Barcellona - Atlético Madrid
Daniele V. Morrone
Nell’ultimo scontro di Liga l’Atlético ha giocato alla pari con il Barcellona. I colchoneros sono prima passati in vantaggio e poi sono riusciti a non farsi schiacciare neanche in inferiorità numerica.
Eppure, per quanto sia rimasta nella testa di chiunque la prestazione dell’Atlético, alla fine ha vinto il Barcellona. Da quando c’è Luis Enrique i blaugrana hanno vinto tutte e sei le partite contro l’Atlético. Per quanto eccezionale il sistema difensivo dei Colchoneros, capace di subire appena 18 gol tra Liga e Champions in questa stagione (e se vi piacciono le statistiche assurde tre gol nelle ultime 14 partite in casa in Champions), il Barcellona ha sempre trovato il modo di segnare.
Per ogni squadra che affronta il Barcellona questo è il vero problema: non esiste sistema difensivo che possa reggere l’urto della MSN per 90 minuti, figuriamoci per 180. Per la cronaca, l’ultima volta che il Barça non ha segnato è stato il 2 gennaio in uno 0-0 contro l’Espanyol. Quattro mesi fa.
Considerando quindi che un gol del Barcellona nell’arco delle due gare arriverà, la vera chiave della sfida sarà nelle mani dell’Atlético, o più concretamente nei piedi di Griezmann. Come dimostrato anche dal doppio 0-0 degli ottavi, il francese è il giocatore chiave di questa sfida perché verosimilmente dalla sua prestazione dipenderà la possibilità o meno dell’Atlético di arrivare alla conclusione e quindi al gol. Trovare il modo di mettere in condizione Griezmann di arrivare in porta lucido sarà il problema tattico che non farà dormire il Cholo.
La partita di gennaio, commentata con grande sobrietà.
Emiliano Battazzi
La preview di Daniele è perfetta in una situazione normale, e anch’io fino a sabato pomeriggio pensavo che per l’Atletico non ci fossero speranze, e che neppure quello di due anni fa sarebbe riuscito a passare il turno contro questo Barça. Però la squadra di Luis Enrique ha perso in casa il Clasico contro un Real zeppo di problemi e che aspettava la mazzata finale per uscire definitivamente dal campionato. I catalani si sono sgonfiati dopo 60 minuti, hanno fatto “plof” come la famosa medusa di Verdone: e così hanno perso dopo una striscia di 39 partite di imbattibilità. E cosa vuoi dire a una squadra del genere?
Sicuramente un episodio: ogni tanto si perde, è lo sport. Però il Barça si era sgonfiato anche nella partita precedente alla sosta per le nazionali: in vantaggio di due gol al Madrigal di Villareal, intorno al 60’ si è spento e ha preso due gol. C’è un problema fisico (non credo mai ai problemi fisici delle squadre, ma non si sa mai)? C’è un problema di testa? Magari Messi cammina sulle acque e il Barça surclassa gli uomini di Simeone: ma dopo questi strani scricchiolii, fossi in Luis Enrique sarei un po’ più preoccupato. Anche perché, e mi tocca scriverlo ogni volta: nessuno ha vinto la Champions League due volte di fila perché è la competizione più difficile e logorante del Mondo.
Fabio Barcellona
Il Clasico restituisce un Barcellona a cui la sconfitta col Real Madrid può avere tolto qualche sicurezza. Hanno probabilmente influito i viaggi intercontinentali di ritorno dalle nazionali della MSN e di Dani Alves, ma la mancanza di controllo che la squadra di Luis Enrique esibisce nelle partite contro avversari di livello potrebbe prima o poi far pagare il conto ai catalani.
In una partita aperta, in cui le due squadre fanno a pugni, il Barça vince quasi sempre perché quei tre là davanti non ce li ha nessuno. Ma, come è accaduto sabato, concede sempre l’opportunità agli avversari di fare male. La chiave tattica pertanto potrebbe essere la capacità degli uomini di Simeone di mettere sotto pressione, sia in ripartenza veloce che in azione manovrata, la fase difensiva del Barcellona. Le doti di Ferreira Carrasco in campo aperto e le capacità di palleggio di Koke e Felipe Luis, per dare una struttura palleggiata alla manovra dando respiro alla difesa, saranno fondamentali per le chanche dell’Atlético. A patto però che la fase difensiva sia all'altezza della propria (meritata) fama. Il problema di Simeone è che la linea dei centrali difensivi è decimata dagli infortuni e nell’ultima campionato è stata composta da Nacho Monsalve, ventunenne dell’Atletico B e dal ventenne Lucas Hernandez. Fortunamente per El Cholo, Godin dovrebbe recuperare per la partita d’andata, mentre non si hanno notizie certe su Giménez e Savic.
Diego, Diego, Diego, Diego, Diego.
Fabrizio Gabrielli
Forse quando realizzeremo appieno portata e importanza di Sergio Busquets per l’economia di gioco del Barça sarà troppo tardi per tributargli gli onori che merita. Che ingrati che siamo. Cos’è che non lo fa apprezzare del tutto? I pregiudizi sul tiki-taka? Il fatto che sia lontano dalla nostra idea di pregevolezza estetica? Non specularmente, ma in maniera complementare all’onda d’urto dirompente della MSN, oggi secondo me uno dei punti di forza del Barça è inequivocabilmente Busquets. Con lui si ha la certezza di poter contare su una media di cento passaggi a partita con percentuali di successo sempre sopra il 90%, e la sicurezza che in alleggerimento, o in verticale, o con una sventagliata sull’uomo di fascia, Sergio Busquets saprà sempre quale sarà il passaggio giusto in quel momento. Contro il Real, nel Clásico, è stato perfetto in maniera inquietante, sovraumana. Non vedo perché non debba ripetersi nel big match dei quarti di Champions. Farsi ago della bilancia umano, degli equilibri e del destino, è ciò che meglio gli riesce.
Flavio Fusi
Se da una parte Luis Enrique ha estremizzato il potenziale offensivo del Barcellona, aggiungendo la freccia delle transizioni alla velocità della luce ad una faretra già notevolmente fornita, dall’altra i blaugrana hanno gradualmente rinunciato ad alcuni dei principi del juego de posicíon instaurati durante il quadriennio Guardiola. Sabato il Real, non certo famoso per l’efficienza della propria fase difensiva, ha messo in croce un Barça particolarmente povero a livello strutturale difendendo compatti e con l’uomo come riferimento all’interno della zona, specie a centrocampo. Mi domando quindi che lezione può aver assimilato uno come Simeone che sulla solidità difensiva ha costruito la sua carriera da allenatore. Penso che sarà molto difficile vedere l’Atlético scoprirsi e prestare il fianco al contropiede e Luis Enrique dovrà rispolverare i vecchi principi di gioco per riuscire a scardinare le linee avversarie. Certo, Messi è sempre un grimaldello straordinario, ma ad oggi questo doppio confronto sembra ben più aperto di quanto lo sarebbe stato fino ad un mese fa.
Alfredo Giacobbe
Neymar è già meglio di Messi? Il quesito è rimbalzato sui media dopo le dichiarazioni dell’ex terzino di Roma e Milan Cafu, dopo la gara di andata degli ottavi di finale tra Arsenal e Barcellona. Premesso che quella di Cafu sembra solo l’ennesima pietra lanciata nello stagno della rivalità tra brasiliani e argentini, proprio il percorso del Barcellona in questa Champions League fornisce delle indicazioni a riguardo.
Long story short: Messi è ancora più decisivo di Neymar, mentre il brasiliano è almeno alla pari nelle doti tecniche. Messi ha giocato 5 delle 8 partite di Champions League del Barcellona in questa stagione, a causa dell’infortunio al suo ginocchio sinistro di fine settembre; Neymar è stato schierato da Luis Enrique in 7 occasioni. L’argentino sotto porta è il migliore: 1.2 gol ogni 90 minuti rispetto ai 0.4 di O Ney; 6 tiri contro 4, dei quali 2.6 contro 1.7 nello specchio. Tutte le relative percentuali di conversioni di Messi superano quelle di Neymar.
Indietro nella finalizzazione, Neymar sembra spuntarla nelle situazioni in cui bisogna creare gioco: supera di poco il compagno per quanto riguarda il numero di dribbling riusciti (5.3/p90 contro 4.8/p90); lo stacca nettamente per passaggi chiave (4.1 del brasiliano contro 1.4 dell’argentino) e assist vincenti (0.6 ogni 90 minuti per Neymar, 0.2 per Messi).
Bayern Monaco - Benfica
Fabrizio Gabrielli
Il Benfica arriva alla gara più importante della sua stagione sospinto da zefiri di gloria: in patria ha inanellato una serie positiva che dura da cinque giornate, a metà della quale ha sconfitto anche lo Sporting che per buona parte della stagione ha dominato la Primeira Liga, scavalcandolo in classifica. Nell’ultima di campionato ha poi asfaltato il Braga, che dopotutto è sempre ai quarti di Europa League. Inquadrato con le lenti e gli obiettivi di produzione portoghese, il Benfica è una Grande y Felicísima Armada: Rui Vitória ha a sua disposizione una bella miscela di talenti tecnici (su tutti Nico Gaitán) e garra, ed è riuscito nel compito - molto meno semplice di quanto possa apparire - di traghettare la squadra fuori dal periodo tattico di Jorge Jésus senza tuttavia spogliarla della sua identità. Chiaramente la grandeur un po’ svanisce quando lo scenario si allarga ai palcoscenici europei.
È ovvio che il Bayern è un’avversaria quasi insormontabile per chiunque sul globo terracqueo, figuriamoci gli encarnados. Per il secondo anno consecutivo i bavaresi si trovano di fronte, ai quarti, una squadra portoghese. L’anno scorso successe che nella gara d’andata, sorprendentemente, il Porto riuscì ad imporsi giocando una partita tutta orientata alla tensione agonistica e ai ritmi vorticosi. Al ritorno si scatenò tutta la forza devastante della macchina di Guardiola, quella forza che si innesca quando decidi di settarla in modalità Juggernaut+Vendetta: finì 6-1 per il Bayern.
Il Benfica, quest’anno, dalla sua ha la consapevolezza di non aver (quasi) nulla da perdere, lo slancio dell’entusiasmo di chi sta passando un momento in cui tutto gira a meraviglia e poi un uomo che sembra essere stato scolpito nel marmo per esaltarsi nelle serate primaverili di Champions League: Kostas Mitroglou.
Daniele V. Morrone
Grazie all’esoterismo dei sorteggi, il Bayern si trova nella situazione di aver giocato un ottavo che sembrava una finale e di dover giocare un quarto che sembra un ottavo. La pausa per le nazionali ci ha privato di un numero minimo di partite del Bayern per poter dire se la squadra sia uscita più rafforzata o più dubbiosa dal punto di vista psicologico dallo sfiancante scontro con la Juve: se arriverà quindi ad affrontare la gara d’andata sicuro dei propri mezzi o con la paura di sbagliare ancora dopo il disastroso approccio al ritorno all’Allianz Arena.
In questi giorni però è arrivato il tanto atteso ritorno in campo di Javi Martínez (per Boateng invece è ancora presto) che verosimilmente spingerà Guardiola a mantenere solo uno tra Alaba e Kimmich come centrale adattato (contro l’Eintracht è stato il turno di Alaba). Le due vittorie in campionato sono arrivate con le solite girandole di giocatori e l’unica certezza che ne possiamo estrapolare è che Götze non riesce ancora a giocare a un livello che lo emancipi dall’essere un mero giocatore da rotazione.
Va detto che se in teoria il posto vicino agli insostituibili Costa, Thiago e Müller dovrebbe essere comunque assicurato a Ribéry (che ha ribadito la sua candidatura con il bel gol che ha risolto la sfida con l’Eintracht sabato) non è da escludere la sorpresa Coman di ritorno dal primo gol con la maglia della nazionale e con il morale quindi alle stelle.
L’ultima volta che il Bayern ha giocato contro una squadra portoghese non sono bastati 12 minuti di highlights per contenere tutti i gol.
Emiliano Battazzi
Il Bayern si esalta nelle sfide contro squadre buone ma non di elite (tipo l’anno scorso che ne fece 7 allo Shaktar negli ottavi, 6 al Porto nei quarti) e questa sembra un’altra di quelle occasioni. Ma ancora non ho digerito che una squadra di Guardiola riesca a fare 38 cross nella stessa partita e quindi lascio qualche chance anche al Benfica.
Tra l’altro dopo aver eliminato la Juve, il Bayern sembra averne mangiato anche il cuore e ha cominciato a vincere solo 1-0: due partite non sono sufficienti, ma forse i bavaresi stanno rallentando i ritmi in Bundesliga per dare tutto in Champions.
Federico Aquè
Nel 2016 il Benfica ha giocato 18 partite: ne ha vinte 17 e ne ha persa una contro il Porto. Contro lo Zenit ha vinto sia all’andata che al ritorno, giocando con una difesa d’emergenza. Non è proprio l’identikit della vittima sacrificale, anche se ovviamente gli “Encarnados” sono di gran lunga sfavoriti. Ma hanno delle carte da giocarsi, soprattutto se riusciranno a mantenere un baricentro abbastanza alto per ripartire senza dover percorrere tutto il campo e sapranno sfruttare la maggiore fisicità rispetto al Bayern.
Nico Gaitán è in forma e in Champions quest’anno è stato decisivo, Jonas sta segnando tantissimo, ma il suo contributo è a tutto tondo e non si limita solo ai gol: la loro intesa potrebbe mettere in difficoltà anche il Bayern. E poi c’è la variabile impazzita, Renato Sanches: sarà interessante valutare il suo impatto in una gara di questo livello, in cui in teoria avrà gli spazi per fare quello che gli piace di più, correre per 50-60 metri palla al piede. Potrebbe regalarci una sorpresa.
MIIIITROOOOOOOOOGLUU!
Fabio Barcellona
Il 2016 ha mostrato che il Bayern non è imbattibile: la sua fase di non possesso è tutt’altro che perfetta, la difesa dalle transizioni offensive avversarie è spesso imprecisa ed è possibile persino mettere qualche granello di sabbia nell’apparentemente perfetta costruzione dell’azione della squadra di Guardiola.
Ma ha mostrato anche che per evidenziare l'insieme di questi difetti è necessaria una condotta di gara aggressiva: limitarsi a intasare gli spazi nel proprio ultimo terzo di campo è una tattica perdente contro i bavaresi. Meglio rischiare, giocare più alti, pressare in maniera mirata anche il primo possesso del Bayern e cercare di recuperare il maggior numero di palloni in posizione avanzata riducendo la lunghezza delle ripartenze per approfittare delle carenze difensive dei tedeschi. Il Benfica è in un ottimo momento di forma e non ha nulla da perdere. Non c’è un solo motivo per non provare a giocarsela con coraggio e spregiudicatezza. Poi passerà il Bayern.
Flavio Fusi
L’anno scorso il Bayern era arrivato alla soglia delle semifinali senza tre dei giocatori più importanti nella creazione della superiorità numerica: Ribéry, Robben ed Alaba, a cui faceva compagnia in infermeria anche Benatia. Quest’anno mancherà nuovamente Robben, oltre che Boateng e lo sfortunato Badstuber, ma i bavaresi potranno contare su una profondità di rosa che l’anno scorso non avevano e che si è già rivelata decisiva nel volgere a proprio favore l’inerzia del ritorno contro la Juventus.
Gli acquisti di Costa e Coman, letteralmente esplosi durante la stagione, hanno consentito a Guardiola di non dover rimpiangere il logoro asse “Robbery”, mentre Kimmich si è riciclato come difensore, salendo in cattedra nel ruolo di regista difensivo di Boateng. Dopo la battaglia con la Juventus, che comunque ne ha minato lo status di extraterrestri, il pur organizzato Benfica di Rui Vitória, elogiato dallo stesso Guardiola, non sembra poter rappresentare un ostacolo insormontabile per i bavaresi. Salvo sorprese, una volta superato il turno Boateng e Robben rientreranno definitivamente in gruppo e Guardiola potrà finalmente giocarsi la sua ultima carta con i tedeschi potendo finalmente disporre della rosa al completo. E allora sì che il Bayern sarà sullo stesso piano del Barcellona, a patto che anche i blaugrana rimangano in corsa superando il proprio quarto di finale.
PSG-Manchester City
Fabio Barcellona
Quest’anno il PSG gioca solo per la Champions League visto che il campionato si è rivelato sostanzialmente una forma di allenamento competitivo. Il sorteggio quest’anno gli ha regalato un quarto di finale giocabile e i parigini hanno finalmente davvero l’occasione di arrivare almeno alle semifinali dopo tre eliminazioni consecutive ai quarti.
Agli ottavi la squadra di Blanc ha dato una dimostrazione di consapevolezza della propria forza disponendo agevolmente del Chelsea. La sensazione è che dopo tre anni di lavoro Laurent Blanc sia finalmente riuscito a costruire una squadra capace di sfruttare al meglio il potenziale dei suoi campioni. L’acquisto di Di Maria ha finalmente fornito al PSG un corretto complemento tattico al dominio tecnico e psicologico di Ibrahimovic nel gioco offensivo della squadra. L’argentino fornisce dinamismo, movimento senza palla, inserimenti alle spalle di Ibra, assist tagliando palla al piede da destra verso il centro e gioco di raccordo tra il centrocampo e l’attacco. Il tutto concentrato in un solo giocatore.
Ibrahimovic, a una delle sue ultime occasioni di centrare il trofeo, può trovare nella balbettante difesa del City terreno fertile per brillare. Dall’altro lato i “cugini” di petrolio del City si trovano in una situazione diametralmente opposta. Pellegrini non è mai pienamente riuscito a far giocare bene la propria squadra e sembra difficile che possa cambiare questa tendenza proprio al tramonto della propria esperienza a Manchester.
Per i Citizens l’assenza in difesa di Kompany è davvero pesante, essendo gli altri tre difensori in rosa di livello molto inferiore. Al di là delle assenze, i problemi tattici del City nel proteggere la propria difesa, nel difendere le ricezioni avversarie tra le proprie linee di difesa e centrocampo e l’oggettiva debolezza della linea difensiva, sembrano troppo grandi perché il gioco offensivo del PSG non riesca ad approfittarne.
La sontuosa prestazione di Di Maria contro il Chelsea, di cui avevamo parlato anche qui.
Emiliano Battazzi
Il City però può contare su due ottime notizie: il rientro di De Bruyne (in gol già sabato contro il Bournemouth) e l’assenza di Yaya Touré. Con i movimenti tra le linee di Ibra, Di Maria e anche Matuidi, lo spazio dietro Yaya sarebbe stato davvero come quel pezzetto di parco dove si buttano tutti a fare il picnic. Invece con il doble pivote Fernandinho e Fernando aka la piovra, almeno la zona centrale dovrebbe essere ben presidiata (l’altro lato della medaglia presenta i problemi di dinamismo e inserimenti offensivi, ma visto il City di quest’anno meglio pensare solo agli equilibri). Per il PSG, ampiamente favorito, i veri problemi potrebbero arrivare dai movimenti dei piccoletti: Agüero va sempre dietro la linea avversaria, oppure la allarga per farci passare David Silva, e David Luiz mi sembra perfetto per farci vedere quanto è forte El Kun e quanto poco ancora se ne parli.
Fabrizio Gabrielli
L’ultima volta che si sono incontrate, nel 2008, PSG e Manchester City non erano le potenze europee wannabe che sono oggi: Mansour bin Zayed aveva appena cominciato il suo processo di investimento nei citizens, Al-Khelaifi sarebbe arrivato all’ombra della Tour Eiffel solo tre anni più tardi. Nel giro di meno di dieci anni, nel firmamento in perenne movimento del calcio europeo, PSG e City si sono scrollate di dosso l’aura di supernova e si sono ritagliate uno spazio all’interno della costellazione più brillante: il PSG arrivando per la seconda stagione consecutiva ai Quarti, il City approdandoci per la prima volta nella sua storia, ed entrambe con una buona opportunità di superare i propri limiti, e record, passando il turno.
Lo stato di forma delle due squadre è diametralmente opposto: mentre il PSG onorava il ruolino di marcia di una Ligue1 che per livello di prevedibilità, quando giocano i parigini, somiglia sempre di più a una celebrazione di Kim Jong-un, il City attraversava un febbraio-marzo orribile mettendo in mostra tutta la fragilità del suo reparto difensivo. Per molti versi, all’Etihad Stadium, la mente è già proiettata alla stagione prossima, all’arrivo di Pep, alle mirabilie che saranno. Ma chissà che Pellegrini non sappia estrarre dal cilindro un’ultima sorpresa a sensazione...
Flavio Fusi
Nella guida agli ottavi avevo scritto che per il PSG la semifinale sarebbe stato un traguardo ampiamente alla portata. Alla luce del passaggio del turno e del sorteggio che ha accoppiato i francesi con il Manchester City, non posso che confermare la mia affermazione. Ad ora, il Paris Saint-Germain è perlomeno un gradino sopra agli “Sky Blues”: da quando è stato annunciato l’ingaggio di Guardiola per la prossima stagione la netta crisi di gioco ha iniziato ad accompagnarsi a quella di risultati, con il City precipitato fino al quarto posto, tanto che adesso persino la qualificazione alla Champions League della prossima stagione è nuovamente in discussione, visto che i rivali dello United, quinti, sono distanti appena un punto.
Nell’era Pellegrini, ormai vero e proprio “dead man walking”, il City ha messo in mostra sempre gli stessi punti deboli, dalla scellerata gestione delle transizioni difensive all’annosa questione del trade-off tra contributo offensivo e protezione offerta dal duo di centrocampo. La consapevolezza di giocarsi il primo quarto di finale della storia potrebbe essere una motivazione in più, ma il PSG può permettersi di giocare la prossima partita di campionato con il Guingamp come fosse un allenamento, mentre i mancuniani potrebbero consumare ulteriori energie fisiche e nervose contro il West Bromwich Albion.
Alfredo Giacobbe
Nessuno squadra al mondo può permettersi di sottovalutare Sergio Agüero, però i numeri di El Kun in questa stagione sono più che contraddittori. Da agosto a dicembre, gli infortuni hanno limitato il suo minutaggio e hanno sicuramente appannato la qualità delle sue conclusioni: Agüero ha ricavato 7 gol da 19 tiri nello specchio, un rapporto di realizzazione del 37%. Tutt’altra storia da gennaio a oggi, periodo nel quale Agüero ha messo alle spalle del portiere il 50% dei suoi tiri nello specchio. C’è di strano però che la sua precisione al tiro era più alta prima: Agüero segnava e tirava di meno (32 tentativi nel 2015 rispetto ai 43 del 2016), ma centrava lo specchio con una frequenza maggiore (59% del 2015 rispetto al 46% del 2016).
Quel che conta per il Manchester City, in vista del primo quarto di Champions League della sua storia, è che nessuno, tranne Kane, ha segnato più di Agüero in Premier League nel 2016. Agüero resta comunque, in una stagione travagliata come questa, il suo faro: le sue percentuali di realizzazione, seppur con gli alti e bassi che ho descritto, sono le migliori tra tutti i compagni; e se considerassimo il contributo alle reti come somma di gol e assist, Agüero fa addirittura meglio di De Bruyne.
La connessione tra l’argentino e il belga potrebbe essere letale per il PSG. Quando Aguero è partito titolare, nelle ultime 18 partite di Champions League, ha segnato 15 gol: le chances di qualificazione dei Citizens passano dai suoi piedi.
Wolfsburg-Real Madrid
Emiliano Battazzi
Questa è la partita di chi ha ormai poco da chiedere al campionato e si butta sulla Champions come su una boa al largo. In teoria il Wolfsburg è il vero underdog dalla competizione, è già andato oltre le aspettative, ma in campionato non gira bene e viene da una brutta sconfitta a Leverkusen. Dal secondo posto della scorsa stagione è sceso fino all’ottavo, a 6 punti dall’Europa League, non riesce a trovare un equilibrio e alterna buone prestazioni ad altre pessime, tipo vincere con il Gent e perdere ad Hoffenheim. Questa alternanza forse è un riflesso delle caratteristiche di alcuni giocatori, mai continui: Draxler, Schürrle e Kruse sono tutti micidiali in una singola partita ma non nell’arco di una stagione. E forse è anche dovuto ai rimescolamenti dell’allentore Hecking, che cambia continuamente modulo (l’unica certezza è la difesa a 4), ruoli e anche principi di gioco (sta trovando problemi a controllare più spesso il pallone rispetto allo scorso anno). I tedeschi non hanno niente da perdere, ma sempre all’interno di una stagione molto deludente: non è una posizione così facile come sembrerebbe, per una squadra che ha nomi e talento a disposizione.
Si giocherà molto dietro la linea dei centrocampisti del Real: il Wolfsburg spesso gioca con tre mezzepunte e quella zona crea diversi problemi ai Blancos. Con Casemiro in campo i problemi si riducono, ma la mancanza di punti di riferimento offensivi dei tedeschi potrebbe mandare in tilt la fase difensiva di Zidane (tanto più se mancherà Varane per infortunio, il centrale più veloce in rosa). Non mi stupirebbe inoltre vedere un Wolfsburg molto aggressivo nella trequarti avversaria, per riconquistare subito il pallone e approfittare del pessimo inizio azione del Real. Questo però esporrebbe tantissimo la difesa tedesca, che ha il problema della scarsa mobilità in campo aperto, con due colossi come Dante e Naldo a giocare da centrali. Potrebbe essere una manna dal cielo per CR7 e Bale. Il Real dovrà attaccare in ampiezza per ampliare le distanze nella difesa avversaria, mentre il centro potrebbe essere intasato dalla cerniera Luiz Gustavo - Guilavogui.
Dopo la vittoria al Camp Nou, a Madrid dicono che Zidane si è finalmente guadagnato il patentino ma credo si sia guadagnato soprattutto la fiducia incondizionata dei suoi giocatori ed è una cosa importantissima. Ha capito che la squadra non aveva equilibrio in mezzo al campo, è tornato sui suoi passi ed ha escluso Isco e James per dare spazio a Casemiro: questa è la scuola realista di Ancelotti. Fino a poco tempo fa il Real sembrava destinato a farsi eliminare in questa Champions ma la situazione sta cambiando e adesso comincia a far paura, anche perché questa è la classica stagione in cui i Blancos arrivano terzi e vincono la Coppa più importante (così è andata negli ultimi 4 trionfi europei: un secondo posto, due terzi e addirittura un quinto in campionato).
Il Wolfsburg ha le caratteristiche giuste per mettere il coltello in alcune piaghe del Madrid: con attenzione più giocarsela su 180 minuti e non farsi eliminare subito dopo l’andata.
Il minimo sforzo servito al Wolfsburg contro il Gent, non l’avversario più probante.
Fabio Barcellona
E se alla fine Zinedine Zidane fosse meno sprovveduto di quanto si pensi? Che sia tatticamente più realista di Benitez, accusato, tra le altre cose, di pensare troppo agli equilibri della squadra a discapito del talento a disposizione? Zidane al Nou Camp ha giocato una partita semplice, ma di certo “realista”, schierando basso il suo Real con due linee il più possibile vicine tra loro cercando di negare profondità e spazio tra le linee al Barca e lasciando alle ripartenze le possibilità offensive della sua squadra. Fondamentale è stato, ancora una volta, l’equilibratore Casemiro, rimesso in campo da Zidane da ormai 5 partite, che ha vinto ben 8 tackle proteggendo la propria linea difensiva e coprendo in parte le lacune di Modric e, soprattutto, Kroos, ma anche a coprire efficacemente la propria zona difensiva di competenza. Isco e James sono rimasti in panchina anche nel secondo tempo, quando i cambi di Zidane hanno chiamato in causa Jesè e Lucas Vazquez. Il disastroso Wolfsburg di questa stagione non sembra in grado di impensierire il Real. La partenza di De Bruyne ha privato il Wolfsburg di una macchina da assist e di gran parte dell’efficacia offensiva. Hecking, nel tentativo di sopperire alla mancanza di De Bruyne ha, se possibile, accentuato gli squilibri di una squadra che, se costretta ad attaccare, presta il fianco con troppa facilità ai contrattacchi avversari. Il destino di questo quarto di finale sembra già scritto.
Fabrizio Gabrielli
Il Wolfsburg ha costruito il suo percorso fino ai quarti, in buona sostanza, su una buona solidità casalinga. Sul prato amico non solo è imbattuto: non ha proprio mai portato a casa un risultato diverso dalla vittoria. Certo, gli avversari finora si sono chiamati PSV, Manchester United (ma quello di quest’anno), CSKA e Gent: nulla di paragonabile al livello tecnico del Real, alla pericolosità che si sprigiona nell’aria solo pronunciando, anche sottovoce, il nome dei Blancos.
Il Real, dalla sua, mette in fila il secondo sorteggio decisamente favorevole - e nella road to the final, come spiegato magistralmente dalla Juventus nel case study dell’edizione dell’anno scorso, i sorteggi favorevoli sono metà dell’esperienza.
Wolfsburg spacciato, quindi? Probabilmente sì. Ma se Dante e Naldo riusciranno ad arginare in qualche modo le folate offensive della BBC, almeno in casa, almeno all’andata, poi vai a capire quello che succede: il bello della Champions League, forse, è che è ancora capace di conservare il segreto della sua scintillanza proprio nell’imprevedibilità di un risultato che matura da quelle che, dopotutto, sono sempre due gare secche.
Alfredo Giacobbe
Dalla gogna mediatica agli altari: il purgatorio di Cristiano Ronaldo è durato poco più di un mese. Dopo la sconfitta casalinga con l’Atletico, che sembrava aver segnato il percorso in campionato dei Blancos, Cristiano aveva criticato - aspramente, anche al netto delle ritrattazioni e delle scuse - i compagni di squadra per il livello della loro forma fisica.
Arriva alla Champions League, la sua competizione preferita, quella nella quale detiene il record di segnature (90 in 123 presenze), caricato da un gol per una volta decisivo. Il 4-3-3, Ancelotti e Zidane lo hanno confezionato sulle sue misure: un uomo di fatica in più in mezzo al campo, per preservarlo dalle fatiche difensive; Benzema davanti a lui a fare da rompighiaccio delle difese; Bale ridotto al ruolo di vassallo, costretto ai rientri in fase di non possesso e all’uso del piede debole, peraltro visibilmente migliorato.
Paradossalmente il Real Madrid rischia di più in casa che in trasferta, dove è legittimato a fare una partita di attesa e ripartenze, che è più nelle corde di Ronaldo e degli altri attaccanti. Oltre che essere una partita di più semplice gestione per i suoi centrali di difesa, Ramos e Pepe, incapaci di gestire le grosse porzioni di campo che sono costretti a lasciarsi alle spalle per compattare la squadra.