Inter – Lazio
di Francesco Lisanti (@effelisanti)
La chiave di lettura di Inter - Lazio è più semplice di ogni possibile congettura: l’Inter non si è rilassata per il primo posto in solitaria, né ha sofferto la tensione delle vittorie delle inseguitrici. La notizia non è che l’Inter abbia giocato male: la notizia è che giocando così non abbia vinto.
Mancini ha schierato il 4-2-3-1 fin qui discretamente efficace, con Melo e Medel in mediana e Biabiany-Perisic ali dietro a Icardi riferimento centrale, con Jovetic libero di muoversi tra le linee. Pioli ha confermato il 4-3-3 costruito intorno a Biglia, Candreva e Felipe Anderson, ha schierato Matri prima punta e Berisha e Konko per gli infortunati Marchetti e Basta. Dopo cinque minuti Candreva portava in vantaggio la Lazio con un gran gol dalla distanza e l’Inter si ritrovava nell’inconsueto ruolo di inseguitrice: quest’anno due volte ha subito gol in casa, in entrambe le occasioni ha perso.
L’Inter di Mancini non è una squadra disordinata, ma è una squadra spesso disorganizzata: non c’è momento della partita in cui un calciatore non si trovi fuori posizione o disunito dalla linea di reparto e questo rende molto difficile giocarci contro. D’altra parte, l’Inter è incapace di costruire qualcosa al di fuori delle posizioni fissate dal modulo, che possa sorprendere gli avversari e strappare la partita. Non c’è un’idea, uno schema, un set di movimenti, né le attitudini individuali riescono a sopperire.
Biabiany ha mandato in controtempo Radu, ma non c’è modo di sfruttare la superiorità. Melo e Medel non salgono, Icardi e Jovetic si schiacciano nella stessa zona, Montoya è in ritardo nella sovrapposizione.
Anche nei singoli, diverse prestazioni negative. Jovetic decisamente non al meglio (un dribbling completato su 6 tentati, 16 palle perse) e se capita all’unico elemento creativo davanti a Melo e Medel è una mezza condanna. Montoya è parso lontanissimo dal competere a questi livelli, in grande difficoltà in entrambe le fasi di gioco (al contrario di Telles: 2 cross e 3 dribbling per il brasiliano, doppio zero per lo spagnolo). Brozovic sembrava l’uomo più in forma (2 occasioni create, la metà del totale), ed è stato inserito solo al 58'.
In più, non c’è una strategia per aggredire il possesso avversario. L’Inter ha recuperato 52 palloni (la Lazio 59), di cui solo 6 nella metà campo avversaria (14 la Lazio). In parte è dovuto ai pochi palloni giocati dalla Lazio (498 contro i 754 dell’Inter), ma è soprattutto un problema di atteggiamento, come conferma l’altezza media di recupero palla, ferma a 29.9 metri, un dato estremamente basso. Non è neanche un caso che la Fiorentina abbia giocato la sua miglior partita in casa dell’Inter.
L’Inter si limita ad abbassarsi dietro la linea della palla, Biglia è sempre solo e libero di cambiare gioco. Icardi stava pressando i difensori centrali e deve seguire in corsa lo sviluppo dell’azione: è un’enorme mole di lavoro a cui inspiegabilmente è condannato solo lui.
Nonostante le difficoltà dell’Inter, la Lazio non ha brillato per qualità del possesso (35.3%). In questo momento delicato della stagione (2 punti nelle 7 gare precedenti), Pioli ha provato a restituire più certezze possibili ai suoi. Gioco estremamente semplificato, linee strettissime (squadra raccolta in 31.3 metri), palla immediatamente sull’esterno (il 64% dei palloni giocati è stato indirizzato verso le fasce) e rapida ricerca della profondità attraverso le catene laterali. La buona prestazione è stata possibile grazie all’enorme sacrificio di Candreva e Felipe, puntuali nel raddoppiare anche verso la propria area di rigore, ma è merito anche dei movimenti intelligenti di Milinkovic-Savic.
Il suo è un compito assai elastico: in fase di non possesso deve affiancare Parolo nella pressione sui due mediani, eventualmente scalando sui difensori centrali in caso di retropassaggio; in fase di possesso deve affiancare Matri, ricevere la sponda o lanciarsi in duello aereo—grazie al giovane serbo la Lazio passa dal 4-4-2 al 4-3-3 con naturalezza. Ha conquistato il calcio d’angolo da cui è nato il gol di Candreva, poi ha subito l’espulsione più ingenua della storia (un giallo per distanza non rispettata, uno per calcio a gioco fermo), ma ha 20 anni nel bene e nel male.
Dopo questa partita, la dimensione dell’Inter rimane sostanzialmente inalterata. Ha subito pochissimo e creato pochissimo, generando l’ennesima brutta partita (5 occasioni create, concedendone solo 3 alla Lazio). È stata sorpresa dopo pochi minuti da Candreva e nel finale da un’idiozia di Melo, franato su Milinkovic-Savic (ancora in qualche modo decisivo). Handanovic aveva anche parato l’ennesimo rigore, il che riduce ulteriormente la sconfitta a una serie di episodi. L’Inter continua a restare in testa al campionato, ma continua a sembrare una squadra che non possa restarci.
La Lazio è riuscita nell’operazione “ritrova-certezze”. Il gioco è ancora poco fluido, gli uomini migliori ancora non brillanti, il ritmo ancora incostante sui 90 minuti, ma adesso Pioli e i giocatori sanno di poter ricavare qualcosa da qualunque partita, almeno conservando questa concentrazione e questo spirito di sacrificio.
Atalanta – Napoli
di Flavio Fusi (@FlaFu_tbol)
L’unico punto conquistato nelle ultime due partite aveva determinato l’allontanamento del Napoli dalla vetta della classifica, raggiunta a 25 anni di distanza dall’ultima volta, grazie alla vittoria contro l’Inter. Gli uomini di Sarri non potevano permettersi di perdere ulteriore terreno a Bergamo, campo tradizionalmente difficile per i partenopei, che non vincevano all’Atleti Azzurri d’Italia dal 2010.
Per chiudere l’anno in bellezza, l’Atalanta guidata proprio dall’allenatore della risalita in A del Napoli, Edoardo Reja, si è schierata in campo con il 4-3-3. In porta è toccato a Bassi, il portiere di Sarri nell’anno della promozione empolese, sostituire il febbricitante Sportiello e debuttare in A con la maglia nerazzurra. Capitan Bellini, Paletta, Stendardo e Brivio hanno costituito la linea difensiva a quattro. De Roon si è disimpegnato da mediano davanti alla difesa, con l’ex Cigarini e Grassi nel ruolo di mezzali. In attacco Maxi Morález a destra e Papu Gómez a sinistra hanno agito a sostegno dell’altro ex azzurro Denis.
Sarri ha proposto il Napoli tipo, con il solito confermatissimo undici titolare, ormai recitato al pari di una filastrocca. Sono quindi scesi in campo Reina in porta, Hysaj, Albiol, Koulibaly e Ghoulam in difesa, Jorginho in regia e Allan e Hamsík sugli interni del centrocampo a tre, e il tridente d’attacco formato da Callejón, Higuaín e Insigne.
I padroni di casa, forti di una classifica che li vedeva a quota 24, con 9 lunghezze in più rispetto a un anno fa, hanno proposto una strategia simile a quella che aveva visto il Bologna prevalere sul Napoli al Dall’Ara. I bergamaschi hanno pressato alto fin dalle battute iniziali, con un’intensità e un’organizzazione che hanno messo in non poca difficoltà il Napoli. Durante il pressing, l’Atalanta manteneva il 4-3-3 di partenza, ma spesso era Morález, sicuramente più dinamico e rapido del compagno, a prendere il posto di Denis al centro.
L’Atalanta si è resa protagonista di un primo tempo molto intenso, in cui ha aggredito il Napoli altissimo. In questa situazione è il retropassaggio di Koulibaly verso Reina a innescare il pressing della squadra di Edy Reja. L’ex portiere del Bayern non può far altro che calciare lungo.
Come conferma anche il dato sui fuorigioco provocati (altezza media 35,2m), quando i tre attaccanti portavano il pressing, tutto il resto della squadra si alzava per comprimere lo spazio a disposizione degli ospiti: una mossa coraggiosa, visto che i due centrali Paletta e Stendardo non fanno della velocità la propria principale virtù. Proprio per sfruttare questo eventuale punto debole e per reagire alle difficoltà nel ripartire con un pallone corto, Pepe Reina ha sfoggiato tutta la propria abilità tecnica aumentando la gittata dei propri rinvii con l’obiettivo di sorprendere la difesa atalantina. Proprio dai piedi di Reina è scaturita una delle più grandi occasioni del primo tempo, con Higuaín che ha mancato un controllo relativamente facile e ha colpito il pallone con la mano.
Questo cambio strategico è sintomo delle difficoltà che il Napoli ha incontrato nello scardinare lo schieramento di Reja: se il pressing non andava a buon fine, l’Atalanta si riorganizzava con un 4-1-4-1/4-5-1 dietro la linea della palla, con marcature a uomo sui centrocampisti del Napoli, proposte anche da Donadoni due domeniche fa (e da Garcia nell’ultima giornata). Rispetto alla versione bolognese, quelle predisposte da Reja erano maggiormente flessibili, con l’onnivoro de Roon (5 contrasti, 4 intercetti e 13 palloni recuperati) o uno degli interni a marcare le mezzali degli azzurri e uno fra Paletta e Stendardo a seguire Higuaín anche nei suoi tipici movimenti ad andare incontro al pallone. I terzini erano invece liberi da marcature quando Insigne e Callejón si mantenevano larghi, ma dovevano prenderli in consegna ogniqualvolta gli esterni offensivi del Napoli si stringevano.
Le marcature a uomo dell’Atalanta. Stendardo segue il movimento incontro al centrocampo di Higuaín fin nella metà campo del Napoli, Grassi è su Hamsík, schermato anche da Moralez, de Roon è su Allan e Cigarini su Jorginho.
Reja aveva preparato bene la partita anche dal punto di vista offensivo, incoraggiando lungo tutto l’arco dei 90 minuti repentini cambi di gioco con l’intento di creare situazioni di uno contro uno e muovere la difesa del Napoli, che spesso rimane compatta orizzontalmente anche nelle azioni d’attacco, con il terzino che non partecipa allo sviluppo offensivo vicino ai due centrali.
Per il Napoli le cose si erano complicate notevolmente, ma due episodi con protagonista de Roon hanno permesso agli azzurri di prendere il comando della partita. Sugli sviluppi di due azioni da corner, il centrocampista olandese ha prima colpito la palla con la mano, causando il rigore trasformato da Hamsík, poi ha consentito a Higuaín di segnare il 50.esimo gol con la maglia del Napoli, con una marcatura tutt’altro che efficace. Nel mezzo il gran gol di squadra dell’Atalanta, una vera e propria perla di quelle che meritano di essere viste e riviste.
Sul 2-1 è arrivata l’espulsione di Jorginho e l’Atalanta ha tentato il tutto per tutto, con Reja che ha mandato dentro D’Alessandro al posto di de Roon, schierandosi con il 4-2-3-1. Con i padroni di casa costretti a sbilanciarsi, si è aperto ancora più campo alle spalle della difesa nerazzurra e, su invito di Hamsík, Higuaín ha segnato il suo 16° gol in 17 partite: esattamente uno ogni novanta minuti (1449 in tutto) di campionato giocati.
Prima del fischio finale c’è stato tempo anche per il rigore fallito da Hamsík, conquistato da Mertens, subentrato a Insigne. Paletta, l’autore del fallo, ha causato il terzo rigore della sua annata e ha portato a dieci il numero di cartellini rossi della sua squadra durante la stagione, record europeo.
Una partita a dir poco complicata per gli azzurri si è risolta grazie a due episodi: la squadra di Sarri conclude l’anno saldamente attaccata al treno scudetto. Per l’Atalanta c’è di sicuro qualcosa per cui rammaricarsi, ma l’atteggiamento in campo e una classifica molto soddisfacente ne fanno una delle sorprese del campionato.
Bologna – Empoli
di Federico Aquè (@FedAque)
Nelle ultime 5 partite, Bologna ed Empoli avevano raccolto 10 punti a testa, gli stessi del Napoli, 2 in più della Fiorentina, 4 in più della Roma. Erano insomma tra le squadre più in forma della Serie A e il loro incrocio era anche una sfida tra modelli di gioco quasi all’opposto. Sintetizzando, si può dire che la qualità dell’Empoli ha avuto la meglio sui tentativi del Bologna di aggredire alto per ribaltare immediatamente l’azione.
Al fischio iniziale dell’arbitro Mariani il pallone viene toccato indietro verso Costa, che lo ferma consentendo a Tonelli di lanciare lungo sulla destra, dove sono scattati Laurini e Saponara.
A Empoli non si sono dimenticati di Maurizio Sarri, che è solito battere il calcio d’inizio con questo schema, usato anche a Napoli, dove il ruolo del quarterback spetta a Koulibaly. In effetti l’Empoli di Giampaolo assomiglia molto a quello della passata stagione e per certi versi ne rappresenta la versione 2.0: una maturazione niente affatto scontata, dopo le cessioni estive (Sepe, Rugani, Hysaj, Vecino, Valdifiori, Verdi).
Oltre allo schema iniziale, non sono cambiati i movimenti delle due punte e del trequartista, che si dividono il campo in ampiezza, e quelli della linea difensiva, sempre alta per mandare in fuorigioco gli attaccanti avversari. Contro il Bologna, ad esempio, ci è riuscita 6 volte (contro le 2 dei rossoblù), a 25,4 metri, in media, dalla propria porta. In posizione alta quindi, quasi 10 metri fuori dall’area di rigore.
Il cambiamento più evidente è a centrocampo. Perso Valdifiori, l’Empoli cerca maggiormente il fraseggio palla a terra, soprattutto nella costruzione della manovra, verticalizzando meno verso gli attaccanti. La squadra di Giampaolo ha provato meno della metà dei lanci lunghi del Bologna (44 contro 98), ma la circolazione della palla non ha perso verticalità, grazie alla posizione sfalsata dei 4 vertici del rombo di centrocampo.
Gli interni dell’Empoli si alzano per giocare alle spalle della linea di pressing del Bologna. In questo caso Paredes trova Büchel, che attrae i due centrali difensivi rossoblù e mette Saponara davanti a Mirante. Il portiere esce bene e para.
Anche se non ha portato al gol l’azione qui sopra sintetizza bene la partita. Da un lato la circolazione di qualità dell’Empoli, dall’altro la scarsa compattezza del pressing del Bologna. I rossoblù non si sono fatti problemi a portare 7 uomini nella metà campo offensiva per cercare di recuperare palla, accettando di fatto di spaccare la squadra in due: da una parte i 7 giocatori impegnati nel pressing, dall’altra i 3 difensori che rimanevano bassi a protezione della propria metà campo (si spiega così la scelta recente di Donadoni di spostare Rossettini a terzino destro: dietro restano tre difensori puri, schierati come se fosse una linea a 3). L’Empoli più di una volta è riuscito a evitare il pressing giocando palla a terra, attaccando in superiorità numerica la linea difensiva, come successo nelle azioni dei primi due gol.
L’Empoli esce dal pressing sulla destra e attacca con 4 uomini i 3 difensori del Bologna. In superiorità numerica è abbastanza semplice liberare l’uomo smarcato sul lato debole: Saponara gira infatti su Pucciarelli ed è 1-0.
Altro 4 vs. 3 dopo che il Bologna aveva provato ad aggredire alto l’Empoli. Stavolta il pallone arriva a sinistra a Maccarone, che scambia con Zielinski (fuori inquadratura, ma che arriva da dietro ad aiutare i compagni) e va a segnare il momentaneo 2-1.
È raro, in una squadra che parte con l’obiettivo di salvarsi, trovare un centrocampo della qualità dell’Empoli. A Bologna, Giampaolo ha schierato per la quinta volta di fila Paredes, Zielinski e Büchel: un enganche (trequartista sudamericano sui generis) il primo; un ex trequartista il secondo. In aggiunta c’è Saponara, trequartista di ruolo e di fatto.
Proprio Paredes, impostato stabilmente da regista, sta sorprendendo per la naturalezza con cui interpreta il ruolo. Pochi tocchi al pallone, passaggi semplici, ma senza rinunciare a verticalizzare, con la personalità di rappresentare un riferimento costante per i compagni. A Bologna l’argentino, in prestito dalla Roma, è stato il giocatore che ha completato più passaggi (63), ma anche quello che ne ha sbagliati di più tra gli azzurri (15): non ha paura di fare qualche errore insomma, anche perché il sistema dell’Empoli, così come accadeva con Valdifiori, gli dà la responsabilità di tentare passaggi rischiosi, che taglino le linee avversarie.
Con la vittoria per 3-2 in trasferta contro il Bologna, Giampaolo ha vinto 4 partite di fila, traguardo mai raggiunto dall’Empoli in Serie A: gli va dato il grande merito di aver ricostruito un meccanismo perfetto. E chissà che non possa essere d’esempio per altre squadre di medio-bassa classifica: anche se si lotta per non retrocedere si può vincere puntando sulla qualità.
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