La Copa América 2015 si disputerà in Cile. Non tutti sanno che il meccanismo con cui si decreta il paese ospitante è semplice ed efficace come le interrogazioni pianificate al liceo: si procede in ordine alfabetico. Nel 2015, in linea teorica, sarebbe toccato al Brasile fare gli onori di casa: ma organizzare tre competizioni internazionali in tre anni, Confederations Cup nel 2013, Coppa del Mondo nel 2014 e Copa América nel 2015 sarebbe stato un compito economicamente troppo gravoso—nonché presumibilmente contestato in piazza, e quindi rischioso per l’ordine pubblico.
Oscar Svensson, Carlo Pizzigoni e Fabrizio Gabrielli hanno fatto le lastre alle partecipanti di questa edizione, che comincerà venerdì 12 giugno e sarà l’ultima prima del Centenario, che cadrà l’anno prossimo. Hanno risposto ad alcune domande: quali saranno le favorite, le possibili outsider, i protagonisti conclamati o i sensazionali crack del tutto inattesi.
Quali sono le squadre favorite?
Carlo Pizzigoni (@pizzigo)
L’attaccamento di Leo Messi alla Selección, alla Nazionale argentina, alla sua terra, non è in discussione: lo certifica la battuta dell'incipit, del film girato su Lionel: «Non l'argentino: Leo parla ancora il rosarino». Eppure su di lui, proprio in Argentina, si è discusso fin troppo. La foto che in molti si aspettano di questa Copa América prevede Leo sorridente col trofeo in mano: un’occasione per chiudere qualche bocca a Buenos Aires, dove la critica, tra hincha e giornalisti, è ferocissima. “Sì, però col Barça...”. Eh, però il Barça l'anno scorso aveva sulla panchina un altro rosarino, il "Tata" Martino, che non è un omonimo di quello che c'è oggi alla guida dell'Albiceleste. Lui pure la critica, quella catalana, l'ha massacrato. La Rivincita, il "Tata", se la vuole prendere costruendo una squadra offensiva attorno a Messi. Niente palese sottomissione alla Batista, né equilibrismo alla Sabella: identità chiara con un centrocampo che dovrebbe contenere Di María, più un paio di uomini di copertura: certo Mascherano, Martino si è portato Biglia, Gago e Banega (meritatissima convocazione). Garay e Otamendi sono una certezza dietro, anche per tenere alta la linea. Poi, davanti col Kun e Leo rientra Carlitos Tévez, reduce da un anno e mezzo favoloso con la Juve. C'è l'opzione Higuaín, e poi Lavezzi, uno che imprime un altro ritmo alla gara. Ma mica finisce qui: ci sono anche Pastore e, proprio per chiarire l'idea, dentro anche Lamela, più il Tucumano Pereyra, che fa comodo per la sua multifunzionalità. Rapida scorsa ai nomi (e al Nome, il suo, Leo), pochi dubbi: favorita numero uno.
Oscar Svensson (@blogistuta)
Anch’io dico Argentina. C'è Lionel Messi e tutti i giocatori più importanti sono in forma strepitosa: Messi, Tévez, Pastore, Biglia, Banega, Mascherano, la (ottima!) coppia centrale Garay-Otamendi. Proprio tutti, tranne Ángel Di María. E questo può diventare un problema: come abbiamo visto a Madrid, l'equilibrio che "el fideo" sa dare a squadre sbilanciate è fondamentale. Nonostante tutti i suoi giocatori siano in forma, questo torneo per la Albiceleste potrebbe farsi più complicato senza un Di María che collega centrocampo e attacco, e che copre gli spazi. Ma non dobbiamo esagerare: ovviamente Di María non è diventato scarso in 12 mesi. Se il "Tata" Martino saprà valorizzare quella qualità (e grazie a Ancelotti, un piano dettagliato c’è), l'Argentina è e rimane la strafavorita.
La grande stagione di Ángel Di María al Real.
Ma non possiamo parlare solo dell’Argentina. Per esempio c’è un Brasile rigenerato dopo la scorsa estate. È tornato Dunga sulla panchina, e ha portato con sé un gioco più fluido e moderno. Niente Fred! A dire il vero, se non c'era Messi avrei probabilmente detto che la squadra, qualsiasi squadra, con Neymar avrebbe grandissime chance di vittoria. Però c’è Messi, il migliore Messi che abbia mai visto, dunque mi fermo qui: il Brasile, probabilmente, supererà le aspettative di tanta gente con l'1-7 ancora in mente, ma non credo che possano insidiare l’Argentina e Messi (e Di María, e Tévez, e Banega, e…). Dopo le due big, però, non vedo alternative reali.
Fabrizio Gabrielli (@conversedijulio)
Argentina e Brasile sarebbero favorite in qualsiasi competizione mondiale sempre, figuriamoci nei tornei della loro confederazione continentale: blasone, peso specifico, autorevolezza assoluta delle rose, oltre alla presenza di due come Messi e Neymar, che vederli giocare contro sembra quasi uno spreco, si rimpiange che il barcelonismo non possa diventare una discriminante da passaporto.
https://www.dailymotion.com/video/x2rv03e_messi-neymar-2014-15-the-invincible-duo-hd_sport
Non siete d’accordo?
Però i miei due centesimi sulla squadra favorita voglio spenderli per l’unica alternativa reale che mi pare davvero reale: il Cile.
Certo, per vincere la Copa América serve avere una squadra attrezzata per arrivare fino in fondo, e secondo me con Bravo tra i pali, "el pitbull" Medel (però in formato carioca, non meneghino) più David Pizarro (oh, David!) più Arturo Vidal più Alexis a formare la dorsale della squadra, il Cile ce l’ha pure. Se non bastasse, casomai, ci sarebbero l’estro di Valdivia e Mati Fernández, la concretezza di Gonzalo Jara, l’eterna Incompiutezza Pronta A Compiersi di Mauricio Pinilla.
L’undici di Sampaoli gioca un bel calcio, quello che abbiamo visto non più di un anno fa arenarsi contro ineluttabilità e legni—cioè le componenti della semirefrattarietà del Brasile al Mondiale 2014—in una maniera che ci ha risvegliato un sentimento come di ingiustizia.
Poi c’è un fatto: la Roja è l’unica nazionale, tra quelle più quotate nella CONMEBOL (oltre alla Albiceleste e alla Seleção direi l’Uruguay e la Colombia, che sono poi anche quelle con la presenza più costante anche alla Coppa del Mondo) a non essersi mai aggiudicata una Copa América: cioè, Paraguay e Perù ne hanno vinte due, anche la Bolivia ne può vantare una in più degli uomini di Sampaoli. La fame può colmare il gap tecnico. Nel paese della cordigliera sono specialisti nel trovare motivazioni: l’anno scorso eviscerarono l’epica del minatore, quest’anno c’è questo spot di una birra che mette insieme, sul campo, leggende degli anni ’30 come il portiere Livingstone, degli anni ’70 come Caszely e dei ’90 come Zamorano, insieme ai giocatori di oggi, cioè tutti calciatori che non hanno mai vinto la Copa América, con un claim che la dice lunga: la sete è intatta. La favorita per me (oltre che la mia favorita) è il Cile. E la birra Cristal è molto dissetante.
Al di là dei nomi principali, chi può fare un percorso entusiasmante?
Svensson
Finché c'è Sampaoli su quella panchina le partite del Cile sono appuntamenti fissi davanti alla TV. Oltre a essere un allenatore bravissimo e preparato, predica un calcio divertente (che, da buon bielsista, vuol dire iperoffensivo ed energetico). Anzi, a me il discepolo Sampaoli piace molto di più del proprio idolo Bielsa. Forse è un segnale che mi sto imborghesendo?
Comunque, anche a me il Cile piace un sacco. Quest’estate ancora di più, visto che giocheranno in casa davanti a un pubblico caloroso e spettacolare. Ci sono tanti punti deboli nella squadra, e mancano giocatori a coprire certi ruoli per essere davvero forti. Ma è anche vero che giocano in un modo che cerca di minimizzare quelle debolezze: verticale, veloce, con un pressing asfissiante. Questo modo di nascondere i loro punti deboli pretende sacrificio, e funziona solamente con trabajo y sudor.
Ed è qui che arrivo ai miei dubbi. Anzi è solamente un dubbio, ma che mi tormenta: questa rosa è vecchia. Poco più vecchia, e le leggende di quello spot si sarebbero sentite a loro agio anche nel 2015. Vale la pena chiedersi se non possa essere una buona idea scegliere giocatori più giovani, con gambe più fresche. A maggior ragione dal momento che giocano un calcio così faticoso.
Ci sono solamente 3 giocatori sotto i 25 anni, di cui due 24enni e un 21enne. L'unico davvero giovane nel gruppo è Ángelo Henríquez, un centravanti interessante di proprietà del Manchester United. Davanti a lui, però, probabilmente ci sarà Pinilla, uno capace sia dal sublime (prova 1; prova 2) che di diventare lo zimbello di Twitter. Io lo adoro (almeno quanto Radja Nainggolan, che magari vedremo in tribuna VIP).
Il resto della rosa è quello che è: buona, con dei giocatori bravi (Vidal, Sánchez) e con tanti dei miei favoriti personali (David Pizarro, Jorge Valdivia, Marcelo Díaz). Ma quando le squadre che puntano molto sul pressing cadono, tendono a farlo in modo drastico. Sarebbe bellissimo se potessero vincere la Copa per la prima volta, giocando in patria, ma ci vuole che giochino partite perfette da subito.
Un cileno di 21 anni spedito a farsi le ossa a Zagabria.
Se il Cile è la prima sfidante dopo le due big, la Colombia è quella che segue nella fila. Lo scorso anno hanno giocato un Mondiale straordinario, li ricordiamo per il gioco (offensivo), per James (bellissimo), per i tanti attaccanti (cosa diavolo c'era nell'acqua in Colombia 25-30 anni fa?) e per la regina dei Mondiali 2014 (BLESS!). Non vedo l'ora di ritrovarli, è un gruppo affascinante, con dei giocatori stupendi e le divise più belle. Quando Falcao è il punto debole di un attacco, vuol dire che quella è una squadra che può andare a segno contro qualsiasi rivale. Basterà per guadagnare la semifinale? Qualcosa di più?
Pizzigoni
Li ricordo ancora, frustratissimi, nel post partita della semifinale del Mondiale Under-20, in Canada, nel lontano 2007 (avrebbero generato una rissa con la polizia locale).
La miglior generazione di sempre del fútbol cileno aveva perso, al termine di una partita equilibrata, contro una delle migliori generazioni di sempre del calcio argentino.
Gli '87-'88 sono sempre loro: Vidal, Alexis Sánchez, Isla, Carmona (che era stato convocato, ma a causa di un infortunio non potrà giocare), Medel. "El Profe" Sulantay aveva lasciato poi spazio alla Rivoluzione di Bielsa, che ha cambiato il calcio del Cile, riconoscendogli una dignità mai avuta prima, e che ha costruito, insieme ai ragazzi di quella generazione, altri elementi più esperti. Mentre il bielsismo divampava, in America Latina e poi nel Mondo, si imponeva un'altra e non meno interessante piccola rivoluzione, quella della Universidad de Chile, essa pure guidata da un tecnico argentino, Jorge Sampaoli (qui la loro vittoria continentale, in Sudamericana). La U proponeva un gioco apparentabile al fútbol bielsista, anche se i due tecnici non hanno mai lavorato insieme. Eduardo Vargas emergeva nei tabellini, Eugenio Mena si imponeva per la sua continuità (ma in Europa, non si sa perché, non se ne sono mai accorti...); ma era a centrocampo, dove nasceva tutto. Tempi e ritmi di gioco si creavano grazie alle letture di Marcelo Díaz e Charles Aránguiz. Ed è ancora da lì, che il Cile odierno trae ispirazione: un frankestein nato soprattutto ne La U, mescolato al lavoro eccelso di Bielsa. Oggi, sono di fronte a un bivio: vincere la prima Copa América della storia. Sono di nuovo outsider, e davanti hanno sempre i soliti favoriti, l'Argentina. Come finirà, stavolta?
Gabrielli
Mi avete illuminato sul fatto che c’è un aspetto interessante che lega i cafeteros—che per inciso metterei nella griglia delle Quattro Grandi Candidate—al Cile, e che ci fornisce una chiave interpretativa incrociata coerente anche con le vostre riflessioni. Ovvero: Sampaoli sta a Bielsa come Pékerman a Pacho Maturana.
Entrambi gli allenatori attuali delle selecciónes hanno adottato un approccio di rottura nella continuità rispetto allo stile di gioco predicato dai Venerabili Maestri: nel caso specifico della Colombia, bella e sfigata il doppio al Mondiale brasiliano, oltretutto, Pékerman ha tipo estratto il biglietto vincente della lotteria nel trovarsi nella contingenza storica di avere a disposizione una parterre de roi di calciatori che la Colombia, così, non aveva mai avuto uno simile prima, neppure all’epoca del partidazo (se volete rivivervi quel dramma, qua c’è la partita completa).
Il più preoccupato, a oggi, secondo me è David Luiz: James potrà rendergli l’onore della cavalleria già nella sfida che metterà di fronte Brasile e Colombia nel girone (SPOILER sulle partite da segnare in agenda); e poi chissà che in un eventuale ulteriore incrocio il livello di magnanimità (o ruffianeria, dipende dai punti di vista) non crolli drasticamente. Se la Colombia è l’outsider più accreditata, sento di potermi sbilanciare nell’indicare Carlos Bacca come serio candidato all’annata monstre.
28 gol in 56 partite quest’anno.
Poi ci sarebbe la Celeste: se Luís Suárez non dovesse ancora finire di scontare le giornate di squalifica per l’episodio di Chiellini, forse tra i protagonisti entusiasmanti di questa Copa América avremmo dovuto inserire anche l’Uruguay. Ma ho paura che Cavani, Hernández e un pur redivivo Lodeiro da soli non riusciranno a trascinarli troppo oltre un agevole passaggio della fase a gironi.
Pizzigoni
La República Oriental ha qualcosa di magico, non solo ma soprattutto nel calcio: lo sapevate che Mario Benedetti e Fabián O'Neill sono nati nella stessa cittadina? Una famiglia di poco più di 3 milioni di anime, tutte appassionate di fútbol. La loro presenza è uno dei motivi per cui ci si deve appassionare al calcio sudamericano e alla Copa América. Non esiste un altro paese come l'Uruguay, la vera patria del calcio. Non avranno l'uomo che ha indirizzato l'ultima finale di Champions League con un suo gol; qualche ragazzo ha abbandonato la compagnia organizzata dal Maestro Tabárez, ma come sanno essere competitivi i charrúa pochi altri. Campioni in carica, usciranno a testa alta, e comunque un gol alla difesa costruita attorno a Godin-Giménez, devi sempre farlo, se ci riesci.
Svensson
Io ho la sensazione che siamo arrivati al capolinea di uno dei cicli più affascinanti del calcio internazionale. Ovviamente non è soltanto l’assenza di Luís Suárez che mi fa pensare al fatto che stiamo guardando un finale di stagione, ma di certo non migliora le loro prospettive. E se invece fossimo testimoni dell’apertura di un nuovo ciclo? Nessun altro CT ha scelto più giocatori sotto i 23 anni (ce ne sono 5; se invece prendessimo come parametro di riferimento i venticinque anni il numero crescerebbe a 8). Non mi aspetto molto dall’Uruguay quest’anno, ma credo che qualche nome ce lo ricorderemo.
Quali partite non possiamo proprio perderci?
Pizzigoni
La prima sarà certamente un’emozione: il debutto del Cile di Sampaoli contro l'Ecuador. Dopo l'addio a Rueda e prima di una campagna anti-argentini che ha negato la panchina al favorito Almeyda, ecco l'accordo con... un argentino, però di passaporto boliviano. Quinteros ha avuto poco tempo per preparare la Copa, sostanzialmente due amichevoli e ha pure perso Caicedo, che ha dato forfait. Senza il centravanti dell'Espanyol, gli manca quel riferimento offensivo, che può scatenare i suoi levrieri: di trequartisti e ali, ce ne sono quante ne volete, da Jefferson Montero a Fidel Martínez, anche se io metterei un paio di fiches su Ibarra. Il ritmo alto, anche se con Sampaoli è decisamente più pausato, dovrebbe favorire una bella partita, la scarica di elettricità giusta per innamorarsi della Copa.
E poi si gioca in un luogo simbolico. Sì, è vero che la presidente Bachelet l'ha modernizzato, ma è sempre l'Estadio Nacional, quello del campo di concentramento dopo il golpe di Pinochet. Non in quello stadio, ma in un altro impianto di Santiago, fu brutalmente martoriato e poi vigliaccamente ucciso Victor Jara. Ecco io quando penso al Cile, penso a Victor Jara.
Svensson
Io del gruppo A guarderò sicuramente le partite del Cile, più per l’atmosfera e l’entusiasmo dei tifosi che per la qualità degli avversari. La partita con il Messico dovrebbe essere la più difficile per i cileni, e dunque forse la più interessante per i neutrali.
Poi vediamo: nel gruppo B le partite dell’Argentina promettono bene. Oltre a Messi and friends, ci sono l’Uruguay, il Paraguay e il Giamaica. L’Argentina dovrebbe passare il turno senza problemi, ma non vuol dire che le partite non potrebbero essere interessanti—in particolare quella con l’Uruguay.
Infine il gruppo C, con il vero gioiello della fase a gruppi: il 17 giugno c’è Brasile vs. Colombia. James vs. David Luiz! Per trovare qualcosa meglio di questo mi sa che dovremo aspettare le semifinale.
Gabrielli
Io dico che Cile - Messico va vista per capire se Herrera è un amabile cialtrone (come a volte dà l’impressione di essere, tipo quando davanti ai giornalisti connazionali, in conferenza stampa, dichiara di puntare alla vittoria di Copa América e Copa Oro pur avendo destinato i giocatori migliori, dal Chicharito Hernández a Carlos Vela a Gio a Ochoa, alla seconda competizione) o un motivatore capace di spingere il cuore di un gruppo sulla carta modesto, come si dice, al di là dell’ostacolo. Se potete guardatevi almeno una partita de La Tri studiandovi play-by-play soprattutto Matías Vuoso: io, quel giorno, anche se dall’altra parte ci sarà la Roja, farò un po’ il tifo per lui, indossando la maglia degli Jaguares de Chiapas.
Il gruppo B manca di spunti, sono indeciso: è un gioco che può valere la candela vedersi Argentina - Uruguay? Ovviamente ogni partita che disputerà l’Argentina sarà il programma più interessante da guardare tra quelli in palinsesto negli stessi orari, ma se il plot che cercate deve essere pieno di struggle e colpi di scena ci sta che magari vi prendiate a noleggio un film.
Del gruppo C, invece, seguirò ogni uscita della Vinotinto, la coriacea machisíma e maldita Nazionale venezolana, una ciurma—Rincón, Arango, Rondón—che sembra arrivare direttamente dai golfi più pericolosi dell’Isola di Tortuga; farò il tifo per loro perché mi dispiace che siano capitati nello stesso girone di Colombia e Brasile. E poi il Venezuela è l’unico paese tra quelli della competizione che non si è mai qualificato per un Mondiale. Perché la Giamaica sì e il Venezuela no?
Ci sarà un campione che si prenderà (anche simbolicamente) la Copa tutta per sé?
Pizzigoni
Ho detto Argentina, e devo dire Messi. Ma una manifestazione così equilibrata si presta anche alla sorpresa finale. E subito dietro l'Argentina c'è il Brasile di Neymar. E dico Neymar perché dopo il Mondiale del Mineiraço è attorno a lui che il vecchio-nuovo CT Carlos Dunga ha costruito la squadra. Credo che opterà per il classico 4-2-2-2, e insieme al prodotto di Vila Belmiro—oltre a due meias che partono fronte alla porta negli ultimi venti metri di campo—dovrebbe esserci un attaccante che sa muoversi, forse anche Firmino. La crescita davvero notevole che ha avuto quest'anno Neymar (per me è il miglior giocatore della Liga, tolto il venusiano di Rosario) ha accresciuto le sue letture di gioco: non più solo lo straordinario funambolo che però si stava compiacendo in giocate sempre con partenza da fermo e con la palla nei dotatissimi piedi. Oggi è molto di più. Magari pronto già a fare il primo sgarbo al suo amico Leo.
Svensson
Per me, amante della Storia e delle storie, di aneddoti e personaggi affascinanti, leggere può diventare un piacere pericoloso. Ho una tendenza a vedere somiglianze anche dove, sinceramente, magari non ci sono. E ho appena letto una biografia di Napoleone. Che c'entra?
Ovviamente senza fare ulteriori paragoni tra di loro, penso a Messi. Penso al genio (indiscutibile in entrambi casi) che viene da fuori (Napoleone dalla Corsica appena conquistata dalla Francia; Messi dalla Spagna, o almeno è sulla base di questa falsità che lo snobbano tanti argentini) e conquista, anzi guadagna, una corona. Napoleone si è autoincoronato, e credo che Messi farà lo stesso in questo torneo.
Se succedesse, cioè se riuscisse a far vincere all’Argentina la Copa dopo questo cammino nel deserto, spero che possano venirgli riconosciuti tutti i meriti, anche in patria. Napoleone si è titolato l'imperatore dei francesi, per volontà del popolo; mi auguro che quest'estate anche Messi diventi l'imperatore calcistico per volontà del proprio popolo. Se lo meriterebbe.
Gabrielli
Certo che se proprio dobbiamo prefigurarci un uomo copertina la scelta non può ricadere più in là del trio Messi-Neymar-James, di sicuro i calciatori più iconici di tutta la competizione e forse del mondo intero, gli unici verosimilmente in grado di perpetuare il Culto Della Personalità.
Invece il Cile, la mia favorita, un vero e proprio deus ex machina non ce l’ha: è la democrazia orizzontale, bellezza. Per questo credo che questa Copa América non avrà un uomo che si prenderà la coppa, ma un gruppo di uomini. E per gruppo non intendo solo gli undici in campo, ma pure quelli in panchina, quelli in tribuna e anche quelli che affolleranno le strade da Santiago a Valparaíso.
Valparaíso.
Quali sono i giocatori ancora poco conosciuti dei quali tra qualche anno potremo dire “sì, ma io ne parlo dal 2015!”?
Svensson
Avevo i miei colpi in canna, due giocatori che mi piacciono molto, due colombiani: il difensore Balanta e il trequartista Quintero, che però poi all’ultimo momento sono rimasti a casa per via di infortuni. Da quando ho saputo che non ci saranno ho cominciato a provare una tristezza che ancora fatica a scemare. Ciò non vuol dire, però, che non ci siano altri talenti interessanti.
Nel Brasile c’è la nuova generazione di terzini, anche se Danilo (preso da Real Madrid per più di 30 milioni di euro) non è che sia proprio uno sconosciuto, mentre ho i miei dubbi sul fatto che Fabinho giocherà poi molto. Un loro compagno di squadra, che né il modesto datore di lavoro né i pochi minuti giocati con la Canarinha devono sminuire, potrebbe essere Roberto Firmino, trequartista dell’Hoffenheim. Cioè, dell’Hoffenheim almeno per ora: sono sicuro che quest’estate andrà in qualche altro club di alto livello. Firmino è forte per davvero, e se si trovasse bene con Neymar potremmo avere, potenzialmente, la Seleção più inebriante degli ultimi dieci anni.
Suo il gol che ha deciso l’ultima sfida contro il Cile, a marzo di quest’anno.
Nell’Uruguay spero che il CT Óscar Tabárez dia spazio e fiducia alla coppia Giorgian de Arrascaeta (trequartista, classe 1994) e Diego Rolán (seconda punta, classe 1993). Vale anche la pena di dare un’occhiata al peruviano André Carrillo, un’ala che sarà una mosca bianca in un torneo (e un continente) non proprio inondato di calciatori che ricoprono il suo stesso ruolo. È veloce, ha piedi buoni, e potrebbe mettere le difese rivale nei guai.
Pizzigoni
Mi piacerebbe che questa Copa venisse ricordata come la Copa di Teo. Teófilo Gutiérrez è un '85, colombiano, costeño di Barranquilla, uno che se si alzasse sempre col piede destro potrebbe tranquillamente giocare nel Barcellona senza sfigurare. È un attaccante con letture di gioco sopraffine, che ha pure due piedi da favola e un corpo perfetto per giocare a calcio. È uno dei segreti di questo River, che già può essere paragonato a quello magico di fine anni Novanta. Al fianco del nome “Teo Gutiérrez”, è necessario però apporre un asterisco. E se si alza col sinistro? È sempre uno che, negli anni al Racing, dopo un diverbio nello spogliatoio ha minacciato il portiere Saja con una pistola (giocattolo, ma proprio non pareva). Arrivato al Trabzonspor ha giocato la Supercoppa turca, messo dentro tre gol, e già pensava di andarsene: alla prima offerta importante, del Liverpool, è andato in sede a battere i pugni. Ragazzo sensibilissimo, mai una volta ruffiano con la stampa (che infatti, in Argentina soprattutto, lo massacra), vive una vita controvento che certo non gli conviene, ma che è anche l'unica che riesce a mantenerlo in equilibrio, e a fargli tirare fuori il genio (a giorni alterni) sul terreno di gioco.
La sua Colombia potrebbe arrivare lontano anche col contributo di Santiago Arias, terzino destro che dopo l'affermazione all'Equidad (la terza squadra di Bogotà), con Alexis Garcia come tecnico, ha fatto fatica in Europa. Non lo ha aiutato arrivare in quel guazzabuglio di società che è (soprattutto era), lo Sporting Lisbona. Ora in Olanda si sta prendendo rivincite. Faceva parte di quel gruppo che al Mondiale Under-20 giocato in casa nel 2011 pensava di arrivare davvero lontano. E invece, anche tradito da James, ha dovuto interrompere in anticipo la corsa.
Quell’anno sono andato a vedermi l'allenamento dei cafeteros e pensavo di delirare: «Ma quello è Ronaldo?». No: era Luis Muriel. E ancora non abbiamo visto niente di lui: si sbrighi, perché il suo talento merita davvero l'élite.
Gabrielli
Se il Sudamerica fosse il Paradiso dell’Equità all’Ecuador andrebbe assegnata una wildcard per accedere direttamente alla seconda fase: a pochi giorni dal torneo ha perso Antonio Valencia e Felipe Caicedo (nonché Ángel Mena), praticamente il 90% del suo potenziale. Chissà che da questa disastrosa alluvione di diserzioni non possano sbocciare i semi del nuovo corso ecuadoreño: in Cile vedremo in azione l’implacabile Miller Bolaños, che in patria chiamano The Killer e che nell’ultima Libertadores ha segnato sei reti, guidando l’Emelec de Guayaquil fino ai quarti di finale.
Forse somiglia un po’ troppo a Enner Valencia, esploso proprio nell’ultimo Mondiale, anche se ama di più il colpo a sensazione, che è un po’ il motivo per cui vale la pena osservarlo da vicino dedicando un pensiero a quanto possa essere complicato nascere così talentuosi in Ecuador.
Con lui ci sarà anche Jonathan Gónzalez, vent’anni, che avrà il compito ingrato di sostituire Antonio Valencia come esterno destro alto: gioca in Messico, ha solo due presenze con la Tri ma a vederlo scarrozzare sulla fascia non si fa fatica a capire perché lo abbiano soprannominato Speedy.
Un altro che si merita un pizzico d’attenzione è Derlis González, attaccante paraguayo del Basilea, che ha fatto ritorno in Europa in questa stagione dopo un primo tentativo nel 2012: allora era una promessa del Benfica, al quale era arrivato dopo aver esordito nella prima divisione paraguayana a 15 anni. Marca lo aveva definito erede naturale di Di María, tanto in campo quanto nella traiettoria, auspicando per lui un passaggio dal Benfica al Real Madrid. Invece appena ventenne ha avuto un figlio, e per stare vicino alla sua famiglia ha chiesto di poter fare ritorno ad Asunción, dove ha difeso le maglie de "el cacique" Guaraní e dell’Olimpia.
Infine ci sarebbe Josef Martínez, anche se così sconosciuto non è più: nel Torino di Ventura si è ritagliato uno spazio durato una buona parte di stagione, nella Vinotinto ha la porta sbarrata da Miku e Salomon Rondón. Se fosse nato vent’anni fa, Martínez, si sarebbe trovato in concorrenza solo con Giovanni Savarese (l’attuale allenatore dei New York Cosmos con un passato nella Viterbese satellite del Perugia di Gaucci). Dieci anni fa con Massimo Margiotta. Invece gli è capitato davanti, nelle gerarchie, l’attuale capocannoniere del campionato russo. Certe volte ci vuole fortuna anche per nascere nel momento giusto, oltre che nel posto giusto.