Com'è facile immaginare, l'inaspettata vittoria del "Leave" al referendum britannico sulla permanenza nell'Unione Europea avrà un forte impatto non solo sul governo Cameron, che è stato già costretto a dimettersi, ma anche sul futuro politico ed economico della Gran Bretagna e della stessa Europa.
Ovviamente la Premier League non resterà indenne, dato che il calcio oltre che una passione è anche uno dei prodotti che l’Inghilterra riesce ad esportare con maggiore successo. Secondo uno studio Ernst & Young, la Premier League contribuisce al PIL britannico per 3,4 miliardi di sterline e ogni anno fa entrare nelle casse statali sotto forma di tasse e imposte 2,4 miliardi.
La Premier League, oggi, è il campionato più ricco al mondo e una grossa fetta di questo successo deriva dalla sua capacità di attrarre i migliori giocatori da tutto il mondo: non solo è il campionato con maggior incidenza di calciatori stranieri sul totale (attualmente sono ben 388 su 595: il 65,2%), ma i giocatori più rappresentativi dell’intero campionato sono proprio giocatori “non inglesi” (per fare degli esempi: Agüero, De Bruyne, Fabregas, Özil, Martial, Mahrez, De Gea, Hazard, Lukaku).
E la quantità di giocatori stranieri nella Premier League potrebbe essere addirittura maggiore se non fosse per una serie di regole molto rigide che la federazione inglese ha approvato negli ultimi anni. Per ottenere un permesso di lavoro necessario per giocare in Premier League un giocatore extracomunitario deve aver giocato, nei 24 mesi precedenti al trasferimento, almeno il 30% delle partite della propria Nazionale maggiore a cui è stato convocato, se la Nazionale in questione è tra le prime dieci del ranking FIFA; almeno il 45% se la Nazionale ha un ranking compreso tra l’11esimo e il 20esimo posto; almeno il 50% se la Nazionale ha un ranking tra il 21esimo e il 30esimo posto; almeno il 75% se la Nazionale ha un ranking tra il 31esimo e il 50esimo posto.
Fino ad oggi queste regole non si sono applicate ai giocatori provenienti dai paesi dell’Unione Europea per il principio di libera circolazione dei lavoratori, cioè il diritto dei cittadini europei, sancito dall’articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, di poter lavorare in paesi diversi dal proprio senza essere discriminati in relazione all’impiego, alla remunerazione e alle condizioni di lavoro. Ma se la Gran Bretagna dovesse decidere di uscire dall’Unione Europea le cose potrebbero ovviamente cambiare.
Attualmente i giocatori provenienti dallo Spazio Economico Europeo (cioè dai 28 paesi dell’Unione Europea più altri, come la Norvegia e l’Islanda, che hanno deciso di aderire ai principi cardine dell’Unione, tra cui la libera circolazione delle persone) presenti in Premier League sono 188, cioè poco meno di un terzo del totale (31,6%).
Secondo uno studio del Guardian, se le regole che oggi vengono applicate ai calciatori extracomunitari venissero applicati anche a quelli comunitari, circa due terzi dei giocatori europei attualmente in Premier League non raggiungerebbero i criteri stabiliti dalla FA per ottenere un permesso di lavoro in Gran Bretagna. Tra questi ci sono: Zouma, Azpilicueta, Bellerin, Martial, Payet, Mignolet, Mangala e Juan Mata. Tra le prime due divisioni inglesi e scozzesi, i giocatori toccati dalla questione sarebbero attualmente ben 332, secondo la BBC.
Ma l’esempio più luminoso ci viene dal passato ed è quello di Cristiano Ronaldo. Se nel 2003 le regole attuali fossero state applicate anche ai giocatori europei, infatti, il campione portoghese non avrebbe mai potuto sbarcare al Manchester United, dove di fatto è diventato uno dei più importanti calciatori della nostra epoca.
Questo ovviamente non vuol dire che i giocatori europei attualmente in Premier League sarebbero costretti ad andarsene dal campionato inglese in caso di Brexit, da una parte per via del principio giuridico generale della non retroattività della legge, dall’altra perché è impossibile prevedere oggi quali misure eventualmente prenderebbe la FA nei confronti di questo tipo di giocatori.
In realtà, molto potrebbe dipendere anche da un eventuale nuovo governo inglese che si insedierebbe dopo la Brexit: nel caso in cui dovesse formarsi un governo euroscettico, magari con posizioni molto conservatrici riguardo all’accoglienza dei flussi migratori, al contrario potrebbe addirittura succedere che per i giocatori europei vengano applicate regole simili a quelle che oggi vengono applicate a quelli extracomunitari.
Certo, è anche possibile che non venga presa nessuna misura diversa e si confermi lo status quo, ma sarebbe molto difficile. Nel caso in cui la Gran Bretagna decidesse di uscire dallo Spazio Economico Europeo, per questioni di non discriminazione sarebbe difficile approvare regole diverse per i giocatori europei e quelli non europei. Per lo stesso motivo, anche delle regole ad-hoc per la sola industria calcistica sarebbero molto complicate da approvare.
La Brexit, in questo caso, comporterebbe ostacoli per i club inglesi intenzionati ad acquistare giocatori europei (in economia verrebbero chiamate barriere non tariffarie), e gli effetti collaterali potrebbero essere da una parte un abbassamento della competizione (e quindi anche dei prezzi) per i giocatori europei per il resto dei club continentali, e dall’altra una maggiore incidenza dei giocatori non europei e soprattutto inglesi sulla Premier League. In assenza di accordi bilaterali o multilaterali, infatti, anche per i giocatori extracomunitari ci sarebbero maggiori ostacoli, dato che i club inglesi non potrebbero più avvalersi dei passaporti europei per facilitare i trasferimenti (pensiamo alla quantità di calciatori argentini che hanno passaporto italiano).
Per questo motivo Karren Brady, chairman del West Ham, ha parlato di “effetti devastanti” della Brexit sulla Premier League: «Perdere l’accesso libero ai talenti europei svantaggerebbe i club britannici rispetto a quelli continentali». O, se volete, potete metterla in maniera più prosaica come David Beckham, che ha annunciato il suo voto per il Remain su Instagram ricordando che il successo del suo Manchester United era basato soprattutto su giocatori non inglesi come Cantona, Roy Keane e Peter Schmeichel.
Quanto meno dal punto di vista dell’industria calcistica britannica, uscire dall’Unione Europea sarà probabilmente una soluzione perdente.