Sbarcato a Cuba il 2 dicembre 1956, Ernesto Guevara de la Serna rimase sull’isola fino ad aprile del 1965. Nel frattempo, aveva contribuito alla rivoluzione che aveva condotto alla destituzione del Generale Batista: ne aveva ottenuto grandi onori e oneri, tra i quali la Direzione della Banca Nazionale Cubana e l’incarico di Ministro dell’Economia e dell’Industria.
Quando, nel 1965, “El Che” decise (o fu spinto a decidere) di lasciare Cuba, dove ormai era diventato un figura popolare, forse troppo, per appoggiare una nuova causa rivoluzionaria, optò per il Congo.
L’esito di quell’avventura è ben riassunto dalla prima frase scritta da Guevara nel suo Diario del Congo: «Esta es la historia de un fracaso»—«Questa è la storia di un fallimento». Era un altro mondo rispetto a quello che aveva vissuto in America Latina: ad esempio, Guevara rimase sorpreso dall’indolenza dei soldati congolesi e dai loro maltrattamenti verso i contadini.
Il pezzone dance dedicato a Klopp, del solito Matze Knop, quello di “Numero Uno” (la canzone di Luca Toni al Bayern Monaco). A 4 anni di distanza, adesso tutti vogliono Jürgen Klopp.
Fuori dalla comfort zone
Secondo la regola di Béla Guttman, un allenatore non può durare più di tre stagioni nella stessa squadra, ma Jürgen Klopp è un rivoluzionario e per certe cose ci vuole più tempo, quasi come Che Guevara: le sue due esperienze in panchina sono durate entrambe 7 stagioni, perché allenare una squadra per lui è come sposarsi. La crisi del settimo anno segna sempre la fine di un ciclo: con il Mainz retrocede e non riesce a tornare in Bundesliga, con il Borussia Dortmund passa metà campionato da ultimo in classifica e lascia la squadra fuori dalla Champions (ma ormai settima in campionato e almeno in finale di Coppa di Germania, con la prospettiva concreta di entrare in Europa League).
Da giocatore, Klopp ha vissuto praticamente l’intera carriera al Mainz: iniziò da centravanti ma finì difensore, perché segnava poco (ma erano gol molto belli). Al Mainz serviva un allenatore, lui si ritirò a febbraio del 2001 e a 34 anni passò direttamente a dirigere la squadra: non riuscì a evitare la retrocessione, ma negli anni successivi raccolse i migliori risultati nella storia del club, portandolo addirittura in Coppa Uefa.
Gli ottimi risultati ottenuti con una piccola squadra e soprattutto il gioco aggressivo e offensivo spinsero il Borussia Dortmund ad affidargli il progetto di rinascita di un club che era arrivato tredicesimo nella stagione precedente. Con pazienza, Klopp cominciò a ricostruire la squadra, cedendo per due anni di fila gli attaccanti più prolifici (prima Petric, poi Frei). Nella storia di Klopp tutto sembra avere un andamento ciclico: alla terza stagione riuscì a riportare il Mainz in Bundesliga, e alla terza stagione ha vinto il campionato con il Borussia.
C’è bisogno di tempo per una rivoluzione, soprattutto quando si concentra su precisi aspetti tattici: l’intensità di gioco elevatissima, il controllo e l’attacco frenetico degli spazi (contropiedi a velocità supersonica) ma soprattutto il gegenpressing, cioè il contro-pressing per recuperare la palla subito dopo averla persa, sono tutti concetti difficili da assorbire. Per reggere ritmi così elevati servono grandi atleti, e quindi inevitabilmente giocatori più giovani; è altrettanto ovvio che, con giocatori meno esperti, ci voglia più tempo per costruire una squadra in grado di competere ad altissimi livelli.
Quando era arrivato a Dortmund, l’età media della squadra era di 28.6 anni; 3 stagioni dopo, era di 22.2: un crollo vertiginoso, e che spiega bene come si possa trasformare una rosa in pochi anni.
La crisi del settimo anno ha spinto l’allenatore nato a Stoccarda ad annunciare l’addio al Borussia: nessuno sa ancora quale sarà la sua prossima meta, ma possiamo immaginare, forse fantasticare, cosa succederebbe in varie squadre d’Europa. Qual è la più adatta per Klopp?
Ecco perché Klopp arriverebbe a Madrid ben referenziato: 4-1 e addio Real di Mourinho.
Klopp al Real Madrid
Il Real Madrid non ha mai puntato sul collettivo; si fa spesso difficoltà a ricordare gli allenatori della Casa Blanca (nessuno ricorda chi c'era in panchina quando hanno vinto le 5 Coppe dei Campioni consecutive). Nella lunga storia del Real sono davvero pochi gli allenatori che hanno provato a imporre una chiara identità di gioco alla squadra, piuttosto che affidarsi all’organizzazione degli immensi talenti individuali: forse Hiddink (durato infatti mezza stagione), da un certo punto di vista anche Mourinho.
Il Real però da qualche decennio ha cominciato a soffrire la forte identità barcellonista, la possibilità di aggrapparsi a una maniera di giocare che in qualche modo rende unici i blaugrana. Ecco perché Klopp sarebbe un vero anti-Barcellona: il gegenpressing contro il (nuovo) tiki-taka, i ritmi sfrenati contro la pausa.
È difficile immaginare la BBC (Bale-Benzema-Cristiano) che si applica per recuperare il pallone appena perso: forse solo Benzema ha sufficiente spirito di sacrificio per farcela. Isco, con la sua pausa e la sua classe che fa viaggiare veloce il pallone invece delle gambe, finirebbe fuori dagli undici titolari. Forse neppure per James ci sarebbe posto, sarebbe un incursore poco dinamico. Kroos avrebbe il comando del gioco, e la difesa sembra quasi perfetta per una squadra di Klopp, con i due terzini a spingere come forsennati (Marcelo vivrebbe una nuova grande fase della sua carriera). Varane finalmente diventerebbe il più forte difensore al mondo (abile con il pallone, forte fisicamente, una velocità naturale).
Il Real avrebbe finalmente anche un'identità di gioco che arricchirebbe il suo fascino: ma al Bernabéu forse non sono ancora pronti ad ascoltare questa musica così forte; vogliono un direttore d’orchestra garbato ma capace, educato, rispettoso. Ancelotti è la sintesi dello stile Real, ma lo hanno capito solo ora.
E poi non me lo immagino Cristiano Ronaldo in ritiro per 5 giorni in un lago in Svezia senza elettricità, costretto a pescare per sopravvivere.
Si passerebbe dal celebre pressing di Sacchi a quello offensivo di Klopp: un’evoluzione in linea con lo stile calcistico del Milan.
Klopp al Milan
Il Signor B. diede avvio al più grande ciclo del Milan puntando sul gioco e su un allenatore fuori dalla tradizione come Sacchi; una scelta azzardata e rivoluzionaria, che passò per un inizio ai limiti del disastro (sconfitte contro Fiorentina, Sporting Gijon, Espanyol) e si concluse poi nel trionfo che tutti sappiamo. Sarebbe uno splendido gioco del destino se Mr. Bee, o qualunque nuovo proprietario, ripartisse proprio dalle idee, per dare un nuovo stile di gioco al Milan, riportandolo in linea con la sua gloriosa tradizione.
In fondo, Klopp si è sempre dichiarato un devoto sacchiano: questa sarebbe la quadratura del cerchio. Le idee del tedesco sono fondamentalmente l’evoluzione di quelle di Sacchi: il pressing si è spostato in avanti di parecchi metri, ma l’obiettivo è sempre di accorciare lo spazio per l’avversario. La linea difensiva è alta per accompagnare questa pressione, e l’intensità è la chiave sia del sistema sacchiano che di quello kloppiano.
Nel Milan, il tecnico tedesco avrebbe carta bianca per iniziare una vera rifondazione: della rosa attuale in pochi potrebbero rimanere. Il portiere Diego Lopez è una sicurezza, la spinta sulle fasce di Abate e Antonelli tornerebbe utile in un sistema organizzato alla perfezione; a centrocampo ci sarebbe una vera epurazione, ma tornerebbe alla base un talento come Saponara. In attacco, per Destro non ci sarebbe spazio (un attaccante di Klopp deve saper fare tutto, dal pressing al passaggio filtrante).
Si tratterebbe della campagna trasferimenti più movimentata della storia del Milan, ma non per questo dispendiosa: Klopp è uno che riconosce il talento quando ancora deve sbocciare (Hummels e Lewandowski sono stati acquistati al modico prezzo di 4 milioni di euro). Per non dispiacere l’area marketing, il Milan potrebbe affiancare il flemmatico Honda con il frenetico Kagawa, vero e proprio pallino del tecnico tedesco.
Il Milan è in un momento di crisi profonda, il cambiamento sembra dietro l’angolo e non bisogna avere paura: con Klopp in 3 anni si torna grandi, e ci si riallinea con la storia.
A Londra già sanno che il gegenpressing funziona: chissà se Ramsey giocherebbe titolare.
Klopp all’Arsenal
Dopo 19 stagioni con Arsène Wenger al comando, forse sarebbe il caso di far entrare aria fresca nel centro di allenamento di London Colney. Con l’arrivo di Klopp, lo stravolgimento sarebbe totale: dalla musica classica dell’allenatore francese si passerebbe all’heavy metal tedesco. Per succedere a una leggenda c’è bisogno di un allenatore di grande personalità e carisma (Moyes docet), proprio come Klopp. Inoltre, l’Arsenal è un club da sempre dedito alla crescita dei giovani talenti, proprio quelli di cui ha bisogno l’allenatore tedesco per fare decollare il suo nuovo progetto. I Gunners hanno bisogno di cambiare ciclo, e hanno pazienza: per loro l’allenatore è sacro, e anche per Klopp questa potrebbe essere la migliore delle scelte. La squadra perderebbe il suo French touch, questo è sicuro.
Nel 4-2-3-1 di Klopp, l’attacco è già fatto: le due ali sarebbero i velocissimi Alexis Sanchez (il nuovo Reus, per capacità di attaccare la profondità e segnare) e Oxlade-Chamberlain, perfetti per i contropiedi rapidi e per reggere ritmi asfissianti; Giroud compirebbe finalmente il suo percorso di maturazione, diventando un centravanti di manovra sulle orme di Lewandowski; Özil nel ruolo di trequartista rischia un po’, potrebbe rischiare di abbassarsi a regista, come Sahin nel primo Borussia Dortmund vincente.
L’Emirates sarebbe un palcoscenico perfetto per la proposta di gioco di Klopp, e la filosofia dell’Arsenal si sposa bene con l’idea di costruire un progetto a lungo termine: eppure quello dei Gunners sembra al momento un ambiente troppo raffinato per un personaggio sanguigno come il tedesco. Occhio ai matrimoni sbagliati.
A Napoli secondo me lo aspetterebbero a braccia aperte dopo aver visto questa reazione al San Paolo: dopo la conferenza stampa di De Laurentiis, come non amare un allenatore tedesco che sembra sul punto di mettere KO un rappresentante della UEFA?
Klopp al Napoli
Benítez è ancora perplesso sul rinnovo del contratto: il suo Napoli, al di là dei risultati, ha comunque raggiunto una capacità di giocare ad alti livelli, e una riconoscibilità in campo internazionale. Con Klopp al Napoli ci sarebbe una strana inversione, la demolizione degli stereotipi: via uno spagnolo freddo e razionale come Don Raffaè, dentro un tedesco passionale e irascibile, probabilmente adatto a una piazza come quella napoletana.
Se Klopp ha bisogno di amare ed essere amato, Napoli è il posto giusto, e anche tatticamente i partenopei sono un po’ più avanti agli altri, non si deve rifondare. Certo, il 4-2-3-1 di Benítez è molto diverso, meno frenetico e aggressivo, ma condivide con quello di Klopp alcuni concetti: il controllo dello spazio per ripartenze rapide, il gioco veloce sulle fasce con gli interni che aprono il campo ai terzini, la punta centrale che crea e segna. Manca il pressing alto, ma sui 4 giocatori offensivi si può lavorare bene, sembrano tutti pronti (Hamsik e Higuain in particolare). La linea difensiva invece lascia molto a desiderare, probabilmente giocherebbe solo Ghoulam, ed anche a centrocampo Klopp si troverebbe in imbarazzo.
Tra le possibili criticità, anche il rapporto con un presidente così interventista come De Laurentiis, visto che in Germania non esiste niente di simile, ed è difficile immaginare Klopp chiuso in un albergo per un ritiro punitivo di una settimana, lui che torna a casa a piedi dallo stadio. In ogni caso, sarebbe un’ottima scelta per entrambi, e per il Napoli quasi un’evoluzione più che una rivoluzione.
Ce lo vedo benissimo Agüero nella “gabbia” (il cui vero nome è Footbonaut), un po’ meno Yaya Touré, ma tanto se ne vuole andare.
Klopp al Manchester City
Il calcio è talmente strano che la squadra meno adatta a Jürgen Klopp è anche quella che sembra più vicina ad assumerlo. Il tedesco è abituato a gestire budget di modeste dimensioni, a costruire progetti, ad amare i giocatori (essendone ricambiato), ma non a trattare con superstar alle dipendenze di sceicchi spendaccioni. Non rischierebbe così di cambiare il suo approccio alla professione? Funziona Klopp senza la passione, e con invece tanta pressione sulle spalle? Il City non ha più tempo da perdere, viene da una pessima stagione e continua a mancare negli appuntamenti europei: ha bisogno di costruirsi un’identità di gioco che le permetta di competere alla pari con gli altri top club (i grandi giocatori non bastano). Eppure, proprio da questo punto di vista Klopp sarebbe una grande scelta: uno stile di gioco vivace e di successo nelle competizioni europee, un personaggio nuovo per il calcio inglese, adatto a una squadra che deve costruire un brand. Il tedesco potrebbe essere per il City quello che Mourinho è stato ed è per il Chelsea: l’allenatore simbolo di un grande ciclo di successi, un personaggio con cui identificarsi appieno. E poi immaginate un derby di Manchester con van Gaal vs Klopp: tachicardia assicurata!
Il 4-2-3-1 del tedesco sarebbe molto diverso dal quadrato magico di Pellegrini: Dzeko potrebbe finalmente mantenere le sue promesse e diventare un totem efficace stile Lewandowski, mentre Agüero agirebbe defilato per tagliare alle sue spalle (ma Agüero sulla fascia è come un serpente in un terrazzino); finirebbe l’era di Yaya, troppo indisciplinato tatticamente e ormai poco dinamico per poter svolgere il ruolo di incursore dietro la punta. Per il resto, ci sono pochi giocatori adatti (Kolarov, Mangala, Bony), ma agli sceicchi manca il tempo, non il denaro.
Ve la immaginate la Roma che tiene questi ritmi asfissianti? Io no.
Klopp alla Roma
L’arrivo di Klopp nella Capitale sarebbe l'inizio dell'ennesima rivoluzione “americana”: la squadra che per gioco è la più orizzontale d'Italia, sarebbe in pochi mesi in preda a una vertigine verticale: incessante attacco alla profondità, continui movimenti senza palla.
Forse Klopp alla Roma sarebbe come la Repubblica Romana, una breve ma splendida esperienza: in questo caso a essere estromessi sarebbero ben due papi, Totti e De Rossi (come reggere quei ritmi infernali? Forse De Rossi potrebbe diventare finalmente un difensore centrale); Iturbe e Florenzi, esterni alti titolari, sarebbero finalmente glorificati per le loro capacità; Pjanic si abbasserebbe per giocare da regista vicino ad un incontrista, magari Strootman, e Nainggolan diventerebbe l’incursore dietro la punta, l'uomo del pressing trigger, quello cioè che scatena la pressione sul primo portatore avversario. Nel 4-2-3-1 della nuova Roma, servirebbe un attaccante centrale e dei terzini di spinta: necessità niente affatto nuove. Tra l’altro, Sabatini sembra il perfetto Direttore Sportivo per uno come Klopp: sempre alla ricerca di giovani da poter lanciare immediatamente nella mischia (ma che invece adesso attendono campionati interi in panchina).
Ma quanto durerebbe Klopp in un mondo come quello romano, in cui si passa da genio a idiota nell'arco di giorni se non minuti? Stranamente, Roma è un ambiente simile a quello di Dortmund per passione e follia: l'unico posto, insomma, in cui gli potrebbero di nuovo chiedere conto della sua vita privata (è già successo a Garcia) per spiegare l'andamento della squadra. Non potrebbe tornare a casa a piedi dallo Stadio Olimpico, a meno che non scelga di vivere tra Flaminio e Parioli, ma Klopp è più uno da quartiere popolare, da Torre Spaccata.
Nel mondo a venire
Nessuno sa ancora quale sarà la prossima squadra dell’allenatore tedesco, ma ormai dovremmo essere vicini a una decisione: per qualunque progetto, questo è il tempo della pianificazione, non si può aspettare troppo, perché si rischierebbe di partire già con il piede sbagliato.
Klopp è un grande allenatore, ma che va sostenuto sul serio, a costo di sacrificare idoli e bandiere, e anche a costo di veder passare un paio di stagioni da quinto-sesto posto: non è un tecnico da instant team, e le sofferenze delle squadre prese in considerazione potrebbero persino aumentare, nell’immediato. Non si può escludere neppure che, fuori dal paese in cui ha sempre vissuto, e fuori da ambienti in cui si è sempre sentito a suo agio, possa fallire clamorosamente.
Quello che sappiamo per certo è che Jürgen Klopp, ovunque andrà, porterà con sé una smisurata e maniacale passione per la tattica, il gioco e per qualunque aspetto studiabile del calcio: come scriveva Che Guevara, “il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d'amore”.