A un certo punto avevo pensato di dare a questo articolo la struttura di una di quelle liste virali di Buzzfeed, una cosa tipo: “48 Motivi Per Cui Quest'Estate Non Potrete Che Tifare Bosnia”. Poi ho desistito, anche per non giocarmi in eterno ogni possibilità di collaborazione con l'Ultimo Uomo, ma avevo delle buone ragioni—non so se sono proprio 48, ma era per rendere l'idea. La Bosnia ed Erzegovina è l'unica squadra esordiente a questi Mondiali di calcio: un tempo ce lo saremmo fatto bastare. È anche la squadra di una nazione giovanissima nata al termine di una guerra che è finita l'altro ieri e che ha coinvolto direttamente—da una parte e dall'altra—molti dei suoi giocatori e delle loro famiglie. Basta, no? Comprati a vita. Forza Bosnia. Vogliamo la favola. Invece c'è molto altro.
UN GROVIGLIO DI PRESIDENTI E SPAREGGI COL PORTOGALLO
Tra le altre cose, gli accordi di Dayton che misero fine alla guerra civile degli anni Novanta divisero la Bosnia in due entità—la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, popolata soprattutto da bosgnacchi e musulmani croati, e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, popolata soprattutto da serbi—più il distretto autonomo di Brčko, un pezzetto di terra popolato per la maggior parte da bosgnacchi e ancora sotto la supervisione della comunità internazionale. Dato che le persone avevano smesso di ammazzarsi appena un attimo prima, si stabilì che venissero eletti a suffragio universale non uno ma tre presidenti della Repubblica e che ogni “regione” avesse un suo Parlamento locale. Anche la federazione calcistica nazionale fino a qualche tempo fa aveva tre presidenti—li avrebbe tutt’ora, non fosse intervenuta duramente la FIFA qualche anno fa.
In questo contesto di convivenza delicata e forzata, nel 1995 nasce la Nazionale di calcio. Comincia dalle qualificazioni ai Mondiali del 1998: finisce nel girone con la Croazia e per evitare guai si decide di giocare una delle due partite in campo neutro, a Bologna: quarto posto, niente fase finale. Poi le qualificazioni agli Europei del 2000: terzo posto, niente fase finale. Poi le qualificazioni ai Mondiali del 2002: quarto posto, niente fase finale. Cambiano un paio di allenatori, qualcosa comincia a muoversi. Qualificazioni agli Europei del 2004: quarto posto ma a due punti dal primo e a un punto dai playoff. Qualificazioni ai Mondiali del 2006: ancora quarti, ma incontrando due volte la Spagna senza perdere mai. Intanto qualcosa cambia ancora, su un altro fronte: nel 2007, meno di dieci anni dopo la partita di Bologna, si gioca un'amichevole contro la Croazia: stavolta a Sarajevo. Però la Bosnia arriva quarta di nuovo, anche alle qualificazioni per gli Europei del 2008.
Si cambia allenatore di nuovo, iniziano a venir fuori alcuni promettenti giocatori che avevano fatto parte di una divertente Nazionale bosniaca Under 21. La Bosnia arriva a giocarsi la qualificazione ai Mondiali del 2010 in uno spareggio contro il Portogallo, ma perde 1-0 sia all'andata che al ritorno. Due anni dopo la storia si ripete: di nuovo uno spareggio contro il Portogallo, stavolta per arrivare alla fase finale degli Europei del 2012. All'andata la Bosnia pareggia in casa 0-0 ma al ritorno il Portogallo passa 6-2. Bisogna aspettare altri due anni perché la Bosnia riesca a qualificarsi per la prima volta a un grande torneo internazionale, i Mondiali del Brasile, stavolta senza passare dagli spareggi e con dei numeroni: primo posto nel gruppo G, 25 punti in 10 partite, 30 gol fatti e 6 subiti. È nata una squadra e non si è capito se ci è voluto tanto o se ci è voluto poco.
Miralem Pjanić piange dopo la vittoria che rende sicura la qualificazione della Bosnia ai Mondiali.
SAFET SUŠIĆ, IL MIGLIORE
L’allenatore della Bosnia si chiama Safet Sušić, se avete più di trent'anni probabilmente lo conoscete: negli anni Ottanta fu un fortissimo trequartista del Paris Saint-Germain. Giocò a Parigi 343 partite e segnò 172 gol, da trequartista; non vinse niente però nel 2010 i lettori di France Football lo scelsero come miglior calciatore della storia del Paris Saint-Germain—meglio anche di Weah e Ronaldinho—e in patria lo considerano il miglior calciatore bosniaco degli ultimi cinquant’anni. In Bosnia è una specie di leggenda vivente, nonostante non abbia fatto moltissimo dopo aver smesso di giocare: ha allenato soprattutto cinque mediocri squadre turche, passando da un esonero all'altro e durando di solito non più di 10-15 giornate. La Bosnia però gli è venuta bene.
Safet Sušić non era il massimo dell'eleganza ma gli riusciva più o meno tutto.
CHE SQUADRA È
Sušić ha cambiato più volte idea su come far giocare la Bosnia. Fino al primo spareggio contro il Portogallo preferiva usare un 4-2-3-1 con Edin Dzeko unica punta davanti a Miralem Pjanić (a destra), Zvjezdan Misimović (al centro) e Senad Lulić (a sinistra). Durante il secondo spareggio contro il Portogallo fece una cosa mai vista: tra il primo e il secondo tempo cambiò la posizione in campo di otto giocatori, tutti esclusi Pjanić, Dzeko e il portiere. La svolta è arrivata col passaggio a un modulo più offensivo, che ha dato i suoi frutti: un 4-1-3-2 con i terzini molto aggressivi, che quando gli avversari hanno la palla si trasforma in un 4-3-1-2. È una squadra coraggiosa e divertente da vedere, ma paga la carenza della rosa in alcuni ruoli—è imbottita di centrocampisti con i piedi buoni ma le manca un vero mediano—e una certa disorganizzazione nella fase difensiva, che ogni tanto sembra quasi improvvisare.
Il portiere titolare è l'affidabile Asmir Begović dello Stoke City. Il terzino destro è teoricamente il trentenne Mensur Mujdža del Friburgo, reduce però da qualche infortunio: non arriva in Brasile al massimo della forma. Il terzino sinistro sarà Sead Kolašinać dello Schalke 04, che ha vent'anni, è nato a Karlsruhe, ha fatto tutta la trafila delle Nazionali giovanili tedesche e sei mesi fa ha deciso di giocare per la Bosnia: uno da tenere d'occhio. Al centro il titolare inamovibile è Emir Spahić, il capitano, roccioso (a volte un po' troppo) difensore del Bayer Leverkusen, mentre l'altro posto da titolare al suo fianco andrà a uno tra Ermin Bičakčić dell'Hoffenheim e Muhamed Bešić del Ferencváros, un promettentissimo ventunenne con un anticipo notevole che potrebbe anche essere provato come schermo davanti alla difesa. Sušić ha detto di considerare Bešić l'unico calciatore tra i convocati che possa marcare Leo Messi.
Il gol segnato da Begović contro il Southampton.
La prospettiva di vedere Bešić a centrocampo non è così remota, perché alla Bosnia sembra mancare esattamente un buon giocatore con quelle caratteristiche: uno che sappia recuperare palla, che all'occorrenza possa abbassarsi fino alla linea dei difensori ma che sappia far girare il gioco, facendo qualcosa di simile a quello fatto quest'anno da Daniele De Rossi con la Roma. Anche perché il resto del reparto è fatto tutto da palleggiatori e anche piuttosto leggerini, non ci sono gli equivalenti di Kevin Strootman o Radja Nainggolan: Haris Medunjanin è un centrocampista centrale molto mobile e con un bel piede sinistro, ma non esattamente un frangiflutti; Zvjezdan Misimović è un classico numero 10 dalla grande esperienza, ma non è più la colonna del Wolfsburg che vinse la Bundesliga e a gennaio è andato a giocare in Cina; Miralem Pjanić prova a dirigere l'orchestra ma si ritrova a volte a pestarsi i piedi con i primi due, e comunque non è un incontrista. Senad Lulić è un terzino a cui viene chiesto di fare l'interno di centrocampo se non addirittura l'ala, ed è l'unico in grado di portare al reparto un po' di dinamismo e velocità.
Come la Bosnia dovrebbe giocare contro Nigeria e Iran.
Stando a quanto si è visto nelle partite più recenti, è plausibile che la Bosnia utilizzi contro Iran e Nigeria il suo modulo preferito: quello offensivo col solo Medunjanin davanti alla difesa e Pjanić, Misimović e Lulić dietro alle due punte, Edin Dzeko e Vedad Ibišević, che sono stati la miglior coppia d'attacco nelle qualificazioni europee ai Mondiali. Contro l'Argentina, invece, come già accaduto contro la Francia nel 2012 e in generale contro le squadre più forti, Sušić dovrebbe usare un 4-2-3-1 più accorto: con Bešić e Medunjanin davanti alla difesa e una sola punta in campo, Dzeko. L'utilizzo di questo schema sarebbe suggerito anche dal fatto che Sušić ha sorprendentemente deciso di portare ai Mondiali solo due attaccanti di ruolo, proprio Dzeko e Ibišević, affiancati dall'ala Edin Visca. D'altra parte però la Bosnia ha giocato tutte le partite delle qualificazioni con due punte in campo e lo stesso Sušić ha detto poco tempo fa che «non potremmo giocare in un altro modo. Abbiamo due giocatori fantastici, non ho mai preso in considerazione l’ipotesi di giocare con un altro modulo».
Come la Bosnia dovrebbe giocare contro l'Argentina e le avversarie più forti.
PRESENTE E PASSATO
Può funzionare, la Bosnia? La partita del 16 giugno contro l'Argentina darà qualche risposta, anche se sarà la meno importante delle tre. Ma è interessante che per un mese e soltanto per un mese una domanda generica come “può funzionare, la Bosnia?” oppure “come va la Bosnia?” possa riguardare qualcosa di diverso dalla politica e dalla storia. I piani si intrecceranno. Prima dell'inizio di ogni partita della Bosnia ai Mondiali, è possibile che un telecronista racconti questa storia: che l'inno nazionale della Bosnia è stato per anni uno dei quattro al mondo senza un testo, per evitare frasi o formule che potessero alludere a un'etnia o a un episodio storico in particolare; che nel 2009 il Parlamento ha approvato un testo che si conclude con «Mi idemo u budućnost, Zajedno!» (“Andiamo verso il futuro, insieme!”); che i calciatori però ancora non lo cantano, forse perché è molto recente. La volta che Begović parerà un rigore, qualcuno ricorderà che ha vissuto parecchi anni in Canada, dopo essere scappato dalla Bosnia quando era bambino. Quando Ibisević segnerà un gol decisivo, si parlerà della fine orribile che fecero gli abitanti del suo villaggio e di come anche lui fu costretto prima a nascondersi in un buco e poi a lasciare la Bosnia, quando aveva sette anni.
I piani si intrecceranno e credo che ai calciatori della Bosnia—che sono serbi e croati, musulmani e ortodossi—non interessi separarli, anzi. «Hanno trovato un modo di fare quello che molti loro connazionali non sono ancora riusciti a fare», ha raccontato Wright Thompson per ESPN, «cioè vivere insieme come vivevano prima della guerra». Thompson racconta soprattutto la storia di Ibišević, l'autore del gol che ha portato la Bosnia ai Mondiali. «La gente degli altri Paesi non lo capisce. Per loro è solo un'altra partita di calcio, e il gol che ho segnato è soltanto un gol. Ma non è soltanto un gol. Chi mi conosce, chi conosce la mia famiglia, sa che non è così. Non è soltanto un gol. È molto di più. È tutta la storia. Io amo la mia squadra. Amo i miei compagni, anche solo per il fatto che andiamo perfettamente d'accordo. Nessuno ha problemi con nessuno. Abbiamo in squadra persone molto diverse tra loro e stiamo tutti bene. Amo proprio questa cosa. È come se stessimo dimostrando al Paese intero che la Bosnia può funzionare».