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Giocarsela alla pari
23 ott 2017
Inter e Napoli hanno giocato una grande partita in cui l'aspetto mentale ha contato quanto la tattica.
(articolo)
15 min
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Prima di affrontare la partita dell’Inter al San Paolo proviamo a rispondere a una domanda semplice: cosa significa giocare “alla pari” con una squadra come il Napoli? Con una delle squadre con il gioco più offensivo del campionato, cioè, in possesso di princìpi collaudati da tre anni di meticoloso lavoro quotidiano, una squadra capace di giocare a uno o due tocchi anche sotto pressione. Cosa bisogna fare esattamente per poter dire di essere stati all’altezza della situazione?

Si deve tenere palla lo stesso numero di minuti, avere lo stesso numero di occasioni? Si deve resistere sul piano del “dominio territoriale” (citato da Sarri a fine partita)? Si deve distruggere il gioco del Napoli e dare l’impressione al pubblico che la partita era saldamente nelle proprie mani? Perché se diciamo che questi aspetti sono necessari, allora no, l’Inter non ha giocato alla pari del Napoli pur pareggiando 0-0 fuori casa.

Se, però, decidiamo che si può anche giocare alla pari del Napoli adattandosi e limitandone il più possibile il gioco, riuscendo a sabotare alcuni dei meccanismi più efficaci di Maurizio Sarri, concedendo tutto sommato poco (molto meno di quanto mediamente viene concesso al Napoli, come vedremo più avanti) e riuscendo anche a recitare il proprio copione per lunghi tratti, allora sì, invece, possiamo dire che l’Inter ha giocato alla pari. Non solo sul piano fisico e mentale (su questo aspetto anche i critici di Spalletti concordano) ma anche su quello tattico e tecnico.

La pressione dell’Inter e i “figli di Goldrake”

Prima della partita, Milan Skriniar aveva citato tre aspetti importanti per l’Inter contro il Napoli: aggressività, compattezza e possesso palla. Teneteli a mente, perché per una volta un calciatore ha descritto chiaramente - prima della partita, per giunta - le tre parti del piano preparato dal suo allenatore.

Che Luciano Spalletti avesse preparato una partita di grande intensità, con una pressione alta fin dentro la metà campo del Napoli, sarebbe stato chiaro fin dall’inizio in ogni caso. Così come è stato chiaro da subito il tipo di rischio a cui si sarebbe esposta l’Inter con un atteggiamento aggressivo: dopo neanche un minuto, con tutto il centrocampo nerazzurro a cavallo della linea di metà campo, con distanze molto corte per coprire il passaggio in verticale, a Koulibaly è bastato passare in diagonale da Ghoulam per far arrivare il pallone ad Hamsik tra le linee e innescare i tagli di Insigne e Mertens. Con tre passaggi, il belga si sarebbe trovato davanti alla porta di Handanovic, se proprio Skriniar non avesse letto bene l’azione e anticipato la copertura della profondità.

L’Inter ha giocato una partita difensiva coraggiosa ma non spericolata, andando a pressare il più in alto possibile con un 4-5-1 che specchiava a centrocampo il 4-3-3 del Napoli e teneva gli esterni in posizione di controllo sui terzini opposti. Senza correre dietro alla palla finendo al centro del “torello” napoletano, i giocatori interisti erano pronti ad alzare la pressione non appena il Napoli orientava il proprio possesso su un lato. E sapendo che la squadra di Sarri costruisce preferibilmente a sinistra, era uno tra Borja Valero e Candreva a partire in direzione di Koulibaly, schermando il passaggio per l’avversario alle loro spalle (Jorginho o Ghoulam).

Una strategia che ha spinto spesso il Napoli a cominciare l’azione vicino alla propria porta - causando anche qualcuno dei recuperi (9) effettuati dall’Inter nella metà campo azzurra nel primo tempo - ma che non poteva non accompagnarsi a un rischio maggiore. In particolare, quando era Candreva a sganciarsi, alle sue spalle lasciava in uno contro uno gli attaccanti del Napoli: D’Ambrosio su Ghoulam, Skriniar su Insigne, Miranda su Mertens.

Il triangolo di centrocampo dell’Inter si è mosso bene rispetto a quello del Napoli, in difficoltà nel giocare alle spalle di Vecino e Gagliardini.

L’azione del primo tiro della partita (qui sopra) nasce proprio da una splendida giocata della catena di sinistra di Sarri: Koulibaly scavalca Candreva in pressione, Ghoulam di petto gioca di prima su Insigne che triangola di prima con Mertens. Le distanze e i tempi sono perfetti e, anche se i giocatori dell’Inter sono rimasti incollati, i giocatori del Napoli sono arrivati sempre un attimo prima sulla palla riuscendo a girarsi fronte alla porta avversaria. Chissà se Spalletti si riferiva proprio a questa uscita difensiva quando ha parlato dei giocatori avversari come dei “figli di Goldrake”.

Sul proseguimento dell’azione, Skriniar è finito addirittura in inferiorità sulla sovrapposizione di Ghoulam, che ha crossato da buona posizione. Più che il tiro successivo di Hamsik, il vero pericolo per l’Inter è stata la palla del terzino algerino che ha tagliato l’area ma non ha trovato Mertens libero al centro.

Ma vale la pena sottolineare la qualità tecnica delle combinazioni della squadra di Sarri, capace di realizzare gesti difficili ad alta velocità muovendosi in maniera coordinata. Anche in una partita in cui forse è mancato qualcosa proprio dal punto di vista individuale (Mertens soprattutto si è schiacciato troppo spesso sui centrali interisti) il gioco di prima del Napoli è semplicemente il più appagante da vedere, come il pubblico del San Paolo non manca di sottolineare applaudendo ogni combinazione riuscita.

Spalletti Ministro della Difesa, perché no

Al tempo stesso, sabato sono state pochissime le occasioni in cui la squadra di Sarri è riuscita a trovare un giocatore alle spalle del centrocampo nerazzurro (al quindicesimo Miranda lancia lungo, facendosi poi rimproverare da Spalletti, e Hysaj trova subito Allan, il Napoli parte in transizione con Mertens che serve Insigne per il tiro a giro da dentro l’area). E quando il Napoli sfuggiva alla prima pressione palleggiando, senza però trovare lo spazio per andare direttamente in verticale, l’Inter scivolava all’indietro con due linee molto compatte (il secondo degli aspetti citati da Skriniar prima della partita).

Ma lo ha fatto con grande attenzione e intensità atletica (ha corso quasi 4 km in più del Napoli), mantenendo le distanze giuste tra difesa e centrocampo e scivolando anche sui lati come un blocco solido, sapendo che ogni leggero ritardo sarebbe stato sfruttato dalla squadra di Sarri. Non è scontato, e non significa che l’Inter abbia rinunciato ad attaccare.

Quando il Napoli ha la palla, il trequarti delle squadre europee (a voler arrotondare per difetto) deve rinunciare ad attaccare. Almeno per un po’.

La gabbia di Spalletti per Insigne. Il lato negativo di avere un gioco molto riconoscibile…

Il merito dell’Inter è quello di essersi presentata al San Paolo preparata anche per ostacolare la fase di attacco posizionale della squadra di Sarri, sempre con particolare attenzione per il lato sinistro del Napoli. Già la Lazio, qualche settimana fa, aveva mostrato quanto fosse importante bloccare gli spazi di mezzo, ma la squadra di Simone Inzaghi lo aveva fatto con una difesa a 3 particolarmente aggressiva. Spalletti, invece, ha potuto scegliere un piano più conservativo e prudente, difendendo la zona di ricezione prediletta da Insigne, Mertens e Hamsik comprimendo lo spazio tra il centrale difensivo e il terzino, e tra il centrale e quello di centrocampo, forte della resistenza fisica dei suoi giocatori che garantiva comunque di poter risalire il campo palla al piede.

L’Inter forse è ripartita meno di quanto Spalletti si sarebbe aspettato, perché nei momenti di maggiore sofferenza si ritrovava schiacciata con una specie di 6-3-1, ma soprattutto per via dell’ottima riaggressione del Napoli, sempre con molti giocatori nella zona del pallone. La parte puramente difensiva del piano di Spalletti, però, ha funzionato piuttosto bene: i ripiegamenti di Candreva e Vecino, a cui si aggiungeva anche Borja Valero nelle fasi difensive più lunghe, hanno offerto un raddoppio continuo a D’Ambrosio, sia sulle sovrapposizioni di Ghoulam che sui rientri di Insigne sul piede destro.

I giocatori interisti maggiormente coinvolti, quelli della catena di destra, sono rimasti concentrati anche nei rari momenti in cui un giocatore del Napoli poteva puntarli fronte alla porta: Skriniar in particolare è stato ottimo non solo nelle letture ma, soprattutto, negli uno contro uno decisivi (secondo i dati Wyscout ne ha fatti più di tutti in partita, 14) mostrando spesso un intuito difensivo che molti centrali “palla o gamba”, a cui la sua generazione di difensori tecnici è perennemente confrontata, si sarebbero sognati. Ma è stata la concentrazione collettiva, con Vecino e D’Ambrosio (13 duelli affrontati) e Gagliardini poco lontano, a tenere in piedi la struttura difensiva nerazzurra.

La più grande occasione del Napoli

La vera grande occasione del Napoli è arriva poco prima del ventesimo minuto del primo tempo, in una situazione opposta a quelle analizzate qui sopra. Anzitutto è nata a destra, in una delle rare volte in cui Raul Albiol è stato libero di salire palla al piede fin dentro la metà campo interista. Di solito Icardi indirizzava l’impostazione su Koulibaly, in questo caso l’azione era cominciata a destra e anche Borja Valero era in ritardo.

Poi, è stata decisiva l’indecisione di Perisic, che ha deciso di non seguire Hysaj per affrontare il centrale spagnolo, quando Gagliardini si era già alzato in pressione.

In compenso, dalla parte opposta (quella più vicina alle grida di Spalletti), Candreva era in linea con la difesa.

Dal cross di Hysaj è arrivata la doppia conclusione di Callejon (libero di muoversi alle spalle di Gagliardini, appunto, con Nagatomo scalato su Hysaj) e Mertens. Quest’ultimo è stato sicuramente poco efficace nel concludere da pochi passi, ma la parata di piede di Handanovic, da terra, va considerata forse come un evento eccezionale, alla pari di una punizione a giro sotto l’incrocio che decide una partita. Immaginate che invece di aver evitato un gol, Handanovic abbia segnato il pareggio…

Complessivamente, tuttavia, il Napoli ha fatto solo quattro tiri in porta, di cui due in questa azione. La doppia occasione del primo tempo vale da sola quasi la metà degli 1,2 xG generati dalla squadra di Sarri in tutta la partita (sommando lo 0,03 di Callejon e lo 0,54 di Mertens). A questa va aggiunto il colpo di testa di Insigne, con un movimento “alla Callejon” alle spalle di D’Ambrosio (per carità, Insigne avrebbe potuto fare di meglio, ma la palla era lenta e sarebbe stato difficile in ogni caso), e il tiro al volo da fuori area di Zielinski nel secondo tempo.

In media, nel resto del campionato, il Napoli aveva creato più pericoli (1,9 xG a partita, escludendo quella di sabato), ma è il dato dell’Inter a essere calato di più: nelle altre otto partite giocate, la squadra di Spalletti aveva generato 1,3 xG di media: più del triplo di sabato sera.

L’Inter ha concretizzato pochissimo, praticamente solo l’azione di Vecino a inizio secondo tempo, partito dalla sua metà campo palla al piede, sfruttando i limiti di Jorginho e Allan nei recuperi all’indietro. A voler essere di manica larga possiamo considerare anche il tiro di Borja Valero come effettivamente pericoloso, anche se molto difficilmente una situazione di quel tipo si sarebbe potuta trasformare in gol (Borja ha colpito il pallone molto in alto, con un uomo addosso e un angolo di tiro strettissimo sul palo del portiere).

L’Inter avrebbe potuto e dovuto sfruttare meglio qualche spazio trovato a fatica, ma si parla troppo poco della riuscita in fase difensiva della squadra di Sarri. Il Napoli in questa stagione ha subito solo quattro gol su azione ed è ancora la squadra dei cinque campionati europei principali ad aver subito meno pericoli di tutte (solo 3,1 xG). Certo, il calendario e il contesto italiano, in cui si attacca poco in transizione o comunque in maniera diretta, hanno favorito la riuscita difensiva del Napoli fin qui, ma aver superato così egregiamente la prova dell’Inter non può passare inosservato.

Il Napoli distruttivo

Veniamo al terzo aspetto di cui ha parlato Skriniar prima della partita, il possesso palla, perché Spalletti non è venuto al San Paolo solo con un piano per difendere. Parlare di transizioni e gioco verticale porta troppo spesso a confondere situazioni diverse tra loro, come se si trattasse di semplici sotto-generi del classico contropiede: il Napoli perde palla in posizione alta, l’Inter riparte. In realtà, come abbiamo scritto proprio sabato, all’Inter piace attaccare in campo aperto, sfruttando i momenti che la squadra avversaria le lascia a disposizione per sfruttare le qualità dei suoi migliori giocatori offensivi.

Questo, però, non significa che l’Inter non costruisca i propri attacchi. Quello che è cambiato contro il Napoli (che in realtà si era visto anche nelle amichevoli estive) è stata la capacità di eludere il pressing organizzato della squadra di Sarri con un palleggio insistito anche in zone di campo rischiose. A fine partita Handanovic ha realizzato 29 passaggi (senza sbagliarne neanche uno): quanti Nagatomo, cinque in più di Borja Valero e solo uno in meno di Perisic. Icardi si è fermato a 13.

Seguendo forse l’esempio dello Shakhtar Donetsk, ma restando fedele anche a quello che ormai ripete da quest’estate, Spalletti ha cercato di sfruttare lo spazio alle spalle della linea di pressione del Napoli, sia per attaccare in modo diretto in verticale. Ha mostrato così, nei fatti e non solo a parole, grande fiducia nelle doti tecniche dei suoi giocatori, chiedendo loro di resistere al pressing di Sarri senza lanciare lungo (solo Nagatomo è andato nel panico un paio di volte, anche perché dal suo lato Perisic non lo ha aiutato molto).

Per correre meno rischi, il Napoli ha dimunito la pressione nel secondo tempo, con Jorginho maggiormente attento agli spostamenti laterali di Borja Valero, e nelle fasi in cui l’Inter è riuscita a tenere di più il pallone è venuta fuori la compattezza della squadra di Sarri nelle fasi di difesa posizionale. Contro l’Inter, oltre ai sincronismi della linea a quattro che hanno negato a Icardi qualsiasi profondità, si è vista la particolare attenzione nel coprire il centro, con una densità di uomini che spinge gli avversari sui lati.

In questa stessa azione, dopo poco, arriva anche Insigne.

Sarri non ha a disposizione la squadra più atletica del campionato, né quella più impenetrabile difensivamente (anche se gli errori individuali sembrano diminuiti). Non ha i centrocampisti più abili a fare da schermo davanti alla difesa, non ha un portiere che gli garantisca un miracolo a partita. Se la squadra di Sarri subisce poco è sia perché la palla spesso ce l’hanno loro, o comunque la tengono lontana dalla propria porta, sia perché fanno tirare le squadre avversarie nelle situazioni meno comode possibile (tipo l’occasione di Vecino, o il tiro di Borja Valero).

Cosa è mancato?

Anche se l’impressione è stata di un dominio del Napoli superiore nel secondo tempo, in realtà i minuti in cui ha tenuto palla sono stati più o meno gli stessi (21 minuti e 20 minuti, l’Inter ha giocato con il pallone tra i piedi per 14 minuti a tempo) e anche il baricentro medio si è alzato solo di un paio di metri appena (da 56.8m a 58.3m). Il possesso è ovviamente favorevole al Napoli (62,3% vs 37,7%) ma forse è la diversa capacità di penetrazione nella trequarti a dirci qualcosa di più sulla diversa efficacia del possesso delle due squadre: quella di Sarri ha giocato in tutto 176 passaggi nella trequarti interista, con una precisione dell’81,3%; quella di Spalletti è entrata appena 38 volte con un passaggio nella trequarti offensiva, con un successo del 63,2%.

Le sostituzioni non hanno cambiato il contesto della partita quando ormai era diretta verso un pareggio: Zielinski e Rog hanno aggiunto energia al centrocampo e Joao Mario ha provato a giocare maggiormente vicino a Icardi. Sia Inter che Napoli sono due squadre “corte”, che dipendono dallo stato di forma di pochi uomini.

Questa partita non ci lascia con la certezza che il Napoli vincerà lo Scudetto, perché è vero che l’Inter avrebbe anche potuto “beffarlo” (come è stato detto a Sarri in conferenza stampa facendolo innervosire) né con la certezza che l’Inter se la giochi alla pari con tutte, perché è vero che anche il Napoli avrebbe potuto segnare dopo neanche venti minuti cambiando totalmente il contesto della gara. Al più, sabato sera abbiamo avuto la conferma che non sarà una passeggiata per nessuno arrivare tra le prime quattro del campionato.

Il Napoli è semplicemente sembrato poco ispirato (forse è pesata anche la stanchezza della Champions League), privo delle idee e dell’energia anche mentale necessaria per rompere un blocco organizzato bene e per giocare fuori dal proprio registro abituale. Il rischio è quello di diventare prevedibile, se le giocate che ormai tutti conosciamo non vengono eseguite con quella frazione di secondo di anticipo sugli avversari (nel secondo tempo un bel taglio di Callejon ha portato al tiro Hamsik sulla sponda). All’Inter è bastato controllare Insigne per ridurre di molto i rischi.

Difensivamente la squadra di Sarri è stata molto attenta e non ha avuto cali: anzi, nell’ultima mezz’ora, quando il ritmo si è abbassato e le distanze si sono allungate, ne ha approfittato comunque più dell’Inter, a cui comunque basta l’occasione giusta per girare a proprio favore l’inerzia della gara (come già le è successo contro Roma e Milan).

Pur avendo preparato e giocato un’ottima partita in casa della squadra più in forma del campionato, Spalletti prima o poi dovrà confrontarsi con i limiti offensivi della propria squadra. La mancanza di creatività è solo in parte colmata dall’intelligenza di Borja Valero e l’Inter non potrà vivere tutta la stagione dei momenti migliori di Icardi, Perisic e Candreva. Inoltre, la partita di Napoli sarà difficilmente replicabile contro avversarie meno aggressive nel pressing o meno disposte a lasciarle campo da attaccare.

Certo per l’Inter uscire dal San Paolo senza aver subito gol e mantenendo Lazio e Juventus staccate è una grande prova di maturità. Nel calcio spesso non si dà la giusta importanza all’aspetto psicologico, uno dei più difficili da allenare e al tempo stesso quello che Spalletti allena meglio. In Serie A ogni domenica si combatte una guerra tattica, tecnica, fisica, ma anche mentale. Giocare la propria partita nonostante tutto, restare fedeli al proprio copione contro un’avversaria organizzata che mette in scena uno spettacolo totalmente diverso, è quanto di più difficile si possa fare in un campo da calcio.

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