Riassunto delle puntate precedenti
di Dario Ronzulli (@DaRonz82)
Lo scorso settembre ci eravamo occupati della lotta fratricida tra FIBA e ULEB per il controllo tecnico ma soprattutto economico del basket europeo. Avevamo chiuso l'articolo con queste parole: “Il rischio, che ad oggi appare non del tutto peregrino, è di ritrovarci con la FIBA ad attuare il pugno di ferro a costo di ritrovarselo sul naso per l’effetto rinculo”. Sei mesi dopo non siamo molto lontani dall'avverarsi di tutto ciò. Per capire meglio l'attuale situazione tra la federazione mondiale del basket (da qui in poi FIBA) e la lega privata delle big europee (da qui in poi ULEB, o per essere più precisi ECA), urge ricapitolare le puntate precedenti.
Previously on Lost (che saremmo noi meschini appassionati)
Il 3 novembre la FIBA annuncia l'intenzione di organizzare la sua Coppa dei Campioni, subito rinominata Basketball Champions League: appoggiato dalle federazioni di Italia, Grecia, Spagna e Turchia, il segretario Patrick Baumann presenta una prima bozza con 8 posti garantiti ad altrettante big (questa tenetela da parte per quando si parlerà di “merito sportivo”...), un posto a testa per i campioni di Italia, Francia, Germania e Lituania e 4 posti alle vincitrici della fase di qualificazione per un totale di 16. La torta da spartire è di 30 milioni all'anno di cui 24 alle G8, tra le quali però manca la “nostra” Olimpia Milano.
Dopo il rifiuto degli 8 club contattati dalla FIBA, il 10 novembre arriva la contromossa di ECA: grazie ad un accordo da 872 milioni in 10 anni con il colosso americano IMG, viene presentata la nuova Euroleague con 11 squadre con licenza decennale, a cui si aggiungono la vincente della nuova Eurocup (a 24 squadre, di cui 21 con licenza triennale), quella del qualifying round e tre tra i campioni nazionali non ancora in EL. La cifra garantita per i club di EL è 36 milioni all'anno più possibili bonus. Tra le squadre con il posto garantito c'è l'Olimpia, firmataria di un accordo pregresso all'annuncio della FIBA. Primo scoglio dunque per la FIP, la Federbasket italiana che per composizione stessa deve “sottostare” alla FIBA: che fare con l'EA7?
Il 13 gennaio la FIP dirama un comunicato nel quale “ribadisce che, anche in considerazione del parere espresso in merito dal CONI, non rilascerà in futuro autorizzazioni per la partecipazione a competizioni non riconosciute dalla FIBA”. Eccezion fatta però per Milano: “È inevitabile: il presidente Proli ha mostrato un contratto sottoscritto in precedenza” l'ammissione del presidente della federazione Gianni Petrucci.
Mentre il 28 gennaio la FIBA comunica una bozza più definita della sua Champions – 24 squadre qualificate in base ai risultati dei campionati nazionali più 8 club provenienti dal girone preliminare a 28, che poi è la formula presentata ufficialmente il 21 marzo basata quindi solo sul merito sportivo – il presidente della Dinamo Sassari Stefano Sardara alla Gazzetta dello Sport getta il sasso nello stagno: “Se Milano ha avuto la possibilità di partecipare all'Eurolega, non vedo perché i diritti dovrebbero essere negati a noi o chiunque altro club che possa vincere l'Eurocup”. Il giorno dopo risponde il presidente federale: “Una volta che la FIBA ha deciso di organizzare una sua Coppa Campioni, il discorso è chiuso. L'Eurolega è una lega privata, noi tutti dipendiamo dalla FIBA. E nessuno ha il potere di andare contro la FIBA, neppure noi della FIP”.
In tutto questo la LegaBasket, nella persona del Presidente Fernando Marino, compie due passi essenziali almeno in apparenza: l'8 febbraio firma un accordo di intenti con la FIBA e l'1 marzo avvisa i club di un versamento di poco più di 4.000 euro per diventare azionisti al 4,75% della NewCo FIBA, che gestirà il nuovo torneo. Tuttavia c'è un MA grosso come l'Everest: Marino compie questa azione senza l'avallo delle società, che anzi avevano optato in massa per aspettare a prendere una decisione, legata soprattutto al ricorso della ECA presso la Commissione Europea sulle ripetute pressioni della federazione internazionale sui club.
Passa qualche giorno e arriva lo strappo: il 15 marzo Reggio Emilia, Sassari e Trento firmano con la ECA un accordo su base triennale per partecipare all'Eurocup. Arriva poi il 18 marzo e il capolavoro cerchiobottista dell'Assemblea di Lega: i club votano all'unanimità la sottoscrizione delle quote della Champions, ma al tempo stesso si danno la libertà di scegliere a quale coppa partecipare.
Non basta provare a tenere il piede in due scarpe per placare la tempesta. Il 21 marzo il Board di FIBA decide che qualsiasi federazione che permetterà ai propri club (con l’eccezione dei 16 club di Eurolega) di accordarsi con la ECA perderà il diritto a partecipare alle competizioni per nazionali maggiori organizzate da FIBA, con possibilità di estendere l'esclusione ad altre competizioni. Perciò sì, anche il PreOlimpico di Torino, tenendo di fatto la FIP “per il collo” e gettando un’ombra sulla candidatura di Roma per le Olimpiadi 2024, visto che Baumann è consigliere del CIO.
Il giorno dopo la Federbasket risolve la convenzione in essere con la LegaBasket per l’organizzazione del campionato e diffida i tre club ribelli: "Per fare attività internazionale tutte le federazioni sportive nazionali hanno bisogno del permesso della FIBA. Al contrario la Lega ha deliberato che oggi, domani e sempre i club faranno attività anche al di fuori delle organizzazioni: questo non è possibile" ribadisce Petrucci rispondendo di fatto alla richiesta della LegaBasket in questo comunicato. Prossimo step il 31 marzo: entro quella data i club greci, turchi, lituani e francesi dovranno iscriversi o meno all’Eurocup, con le leghe di Spagna e Germania che hanno già aderito.
Basketball is business. Stop.
di Michele Pettene (@mikypettene)
Il raggiungimento dell'accordo per il sistema delle licenze decennali garantite a 11 squadre è stato definito da Jordi Bertomeu, presidente di Euroleague, come “la più significativa decisione mai raggiunta nei primi 15 anni di vita della nostra lega”, unitamente alla partnership con IMG (leader mondiale nel settore sport in molteplici attività, il cui presidente, Ioris Francini, è italiano), che dal 2013 è advisor EL per i diritti televisivi in mercati strategici e da quest'anno - dopo una spinosa trattativa per la copertura o meno anche dell’Eurocup che ha rischiato di dimezzare l'attuale accordo - è partner operativo, investitore e sponsor nello sviluppo della "Superlega" europea del prossimo decennio.
Sia Eurolega che Eurocup opereranno per la maggior parte delle squadre con il sistema delle licenze, con la possibilità per la vincitrice dell'Eurocup e per altre quattro squadre di partecipare all’Eurolega “delle grandi”, e altre tre con le “wild card” all’Eurocup: il criterio del “merito sportivo” esisterà dunque, seppur parzialmente, e sarà applicato alle realtà in crescita. Ora: perchè il sistema-licenze, casus belli tra i più evidenti di questa guerriglia (nonostante i precedenti-Fiba riportati sopra), è ritenuto così fondamentale da Bertomeu e dai club già firmatari e direttamente coinvolti?
Come ha detto di recente il GM di Reggio Emilia Alessandro Dalla Salda in seguito allo sposalizio con il progetto Eurocup, il motivo è che il sistema-licenze “rispetta il diritto d’impresa e permette una programmazione tecnica ed economica derivante anche dalle risposte positive che i nostri tifosi e i nostri sponsor hanno dato quest’anno per l’EuroCup”. O, per dirla con le parole del presidente di Trento, Luigi Longhi: “È un accordo a favore della crescita di Aquila Basket, dei suoi investitori e dei suoi tifosi. Siamo un'azienda, ci sono notevoli investimenti in ballo, e ci sono persone ed imprese che rischiano nel nostro progetto”. Ovvero, in altri termini e come ha spiegato a suo tempo lo stesso Bertomeu, la crescita nei risultati di pubblico e di ricavi degli ultimi anni è diretta conseguenza dell'aver affidato la responsabilità della gestione di questa lega ai club stessi, senza passare per nessuna mediazione politica (economica e gestionale) delle federazioni. Perchè — pare ovvio ma forse bisognerebbe spiegarlo a qualcuno — i club sanno meglio di qualunque istituzione di cosa necessiti il “business-pallacanestro” per migliorare e trarre poi da questi miglioramenti tutti i benefici del caso.
Miglioramenti che si possono identificare chiaramente e su cui è facile comprendere perché FIBA voglia mettere le mani ora e non, per dire, sette anni fa. A partire dall’espansione della "fan-base" con un superlativo +1090% di crescita di audience tra la stagione inaugurale (2000/01) e il 2015, proporzionale e chiaramente collegata allo sviluppo e alla crescente qualità della web-tv a pagamento e dai contratti con i canali sportivi di ogni nazione (73 televisioni coinvolte nel 2015, +6110% in ore di telecronache accumulate).
E poi, soprattutto, l'aumento della media-presenze al palazzetto, schizzata a 8.351 a partita (partendo da 3.565) grazie al supporto per 32 nuove arene durante questo quindicennio. Ad oggi la capienza media di una struttura di Eurolega è di 10.400 unità, cifra che ha contribuito sensibilmente a diversificare le fonti di ricavo, in costante aumento ogni anno (+360% dal 2001) e ora non più vincolate ai singoli diritti televisivi (aumentati anche loro, ma che oggi rappresentano “solo” il 60% degli introiti; nel 2001 erano il 95% della “torta”).
La graduale riqualificazione delle arene e delle strutture/eventi collaterali coinvolti seguendo l'esempio delle arene USA, l'espansione delle nazioni interessate alla trasmissione delle partite di Eurolega e la sinergia con l’NBA per le partite di pre-season hanno attirato sponsor sempre più numerosi e di rilievo, a partire da Turkish Airlines e Adidas, alimentando un indotto virtuoso, globale e destinato ad auto-sostenersi, che porterà nel triennio 2015-18 a un aumento del 47,3% (a squadra) della redistribuzione dei profitti. Senza considerare che le Final Four sono diventate l’evento più “sexy” e seguito dell’anno sportivo europeo dopo la finale di Champions League di calcio.
Lo spettacolo unico delle Final Four
Nel frattempo FIP e FIBA vorrebbero che la qualificazione alle coppe passasse esclusivamente attraverso il criterio della classifica di un campionato che, vale sempre la pena ricordarlo, è governato da una persona che ritiene “fisiologici due mesi di ritardo nei pagamenti”. I palazzetti italiani, senza considerare il Forum di Assago dove gioca l’Olimpia, non arriverebbero a 3.600 presenze a partita (capienza media 5.124, al 2015), e la costruzione di nuovi impianti funzionali non solo al mero evento-partita ma anche a tutte le attività economicamente vitali per sponsor e marketing rimane affidata a promesse sempre rimandate e all’immobilismo burocratico delle istituzioni (dovrebbe altresì far riflettere l’innovativa reattività delle stesse istituzioni in queste ultime settimane, con assemblee anticipate, denunce e annunci ufficiali mitragliati quasi su base quotidiana).
Non che sia sempre una “colpa” assoluta: la crisi economica italiana ha spostato gli investimenti su interessi primari che non comprendono la pallacanestro, vittima illustre di un mecenatismo ormai anacronistico. Programmare anche solo a medio termine è diventato un “lusso” troppo oneroso per la maggior parte dei team, con l’ormai rituale distruzione e ricostruzione dei roster in estate, contestuali ad “aumenti” di capitale e ricerche di elusivi “nuovi sponsor” e investitori che non sempre finiscono col garantire al 100% la liquidità promessa a inizio anno.
Approccio gestionale che non può nemmeno essere considerato un merito però, ed è quanto Eurolega afferma: “merito sportivo” non è solo arrivare prima degli altri in una stagione e qualificarsi alla coppa l'anno successivo, ma nella sua accezione più ampia è progettare sul medio-lungo termine garantendo ai propri tifosi, sponsor, tv e avversarie (sul campo, ma partner fuori) un basket di alto livello con continuità, senza preoccupanti variabili economiche capaci di affossare le ambizioni di una società (o affossarla del tutto) minando l’intera salute dell'ecosistema in cui è inserita.
Per questo, quando a Bertomeu i media israeliani hanno chiesto come mai avessero accettato una quarta squadra turca, il Darussafaka Istanbul, invece che l’Hapoel Gerusalemme, il boss dell’Eurolega ha risposto elencando la firma per il più grosso contratto televisivo e la crescita innegabile del seguito per il basket in Turchia, concludendo che “la regola corretta non è dire ‘Sono in Eurolega, ora investo’, bensì: provateci di essere già competitivi con una visione non annuale sotto tutti gli aspetti e sarete certamente presi in considerazione”. Il basket, al più alto livello, DEVE essere business.
Business che può svilupparsi in modo sano solo all’interno di un regime concorrenziale libero (scegliendo, ad esempio, a quale competizione europea partecipare), un diritto legittimo e sovrano messo a rischio da un ente, la FIBA, che sta usando il potere legislatore che gli compete per assumere una posizione forzatamente di vantaggio, come si è visto nel caso della revoca della FIP alla LegaBasket. E per questi motivi è già stata da tempo denunciata all’AntiTrust Europeo dalla stessa Eurolega.
Nascita della Champions League FIBA
Meriti sportivi e demeriti politici
Di Francesco Anichini (@Panico_Meis)
“La nostra preoccupazione è rappresentata dalle leghe nazionali. Se non hanno più senso, perché la qualificazione alle coppe europee avviene per scelte individuali, perdiamo il valore delle classifiche. Per noi devono essere la base per le coppe”.
Questa frase, tratta dall’intervista che Baumann ha rilasciato alla Gazzetta dello Sport, riassume bene il “conflitto ideologico” che viene usato come copertina per quella che alla fine è una bieca questione di soldi. Nonostante la sua pretestuosità merita comunque di essere approfondita perché Baumann, da vecchia volpe, è andato a toccare probabilmente l’unico tema che poteva convogliare i consensi di una fetta di tifosi sulla futura Champions League FIBA.
Che l’ECA in questi anni abbia gradualmente accantonato il merito sportivo per far spazio a una maggiore attenzione a squadre che davano più garanzie economiche non è certo un mistero: l’idea di costruire una “Superlega” semi-chiusa, in cui solo le formazioni più stabili e in grado di costruire roster competitivi fossero ammesse, è un vecchio pallino di Bertomeu, perseguito attraverso strumenti quali le licenze pluriennali e le regole per gli impianti. Paradossalmente solo l’intervento a gamba tesa dello scorso anno della FIBA ha fatto rompere gli indugi, confermando una formula che prevede solo lievi spiragli al merito acquisito sul campo di stagione in stagione (un girone di qualificazione oltre a vaghe promesse di Bertomeu al riguardo).
Il punto però è che Bertomeu ha effettivamente portato a un evidente innalzamento del livello di attrattività della massima competizione continentale. Dal momento del famigerato scisma del 2001, l’Euroleague ha continuato ad accrescere la qualità del proprio prodotto, fino a rivestirlo di una patina luccicante. Un’operazione simile la sta portando avanti ormai da qualche anno anche per quello che riguarda l’Eurocup.
Eye of the fan, una delle iniziative EL per i tifosi e per avvicinarsi sempre più al prodotto-NBA
Da un punto di vista prettamente italiano, è difficile andare contro una sicurezza di introiti che faciliterebbe non di poco il lavoro di programmazione in una nazione storicamente predisposta a brutte sorprese. Del resto, i dieci anni di partecipazione garantiti da Bertomeu sportivamente parlando rappresentano un’era geologica, soprattutto considerando che delle quattro squadre italiane che partecipavano all’Eurolega dieci anni fa è rimasta solo Milano, mentre le altre tre sono del tutto scomparse (Treviso, Bologna, Siena).
Dobbiamo quindi pesare due aspetti che in questo momento appaiono difficilmente conciliabili: da una parte la possibilità di programmare il proprio futuro con maggiore calma e sicurezza; dall’altra le giuste pretese dell’eventuale squadra di turno che si guadagnerebbe sul campo il diritto alle coppe europee (la Cremona di quest’anno, per fare un esempio pratico), salvo poi non poterle disputare (o dover passare attraverso la lotteria del turno di qualificazione).
Dobbiamo però soprattutto iniziare a realizzare che lo sport (non solo il basket, ma anche il calcio che tra non molto si troverà davanti a dilemmi simili) come esisteva fino a 15-20 anni fa non ha più possibilità di esistere al giorno d’oggi. Che questo sia un bene o un male non sta a noi deciderlo, ma è un dato di fatto. Quello che l’ECA cerca è una stabilità che vada al di là di un exploit stagionale (vi ricordate Napoli in Eurolega? O Roma che rinuncia a partecipare?), che a livello di movimento europeo non è più in grado di lasciare il segno.
Tutto questo tenendo ben in mente che in realtà stiamo parlando del dito, mentre la Luna è un grande ammasso di soldi che fa gola a tanti. Credete davvero che alla FIBA interessi proteggere il “merito sportivo” più di quanto gli interessi entrare in un business che l’ha esclusa e che ha osservato dall’esterno per anni mentre diventava sempre più ricco e di successo? Se fosse seriamente intenzionata a proteggere lo sport che rappresenta avrebbe fatto parlare i fatti, costruendo la propria coppa e dimostrando di poter garantire alle squadre un livello qualitativo se non pari perlomeno similare (tanto che, come spiegato all’inizio, erano stati loro i primi a proporre gli accordi pluriennali…).
Invece non solo ha presentato una Coppa con premi risibili, ma ha scelto la strada del ricatto, delle minacce e della paura, come fa chi vuole semplicemente difendere la propria roccaforte di potere. Il merito sportivo è solo la cartina di tornasole di questo dibattito, perchè se domani le big che hanno detto sì a Bertomeu (guarda caso non coinvolte in questa guerra tra FIBA e ECA) andassero da Baumann a dire “Abbiamo cambiato idea, vogliamo la FIBA ma con una lega chiusa” tutti quei bei discorsi sul valore delle classifiche volerebbero dalla finestra alla velocità della luce.
Triste ma vero.