Il romanzo di formazione nasce con Goethe e muore sui campi di calcio della provincia italiana. Quello delle neopromosse disastrose è un grande universo popolato da dirigenti pittoreschi, calciatori sul viale del tramonto, tifoserie rissose, stadi inagibili e sonore sconfitte. Come nel tradizionale romanzo di formazione, i protagonisti sono giovani stretti nel passaggio dall’età adolescente all’età adulta, in conflitto con gli ambienti della borghesia, provati da un lungo percorso di maturazione.
Il portale che ha liberato quest’universo nel nostro si è aperto tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila – gli anni della grande provincia, della finanza creativa, della Sentenza Bosman, del Lodo Petrucci. Da quel momento in poi, abbiamo imparato a riconoscere le tappe che scandiscono l’iniziazione delle neopromosse disastrose nella borghesia della massima serie: le scommesse che falliscono, i tifosi che protestano, i proprietari che scompaiono, fino al crollo definitivo. Storie parallele, senza punti di contatto, ma intimamente legate, esattamente come accadde alla letteratura europea tra Ottocento e Novecento.
Ripercorrere oggi le sciagurate esperienze di quattro memorabili neopromosse disastrose (il Venezia ’02, il Como ’03, l’Ancona ’04 e il Treviso ’06) può essere particolarmente utile per chiedersi: stiamo parlando di un’epoca (e di un’epica) che ci siamo lasciati definitivamente alle spalle? Oppure il Crotone ha tutte le carte in regola per riconquistare il titolo vacante?
Le tappe delle neopromosse disastrose
Le premesse sono sempre agrodolci: la rosa è mediocre ma piena di scommesse, il mercato è ambizioso nonostante il bilancio in forte passivo, la società non vede l’ora di sparire ma rilancia la posta.
L’esonero è la certificazione del fallimento tecnico, la mossa disperata che si rivela ulteriormente nociva. A volte l’allenatore esonerato viene richiamato indietro, ma non è mai una buona idea neanche questa.
L’imbarcata è il momento dell’amara consapevolezza, il secchio d’acqua gelida che interrompe per sempre il sogno della promozione, la legge del più forte applicata brutalmente su un campo da calcio.
Il mercato di riparazione è una lotteria di nomi improbabili, un’adunata di giocatori consumati nel fisico e nelle motivazioni, una rivoluzione gattopardiàna che lascia tutto esattamente com’era prima.
Lo stadio è l’isola delle frustrazioni domestiche, il fortino su cui costruire la salvezza che si sgretola fin dalla prima giornata. È puntualmente inadeguato alla categoria, e se non sta cadendo a pezzi ci è molto vicino.
L’epilogo è il peggiore degli scenari possibili, il punto di non ritorno, l’azzeramento della storia societaria. Non esiste lieto fine per le neopromosse disastrose, come per i cattivi delle favole, ma senza il temporaneo momento di gloria.
Venezia 2002
Le premesse
Il Venezia ha mantenuto l’ossatura della squadra promossa dalla B l’anno prima. In panchina c’è un allenatore emergente, Cesare Prandelli, e dalla trequarti in su un pacchetto di giocatori rodati per la massima categoria, Morrone, Valtolina, Vannucchi, Arturo Di Napoli, Pippo Maniero. Tutti confermati per il ritorno in Serie A. Come da copione, non mancano gli innesti di esperienza dal mercato (Viali, Bressan, Daniel Andersson), così come non manca il giovane da lanciare in attacco (Fabio Bazzani, di ritorno da un prestito a Perugia).
L’imbarcata
All’esordio stagionale, il Venezia di Prandelli subisce quattro gol dalla Juventus di Lippi, un monologo di Del Piero e Trezeguet. Momento iconico: con la Juventus già in vantaggio, Jimmy Algerino, terzino destro prelevato a parametro zero dal PSG e ovviamente presentato come un colpo, si trova a vagare con la palla tra i piedi per il campo in direzione orizzontale. Nel giro di qualche secondo Del Piero gliela ruba, Zambrotta crossa, Trezeguet segna, è due a zero.
La desolazione delle neopromosse disastrose, parte prima.
L’esonero
Dopo le prime cinque partite, il Venezia ha zero punti ed è l’unica squadra ad aver sempre perso. Avrebbe anche meritato qualcosa in più: perde in casa il derby contro il Verona pur giocando meglio, contro l’Inter assiste impotente all’epifania di Adriano che spezza il pareggio al minuto 93, perde ancora nei minuti di recupero contro il Bologna e poi crolla a Firenze. Nonostante tutto, Zamparini si appresta a confermare la fiducia verso Prandelli. «È stato un fulmine a ciel sereno. Non me l’aspettavo», risponderà Prandelli alla notizia dell’esonero, che sarebbe arrivata nel giro di qualche ora.
L’idea di Zamparini è quella di lanciare l’esordiente Beppe Iachini, ma non potrebbe ancora farlo perché Iachini non ha il patentino per allenare. Allora promuove a capo allenatore Sergio Buso, allenatore dei portieri, ma Buso si tira indietro dopo una giornata per ragioni di dignità professionale. A questo punto, Zamparini ruba un prestanome allo staff del Genoa, il sessantenne Alfredo Magni. Career-peak: premio di “Miglior Allenatore della Serie B 1976/1977” dopo un quinto posto con il Monza. Magni rimarrà virtualmente in carica fino alla fine del campionato, con la supervisione di Iachini.
La quarta sconfitta di Prandelli è l’occasione per ricordarsi di Julio Cruz, attaccante modernissimo.
Lo stadio
È il pomo della discordia. Il Penzo sta effettivamente in piedi solo grazie a impalcature tubolari e a deroghe speciali prorogate di anno in anno, e Zamparini a Venezia non sente realizzate tutte le sue ambizioni. Vorrebbe costruire uno stadio da 30mila posti sulla terraferma, a Tessera, vicino l’aeroporto. Vorrebbe che lo stadio fosse inserito all’interno di un ampio complesso commerciale, dotato di alberghi, ristoranti, supermercati, e vorrebbe poterci ospitare il rugby, la boxe, i concerti. Presenta un progetto dal costo complessivo iniziale di 100 miliardi di lire, che Comune e Regione respingono al mittente.
L’epilogo
Il 21 luglio 2002, Zamparini acquista il Palermo da Franco Sensi. Qualche ora dopo, mezza squadra del Venezia viene prelevata a Pergine Valsugana, provincia di Trento, sede del ritiro dei neroverdi, e trasportata a Longarone, provincia di Belluno, sede del ritiro dei rosanero. L’elenco comprende una dozzina di giocatori tra cui Morrone, Di Napoli, il capocannoniere Maniero e un giovane Mario Alberto Santana, che ha appena esordito in massima serie. Il Venezia spenderà le tre stagioni successive in Serie B, prima di fallire definitivamente e ripartire dal calcio dilettantistico.
2. Como 2003
Le premesse
Il Como che si affaccia in Serie A dopo tredici anni di assenza è preceduto dalla fama di squadra solidissima. Il sorprendente doppio salto di categoria è stato costruito sulla qualità e sull’esperienza della difesa, che in C1 ha subito la miseria di 18 gol e ha vinto 11 volte su 23 con il risultato di 1-0. Nella stagione successiva, nonostante una Serie B iper-competitiva, il passaggio è indolore: terza miglior difesa del campionato, 14 “clean sheet”, 9 vittorie su 22 con il risultato di 1-0. Il Sinigaglia diventa una fortezza che non viene espugnata per due anni solari.
La squadra ruota intorno a due totem, sempre riconoscibili, anche nelle immagini sgranate dell’epoca: il capitano Oscar Brevi, perno della difesa, con la maglia numero 5, e l’idolo delle folle Lulù Oliveira, la grande scommessa in cerca di rilancio dopo due anni di quasi totale inattività. La marcia in Serie B è lenta ma inesorabile, Oliveira tocca quota 23 gol e i lariani festeggiano primo posto e promozione con tre giornate di anticipo. Lungo questo trionfale arco di tempo, l’allenatore è sempre Loris Dominissini, cresciuto “in casa”, nelle selezioni giovanili, e poi promosso quando il Como è ancora in C1.
L’esonero
Dopo undici giornate, il Como ha soltanto quattro punti e non ha mai vinto. La brillantezza difensiva è scomparsa, ad eccezione di qualche giornata di grazia, come in occasione del pareggio strappato ad oltranza al Delle Alpi, e l’attacco è completamente incapace di produrre pericoli su azione manovrata. Dopo la sconfitta per 3-0 a Perugia, il clima è tesissimo: i giocatori tornano con il pullman sociale nel centro sportivo di Orsenigo, dove trovano un comitato d’accoglienza composto da «teppisti a volto coperto» che danneggiano l’automobile di Corrent come atto dimostrativo. In tutta risposta, la dirigenza del Como dà il benservito a Dominissini e si affida a Eugenio Fascetti.
La desolazione delle neopromosse disastrose, parte seconda.
Neanche il presidente Preziosi sembra convintissimo della scelta: «Non avrei mai voluto farlo, mi rendo conto di fare una brutta figura a livello personale ma domenica ho visto una squadra demotivata. Fascetti ha grande esperienza». Dopo l’esonero, Dominissini scompare dalla mappa del calcio. Gli vengono affidati incarichi temporanei in giro per l’Italia, ad Ascoli, a La Spezia, a Udine, nessuno dei quali supera i due mesi di durata. Prova a ripartire nell’estate 2009 dalla Reggiana e anche lì, nonostante un avvio promettente, dura il tempo di una stagione. Chiuderà la carriera da allenatore professionista con un quinto posto nella seconda divisione belga e il carico di rimpianti di chi si sente messo ai margini: «È un calcio in cui hai bisogno di stare in vetrina, di venderti. Io pensavo sempre e solo al campo».
Il mercato di riparazione
Fascetti si presenta al Sinigaglia una domenica di dicembre, a caccia della prima vittoria in campionato. L’arbitro Saccani assegna tre rigori all’Udinese: il primo lo sbaglia Iaquinta, il secondo lo sbaglia Muzzi, il terzo non viene mai calciato perché un gruppo di tifosi insorge e cerca di scardinare i cancelli che li separano dal campo. Mentre piovono fumogeni, Preziosi prova a sedare gli animi ma non c’è niente da fare, l’arbitro sospende la partita.
Il giudice sportivo decreterà la sconfitta a tavolino e quattro giornate di squalifica del campo «per tentata invasione e per lancio di aste di ferro e di pezzi appuntiti di ceramica» (ovvero brandelli di sanitari strappati ai bagni dello stadio e gettati in campo). Preziosi si schiera subito dalla parte dei tifosi: «La direzione di stasera del signor Saccani è stata quantomeno molto sospetta. Ho cercato di calmare i tifosi, ma ognuno, davanti a certe scene, poi decide con la propria testa. Mi hanno persino chiesto di ritirare la squadra dal campionato. Non so cosa dire. So, però, che certi tipi di reazioni violente non nascono dal nulla».
In questo clima di distensione e ottimismo, si apre la sessione invernale di calciomercato. Come preludio a quel grande osservatorio nichilista che sarà l’Ancona dell’anno successivo, il Como di Dominissini e Fascetti impiega trentuno giocatori diversi nell’arco dell’intera stagione. A gennaio vengono rilanciati i veterani Amoruso e Nicola Caccia, assieme al redivivo Daniel Fonseca che giocherà una partita, si ritirerà dal calcio giocato, deciderà di stabilirsi a Como e proprio a Como finirà vittima di una fine ingloriosa. Questi preziosi ritocchi vanno a puntellare una rosa già piena di “trentenni precocemente a fine carriera”: Binotto, Pecchia, Carbone, Padalino. A fine stagione l’uomo con più presenze è il trentaquattrenne Benoit Cauet.
L’imbarcata
La seconda Inter di Cuper insegue la settima Juventus di Lippi, mentre il Como prova goffamente a salvarsi: una partita che non serve a niente se non a far segnare a Batistuta il duecentesimo gol nei campionati italiani, ultima cifra tonda prima del Qatar. Il Como subisce quattro gol come li aveva subiti nel 1989 dall’Inter di Trapattoni, con molta facilità (curiosamente, gli ultimi due Inter-Como giocati a Milano sono terminati 4-0).
Anche se l’imbarcata è un tratto comune a tutte le neopromosse disastrose, non è detto che segua una prestazione orrenda. In questo caso per l’Inter «non è stata comunque una passeggiata», ma la resa evidenzia ulteriormente il divario in campo, sottolineando l’inutilità di fondo di questa comparsata nelle massime divisioni: Vieri svetta per due volte sui difensori del Como ed è chiaro che loro non possono fare quello che fa lui.
Zanetti non vede compagni liberi, allora sceglie di andare dritto.
L’epilogo
Il Como viene ceduto nel 2003 all’imprenditore milanese Aleardo Dall’Oglio “con opzione di riscatto”, ovvero Preziosi potrebbe riappropriarsene qualora volesse, e non vorrà. Dall’Oglio cederà il club nel 2004 ad un gruppo di imprenditori meridionali con sede a Cava de’ Tirreni. Tutti i precedenti proprietari saranno condannati all’interno dell’inchiesta per bancarotta del 2005.
«A livello umano mi ha lasciato più cose da ricordare l'esperienza di Saronno che quella di Como. No, non mi ha lasciato nulla di buono, quell'esperienza». Enrico Preziosi ha patteggiato davanti al tribunale di Como una condanna a un anno e 11 mesi di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta, con la concessione della sospensione condizionale. Nella relazione del curatore fallimentare, si legge: «il presidente del cda del Como Calcio ben conosceva lo stato d’insolvenza della società, e operando con i passaggi tra Como-Modena-Genoa ha causato notevoli danni alla società Como distraendone cespiti attivi, con i quali avrebbe potuto coprire parte dell’indebitamento».
3. Ancona 2004
Le premesse
Ermanno Pieroni non è esattamente il presidente dell’Ancona, ma tutti lo definiscono tale, carta stampata compresa. La carica è nominalmente ricoperta dal medico sociale Remo Gaetti, ma è lui, delfino di Gaucci, che ha portato ad Ancona le risorse e i contatti per centrare la promozione in tre stagioni. La squadra che sale dalla Serie B è infarcita di vecchie glorie ed è allenata da Gigi Simoni, a cui viene dato il benservito pochi giorni dopo i festeggiamenti. Pieroni vorrebbe a tutti i costi Mazzone, ma Carletto fa saltare l’accordo per ragioni di ostilità ambientale, legate alla sua militanza ventennale ad Ascoli, prima da giocatore e poi da allenatore. Alla fine, Pieroni ripiega su Menichini, storico vice di Mazzone, che è alla prima esperienza da capo allenatore. Simoni commenterà tristissimo: «I motivi di questa decisione davvero non li conosco, e comunque sono abituato ad esoneri... un po' strani».
L’esonero
Menichini dura quattro partite, in cui raccoglie persino un punto assieme a tre sonore sconfitte, poi rescinde consensualmente il contratto. Al suo posto viene chiamato Nedo Sonetti, che comincia perdendo in casa 0-3 contro l’Udinese, mentre i gruppi di tifo organizzato invadono la tribuna centrale e invocano il nome di Gigi Simoni (e siamo solo alla quinta giornata). Sonetti dura tre mesi e mezzo, quasi un intero girone, e quando viene esonerato lascia in dote un magrissimo bottino: quattro punti e cinque gol fatti in quattordici giornate.
La desolazione delle neopromosse disastrose, parte terza.
Il campionato dell’Ancona si trascina fino alla fine in un clima surreale. In panchina siede Galeone, che dopo la matematica retrocessione riesce anche a conquistare le uniche due vittorie stagionali, ma la squadra continua a perdere con leggerezza imbarazzante. Se ne interessa l’Ufficio Indagini della FIGC, che apre un’inchiesta per vagliare l’ipotesi di una presunta combine con il Chievo, denunciata dallo stesso presidente Pieroni. Interrogato come testimone, Galeone si dimostrerà scettico: «Quando non hanno voglia di lavorare non c'è niente da fare».
Il mercato di riparazione
Quarantasei giocatori impiegati, la Cappella Sistina delle neopromosse disastrose. Al netto dell’indecente spettacolo offerto, bisogna rendere omaggio alla vibrante ispirazione artistica che attraversa quello spicchio di Adriatico negli anni della gestione-Pieroni. In estate, come se fosse costretto dai vincoli delle Sfide Creazione Rosa di Ultimate Team, il dirigente dell’Ancona confeziona un pacchetto offensivo composto unicamente da giocatori nati nei primi anni ’70: Ganz, Poggi, Luiso, Hubner, Rapaic. E per non farsi mancare neanche il giovane in rampa di lancio, preleva Goran Pandev in prestito dall’Inter.
Non solo gli attaccanti, ma tutti gli altri giocatori acquistati, tra cui un Eusebio Di Francesco prossimo al ritiro, hanno già rigorosamente compiuto i trent’anni, e la strategia non paga. Nel girone d’andata (cinque punti!) corrono tutte al doppio dell’Ancona. Gennaio diventa l’occasione propizia per portare l’aria del cambiamento, ma il suggerimento è preso troppo alla lettera e vengono ceduti diciotto giocatori. Compreso il misterioso caso di Alessandro Potenza, preso in prestito dall’Inter, fatto esordire in Serie A e poi girato al Parma nel giro di una settimana.
Vette di manierismo che soltanto il tentativo di rilancio di Mario Jardel riuscirà a superare: dopo la presentazione al pubblico del Conero, nell’anteprima di un Ancona-Perugia, Jardel si avvicina alla curva per salutare i suoi tifosi, finché non viene acciuffato dal Team Manager anconetano che gli spiega che no, Mario, quello è il settore ospiti. Tra le certezze che semina il progresso, di sicuro c’è quella che – dispiaccia o meno – non assisteremo mai più a una scena del genere a queste latitudini.
L’imbarcata
Un 5-0 senza appello sul campo del Milan, appena sconfitto a Yokohama dal Boca Juniors. È anche l’occasione in cui esordisce in Serie A l’attesissimo Mario Jardel, assieme a Dino Baggio. Il primo gol del Milan nasce da un lancio di Pirlo all’altezza del centrocampo che è chiaramente un lancio di Pirlo.
Questo fotogramma potrebbe perdere ulteriormente risoluzione, potrebbe anche essere in bianco e nero, e tutti diremmo ugualmente: «È un lancio di Pirlo!».
Nonostante l’esigenza di contrastare un lancio di Pirlo, nessun giocatore dell’Ancona, ad eccezione di Jardel, compare nell’inquadratura. Questo significa che negli ultimi trenta metri si è appena creato un impietoso 9 contro 3 a difesa della profondità, che ovviamente Shevchenko avrebbe attaccato di lì a breve con facilità irrisoria. Livello della fase difensiva: poche idee ma confuse.
L’epilogo
Falso, truffa, appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta: con queste accuse sul capo, Ermanno Pieroni sconterà la detenzione (53 giorni, di cui 5 in isolamento), una condanna a 4 anni e la preclusione a vita da qualunque incarico nel mondo del calcio. In seguito, indicherà Luciano Moggi come responsabile delle sue disgrazie: «È un uomo vendicativo, ha contribuito a rovinare questo bel calcio e a distruggere Ermanno Pieroni».
Grazie al Lodo Petrucci, l’Ancona riuscirà invece a ripartire dalla C2 anziché dal mondo dei dilettanti. Il Lodo Petrucci è stato una procedura che permetteva a società fallite, ma con meriti sportivi passati, di poter ripartire solo da una o due categorie inferiori a quelle da cui erano state escluse. Come l’Ancona, aderirono al Lodo Petrucci anche Torino e Napoli. Dino Baggio, Maurizio Ganz e Paolo Poggi non torneranno più a giocare in Serie A.
4. Treviso 2006
Le premesse
Il Treviso ha sfiorato la promozione con una squadra divertente, che poggia sui 23 gol segnati dal tandem brasiliano Barreto-Reginaldo e sull’estro di Pasquale Foggia. Viene eliminato in semifinale playoff, ma il quinto posto gli vale ugualmente la Serie A grazie al contemporaneo dissesto finanziario di Torino e Perugia e alla retrocessione per illecito sportivo del Genoa. La delibera definitiva del ripescaggio arriva a meno di due settimane dall’inizio del campionato, e il Treviso non si fa trovare prontissimo ai blocchi di partenza – ha perso anche Bepi Pillon, l’allenatore della promozione (o meglio, del quinto posto), e al suo posto siede Ezio Rossi.
L’esonero
Ad accogliere il Treviso nella massima serie ci pensa ancora Adriano, nel momento più alto del suo strapotere fisico e atletico, e finisce 3-0 per l’Imperatore. Il turno successivo, sul campo neutro di Padova, i trevigiani tengono testa al Livorno finche Dellafiore e Handanovic non confezionano questo equivoco colossale. Handanovic farà in tempo a sbagliare altre due uscite contro la Lazio e a farsi espellere per proteste, poi praticamente non vedrà più il campo.
La desolazione delle neopromosse disastrose, parte quarta.
Nelle prime cinque giornate, il Treviso infila cinque sconfitte e segna un solo gol. I punti diventano sei all’undicesima ma questo non basta per salvare la panchina di Ezio Rossi, che viene esonerato dopo un pareggio contro il Cagliari. È l’ennesima decisione convulsa: prima arriva la notizia dell’esonero, poi la smentita dell’esonero, infine l’ufficialità dell’esonero. Il suo sostituto, Alberto Cavasin, non avrà miglior fortuna. Raccoglierà otto punti in quindici partite e lascerà la squadra nelle mani dell’allenatore Primavera.
Lo stadio
Le prime tre partite casalinghe del Treviso si giocano all’Euganeo di Padova, non esattamente un terreno amico. Gli standard minimi del campionato prescrivevano la necessità di disporre di uno stadio con almeno 20.000 posti totali, e il Tenni ne contava esattamente 10.000, raggiunti già con grande sforzo. Nel corso del campionato, le pressioni politiche della Lega Nord riescono a far introdurre nel Decreto Pisanu, in materia di sicurezza negli stadi, un emendamento «ad squadram», com’è stato poi definito.
L’emendamento riduce da 20.000 a 10.000 il numero minimo di posti nello stadio per le squadre che rientrano all’interno di determinati parametri molto specifici (popolazione della città, posizione dello stadio, presenze in campionato nei precedenti vent’anni). Parametri che si trovano ad essere perfettamente rispettati dal Treviso. Il 23 ottobre 2005, il Treviso può tornare a giocare al Tenni e il sindaco Gentilini si presenta allo stadio con le valigie, a significare il ritorno a casa, ma vince l’Empoli 1-2.
L’imbarcata
Nel febbraio 2006, il Milan registra un altro 5-0, stavolta al Treviso. È ovviamente una partita a senso unico, e nel secondo tempo viene anche negato un rigore ai rossoneri. La decisione arbitrale è irrilevante, ma l’azione offre un buon quadro clinico della qualità della difesa del Treviso. I protagonisti sono Gustavo, il centrale di sinistra, Carlos Valdez, il centrale, e Shevchenko, che probabilmente avrebbe solo voluto crossare ma gli avversari continuavano a cadergli davanti.
L’epilogo
Calciopoli lascia intravedere una speranza di ripescaggio per il Treviso, perché la sentenza di primo grado dispone la retrocessione di Fiorentina e Lazio. Come noto, alla fine soltanto la Juventus sarà condannata a un anno di Purgatorio, e soltanto il Messina salvato in extremis in Serie A. La decisione della giustizia sportiva fa esplodere il presidente Setten, che si lancia in un veemente attacco ai “poteri forti”: «Con il calcio ho chiuso, non ho dubbi. Prendo e vado a Santo Domingo. La società? Vendo i giocatori migliori, pago i debiti e poi vendo le quote: le cedo al primo che capita, se non arriva nessuno le do al sindaco, che si arrangi lui». Tre anni dopo, il Treviso Calcio fallisce, con 32mila euro in cassa e un debito verso creditori stimato vicino ai 30 milioni. Il presidente Setten patteggerà 20 mesi di condanna, con sospensione, per bancarotta fraudolenta e falso in bilancio.
2017 ?
Al momento, il Crotone condivide con il Palermo l’ultima posizione e il titolo di peggior difesa del campionato. Dopo quattordici giornate, i pitagorici hanno conquistato soltanto sei punti e una vittoria. La rosa sembra essere la meno competitiva del campionato, almeno sul piano dell’esperienza: gli undici giocatori più impiegati, ad eccezione di Palladino e Rosi, sono tutti esordienti o semi-esordienti in Serie A. Il patrimonio dei fratelli Vrenna, FC Crotone compreso, è stato di recente oggetto di scontro tra la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e il Tribunale di Crotone. L’Ezio Scida, che è costruito su un’area dove vige dal 1978 il vincolo di inedificabilità assoluta, e che necessitava un ampliamento, è stato dichiarato agibile soltanto a fine ottobre, obbligando il Crotone a giocare le prime tre partite casalinghe sul neutro di Pescara.
Eppure non possiamo ancora stabilire con certezza, per quanto le premesse siano promettenti, se il Crotone si dimostrerà realmente meritorio del titolo di “neopromossa disastrosa”, e non solo perché da qui alla fine del campionato potrebbe a tutti gli effetti salvarsi. Negli ultimi anni abbiamo visto diverse formazioni presentarsi impreparate alla massima categoria e retrocedere in fretta (il Pescara 2013, il Cesena 2015, il Carpi e il Frosinone 2016), ma nessuna è stata in grado di restituirci quel senso di sciagura, di condanna già scritta, di gommone alla deriva nell’oceano aperto. Sono tutte riuscite nel breve-medio periodo a reagire al contraccolpo e a ritrovare la propria dimensione.
Al contrario, il romanzo di formazione delle neopromosse disastrose non ammette lieto fine. In compenso gli è concesso di vivere il sogno di tutta la piccola provincia italiana che ogni giorno si sveglia e sa di non avere realisticamente abbastanza risorse, abbastanza pubblico, abbastanza mercato per crescere fino a scalare le gerarchie nazionali. Le neopromosse disastrose sono un simbolo per tutte quelle realtà che sanno bene quanto uscire dagli inferi del professionismo sia complesso, ma soprattutto rischioso, e si accontentano della mediocrità, della giusta misura, del pareggio di bilancio, quando potrebbero avere tutto. Ma solo per un anno.