Le spagnole
Fabrizio Gabrielli (@conversedijulio)
I pedunculata lamarck sono dei crostacei maxillopodi che in Spagna chiamano percebes e se hai avuto modo di assaggiarli lo sai bene: quando compaiono in carta è difficile che durante la serata possa imbatterti in una prelibatezza più succulenta, capace di superarli in gusto e fascino.
Quando penso alle spagnole ancora in corsa in Champions League, e mi riferisco soprattutto al Real e al Barça, non riesco a trovare un corrispettivo metaforico più adeguato dei percebes. Crescono in mare aperto, sugli scogli che si ergono là dove il vento e le onde battono più forte. Sono pressoché inespugnabili, e in quanto tali meravigliosamente deliziosi. Ma non sono imbattibili, e in quanto tali deliziosamente meravigliosi. Dentro di sé racchiudono l'essenza di ciò che le preserva, della materia da cui nascono e fuori dalla quale seguitano a sventolarne il vessillo: il mare.
I percebes sono il mare; così come Barça e Real, per molti, sono il calcio.
Affrontare i percebes, provare ad estirparli dallo scoglio, decretarne la sconfitta richiede coraggio ed intelligenza: se non hai paura mentre li stai fronteggiando sei un irresponsabile. Ci vogliono occhi e orecchie ben aperti. E poi buon senso. Devi capire fin dove puoi spingerti, quali sono i tuoi limiti.
La battaglia contro i percebes è per molti versi impari: ci si deve calare al momento opportuno, assicurarsi che la corda sia ben ancorata, assorbire i colpi che ti sbattono contro la scogliera, l'acqua salmastra che ti entra dappertutto. E se esiste una tattica vincente, quella è solo e soltanto impegnarsi in un gioco di squadra. Mente fredda, proteggere il fianco dalla risacca, resistere alle sferzate che piegano le ginocchia: e se trovi uno spiraglio per gettarti, fàllo.
Spero che Di Matteo e Pellegrini conoscano qual è il dicotomico destino del percebeiro: croce nera issata sulla scogliera galiziana, oppure gloria imperitura.
Nel caso in cui, ci si potrà beare con una manciata di costosissimi percebes sobolliti in acqua salata, da gustare a cena, accompagnati da un buon albariño.
Emiliano Battazzi (@e_batta)
In Spagna infuria la battaglia sulla ripartizione dei diritti tv, ma la Liga si sta già scoprendo un po' più equilibrata: dove non arrivano i soldi, arrivano le idee. Tipo quelle di Simeone, con le sue linee strettissime, un movimento che sembra quasi da falange oplitica per la disciplina e il rigore, e un’intensità a volte così elevata da mandare in tilt gli avversari, che sono squadre come Real e Barcellona. Il suo Atlético Madrid aveva riaperto completamente il campionato e poi ha però perso con il Celta, non so se quest’anno riuscirà a ripetersi, sia in Spagna che in Europa. Intanto se la deve vedere con il Leverkusen di Schmidt, in una sfida che potrebbe far uscire scintille persino dal vostro televisore.
A me comunque piace come siano riusciti a rimpiazzare i grandi partenti della scorsa stagione: Mandzukic è un centravanti che fa gol e si danna l’anima, Griezmann segna e sa fare tutto, Siqueira è indisciplinato ma spinge più di Filipe Luis. L’unica partenza davvero pesante è quella di Courtois.
I campioni in carica del Real sono tra le favorite ma nessuna squadra è mai riuscita a vincere la Champions per due volte consecutive e non sembra questa l’occasione giusta. È un torneo troppo logorante, e quindi appagante quando te lo porti a casa. Inoltre, non sono ancora convinto degli equilibri di un centrocampo in cui Isco e James sono gli interni: contro squadre che aumentano l’intensità e non fanno respirare, il Real rischia grosso. In campionato concede una media di 12 tiri a partita all'avversario: il 50% in più di Atlético e Barça.
La squadra catalana è il grande enigma della competizione: non c’è molta chiarezza su come voglia giocare questo nuovo Barça, ma sembra addirittura voler puntare sui contropiedi rapidi dei tre tenori (che in fase difensiva, infatti, sono spesso descolgados, cioè scollegati dal resto della squadra), garantendo una maggiore protezione difensiva in zona centrale (il Barcellona subisce pochissimi tiri e pochissimi gol, 13). Una svolta pragmatica che non mi sarei aspettato da un dogmatico come Luis Enrique, la cui panchina già scotta, anche per una pessima gestione dello spogliatoio. Ma da quando i dissidi sotterranei sono esplosi (anche in società), il Barça ha cominciato a macinare risultati: 21 gol in 4 partite, contro avversari per niente facili. L’anno scorso asfaltarono il City senza problemi: è anche un test per valutare l’operato dell’allenatore asturiano. Se i blaugrana sapranno trovare un’identità di squadra, bisognerà fare i conti con loro per la vittoria finale.
Fabio Barcellona (@FabioBarcellona)
Parlando delle tre spagnole, stiamo parlando per me di tre delle quattro favorite di questa Champions. Il Real Madrid deve sperare che qualcun altro faccia fuori l’Atletico Madrid. Dalla finale della scorsa stagione, ripresa all’ultimo sospiro e poi stravinta ai supplementari, i Blancos le hanno costantemente prese da Simeone: persa la Supercoppa, eliminati in Copa del Rey e battuti due volte in campionato con lo stordente 0-4 di dieci giorni fa. L’impressione è che il Cholo abbia preso le misure ad Ancelotti e che ne disponga a piacimento. E, al di là del fattore Atletico, il Real qualche problema di suo ce l’ha.
Il vero equilibratore della squadra è Modric che più di Toni Kroos decide che direzione deve prendere la manovra e i tempi della stessa. La sua assenza toglie sicurezza e controllo al Real. Dovrebbe tornare a metà marzo, ma contro lo Schalke il suo infortunio non dovrebbe costituire un problema. Agli ottavi mancherà anche James Rodriguez; il colombiano ha dissipato i dubbi sulla sua collocazione tattica giocando con buona attitudine la fase di non possesso del 4-3-3/4-4-2 pensato da Ancelotti in posizione da mezzala/esterno. Ma, nonostante questo, la conversione da Xabi Alonso/Di Maria e Kroos/James ha reso più fragile l’equilibrio del Real Madrid. Toni Kroos è un giocatore per cui stravedo, ma 20 metri più avanti. Come mediano davanti la difesa il suo senso geometrico per il calcio diventa quasi un assillo sterile per il possesso e la sua interpretazione difensiva non è priva di errori. Più avanti, il dinamismo anche disordinato di Di Maria, i suoi tagli dall’interno verso l’esterno costituivano un prezioso collante tra centrocampo e attacco. Detto questo, possono vincere di nuovo. Atletico e Casillas permettendo.
Simeone sembra avere portato a termine la conversione necessaria per passare da Diego Costa/X a Mandzukic/Griezmann abbandonando finalmente l’esperimento del messicano Raul Jimenez. Diego Costa da solo contribuiva a risolvere tanti quesiti tattici dell’Atletico della passata stagione, tra i quali quello di rendere pericolosa una squadra che mediamente aveva tanto campo da attraversare per giungere alla porta avversaria dopo avere riconquistato palla. Semplicemente Diego Costa trascinava sulle sue spalle i compagni e li portava avanti. Mandzukic è un giocatore piuttosto diverso: sgobbone, lavora molto per la squadra, ma ha bisogno dell’appoggio dei compagni. L’impiego ormai stabile di Griezmann e delle sue enormi doti tecniche e di raccordo sembra avere finalmente ridefinito la modalità di costruzione del gioco dei Colchoneros. Completata la necessaria trasformazione è rimasta incredibilmente salda la determinazione e la forza mentale della squadra, che si traduce in campo nella capacità di stare concentrati per 90 minuti rendendo quasi imperforabile la zona di Simeone. Ad inizio stagione non ci credevo, ma anche quest’anno l’Atletico Madrid è un candidato serissimo per la vittoria.
Rimane il Barca di Luis Enrique. E un trio d’attacco come Messi, Suarez e Neymar non ce l’ha nessuno. Xavi è ormai con un piede e mezzo nella MLS, Iniesta non è tanto più presente, Busquets è un orfano dei due e Rakitic, al cospetto del Nou Camp, non riesce a fare più del compitino che gli è stato assegnato. Ma quei tre non ce li ha nessuno. Suarez ha dato la presenza in area di rigore di cui il Barca necessitava come l’ossigeno dopo che tutti avevano capito il giochino del falso nueve e Messi è tornato a partire dalla fascia destra, come ai suoi inizi tra i blaugrana. E da lì, con meno dinamicità di prima, crea calcio per la squadra. Che non è perfettamente equilibrata, che soffre maledettamente in transizione difensiva, che non controlla più il gioco come ai tempi di Guardiola, ma che ha quei tre davanti.
Daniele Manusia (@DManusia)
La finale della scorsa Champions League è stata la partita più emozionante ed eccitante che abbia visto negli ultimi tempi (non solo perché ero in un pub irlandese con una decina di persone tanto fomentate quanto lo ero io). Tutte le partite del Mondiale messe insieme impallidiscono al confronto di quella singola gara e per quel che mi riguarda si possono anche abolire le Nazionali e introdurre una specie di all-star game biennale (idea: la butto in lì, in caso si facesse sapete a chi l'hanno rubata: si potrebbe far scegliere ai migliori allenatori al mondo i giocatori che preferiscono: la squadra ideale di Mourinho, contro la squadra ideale di Guardiola, contro quella di Simeone ecc... i giocatori si scelgono facendo pari e dispari in un parco pubblico).
Durante la finale tifavo per il pareggio del Real solo perché andassero ai supplementari, per godermi un'altra mezz'ora di quell'esperienza, ma se avessi saputo che l'Atletico l'avrebbe persa forse mi sarei accontentato di novanta minuti. Quest'anno ho seguito poco l'Atletico e in alcuni momenti ho pensato che il ciclo del Cholo stesse finendo, poi ho visto il 4-0 e sono rimasto a bocca aperta. Ormai molti dei miei amici mi parlano solo di calcio quando mi vedono e nei giorni successivi al 4-0 più di una persona mi ha detto cose come: "Oh ma l'Atletico è una cosa irreale".
Per me non c'è nessun dubbio che se l'Atletico riuscisse a giocare per quattro partite a quel livello non ce ne sarebbe per nessuno. Ha ragione Fabio, Simeone ha preso le misure ad Ancelotti e gli ha cucito un bel cappotto di cemento, stavolta però io sono rimasto impressionato dalla fase offensiva, cioè dalla transizione offensiva, dall'efficacia con cui fanno cose incredibili. Ho visto persino Mandzukic fare un tacco sulla bandierina che se lo avesse fatto Pirlo, Messi, CR7, adesso ci passeremmo il Vine sotto banco mentre la professoressa ci spiega la Seconda Guerra Mondiale (probabilmente il tacco più bello della carriera di Mandzukic, ha detto un amico che era con me). Griezmann non è solo velocissimo, tecnico, ma ha una capacità unica di scegliere sempre la giocata giusta, che potrebbe farlo diventare presto un serio candidato al Pallone d'Oro. Se giocasse sempre questo tipo di partite, cioè, se divenissero il suo standard. E qui inserisco il mio unico dubbio: che l'Atletico non regga fino alla fine a questa intensità (atletica e mentale) e che possa crollare prima del traguardo, come nei tempi supplementari lo scorso anno.
Il Real sta passando un brutto momento e quando il Real passa un brutto momento non sembra neanche una squadra ma un insieme eterogeneo di solisti. Ancelotti nel derby ha provato il 4-4-2 con Ronaldo seconda punta, per farlo giocare più vicino a Bale, lo aveva già fatto e quando funziona la mossa è devastante. Quel giorno probabilmente non c'era più niente da fare e preferisco sospendere il giudizio su una squadra che nelle partite importanti difficilmente sbaglia l'approccio. Lo Schalke non è un avversario all'altezza ma (se gioca schiacciato dietro come gioca ultimamente) un ottimo banco di prova per misurare la propria forza di fuoco. Le partite vere arriveranno in seguito, a Madrid lo sanno e non si faranno trovare impreparati.
Il Barça, che dire, c'è il pezzo di Valentino Tola che mi ha fatto pensare che in qualche modo potrebbero tornare di prepotenza tra le favorite. Il sistema che spiega Valentino con Alves e Messi che combinano per costruire le azioni di attacco forse è prevedibile, ma se Xavi e Iniesta alzano anche di poco i loro livello quando il gioco si fa duro non so cosa succederebbe. Ho chiesto a Valentino se secondo lui Neymar sul lato debole potrebbe avere gli effetti devastanti di Ronaldinho ai tempi di Rijkaard, quando il Barcellona svuotava appositamente il suo lato per mandarlo all'uno contro uno. Ha risposto che Neymar non ha la stessa visione di gioco, quindi no. Comunque vedo poche squadre che possano difendere al tempo stesso Messi sul lato forte, Neymar su quello debole, e i movimenti senza palla di Suarez. Tenendo presente che nei buchi si possono infilare giocatori come Iniesta e Rakitic.
Abbiamo parlato dell'intensità del calcio inglese e di quello tedesco e mi esporrò dicendo che preferisco la varietà del calcio spagnolo, per la sua profondità (anche le più “piccole” hanno una loro identità precisa e la rinascita del Villarreal è passata attraverso una ridefinizione del proprio gioco, anziché dalla campagna acquisti) e per le sue vette di eccellenza. Il ritmo è importante nel calcio, ma non è tutto. Anche la squadra con Bale esterno destro ha bisogno di Kroos, Modric o Isco a centrocampo. Pensate invece al centrocampo del City quando giocano Fernando e Fernandinho. Ecco.
Fulvio Paglialunga (@FulvioPaglia)
Ma perché volete costringermi a parlare di tattica? Io vi avverto: non mi avrete. Non perché non mi appassioni, ma venendo spesso in fondo alle vostre analisi potrei anche dire cose simili, ma peggio. E quindi parlo d’altro: di come ad esempio l’Atletico di ora potrebbe essere una squadra per cui sceglierei di tifare se rinascessi (ma non è quella, ovviamente: non è nessuna così in alto e dovreste saperlo) perché mi sembra una di quelle formazioni che gioca come il suo allenatore, una di quelle che ha anima e mettendola sa essere pure bella. A parte i quattro gol al Real (che poi, a parte cosa? Quattro gol così al Real vuol dire essere una squadra capace di tutto) è proprio il suo modo di essere che mi conquista e forse anche per questo ho tifato fortissimamente per la banda del Cholo nella finale dell’anno scorso (ovviamente, il tifo non è andato a buon fine). Mi piacciono i gruppi cazzuti, quelli che sì hanno le stelle (ad esempio Diego Costa) ma che soprattutto esprimono una forza totale maggiore della somma dei singoli. Non ho l’idea di una formazione di solisti e dunque diventa una cosa che mi intriga. Cioè: arrivasse l’Atletico fino in fondo non ci sarebbe scandalo per nessuno. A me, in più, piacerebbe molto. Gli capita il Bayer, che non è facile. Ma ormai l’ho detto.
Del Real tifo Ancelotti: uno dei tecnici che in Italia abbiamo maggiormente sottovalutato solo perché a noi piacciono spacconi e Carletto non lo è. Ha dei mostri in squadra, vero. Però ha quella qualità poco comune di saperli mettere anche tutti in campo. Certo, gli capitasse un’altra volta l’Atletico sul cammino non so come se la passerebbe, visto che i precedenti (a parte appunto la finale) sono anche un po’ la traccia di una sorta di soggezione, ormai. Come se la squadra sapesse di essere più forte ma avesse coscienza di poter andare sotto in un qualsiasi momento. E quando quel momento si materializza, di crollare.
Il Barcellona non so: qui davvero devo prendere in prestito un pezzo di quello che ha scritto Fabio più su (ecco perché dicevo…). Una squadra che ha quel potenziale offensivo può fare tutto. Ma non mi dà mai l’idea di essere “squadra” fino in fondo quando sta in campo. Forse questo è un problema mio con Luis Enrique. Del quale evidentemente non ho un’altissima considerazione.
Oscar Svensson (@blogistuta)
Amo l’Atletico di Simeone e il motivo è molto semplice: los rojiblancos generano speranza. L’evoluzione del calcio fa sì che i ricchi diventino sempre più ricchi, e tra poco saranno gli unici a poter vincere qualcosa.
Negli anni dei tanti clasicos (in finale di Coppa del Re, nelle partite decisive del campionato, persino nella semifinale della Champions) si diceva che da lì in poi sarebbe stato così ogni anno. Io a quei tempi pensavo che Barça e Real non avrebbero avuto Mourinho e Guardiola per sempre e che Messi e Ronaldo sono marziani, impossibile sostituirli con giocatori di pari livello. Pensavo che era solo questione di tempo, ma in realtà dovevo solo aspettare che El Cholo sedesse sulla panchina dell’Atletico, per rompere quel binomio con in comune solo i soldi.
L'Atleti ha dei grandi giocatori in rosa (adoro Koke e Griezmann è un crack assoluto) ma il loro segreto non è un segreto: è lavoro sporco, sacrificio e cuore. Sembra quasi una squadra modellata sui principi della canzone di Testaccio: petti d'acciaio, astuzia e core.
Come Daniele, per qualche motivo, anch'io avevo la sensazione che il ciclo stesse finendo, ma ora è difficile capire perché ero arrivato a pensarlo. Sono ancora forti: la perdita di Diego Costa è stata equilibrata dall'arrivo di Griezmann e secondo i miei calcoli l'Atletico è più o meno in pari (Costa + Villa = Mandzukic + Griezmann). Sarà l’anno della rivincita? Difficile, ma ci sono 180 minuti prima di andare fuori, e al momento è un dettaglio non irrilevante.
Per il Real Madrid siamo più o meno d’accordo su alcuni assiomi: 1) hanno perso qualcosa, anche se non si tratta di qualità; 2) devono fare in modo di stare lontani dall’Atletico; 3) restano tra i favoriti e una delle squadre più forti in circolazione. Hanno un sacco di centrocampisti che in qualsiasi altra squadra del mondo sarebbero i registi e gli si costruirebbe la squadra attorno. Invece Modric, Isco, Kroos e Rodriguez sono obbligati a condividere la stessa palla: per questo ringrazio Ancelotti. Ma il suo sistema dei tanti registi (la possiamo definire “la tetrarchia di Carletto”?) non è solo bellezza, crea anche dei problemi. Come avete detto sopra, un avversario organizzato potrebbe farli a pezzi. Poi c’è questa storia della difficoltà di vincere due anni in fila: di sicuro è difficile, ma non è una legge naturale.
Per quanto riguarda il Barcellona sono confuso. Suarez, per come la vedo, sta giocando alla grande, nonostante non stia (ancora) segnando come al Liverpool. Neymar è forse il giocatore più sottovalutato nella Champions (anche se non uno sconosciuto) e Messi è Messi. Ma il resto? Ormai gli equilibri sono spostati, e questa squadra ha poco in sé di quella di Guardiola. Non dubito che potranno battere chiunque, così come sono anche sicuro che possano perdere con chiunque. C’è poco da fare, non ci si può fidare di una difesa allenato da Lucho, el hombre vertical.
Ho visto cose che voi umani non potreste neanche immaginare, o magari potreste, vero Fulvio? Sarebbe strano vederli riconquistare la Champions con una rosa che sembra più un ritorno agli anni novanta che una continuazione del guardiolismo, ma chi ha detto che il calcio non sia strano?
La Juventus e le altre
Fabio Barcellona (@FabioBarcellona)
Rimangono solo 6 squadre, il che significa che agli ottavi più del 60% della competizione è occupato da Spagna, Germania e Inghilterra. E la percentuale salirà inevitabilmente andando avanti. Ma vi ricordate semifinali di Coppa Campioni come Roma-Dundee Utd? Il Dundee Utd! O Juventus-Widzew Lodz? Vabbè.
C’è il PSG. Mi ripeto che non posso tifare per una squadra che quest’estate ha speso 50 milioni per acquistare David Luiz e metterlo al centro della difesa. Oltretutto avendo già in rosa Thiago Silva e Marquinhos. Quelle poche volte che ho visto i parigini mi è parsa un squadra che gioca male, specie se si pensa ai giocatori a disposizione. Sembra che il progetto di Blanc sia semplicemente quello di tenere il pallone tra i piedi, senza però alcuna idea di come tramutare il possesso che la qualità dei calciatori garantisce facilmente, in capacità di essere effettivamente pericolosi. Il PSG è una squadra che tira poco in porta (in Ligue 1 è al quarto posto con 12.5 tiri a partita) e soffre squadre capaci di pressare in maniera organizzata. L’andata dello scontro col Chelsea si gioca a Parigi e non ho dubbi che Mourinho lascerà l’onere di fare la partita a Blanc, crocifiggendolo alle sue incapacità.
Poi c’è la Juventus. È stata abbastanza fortunata al sorteggio, pescando il Borussia Dortmund. E non perché la partita sarà semplice, ma perché quella tedesca è la squadra ideale per testare il livello europeo dei bianconeri: il Borussia è squadra di esperienza e blasone internazionale, gioca un calcio “europeo” se ne esiste uno (velocità, pressing e spregiudicatezza), ma non è ingiocabile come altre teste di serie. Passare il turno sarebbe importantissimo per fare aumentare la consapevolezza internazionale di tutto l’ambiente Juventus. La squadra di certo non è inferiore al Borussia Dortmund, anzi, e il 4-3-1-2 di Allegri, sebbene non perfetto, ha ridato freschezza alla squadra. E poi c’è da vedere Pogba in Europa.
Il Porto mi aveva impressionato ai preliminari contro il Lille. Meno quando l’ho vista in casa contro l’Athletic Bilbao. Di certo ha una quantità notevole di giocatori affascinanti e di talento (il dribblomane Brahimi, il sinistro vellutato di Quintero, il classe ’97 Ruben Neves, la mezzala messicana Herrera, il terzino Danilo e me ne dimentico qualcuno). Peccato che più che a un progetto tecnico le squadre portoghesi assomiglino ormai una sorta di catalogo di giocatori da piazzare sul mercato. Giocano contro il Basilea, da anni media borghesia europea, di cui so poco perché quest’anno non li ho mai visti giocare.
Lo Shakhtar Donetsk rimanda all’Ucraina, al fatto che giochino a Leopoli perché non è sicuro stare a Donetsk e alla Donbass Arena, danneggiata dai bombardamenti e utilizzata come centro logistico per lo smistamento di aiuti umanitari. Il presidente-magnate Rinat Akhmetov era un uomo del filo-russo Yanukovich e adesso non si sa bene quale sia la sua strategia per mantenere il suo potere nel Donbass. In mezzo a tutto questo la squadra, zeppa di brasiliani, ha talento e mister Lucescu, ma ha preso il Bayern Monaco. Peccato.
Chi rimane? Il Monaco. Mi mette tristezza. Non so, il mix tra il principe in tribuna, lo stadio vezzoso, i russi ricchi che sembrano avere sedotto e abbandonato i monegaschi, il gioco soporifero di mister Jardim, il fascino inesistente della squadra mi immalinconiscono e partite del Monaco non ne voglio vedere. Specie contro l’Arsenal.
Emiliano Battazzi (@e_batta)
Juventus-Borussia Dortmund è un bell’accoppiamento, soprattutto per nostalgici degli anni ’90. È vero che la Juve pesca la squadra di Klopp nel momento peggiore del suo ciclo, ma non so se essere quartultimi in Bundesliga aumenti la pressione o la diminuisca, visto che nessuno si aspetta che vinceranno la Champions. Di sicuro, rimane una squadra molto difficile, e ha ragione Fabio quando dice che è un test per i bianconeri: per capire se possono veramente competere con le grandi europee, e se reggono ritmi di molto superiori a quelli italiani. Anche a me il 4-3-1-2 convince molto, e poi Allegri in Champions ci sa fare, considerando che giocava con Emanuelson titolare.
Delle altre mi piace molto il Porto di Lopetegui, ex ct dell’Under-21 spagnola, che sta provando a ricreare in Portogallo: Tello, Oliver Torres, Adrian Lopez e persino José Ángel. In campionato non sta andando benissimo, è a quattro punti da un Benfica letteralmente smembrato in estate, ma è l’inizio di una rivoluzione, con il tentativo di trapiantare il gioco di posizione anche in Portogallo. A proposito, giocherà contro il Basilea della leggenda portoghese Paulo Sousa, che io ricordavo allenatore in Inghilterra ma poi pare abbia girato il mondo. Tiferò Basilea per un solo motivo: ci gioca (poco e niente) il mio idolo Walter Samuel.
Del PSG non mi convince nulla, ma era così anche l’anno scorso quando sono stati vicinissimi ad eliminare il Chelsea. Certo, i parigini non hanno fatto progressi dal punto di vista del gioco, Blanc potrebbe essere all’ultima stagione, ma con certi giocatori è difficile organizzare una squadra come unità armonica e compatta. Con Thiago-Verratti-Matuidi-Ibra secondo me puoi vincere con tutti anche se giochi male, soprattutto in una competizione come la Champions. L’altra francese, che poi francese per modo di dire, il Monaco, non mi piace per niente, anche se c'è Berbatov. C’è anche Stekelenburg (è il secondo portiere) e soprattutto Raggi, ex Empoli, a dare un senso alle fatiche dei giocatori di provincia. La cosa davvero affascinante è la sfida al passato, quella contro Wenger: persino nel Principato esiste la nostalgia.
Concludo con lo Shakhtar: ma quanto può essere ricco un presidente che riesce a non vendere i suoi giocatori neppure quando ha la guerra dentro casa? Caro Rinat Leonidovič Akhmetov, contro il Bayern non hai speranze! La squadra di Lucescu ha sempre giocato bene a calcio, ci sono grandi individualità, ma non ha scampo.
Fabrizio Gabrielli (@conversedijulio)
Supponiamo che, per valutarne il peso specifico, bastasse conteggiare quante rappresentanti ha ancora ogni paese europeo in Champions League: la Francia sarebbe seconda solo a Inghilterra, Germania e Spagna. Eppure non abbiamo fatto un paragrafo intitolato “le francesi”, e credo che in buona parte dipenda dal fatto che il Monaco è forse la più scialba delle squadre rimaste in ballo (per scialba intendo noiosa, e per noioso intendo un cordiale tipo l’amaro Averna), mentre il PSG, nonostante Ibra, Verratti, Cavani e compagnia danzante, sembra ancora ben lontano dallo sbocciare.
A febbraio non sboccia un bel niente, tantomeno i fiori di sambuco. Ai fiori di sambuco spetta il merito delle note fresche di pesca e pompelmo che sprigiona lo Spritz Hugo, un cocktail che a volerlo preparare bisognerebbe averci del St. Germain da mescolare a champagne (meglio se una melchizédec Ibra cuvée), scorza di limone, mela rossa e un rametto di esotica menta (sto pensando a David Luiz): ne verrebbe fuori una polibibita che mi sembra perfetta per racchiudere in un bicchiere tutta l’iconicità vaudeville del PSG. (Ho deciso di usare, per le ultime sei squadre, metafore pescate dal pescoso oceano dei long drink e dei digestivi).
Il Basilea mi richiama i sentori del Genepi, di erba medicinale gentile ma robusta, di liquore preferito dai travet, da chi fa sempre i compiti per benino pur non nutrendo particolari velleità, insomma: il cicchetto migliore per concludere le cene rotariane interlocutorie del mercoledì sera. Che in quanto del mercoledì sera resteranno sempre tali: interlocutorie. Il Basilea sfiderà il Porto guidato da Lopetegui e pieno come non mai di spagnoli. Mi sembra interessante la spagnolizzazione dei Dragões perché è come se Sherry e Porto si fossero fusi insieme nello stesso bicchiere: i giovani talenti è come fossero uve rigogliose fatte maturare e poi vinificate, ma appremurandosi di bloccarne la fermentazione, di mutizzarle, così da elevarne il residuo zuccherino e prepararsi a raccogliere, per ogni giocatore che finirà sul mercato dopo essersi messo in mostra, sonori schiocchi di lingua d’apprezzamento.
Dello Shakhtar non mi viene da dire gran che, anzi mi sembra che la loro ostinazione a voler continuare a fare calcio in una zona di guerra, a ostentare esotici brasiliani e budget faraonici abbia la stessa resa di una portata di astici e caviale se li accompagni con un kvas di segale. Vale a dire un apparente nonsense (ma chi dice che i nonsense non siano affascinanti proprio in quanto tali?).
Infine c’è la Juventus, che per qualificarsi agli ottavi ha faticato non poco e che si troverà di fronte il Borussia Dortmund. Beh, la Juventus è per tradizione, cliché e facilità d’accostamento la pizza. È vero, avevo deciso di focalizzarmi sui digestivi. E questa Juventus non è la pizza di Gabriele Bonci: ma da qualche parte bisognerà pur ricominciare da capo. Anche a vincere, o almeno a guadagnarsi credibilità.
Daniele Manusia (@DManusia)
Mi piacerebbe coltivare il sogno di un Borussia retrocesso che vince la Champions ma, per quanto sia possibile a un romanista, spero che quest'anno la Juve arrivi il più lontano possibile. È una squadra che conosco bene, che ho iniziato a conoscere perché la odiavo, che mi faceva pena ai tempi di Delneri, di cui vedevo solo la forza fisica all'inizio dell'era Conte. Poi si cambia idea. Ho iniziato ad apprezzare i movimenti studiati, il centrocampo di giocatori completi irradiati dal sole di Pirlo. L'idea di calcio di Vidal, Marchisio, persino di Pogba, che in una squadra diversa forse avrebbe già imposto il suo gioco su quello dei compagni, non è l'ideale (non è il calcio totale) ma mi piace e la invidio ai tifosi juventini. Soprattutto è il contrario del modo in cui di solito si descrive la Juventus, il contrario dell'arroganza, il contrario del potere politico.
Mi infastidisce l'incapacità dei tifosi delle altre squadre di riconoscere la loro superiorità, le polemiche su rigori, fuorigioco ecc. (mi infastidisce in ugual modo la paranoia juventina che alimenta polemiche stupide consapevolmente, perché è divertente prendersela con gli spavantapasseri). In sintesi: vorrei che una squadra che conosco bene e apprezzo ottenesse qualcosa anche in Europa, pensando anche che quest'estate potrebbe cambiare parecchio. Vorrei che Tevez dimostrasse il suo reale valore di uomo squadra in un quarto di finale importante magari contro gente tipo Yaya Touré e il Kun Agüero. Vorrei che la Juventus diventasse fonte di ispirazione per altre squadre italiane di livello, anziché una nemica da abbattere restando ciechi su cosa la rende migliore. Una squadra che ha saputo cambiare sistema di gioco, e allenatore, senza perdere la propria identità (la Roma l'ha persa senza toccare praticamente niente).
Per ragioni opposte a quanto detto qui sopra non vedo l'ora dell'ennesimo tonfo del PSG, che quest'anno sembra non poter vincere neanche il campionato (e se lo vincesse il Lione dell'ex Jallet, di Lacazette, Fekir e gli altri del settore giovanile, con Gourcuff in campo a singhiozzo come unico grande acquisto, sarebbe davvero da ridere). A meno che Ibra torni quello di un anno fa. Mi piacerebbe vederlo vincere la Champions da solo, disprezzando avversari, compagni, giornalisti, tutta Parigi, tutto il mondo del calcio, alzare la Champions e poi stritolarla tra le proprie mani, farla a pezzi davanti a Platini, cominciare la fase distruttiva della rivoluzione anarchica e passare alla storia con il nome di Ibrakunin.
In ogni caso una tra Porto e Basilea la vedremo anche ai quarti e questa mi sembra una bella cosa. Magari un giorno Porto-Bayern di Monaco potremo vederla solo ad agosto, in amichevole, ma dato che a calcio si gioca undici contro undici (e come diceva un mio allenatore: “Gli avversari hanno due gambe come noi”) mi piace pensare che tutto è possibile dai quarti in poi. In fondo il Basilea ha eliminato il Liverpool pareggiando fuori casa nello scontro decisivo e il Porto non ha ancora perso in Champions League.
Sul Porto però ha ragione Fabio: sembrano un catalogo per club davvero ambiziosi. Tifare per loro sarebbe come esaltarsi per Guardians of the galaxy, un prodotto apparentemente di nicchia che in realtà interpreta in modo convenzionale i codici del mercato. A questo punto preferisco la decadenza di Monaco e Shakhtar. Il Monaco, tra l'altro, ha giocatori che mi piacciono molto (Joao Moutinho, il malinconico Toulalan, Kondogbia, Kurzawa) e contro l'Arsenal secondo me se la gioca alla pari.
E poi c'è la Roma. Ah, no. Non c'è.
Oscar Svensson (@blogistuta)
Porto-Basilea: non ho visto il Basilea giocare neanche un minuto in questa stagione, forse arrivo a dieci minuti se aggiungiamo le ultime cinque. Forse. Quindi stavo pensando di limitare il mio intervento dedicando un pensiero a Walter Samuel, poi ho scoperto che non gioca mai ed è stata una tremenda delusione. Per il Porto vorrei fare un breve discorso sulla spagnolizzazione dei Dragões (cit. Fabrizio): mi fa abbastanza schifo. Potrebbe essere una mossa intelligente, in particolare se guardiamo ad ogni elemento per sé, senza contesto. Prendere l’ex CT dell’U21 spagnola mi pare un'idea brillante. Oliver Torres è un gran bel giocatore e Adrian Lopez potrebbe funzionare in un campionato meno competitivo di quello spagnolo. Ma c’è sempre un contesto, e in linea di principio i tentativi a cambiare il DNA di un club in un solo colpo sono da condannare. Valeva per il Valencia italianizzato dieci anni fa e vale per questo Porto spagnolo. Spero di potermi godere Brahimi e Quintero, per il resto niente.
Bayern-Shakhtar: mi piace l’atteggiamento testardo che Lucescu è riuscito a infondere nello Shakhtar. È già un miracolo che siano arrivati a questo punto della competizione, considerata la situazione a Donetsk e dintorni. Ma si sa che i miracoli, prima o poi, finiscono. Non vedo spazio per un risultato a sorpresa, avanti il Bayern.
Juve-Dortmund: a dire il vero, non so come andrà sul campo. I tedeschi sono in grado di complicare la vita alla Juve, ma quanto inciderà la stagione particolare dei gialloneri? Non mi stupirei nel vedere la Juve dominare la partita. Ma non mi stupirebbe neanche vedere un Dortmund affamato, con niente da perdere, andare a mille all’ora. Quindi non so. Il mio interesse per questo confronto è tutt’altro che altruistico: si giocherà per la salute della Serie A, non solo per quella della Juve. Provo a spiegarmi: da romanista, sarebbe meglio arrivare dietro a una Juve che va forte in Champions piuttosto che a una che non riesce mai a lasciare un segno a livello internazionale. È una cosa piccola, lo so, ma lasciatemela. E poi se venissero eliminati a questo punto credo ci sarebbero delle conseguenze pesanti per la società in estate, e quindi per la Serie A. Di questo ciclo vincente della Juve fatico a ricordare un singolo risultato o anche solo una prestazione notevole e/o impressionante in Europa. Ora o mai più?
E alla fine, il PSG. Sono tentato di citare Fabio, “non posso tifare per una squadra che quest’estate ha speso 50 milioni per acquistare David Luiz e metterlo al centro della difesa. Oltretutto avendo già in rosa Thiago Silva e Marquinhos”, e chiudere il mio discorso così. Aggiungo però un paio riflessioni: il PSG è in uno stadio avanzato del suo progetto. Hanno giocatori forti, alcuni fortissimi, ma manca una singola idea, un’identità. Comprare i giocatori più forti disponibili è un modo facile per costruire un grande club. Un centrocampo con Verratti, Cabaye, Thiago Motta, Pastore e Matuidi (non tutti insieme però!) avrà sempre una possibilità di passare il turno; lo stesso di può dire di una difesa che in teoria potrebbe (dovrebbe) essere formata da Thiago Silva e Marquinhos. Ma i punti deboli dei parigini, cioè quasi tutto ciò che riguarda lo stile di gioco, la tattica, tutte le cose più importanti insomma, sono del tipo che non possono passare inosservati a Mourinho. E quando Mourinho nota qualcosa del genere... beh. La differenza tra Mourinho e Blanc potrebbe essere il fattore determinante della sfida.
Fulvio Paglialunga (@FulvioPaglia)
Da quando la Champions è diventata anche un prodotto così televisivo ci affranca dal dovere di tifare per un'italiana per poter continuare a vedere le partite (era così, lo ricorderanno i meno giovani, con la Coppa dei Campioni). Quindi, non sono tenuto a tifare Juve e non lo è nessuno (anzi, gli juventini sanno praticamente di avere tutti contro tranne, paradossalmente ma in modo molto tiepido, i romanisti che sperano vadano avanti per stancarsi un po', anche se forse è tardi). Però mi piacerebbe vederla ai quarti, perché solo un'idea anche leggera di poter competere con le migliori a livello europeo può dare al calcio italiano la possibilità di tornare a pensare più in grande, senza rinchiudersi nel recinto delle linee tracciate davanti allo schermo e ai noiosi ragionamenti sulle prospettive e gli screenshot.
Poi, se la Juve dovesse superare il Borussia, che è sempre squadra temibile in Champions quanto in crisi nel proprio campionato, tutto avrebbe persino un valore simbolico. Il punto è se la Juve ha una dimensione europea e di questo ancora non sono sicuro: certo non era facile a gennaio trovare qualche giocatore da poter inserire anche nelle liste di Champions, ma non averlo nemmeno cercato un po' mi ha fatto pensare a una società già soddisfatta di essere di nuovo vicina al successo in Italia. No, non è la partita con il Cesena che farà testo. Altrimenti che dovremmo dire del Dortmund?
Vorrei dirvi che conosco tutto del Basilea e atteggiarmi un po', ma non ho proprio idea perché non ho visto niente di loro e so soltanto che hanno eliminato il Liverpool, che a un certo punto di questa stagione poteva riuscire a chiunque. Quindi contro gli svizzeri passa il Porto, uno di quei misteri del calcio che prima o poi verrà sepolto dai suoi intrecci di mercato e giri di Tpo. Se la domanda è per chi tifo dico Basilea, se è chi passa il turno dico Porto. Ma forse non c'era nessuna domanda all'inizio del pezzo e quindi me la sono fatta da solo. E ci sta.
Sullo Shakhtar abbiamo già detto tutto, sulla loro capacità di tenere il calcio in alto anche nel bel mezzo della guerra e, anche se non è la missione che stanno inseguendo (che invece è giocare a calcio e vedere fin dove riescono ad arrivare), riescono a mandare il messaggio di un pallone più forte di tutto e di una forza incredibile, per restare in piedi tra tanti detriti. Se poi penso che nella breve e fragile tregua dei giorni scorsi i militari si sono messi a giocare a pallone non trovo che conferme di quale sia il potere del calcio. Che poi però si gioca e dunque siccome lo Shakhtar ha il Bayern Monaco di fronte il romanzo avrà come finale triste l'eliminazione.
Il PSG non mi piace: è una squadra costruita solo con i soldi. Ma se andasse avanti ci darebbe almeno modo di vedere quella meraviglia di Ibra, il migliore. Anche a me, come nel caso di Fabio, il Monaco mette tristezza.