A partire dalla stagione 2017/2018 la National Hockey League sarà la prima lega professionistica ad avere una propria squadra a Las Vegas. La notizia era uscita per la prima volta nel giugno dello scorso anno, quando la Board of Governors aveva votato a favore di un’eventuale espansione, dando mandato al commissioner Gary Bettman di considerare tutte le domande che sarebbero arrivate sulla sua scrivania. Il 22 giugno, in una conferenza stampa a margine della riunione di tutti i proprietari, lo stesso Bettman ha ufficializzato i termini dall’espansione, che ha preso la forma di una vera utopia: una squadra di hockey su ghiaccio nel deserto.
La valigetta coi soldi
Il legame fra la città e l’hockey non è nuovo, ma prima di ogni considerazione di carattere tecnico e politico, bisogna focalizzarsi sull’aspetto economico della vicenda. Perché siamo pur sempre negli Stati Uniti e la condizione sine qua non per ottenere una franchigia professionistica sono i soldi. Tanti soldi. Da questo punto di vista la proposta di Las Vegas non aveva nulla da temere: il proprietario unico della nuova squadra è William P. Foley II, 600 milioni di dollari come patrimonio netto stimato da Forbes, presidente della Fidelity National Financial, la più grande compagnia americana per l’assegnazione di mutui con un giro di affari valutato intorno ai sette miliardi di dollari, e attuale proprietario della Black Knights Financial Service.
Foley, uomo d’affari della vecchia guardia laureatosi all’Accademia Militare di West Point, ha da subito considerato l’expansion come una reale possibilità di guadagno e ha lavorato sodo per dimostrare alla lega che la sua proposta non era uno scherzo. Ad esempio, dopo aver chiesto il permesso alla NHL per aprire una campagna di pre-abbonamenti, prima ancora che la lega accordasse l’espansione, Foley, insieme alla comunità Vegas Wants Hockey, ha raccolto 13mila depositi per una squadra che, vale la pena ricordarlo, all’epoca non esisteva nemmeno sulla carta. Grazie a questa campagna ha ottenuto la cifra necessaria a coprire i costi di presentazione della domanda: una marca da bollo da 2 milioni di dollari per la consegna della richiesta e altri 18 milioni che la lega ha utilizzato per svolgere tutti gli studi di settore necessari per comprendere la solidità del mercato. In più, mentre attendeva una risposta da parte di Bettman, ha intavolato un progetto per la costruzione di un nuovo centro di allenamento a Summerlin ed è già in trattative con due città per la creazione di una squadra affiliata. Ora Foley dovrà versare 500 milioni di tasse d’iscrizione alla NHL a cui poi andranno aggiunti gli stipendi di giocatori, staff e dirigenza che nei prossimi 12 mesi andranno a costruire l’ossatura della nuova franchigia.
A contribuire ulteriormente al progetto c’è stata la costruzione di una nuova e moderna arena, realizzata interamente con fondi privati. La MGM e la AEG, due colossi nel mondo dell’intrattenimento sportivo, nel 2007 hanno data vita a una joint venture da 375 milioni di dollari che ha portato alla costruzione della T-Mobile Arena, una struttura nuova di zecca da 20mila posti sulla strada più famosa di Las Vegas: la Strip. È stata inaugurata il 6 aprile con l’esibizione dei The Killers e il calendario degli eventi è già ricchissimo. La programmazione musicale è già dominante, ma sia la WWE che la UFC l’hanno già scelta come sede dei propri eventi. NBA e NHL invece ci arriveranno durante la pre-season e persino la stagione cestistica NCAA avrà due date in Nevada. Nulla di nuovo dato che Las Vegas, soprattutto per la boxe, è sempre stata la capitale dello sport entertainment ma rispetto agli eventi one night only, l’arrivo di una franchigia ha un valore totalmente differente in quanto il pubblico a cui si rivolge è la popolazione che a Las Vegas lavora ma soprattutto vive. Foley ha puntato forte su questo tema durante le sue prime parole da presidente raccontando alcuni aneddoti che sottolineano quanto la città sia estasiata dall’arrivo di una squadra professionistica. Ovviamente avere un’arena sulla Strip, con tutto quelle che ne consegue in termini di casinò e attrazioni, offre alla nuova franchigia un sex appeal che poche squadre possono vantare. Oltre a rappresentare un unicum sul mercato americano, l’unico preso seriamente in considerazione dalla NHL.
Sul tavolo di Bettman, infatti, era arrivata anche la proposta dei Quebec Nordiques, franchigia esistita sino al 1995 prima di essere rilocata a Denver e trasformarsi nei Colorado Avalanche. Ufficialmente la proposta non è stata respinta ma posticipata. La lega ha giustificato questa decisione accennando al valore fluttuante del dollaro canadese che in questo momento non dà garanzie in termini d’investimento, oltre a un goffo tentativo di appellarsi all’equilibrio come numero di squadre nelle due Conference che al momento vede 16 franchigie nella Eastern e 14 nella Western con Las Vegas che diventerà la numero 15. In realtà Bettman vuole esplorare nuovi mercati americani, tanto che si è parlato lungamente della possibilità di una proposta da parte di Seattle, e non tornare su territori già sfruttati, che però potrebbero rivelarsi utili nel caso nasca la necessità di una rilocazione.
La beffa più grande per i tifosi dei Nordiques? Vedere gli Avalanche conquistare la Stanley Cup al primo tentativo.
I soldi sono a posto, ma l’hockey vero?
Se il lato economico non riserva dubbi, o al massimo problemi più o meno risolvibili, la realtà sportiva è più delicata. Quando si spegnerà l’entusiasmo della novità, Foley e la NHL avranno il dovere di creare una squadra attraente, e quindi vincente per continuare a tenere alta l’attenzione. Per questo la lega ha stilato nuove regole per l’Expansion Draft. Ogni franchigia dovrà mettere a disposizione parte del proprio roster rispettando alcuni parametri: oltre all’obbligo del goalie, i grandi protagonisti di questa offseason, c’è la possibilità di rendere eleggibili o sette attaccanti e tre difensori oppure sette giocatori di movimento senza vincolo di ruolo.
Fondamentale che fra questi giocatori ci siano un difensore e due attaccanti che giocheranno almeno 40 partite nella prossima stagione, oppure un totale di 70 fra il 2015 e il 2017. È ovvio che nessuna grande superstar farà i bagagli per trasferirsi in Nevada, oltretutto la maggior parte di loro ha una clausola no trade nel contratto che li rende ineleggibili, ma il nuovo General Manager, che sarà nominato a breve, avrà la possibilità di selezionare giocatori con un buon bagaglio d’esperienza e con un po’ di fortuna Las Vegas potrebbe diventare immediatamente una squadra competitiva.
Nero, oro e grigio saranno i colori ufficiali, mentre bisognerà attendere ancora un po’ di tempo prima che vengano rivelati il logo e il nome della nuova franchigia. Non potendo fare alcun riferimento al gioco d’azzardo, eliminando così dal lotto Aces oppure Stakes, il più gettonato è Black Knights ma, nonostante sia il nome della sua attuale compagnia finanziaria e rispecchi la sua educazione militare, Foley ha confermato che nulla è stato ancora deciso e che sul tavolo ci sono ancora diverse opportunità.
Un’ipotesi di jersey.
E con le scommesse come si fa?
Il punto critico dell’espansione a Las Vegas sarà la gestione e la regolamentazione delle scommesse. Il Professional and Amateur Sports Protection Act of 1992 è la norma che ha reso illegali in 46 stati su 50 le scommesse sportive, sia nel campo professionistico che in quello universitario. Inutile sottolineare che fra i 4 stati esentati dalla norma ci sia proprio il Nevada. Bettman non vede il gioco d’azzardo come un fattore negativo, dato che l’hockey influisce solo per il 3-5% del giro di affari generali, ma ha sottolineato che all’interno della T-Mobile Arena non si potrà scommettere e probabilmente verrà inoltrata una richiesta alla Commissione Gioco del Nevada per vietare le scommesse riguardanti la nuova franchigia.
Il modo in cui la NHL risolverà o meno questa complicata situazione sarà osservato con particolare attenzione dalle tre grandi sorelle dello sport professionistico. La MLB sta valutando l’ipotesi di un’espansione, la NFL molto probabilmente rilocherà qui gli Oakland Raiders mentre la NBA, che in questo momento non sta valutando l’ipotesi né di un’espansione né di una rilocazione, per voce di Adam Silver, ha confermato che continuerà a monitorare l’evolversi della vicenda. Las Vegas, che vanta un regime fiscale agevolato su stipendi e proprietà, era una delle più grandi città americane che ancora non aveva una squadra professionistica e, seppur con tutti i pro e i contro di una meta che fa del gioco d’azzardo e del turismo ‘da sballo’ il suo punto di forza, era inevitabile che prima o poi questo accadesse. La NHL quando ha provato l’espansione in città desertiche non ha ottenuto grandi successi ma il rischio in questo caso sembra calcolato e, nonostante la statistica non sia d’accordo, l’hockey su ghiaccio potrebbe diventare lo sport più popolare nella città del peccato.