo United, sapendo che nessuno lo avrebbe preso sul serio?
Anche chi non ha mai letto un libro di Agatha Christie sa che tre indizi fanno una prova: Donnarumma al Manchester United non è solo probabile, ma anche logico.
Per lo United sostituire de Gea con Donnarumma non rappresenterebbe un miglioramento sensibile, né nell’immediato né in prospettiva. Lo spagnolo è già adesso uno dei migliori portieri al mondo ed è abbastanza giovane (ha 26 anni) per pensare che possa esserlo anche tra 5 anni. Poi c’è il rapporto quanto meno ambiguo di José Mourinho con i giovani talenti, la cui valorizzazione richiede tempo ed è in contrasto con l’ossessione per i titoli vinti.
Sarebbe insomma la situazione ideale per confermare l’eccezionalità di Donnarumma, la sfida perfetta per portare la propria carriera su un altro livello: abbastanza difficile per accrescerne lo status – sostituire de Gea metterebbe in crisi portieri ben più esperti di Donnarumma, che per quanto sia unico resta pur sempre un ragazzo di 18 anni alla prima esperienza fuori dall’ambiente che lo ha lanciato e protetto –, ma meno drastica rispetto, ad esempio, al Real Madrid – per quanto sia ricco e ambizioso lo United è una squadra in ricostruzione che punta a tornare ai vertici del calcio inglese ed europeo.
Anche a livello tecnico è difficile pensare a una squadra migliore per Donnarumma. Mourinho non avrebbe grandi pretese per il suo gioco con i piedi – l’aspetto in cui il portiere del Milan ha i margini di miglioramento più ampi –, ma gli chiederebbe semplicemente di prendere le misure a Fellaini e farne l’obiettivo dei suoi lanci lunghi. Il cambiamento più grande riguarderebbe probabilmente la frequenza degli interventi: nell’ultima Serie A Donnarumma ha compiuto più parate di tutti, allo United si ritroverebbe in una squadra che punta innanzitutto a sabotare gli avversari e a impedire loro di avvicinarsi all’area di rigore. L’alto numero di parate ha permesso a Donnarumma non solo di nascondere gli errori, ma anche di costruirsi l’immagine di giovane fenomeno che rimedia ai limiti del Milan. Allo United Donnarumma dovrebbe invece trasformarsi nel “portiere da grande squadra”, capace di indirizzare una partita con uno o due interventi.
Anche per questo lo United sarebbe razionalmente la scelta ideale per migliorare la propria carriera dal punto di vista economico e sportivo, il miglior compromesso possibile tra ambizione e rischio di “bruciarsi”.
Al Bernabeu
di Daniele V. Morrone
Dal momento in cui la penna si è staccata dal foglio e la firma è stata apposta sul contratto, dalla stretta di mano con Florentino Perez in poi, il tempo per Donnarumma è accelerato. Uno sguardo allo spogliatoio scortato da un Sergio Ramos sorprendentemente simpatico, una prima chiacchiera con Zinedine Zidane, il sorriso malinconico e furbo al tempo stesso del mito francese, che all’orecchio di Donnarumma gli ha detto in italiano con accento spagnolo: “Te stavamo aspetando Gigio”. Poi il primo allenamento, la tournée in America, la strana amichevole in Costa Rica o Guatemala organizzata in primavera e ormai incancellabile, con i fischi del pubblico - anche lì - ad ogni sua parata, deluso per l’assenza di Keylor Navas, venduto in tutta fretta alla Roma per togliere ogni possibilità che finisse in un’altra competitor spagnola.
Tornato a Madrid è uscito per la prima volta scortato da Sergio Ramos e Isco, con il compito di tenerlo occupato e integrarlo nello spogliatoio, farlo divertire almeno un pochino, in fondo aveva pur sempre diciotto anni. Lo hanno portato in un locale che si chiamava Velvet, a due passi dal Palazzo Reale, le ragazze lo chiamavano Gigio nel privé, i tifosi che si scattavano i selfie lo chiamavano Donnarumma invece. Nel giro di poche settimane lo sguardo malinconico di Zidane si è fatto serio, c’è da preparare la Supercoppa Europea contro Mourinho. Lì è arrivato il primo gol incassato con la sua nuova maglia: sul proprio palo, sotto le gambe, colpa di quella volpe di Mkhitaryan, a cui è bastato liberarsi un secondo da Marcelo. Marca il giorno dopo con le giustificazioni, “è la prima partita”, “la Supercoppa è un’amichevole glorificata”, “Mkhitaryan doveva essere seguito da Marcelo”.
Le tribune del Bernabeu sono alte, ma non sembra più grande del Meazza, certo lo stadio è sempre pieno fino al terzo anello. I tifosi all’inizio applaudivano ogni parata, anche la più semplice, ma lentamente cominciano a dare per scontate le prese sicure a mezz’aria, le parate basse così di solito difficili per un portiere della sua stazza, e iniziano a mugugnare a ogni piccola incertezza. È difficile giocare la palla con i piedi con ottantamila occhi puntati, e i brusii dopo che la palla arriva a Modric sporca, costringendo il croato a un grande stop, lui sì applaudito dallo stadio. Quando poi contro il Celta Vigo un retropassaggio di Sergio Ramos, sulla pressione di Iago Aspas, lo coglie di sorpresa, Donnarumma liscia il pallone lasciando all’avversario la strada spianata per la porta sguarnita. Lo stadio non lo critica apertamente, ma Donnarumma ha l’impressione di giocare all’interno di un enorme frigorifero tanto gli sguardi si sono fatti freddi.
Il tempo passa velocissimo, non si riesce a prendere fiato: si gioca ogni tre giorni, ci si allena se va bene due volte a settimana in modo completo, Zidane riesce a parlarci a quattrocchi tre volte in tutto dalla prima stretta di mano. Gigio ha parlato quasi di più con gli inviati dell’evento Puma in occasione del lancio dei suoi nuovi guanti, che con l’allenatore. Incontra Florentino Perez una volta in corridoio, ma ha l’impressione che il Presidente non lo abbia riconosciuto. Cristiano Ronaldo lo accarezza e gli dice solo cose tipo “Sarai grande, lavora duro”, Marcelo in allenamento cerca sempre di segnargli sotto le gambe, o di fargli un pallonetto e ogni tanto ci riesce pure. Sergio Ramos è sempre simpatico con lui, ma la sera lo lascia sempre più spesso ad Isco, con cui Donnarumma scopre di non avere molti argomenti di cui parlare. I locali sono sempre quelli, le ragazze anche. Raiola gli dice che magari potrebbe cercare degli studenti Erasmus italiani con cui fare due chiacchiere e giocare alla Play. Donnarumma gli dice che, chissà, Barcellona gli sarebbe piaciuta di più. Raiola risponde: “Perché no. Non escludiamo niente. Hai tutta la carriera davanti”.
Arriva il primo Clásico. La partita delle partite. La partita che Donnarumma sognava di giocare da bambino, o almeno così dice a Marca. Un sogno giocarla da titolare quando non hai neanche vent’anni. Le cose si sono mosse a un ritmo tale che quando prova a ricordarlo si accorge che non sa il nome del quartiere dove abita, l’ha sentito nominare tre volte ma la pronuncia gli è sembrata sempre diversa. Non è ancora riuscito ad abituarsi agli orari spagnoli, quando è invitato a qualche cena non riesce a trattenersi dal mangiare prima con i suoi genitori, all’orario italiano, e così finisce per mangiare due volte. Ha preso un chilo da quando è arrivato, niente di drammatico, ma sulle vignette del Mundo Deportivo lo disegnano già col doppiomento. Ogni tanto qualcuno gli sventola in faccia dei dollari, veri o finti che siano. Lui sorride sempre e pensa alla prossima partita. Poi arriva il Clásico. Arriva Messi al Bernabeu, la prima volta dopo che ha sventolato la maglia in faccia ai tifosi del Madrid. Ai suoi tifosi.
Quando Iniesta lancia Messi alle spalle di Varane il Bernabeu si ammutolisce. Un silenzio che attrae e fa sparire anche i rumori più normali, Donnarumma non sente niente, neanche la sua respirazione. Esce di qualche passo, ma Messi non accelera. Ha palla incollata al piede e lo punta come se fosse un torero, in un corrida in cui, appunto, sono i toreri a correre contro i tori per infilzarli. Quando Messi è a poco più di un metro da lui, Donnarumma pensa per un attimo di distendersi in direzione della palla, ma all’ultimo decide di restare in piedi, anche se basso sulle gambe, e fa bene perché Messi a quel punto compie una sterzata su cui non sarebbe mai arrivato. Adesso però ha tutta la forza del suo corpo caricata nei quadricipiti, la fa esplodere lateralmente e con una mano arriva sulla palla. Il piede di Messi prova a fargliela scivolare via ma la colla sui suoi guanti è più forte. Il Bernabeu è tutto in piedi e quando Donnarumma riacquista l’udito il rumore è assordante. Si alza senza mostrare emozioni, passa la palla a Modric con le mani, e poi pensa: “Ho tutta la carriera davanti”.
Erede di Buffon, bandiera, portiere più vincente della storia bianconera
di Emanuele Atturo
È un pomeriggio afoso e sul cielo di Milano corre un aeroplano che si porta a strascico la scritta: “Donnarumma è l’Anticristo”. Era di qualche ora prima la notizia che Gianluigi Donnarumma, il portiere prodigio del calcio mondiale, bandiera dei prossimi 20 anni rossoneri, il nuovo Baresi, era passato alla Juventus. Fra la notizia del suo mancato rinnovo e quella della sua prossima destinazione erano passati 15 giorni di paura, delirio e sospetti.
Nel mezzo, Donnarumma, probabilmente manovrato da Raiola aveva iniziato a lanciare messaggi così ambigui e contraddittori da far impazzire tutti. Capire dove sarebbe finito a giocare era diventato un enigma posto alla nazione.
Fra tutti i segnali, quello più concreto era stato l’annuncio, una settimana dopo il mancato rinnovo, dell’Adidas di Donnarumma nuovo testimonial. Ma i giornali lo avevano interpretato come un prodromo del suo passaggio al Real Madrid. Qualche sospetto in più era nato con il passaggio di Szczesny - promesso sposo bianconero - al Napoli.
Con un’autentico capolavoro spionistico, Marotta era riuscito a mantenere la trattativa perfettamente segreta per settimane. Per poi annunciarla in una conferenza stampa in cui, simbolicamente, viene chiamato a parlare anche Buffon.
Gigio e Gigi entrano in sala stampa abbracciati, scherzano senza che nessuno li possa capire, si scambiano sguardi d’intesa, poi attacca a parlare Marotta: «Abbiamo chiuso un accordo verbale con Donnarumma il giorno dopo quella sfida contro il Milan. Quella in cui baciò la maglia. Gigio aveva giocato una partita fenomenale allo Juventus Stadium e abbiamo capito che era lui l’unico capace di raccogliere l’eredità di Gigi».
Interrogato su quel maledetto bacio alla maglia, Donnarumma gela la sala stampa: «Sono juventino dalla nascita. Ogni partita contro la Juventus per me è stata speciale e quella, per il livello di tensione, lo è stata in particolare. Al Milan mi sono sforzato di sentirmi a casa, ma ero stufo di fingere». Quindi gli chiedono se è stata, davvero, solo una scelta di cuore: «No! Qualsiasi giocatore sano di mente sceglierebbe la Juventus: qui c’è la mentalità che non puoi trovare da nessun’altra parte. Qui puoi migliorare come calciatore, ma soprattutto come uomo».
Gli chiedono perché la Juventus e non il Real Madrid, o il Manchester UTD: «La Juventus rappresenta l’Italia nel mondo. Essere chiamati dalla Juve è come essere chiamati dalla Nazionale: non ci pensi più di tanto ad accettare». Gli chiedono, con un po’ di sospetto, perché ha deciso di venire a fare panchina a Buffon: «Per un anno ho la possibilità di allenarmi con il mio mito e il miglior portiere della storia: guardarlo ogni giorno e rubare con gli occhi. Solo voi la vedete come una cosa negativa. Ho 18 anni, ho bisogno di crescere e di imparare a vincere».
La Juve lancia sui social un video intitolato “From Gigi to Gigio”. Si vede un Donnarumma giovanissimo giocare nei campetti di Castellammare con la maglia di Buffon. Poi le immagini di Donnarumma che cresce sono incrociate a quelle della storia della Juve, da calciopoli alle finali di Champions, fino all’abbraccio con Buffon e alla presentazione ufficiale. Alla coda del video compare la scritta: “Dall’amore non si fugge”.
L’odio verso la Juventus tocca picchi mai raggiunti neanche con Calciopoli. Il New York Times pubblica un’analisi dal titolo “L’egemonia della Juventus sulla Serie A non è tecnica ma culturale”, da cui la Juventus esce bene e l’Italia calcistica nel suo insieme malissimo, in un passaggio viene addirittura definito un “Paese medievale”. A ottobre, mentre Donnarumma siede in panchina e i bianconeri tranquilli in vetta alla classifica, Buffon si infortuna alla mano. Dovrebbe tornare dopo due settimane ma non riesce a guarire. Donnarumma si prende il posto da titolare, gioca partite straordinarie, e nella sfida a San Siro contro il Milan - mentre il pubblico inscena una protesta artistica lanciandogli mazzetti di banconote false dagli spalti - para un rigore ad André Silva.
A dicembre Buffon annuncia il ritiro. La mano fa male, gli impegni troppo importanti: preferisce lasciare quando il suo ricordo è senza macchia, e mentre la porta della Juventus e della Nazionale è finalmente in buone mani. Dopo aver vinto il campionato, tra maggio e luglio Donnarumma alza la Champions League e gioca da titolare i mondiali di calcio, fino alla finale persa contro la Francia. Dopo appena un anno, il suo passaggio dal Milan verrà ricordato dalle persone con normalità, come quello di Buffon dal Parma, Pjanic dalla Roma o Higuain dal Napoli, che ha finalmente trovato una doppietta decisiva nella finale di Champions League.
Donnarumma Re delle due Sicilie
di Marco D’Ottavi
Dopo un Europeo Under 21 giocato da protagonista, senza mai rispondere ad alcuna domanda sul suo futuro, Gianluigi Donnarumma affidò ai propri social la seguente foto:
Questa frase sibillina, citazione del filosofo francese Blaise Pascal, mandò ancora di più nel panico i tifosi di tutto il mondo. Erano parole che sembravano contraddire la scelta di non rinnovare il contratto con il Milan, ma allora perché non rinnovare il contratto con il Milan?
Gli esegeti si divisero: i giornalisti sportivi furono costretti ad ammettere che non avevano idea di che cosa volesse intendere il portiere con quelle parole. Finirono per ipotizzare che si trattasse piuttosto di un messaggio rivolto alla sua ragazza, dopotutto era un Bacio Perugina in mano ad un ragazzo di 18 anni, e rimasero fermi sulla loro posizione, ovvero che la sua destinazione fosse Madrid sponda Real. I tifosi della Juventus, che dopo le parole di Marotta erano convinti di poter avere Donnarumma a difendere i loro pali, capirono che per quanto vaga fosse quella frase sul cuore e la ragione, sicuramente non era diretta a loro. Gli interisti ripresero la foto di un giovanissimo Gigio con la maglia dell’Inter, ma più per dovuto trollaggio che per convinzione. I tifosi del Milan entrarono in una paranoia totale: dopo tutto quello che era successo, che stesse tornando sui suoi passi? Come in tutte le cose ci fu chi era pronto a perdonare e accogliere il figlio prodigo lampo, chi rimase ortodosso nell’odio, e chi si convinse che per la prima volta una rivolta social aveva dato i suoi frutti senza spargimenti di sangue, ma solo di dollari finti.
Il mistero si intricò qualche giorno dopo, quando Donnarumma postò una sua foto accanto ad una replica di una locomotiva Bayard, precisamente quella esposta nel Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa.
La didascalia recitava: “La ferrovia Napoli – Portici fu la prima linea ferroviaria costruita in Italia, simbolo della grandezza della Campania e dell’illuminismo di Ferdinando II”. Arrivò quindi il turno degli storici: in una afosa settimana di Luglio in Italia si tornò a dibattere intorno al processo di unificazione del paese. Tornarono forti la #QuestioneMeridionale (trending topic per un giorno intero) e Antonio Gramsci, ma sopratutto i tifosi napoletani capirono che forse stava per succedere una cosa grande.
Ci fu da aspettare un’altra settimana, una settimana lunghissima per tutti i diciottenni e per tutti i tifosi, ma alla fine quella frase venne spiegata: Donnarumma non aveva rinnovato per forzare il Milan a cederlo al Napoli per 25 milioni + Pepe Reina.
Nella conferenza stampa di presentazione il portiere si tolse qualche sassolino dalla scarpa. Disse: «Ringrazio il Milan per avermi fatto crescere, ma io non sono un tifoso, sono un professionista. Se il mio cuore è da qualche parte, al massimo è qui, a casa». «Dopotutto ho iniziato a giocare in una squadra chiamata Club Napoli, non Milan. E il mio sogno è sempre stato quello di parare all’ombra del Vesuvio». E ancora «La Società Sportiva Calcio Napoli è quello che fa per me in questo momento: ha un progetto serio, che va avanti da diversi anni ed è arrivato al suo picco; gioca un calcio molto bello da vedere e soprattutto io ed Insigne possiamo essere i leader di un riscatto campano. Il riscatto che porterà nuovamente lo Scudetto al Sud. Questo per me è molto importante».
A Sarri venne chiesto dei limiti coi piedi di Donnarumma, un fondamentale che nel suo gioco è molto importante, e nel quale Pepe Reina eccelleva. L’allenatore rispose che se aveva insegnato a Pucciarelli a giocare il pallone, poteva farlo anche con Donnarumma. Anzi poteva farlo con qualunque diciottenne sulla faccia della terra. Poi aggiunse che erano proprio stronzi a fare una domanda del genere, perché quello che avevano davanti era semplicemente un fenomeno.
In città venne ben presto risolta la questione Donnarumma: anche se veniva da Castellamare di Stabia e non proprio da Napoli, anche se il suo procuratore era Raiola, anche se non giocava bene coi piedi come Reina, anche se non era un leader come Reina, anche se era arrivato e già guadagnava quanto Hamsik… anche se tutte queste cose erano vere, non bastavano ad offuscarne il talento e sopratutto le parole con cui si era presentato erano molto belle. E al Napoli serviva tutto il talento possibile per stare ancora davanti a Milan ed Inter e soprattutto provare a battere Roma e Juventus.
Il rapporto tra Donnarumma e la Juventus lo rese un idolo dei tifosi dal primo giorno.
Incredibilmente poi, Donnarumma trovò una sponda importante nei tifosi per quanto riguarda la questione borbonica: la tifoseria napoletana si fece promotrice di molti convegni e manifestazioni con lo scopo di mettere in luce un periodo storico spesso trattato con sufficienza. Anche il sindaco De Magistris prese questa rinascita borbonica come un’occasione per un rilancio di alcune spinte indipendentiste. Ben presto il caso divenne politico. La polizia fu costretta a sequestrare un numero impressionante di bandiere, sciarpe e magliette con gli stemmi dei Borboni in tutta la città.
Ne erano pieni gli stadi, ma anche le strade e le scuole. Anche grazie ad alcune parate iconiche, Donnarumma si trasformò ben presto in un eroe per la città. Per la prima volta la città trasformava in eroe un giocatore difensivo neanche ventenne. Per i tifosi Donnarumma divenne Donnarumma Re delle due Sicilie. A Dicembre il Napoli aveva quattro punti di vantaggio su Juventus e Roma e Salvini era costretto a dire che se al Sud volevano farsi il Regno delle due Sicilie, chi era lui per mettersi di traverso. Che si votasse e che votassero per lui. A Marzo i punti erano diventati otto e Matteo Renzi fu costretto a girare in camper tutto il Sud Italia per spiegare che no, non era possibile tornare al 1861. Donnarumma inziò a girare per la città in carrozza e vestirsi come un Re. La situazione presto degenerò, ma il 18 Maggio il Napoli vinse il suo primo Scudetto del nuovo millennio e a nessuno importò davvero più in quale Stato si trovasse a vivere.
Donnarumma fa saltare il banco
di Dario Saltari
«L’unica cosa che può sopraffare il talento è l’esperienza». Il tweet di Sergio Romero, concluso con le emoticon del braccio che fa il muscolo e del viso da anziano, sarebbe stato di difficile interpretazione se non fosse stato pubblicato nel giorno stesso della presentazione ufficiale di Gianluigi Donnarumma al Manchester United. A quella decina di parole vennero date molte interpretazioni: c’è chi ci vide la frustrazione di un portiere costretto a vivere la propria carriera all’ombra di qualcun altro; chi una non verificata citazione di Antonio Salieri; chi, ancora, la dettatura di Jorge Mendes, che utilizzava il portiere argentino per difendere il proprio territorio da un agente rivale. L’unica cosa certa è che quello non era certo un messaggio distensivo, e che per Donnarumma le cose allo United non sarebbero state semplici.
L’acquisto del portiere italiano, inoltre, accelerò la trattativa che portò De Gea al Real Madrid. Forse era un accordo già scritto, ma il suo arrivo fece scattare anche la conseguente messa sul mercato di Keylor Navas, cosa che fece ribellare le orde dei suoi fan centroamericani, che la vedevano come una chiara mancanza di riconoscenza rispetto al contributo che il portiere costaricano aveva apportato alla conquista delle ultime due Champions League. Alla fine fu acquistato dal PSG, ma non prima di scrivere sul proprio account Instagram: «Il successo e la gioventù sono cose che prima o poi bisogna restituire». Non era chiaro se quella citazione di Giorgio Faletti fosse un riferimento a De Gea o allo stesso Donnarumma, visto che entrambi erano più giovani di lui. Nel dubbio i suoi fan iniziarono uno shitstorm sui profili social di entrambi.
Fatto sta che il passaggio di Keylor Navas al PSG portò alla conseguente cessione di Kevin Trapp al Bayern Monaco, che cercava un erede per Manuel Neuer. Quest’ultimo, particolarmente suscettibile, non prese bene però la mossa della dirigenza bavarese e chiese immediatamente la cessione in una squadra in cui non avrebbe avuto una concorrenza così forte per il posto da titolare. Intercettato a Martina Franca, dove stava passando le vacanze a seguito del suo matrimonio pugliese, dichiarò: «L’Italia è un paese che sa apprezzare la saggezza dell’anzianità. Guardate cosa hanno fatto con Totti. Guardate Buffon: ha rischiato di vincere la Champions League a 40 anni ed è ancora uno dei migliori al mondo. In Germania ti sostituiscono con un nuovo prodotto non appena superi i 30 anni». Nessuno si aspettava che quella dichiarazione fosse effettivamente una pista di mercato: una settimana dopo la Juventus annunciò l’acquisto di Neuer.
I tifosi bianconeri, che già se l’erano presi con Donnarumma per aver scelto lo United invece della “Vecchia Signora”, impazzirono del tutto ai primi segni di malcontento da parte del loro capitano per l’avventata mossa di mercato della propria società. A metà luglio, mentre l’ex portiere del Milan era stato ormai costretto a disabilitare i commenti su tutti i propri profili social, il Chelsea annunciò a sorpresa Buffon. «Avrei voluto passare il mio ultimo anno di carriera nella squadra di cui sono bandiera», si poteva leggere nell’accorato comunicato di Buffon a seguito del suo passaggio ai “Blues” «ma dopo quello che è successo con Donnarumma ho capito che le bandiere non esistono più. Esiste solo la riconoscenza delle persone che ti vogliono davvero, e Antonio Conte è una di queste».
Era ormai chiaro che l’esperienza di Courtois a Londra era finita. Pochi, invece, si aspettavano che il Milan, che era ormai in procinto di spendere il budget rimasto per il mercato per un’altra grande punta, decise di puntare su di lui. Quando il portiere belga pubblicò una foto del Duomo sul suo profilo Instagram con la didascalia “Milan calling…” tutti finalmente capirono. Alla conferenza di presentazione a Milanello, le parole del 25enne Courtois furono chiare e dure: «Ci sono portieri che a 18 anni pensano di aver raggiunto già tutto nella propria carriera. Ma io non sono così: il Milan per me è un punto di partenza».
Quelle parole furono accolte con gioia dai milanisti, che iniziarono a pubblicare in massa foto di Courtois sulla bacheca Facebook di Donnarumma, tranne che dall’appena acquistato Perin. Pochi giorni dopo la presentazione di Courtois, l’ex portiere del Genoa si presentò in conferenza stampa totalmente rasato per esprimere tutta la sua rabbia: «Nessuno merita di essere trattato così a 24 anni: il calcio ci usa come robot, ci prende e ci sostituisce non appena possibile. Quello che ha fatto Donnarumma ha svelato il vero volto di questa industria». Il calcio per lui era ormai il passato, disse. Da quel momento in poi avrebbe trascorso il resto della vita a conoscere meglio sé stesso, seguendo la via della fede buddista. Oggi lo potete trovare in un piccolo tempio vicino Lhasa, a pregare in una tunica arancione.
Parigi, mia cara
di Silvia Galbiati
“Grazie Gigio”. Maggio 2018, la scritta rossa campeggia sulla maglietta mostrata con orgoglio da Salvatore Sirigu durante i festeggiamenti al Filadelfia per l’inatteso secondo posto del Torino, che la prossima stagione potrà giocarsi la Champions League. Sono i festeggiamenti che celebrano un’annata spettacolare per i granata ma soprattutto e sopra tutti proprio per Sirigu, capace di chiudere la stagione con soltanto 10 gol subiti, tanto da guadagnarsi il soprannome di “Houdini”, per le vere e proprie magie con le quali è riuscito a opporsi a tutti e a tutto in maniera quasi miracolosa. Un trionfo per il quale il portiere sardo deve ringraziare proprio Gigio Donnarumma.
A fine giugno 2017 Sirigu era prigioniero del PSG, ai margini del club e sul mercato da due stagioni, bloccato da un contratto difficile da risolvere, valutato 5 milioni ma in scadenza nel 2018. Due anni passati tra prestiti e panchine e le esperienze poco fortunate all'Osasuna e al Siviglia hanno reso ancora più difficile la posizione del portiere sardo, che ha ancora davanti a sé Trapp e Areola. A inizio luglio arriva il colpo di scena. Dopo l’annuncio shock dell’addio al Milan, Donnarumma decide di firmare per il PSG.
Non è una scelta facile: inizialmente l’unico convinto del trasferimento in Francia è Mino Raiola che infastidito dalle critiche e dai rumor intorno a Donnarumma non vede l’ora di piazzare il suo bambino d’oro in un porto sicuro. Al PSG, una squadra senza troppe aspettative, il portiere troverà alcuni “scudieri” di Raiola come Maxwell e Matuidi, che possono tranquillizzare il bersagliato 18enne. Gigio però dubita, il campionato francese rischia di annoiarlo, la lingua è un problema, e poi una città così grande, così sofisticata lo preoccupa: già ha faticato ad ambientarsi a Milano, figurati a Parigi.
Per la decisione di Donnarumma ci sono tre momenti decisivi. Prima arriva la telefonata di Marco Verratti che dopo aver elencato tutte le qualità di Parigi, come il clima, i divertimenti e la privacy, e dopo essersi rammaricato per non poter giocare nemmeno un minuto insieme a Gigio visto la sua imminente partenza per Barcellona, decide di regalargli la sua mitica fornacella per gli arrosticini. Il giorno dopo arriva la chiamata di Edinson Cavani. Anche lui elenca tutti i punti in comune tra Parigi e Napoli, parla dei lati positivi del cibo francese (“non molti ma ci si abitua. E poi ci sono gli arrosticini di Verratti…”), e promette: “Rimaniamo un paio d’anni, cerchiamo di vincere sta maledetta Champions, poi torniamo insieme a Napoli e vinciamo tutto”.
Per la decisione definitiva manca davvero poco. È in quel momento che arriva la vera proposta del PSG che oltre a soldi, sponsor e bonus offre a Gigio una casa da sogno nell'esclusivo XVI arrondissement di Parigi, una casa appartenuta a Zlatan Ibrahimovic di cui in salotto troneggia ancora un enorme ritratto 10x20m, in vestaglia di seta accanto alla sua pantera nera personale, severo e fiero. Un ritratto che il proprietario successivo non ha avuto il coraggio di spostare e che forse anche Donnarumma terrà così com’è, come un monito: «Non importa quante maglie cambierai, non importano gli insulti che riceverai, ciò che importa è solo essere il migliore». Appena Gigio osserva il quadro sente queste parole risuonare nella sua testa blocca il suo profilo Instagram e smette finalmente di rileggere tutti gli insulti dei milanisti feriti: capisce che non c’è altra strada.
Fino alla scadenza
di Emanuele Atturo
Siamo tutti così disperati della scelta di Donnarumma, e contemporaneamente così ansiosi di sapere in quale squadra andrà ora, in favore di chi ha consumato questo tradimento, che forse ci sta sfuggendo l’ipotesi più sadica in assoluto. Cosa ci sarebbe di peggiore, da parte di Donnarumma e dei suoi consiglieri, che decidere di restare un anno fermo per andare a scadenza e non far guadagnare al Milan neanche un euro?
Non sto parlando dell’ipotesi, auspicata dai tifosi più rancorosi, che il Milan metta in tribuna Donnarumma per un anno, applicando il Metodo-Lotito - un’ipotesi così autodistruttivo che solo gente come Lotito ha il cuore di portare fino in fondo. Sto parlando proprio di Donnarumma che rifiuta il rinnovo e qualsiasi trasferimento che passi per il Milan per un anno intero. Sto parlando di Donnarumma che si auto-esclude dalla rosa del Milan, che sputa sul rinnovo e su qualsiasi trasferimento possibile.
La situazione in cui Raiola e il portiere hanno messo il Milan è scabrosa già ora. La scadenza pendente nel 2018 smorza il prezzo di un cartellino che avrebbe potuto viaggiare su una dimensione astronomica. Ma peggio che una cessione a 30-40-50 milioni (che sarebbe comunque una plusvalenza pura) c’è una cessione a zero euro. Un diciottenne che si impunta con la squadra del suo cuore, quella che lo ha fatto diventare un professionista, non per voler andare via, ma per voler andare via a zero euro. Interrogato su un comportamento così inspiegabile, francamente sopra le righe per tutti, direbbe: «Mino mi ha fatto capire che tanto, con tutti i soldi che guadagnerò per i prossimi vent’anni, non mi mescolerò mai più alla gente comune, per cui non ho bisogno del vostro amore, del vostro rispetto».
Donnarumma potrebbe dedicare il suo anno sabbatico a mostrare disprezzo nei confronti del Milan. Farsi i selfie con la maglia del Manchester UTD; andare a cena fuori con la tuta sociale dell’Inter; andare a ballare con la maglia della Juve di Buffon. Far impazzire tutti, con un intento preciso: dichiarare la propria assoluta indipendenza da qualsiasi sentimento d’appartenenza e identità. Donnarumma, dopo Ibra, ambasciatore fiero e iconico di un calcio senza bandiere. Dove i calciatori, più che puri professionisti, sono diventati dei gangsta-rapper, o quel tipo di pugili che sembrano passare la loro vita a bere champagne su un jet privato. Personaggi che hanno quindi sostituito, nel proprio sistema di valori, i soldi all’amore per la maglia, i bonus sul contratto all’affetto dei tifosi, lo champagne all’acqua corrente.
L’anno successivo inizierà una peregrinazione che lo porterà dalla Juventus al Real Madrid, dal PSG al Manchester UTD. I calciatori come cavalieri dell’apocalisse del capitalismo imminente. Donnarumma come profeta dell’anarco-capitalismo che ha voluto combattere la violenza e il livore nel mondo del calcio attraverso la santificazione del capitale. L’estremizzazione del libero mercato come mezzo per il risveglio di coscienza dei tifosi: «Mentre il mondo è entrato nell’antropocene, nel calcio sopravvivono categorie primitive: il tifo, l’amore per la maglia, l’onore, il rispetto. È ora che i tifosi capiscano che siamo polvere nell’universo, che possiamo contare solo su noi stessi».
Donnarumma sarà il primo calciatore a giocare apertamente contro i suoi tifosi. Contemporaneamente il più grande portiere e il più grande stronzo del pianeta. Abbandonerà la Nazionale italiana a 22 anni perché la considera: «Non alla mia altezza». Si trasferirà in Cina a 27 anni, dopo aver vinto 6 campionati nazionali e 3 Champions League: «L’Europa è morta. O comunque è moribonda». Comprerà una villa alla periferia di Beijing e la placcherà d’oro. Il suo patrimonio raggiungerà la quota di 500 milioni di euro.
A 37 anni, mentre è ancora un giocatore del Taiwan Company F.C., Donnarumma scompare. Qualcuno dice di averlo visto a Milano, stanco e trasandato, girare con la sua vecchia maglia rossonera; girano delle sue foto ad Hammamet, capelli lunghi, barba, cappello, occhiali da sole. Nella sua villa vengono ritrovate montagne e montagne di soldi bruciati dentro delle cassaforti. Anni dopo, il film che gli dedicherà Steven Soderbergh - con uno struggente pupazzo Alf nei panni di Donnarumma - alimenterà il mito della sua ambiguità, e la divisione tra chi lo considera una sciagura e chi un profeta. Ma di Donnarumma in carne e ossa non si saprà più niente, e forse è sempre stato così.