Scegliere di combattere attraverso la guerriglia è logorante. Significa ammettere un’inferiorità strutturale nei confronti del nemico e votarsi a una strategia che richiede la vittoria di ogni singola schermaglia, pena il crollo di tutto l’insieme.
I guerriglieri vivono la condizione esistenziale dell’apnea, consapevoli che solo alla fine, e solo in caso di vittoria acquisita, si potrà rifiatare. Tutto questo il popolo dell’Atlético lo conosce: per questo sembra ormai aver accettato la responsabilità di dover essere un fattore tanto quanto i giocatori in campo. O almeno questo è quello che gli richiede Simeone lungo tutti i novanta minuti: sempre in piedi, sempre a gridare, ad alzare le braccia, a invocare il pubblico a diventare una cosa sola con i giocatori in campo. Una simbiosi che ha fatto del Calderón uno stadio dove nelle grandi partite è praticamente impossibile vincere, a meno che non si abbia un Leo Messi al 100%. In campo vanno i soliti undici, più altri 55mila dietro di loro a fare cori per novanta minuti senza interruzioni.
Il Bayern Leo Messi non lo ha, e forse questo più di ogni altra cosa ha spinto Guardiola a scegliere una strategia radicale ed estremamente rischiosa in caso di insuccesso. Era in qualche modo immaginabile che Pep avrebbe cercato una soluzione diversa al suo solito modo di attaccare, soprattutto per trovare efficacia contro un difesa perfettamente a suo agio a difendere il centro dell’area per 90 minuti, rafforzandosi semmai ad ogni respinta di assedio dei cross avversari. La scelta è stata di utilizzare un centrocampista in più e una punta in meno. Così Arturo Vidal ha trovato posto nel ruolo di mezzala destra mentre Thomas Müller si è accomodato in panchina.
L’idea di creare spazi
L’assenza del “cercatore di spazi” è in un certo senso l’ammissione da parte di Guardiola che di spazi, l’Atlético, non ne lascerà. C’è quindi bisogno prima di tutto di crearli, da qui la scelta della formazione più associativa possibile: Alaba e Javi Martinez al centro della difesa, tre centrocampisti davanti, due ali aperte con il piede non invertito, così da assicurare sempre ampiezza, e una sola punta a fare da pivot. Una formazione più simile alla palla a mano, non a caso lo sport più vicino alla concezione di dover battere un muro davanti alla porta che esiste.
Lo schieramento del Bayern rappresentava una specie di ritorno al calcio più marcatamente di posizione. Un modello che negli ultimi mesi era stato parzialmente abbandonato, in favore di un approccio più diretto, votato a creare il maggior numero di occasioni da gol possibili inondando la difesa avversaria di tiri da cross e da seconde palle in area. L’idea di Guardiola di tenere Müller in panchina segue questa logica (come lo schierare il mancino Douglas Costa a sinistra e il destro Coman a destra) ed è quindi basata sul progetto di smuovere una difesa avversaria priva del leader Godin, con una circolazione di palla che vada a trovare il lato debole prima di attaccare.
Bisogna ammettere che questa strategia, seppur immaginabile visti i giocatori in campo, è stata possibile leggerla solo dopo 15 minuti di gara, perché prima del quindicesimo il Bayern non è stato realmente mai in grado di svilupparla. L’inizio è stato dominato dall’Atlético.
Lo schieramento di Simeone è quello ritenuto perfetto nelle grandi occasioni. Un 4-4-2 iniziale in cui l’assenza di Carrasco fa slittare Koke sulla fascia sinistra e Augusto in mediana. L’idea è quella di portare una pressione alta a ondate, seguita da ripiegamenti improvvisi. La coppia d’attacco formata da Griezmann e Torres si posiziona a schermare il centrocampo e va in pressione su chi inizia l’azione, costringendolo a scaricare palla sulla fascia dove scatta il pressing dell’esterno di fascia sul portatore. Dopodiché il centrocampista in zona palla va a schermare chi deve ricevere al centro e il terzino va a uomo sull’ala avversaria. Questo, in sostanza, l’impianto della guerriglia dell’Atlético, che costringe gli avversari a dover vincere ciascuno di questi accoppiamenti anche solo per riuscire a portare la palla sulla trequarti. Tutto questo con la sicurezza che se gli avversari riescono a uscire in modo pulito si può sempre ricorrere al fallo, arma tattica davvero sistematica per la squadra di Simeone.
Sostenuta dal proprio allenatore e dallo stadio intero, la strategia iniziale dell’Atlético costringe il Bayern a pensare solo e soltanto a come uscire in modo pulito dalla difesa senza perdere la calma. Farsi prendere dal panico e gettare il pallone in avanti è proprio quello che vuole Simeone, e che cerca di provocare mettendo Griezmann alle calcagna di Xabi Alonso. La prima vera azione offensiva del Bayern arriva dopo 8 minuti di partita con un cross basso e teso di Coman intercettato dal portiere Oblak, per il resto la partita è un monologo dell’Atlético, in totale dominio del contesto da lei creato.
Il Bayern non ha risposte. La scelta di Pep, sebbene logica sulla carta, in campo non si realizza, a causa proprio dei problemi del centrocampo da lui voluto. Se il movimento ad abbassarsi di Xabi Alonso in fase di uscita è parte integrante del sistema, la pressione e l’ambiente creato dall’Atlético entra nella testa dei giocatori bavaresi, portando sia Thiago che Vidal ad errori tattici fatali in fase di possesso.
Il centrocampo del Bayern è stato costruito per giocare tra le linee schierate avversarie in difesa posizionale, ma finisce per perdere la bussola nei primi minuti di pressione avversaria, scompaginandosi. Thiago si lascia chiudere nella zona di Saúl e Gabi, autoescludendosi di fatto dalla partita (nei primi 15 minuti effettua 5 passaggi!). Ancora peggiore la situazione di Vidal, che volendo aiutare la squadra si lascia andare a qualsiasi movimento senza palla - dall’abbassarsi per aiutare l’uscita del pallone e finire nella zona di ricezione di Xabi Alonso, all’allargarsi e togliere quindi spazio per le salite di Lahm, vitale da appoggio per il possesso. Più l’ampiezza di campo coperta dal cileno aumenta, più il gioco di posizione bavarese si sfibra. Esempio perfetto che, nel calcio, la quantità non sia necessariamente sinonimo di qualità.
La posizione di Vidal non è di alcuna utilità per il Bayern che preferirebbe vederlo dietro Koke e Gabi e non davanti accanto a Xabi Alonso. Così non può neanche ricevere perché ha due giocatori che possono andare su di lui all'istante.
Attenzione disumana
L’esempio quasi opposto sono gli esterni di centrocampo dell’Atlético, che riescono invece ad assicurare quantità e qualità. Il loro movimento senza palla rappresenta l’apice del lavoro di Simeone su questa squadra. Basta distrarsi un attimo per avere Koke in pressione al centro del campo e vedere al contempo Saúl allargarsi per poter ricevere lungo una volta che la sua squadra ha recuperato palla, e viceversa. Se i due centrocampisti centrali sono bravissimi a bilanciare l’attenzione nel posizionamento con le necessità di aiuto nel raddoppio per il pressing, è quanto producono i due esterni “difensivi” dell’Atlético a rendere questa versione speciale in ogni fase di gioco.
La strategia dell’Atlético ha come effetto collaterale quello di causare poca lucidità in fase di possesso. Ma d’altronde pretendere anche pulizia offensiva dopo tutto il lavoro senza palla non sarebbe umano. E qualcosa di non umano si è infatti impossessato di Saúl, quando ha sciato attraverso tre giocatori del Bayern Monaco e ha segnato uno dei gol più belli di questa Champions League.
Il gol è naturalmente la chiave della partita, perché genera il miglior contesto possibile per la squadra di Simeone. Da quel momento l’Atlético, progressivamente, attenua il pressing alto per posizionare più basso e giocare una partita reattiva. È evidente come l’Atlético non può reggere certi ritmi per tutti i 90 minuti e il gol iniziale permette alla squadra di rifiatare e di giocare con il più semplice lavoro di ripiego e contropiede. Da più o meno il minuto 20 inizia la lunga partita di difesa posizionale e di protezione del centro dell’area, intervallata da qualche contropiede mirato e gestito da conduzioni di palla individuali. In mezzo tante, piccole azioni di guerriglia che minano lentamente tutte le certezze degli avversari.
Spesso si dice che a questo Atlético manchi Diego Costa, ovvero quel bisonte in grado di caricare da solo le difese avversarie, creando contesti offensivi dove non sarebbero esistiti. Va però detto che questi minuti infuocati a cui ci ha abituato quest’anno Simeone sono una novità associabile a questo nuovo corso. La pressione alta e la capacità di inventare soluzioni attraverso il talento di Griezmann, Koke e Saúl è un’arma tutta nuova e che si sta rivelando adeguata quanto il lancio per la carica di Diego Costa. Ora l’Atlético è in grado di dominare più contesti di gioco e di scegliere il modo in cui vuole affrontare l’avversario. E questo sta facendo la differenza.
Il passare del tempo e la scelta di abbassare la pressione portano la partita a diventare un vero monologo del Bayern, con la difesa che può ora giocare il pallone ben oltre la metà campo. È la gara che Guardiola avrebbe voluto imporre dal primo minuto, solo che adesso il Bayern, oltre ad avere meno tempo a disposizione, è anche sotto di un gol. I difetti del centrocampo scelto persistono: le due mezzali dovrebbero giocare dietro il centrocampo avversario per creare linee di passaggio scalate, assicurando una circolazione veloce e precisa della palla lungo l’asse orizzontale e creando così lo spazio per la verticalizzazione giusta. Sia Thiago che Vidal però non rispondono positivamente, il primo è poco reattivo e poco preciso nell’esecuzione dei passaggi (viene da chiedersi se sia cresciuto veramente nella Masìa) e il secondo continua la sua personale battaglia nel riempire più note statistiche possibili (anche quelle negative con 22 palle perse e 12 passaggi sbagliati).
I due esterni danno ampiezza, fornendo punti di riferimento per cambiare campo e riescono anche a saltare l’uomo. Qui emerge il problema che ad attaccare l’area rimane il solo Lewandowski in area di rigore, e così il Bayern finisce per essere più pericoloso con i tiri da fuori che in area. L’assenza di Godin pesa e si vede nelle due linee non perfettamente allineate, ma con le mezzali avversarie che non sfruttano lo spazio tra difesa e centrocampo, i due centrali possono limitarsi a gestire Lewandowski e di chiudere saltuariamente su ogni avventuriero in area di rigore. Un lavoro all’altezza di Gimenez e Savic, anche senza il loro leader a guidarli.
L’assedio
È solo nel secondo tempo che finalmente il dominio del pallone porta i frutti sperati, con Guardiola che avrà fatto notare nell’intervallo la posizione di campo che dovevano occupare le due mezzali. Il centrocampo dell’Atlético è finalmente costretto anche a guardarsi alle spalle, dove si libera lo spazio per attuare un gioco di posizione come si deve. Il Bayern diventa sicuro negli intenti e finalmente produttivo in attacco. Arrivano le due conclusioni principali: Alaba prende la traversa e Javi Martinez che schiaccia un colpo di testa facile tra le braccia di Oblak. Sale anche il volume di gioco degli esterni. Neanche a dirlo è il momento della partita in cui inizia a dettare legge Lahm in mezzo al campo con l’ormai classico movimento da falso terzino a sfruttare le tante linee di passaggio che il Bayern è in grado di produrre. Il capitano si fa carico della fase creativa e porta il suo volume di gioco ad essere il più produttivo: 97 passaggi riusciti e 6 occasioni create, numeri da regista.
Xabi Alonso è il primo ad indicare a Bernat il movimento di Lahm verso il centro che porta il terzino al passaggio pulito. Da vero regista Lahm prima di ricevere guarda già le opzioni future a disposizione.
Appurato come l’unica utilità delle due mezzali sia quella di fare da aiuto per i compagni, visto il limitato apporto con il pallone, al minuto 70 arriva l’ammissione di come le cose non siano andate come sperato. Entra Thomas Müller al posto di Thiago e finisce il momento catalano-bavarese per lasciare il posto a quello bavarese-catalano. Il Bayern abbandona la creazione dello spazio e prova a giocare puntando la porta a testa bassa.
Nonostante l'inserimento del secondo attaccante e i movimenti neanche i movimenti sincronizzati del nuovo attacco riescono a mandare nel panico l'Atlético. In questo caso Savic tiene Lewandowski fino al limite dell'area per poi lasciarlo al compagno Augusto Fernandez che corre a bloccarlo, mentre lui torna in posizione al centro dell'area.
Con la dinamica della partita che sembra sorridere finalmente al Bayern e l’arrivo di un numero adeguato di conclusioni in porta (se pur non necessariamente di grande valore) il lavoro dell’Atlético è encomiabile nel rimanere compatto e nel voler sfruttare ogni minima occasione. È il classico momento Atlético: la squadra avversaria è in fase di assedio e i padroni di casa cominciano a sacrificarsi bloccando individualmente ogni traiettoria di tiro disponibile ed esaltandosi su ogni disimpegno riuscito. La fase offensiva è affidata alle sole transizioni palla al piede dato che il lancio per le punte riconsegnerebbe sempre il pallone agli avversari accampati sulla trequarti. In questo il lavoro di Griezmann e Torres è ancora da lodare, non solo per l’assenza di frustrazione nei tanti minuti passati a rincorrere un pallone che si può al massimo sfiorare, ma soprattutto per la prontezza con cui viene sfruttata la prima vera occasione del secondo tempo. Griezmann ruba un pallone e salta senza problemi Vidal, involandosi in compagnia di Torres in un 2 contro 3 e consegnando al totem colchonero la palla. Con un’azione vintage, Torres supera il marcatore in controtempo e calcia la palla d’esterno a giro pronto a festeggiare il 2-0.
Il palo è l’amara realtà che ricorda a Torres che la volontà da sola non basta. La partita senza macchia e con tutto l’entusiasmo possibile che stava giocando non porta comunque al gol che avrebbe chiuso la gara e forse la qualificazione.
Il palo di Torres è l’unico momento in cui l’Atlético ha potuto toccare con mano la possibilità di sfruttare il contesto in modo produttivo, costruendosi un risultato più rassicurante, dopodiché si è rassegnato a impedire al Bayern il gol del pareggio. Nel finale il Bayern tira 8 volte in porta in appena 20 minuti, 4 volte nello specchio. Forse è giusto dare merito al Bayern per aver comunque messo alle stretto l’Atlético, obbligato a dover dare fondo ad ogni energia per trovare il modo di far trascorrere il più velocemente possibile i minuti finali, specialità in cui è tra le squadre migliori al mondo.
Se questa era la finale anticipata della Champions League, il fatto che durerà 180 minuti è una vera fortuna: tra soli sei giorni avremo il secondo atto di una battaglia entusiasmante sotto tanti punti di vista diversi. Ancora una volta la strategia di guerriglia del Cholo ha avuto successo, causando l’ennesima partita in casa senza subire gol in Champions League. Ma anche solo il fatto che il Bayern sia riuscito a tirare nello specchio più di ogni altro rivale (7 volte) dimostra come comunque l’attacco dei tedeschi rimanga alla pari della difesa dell’Atlético.
Nel post-partita, un Guardiola visibilmente provato, ha dichiarato di voler rivedere bene la gara, forse consapevole di aver sbagliato la strategia iniziale e già al lavoro per aggiustare il tiro. Pep si rende conto di come tutta la sua legacy in Baviera dipenderà dall’esito finale di questi 180 minuti, dove ha di fronte un avversario che non gli perdonerà nessun errore tattico.