
Pur avendo perso le prerogative di avanguardia nel discorso tecnico e tattico, i tornei estivi per Nazionali mantengono ancora la capacità di generare un’enorme attenzione mediatica attorno a quei giocatori che hanno la bravura e la fortuna di sfoderare una grande prestazione al momento giusto. Lasciando intravedere mezzi tecnici evidenti abbinati magari a un’età che lascia sognare margini di crescita senza limiti.
È a quel punto che nasce un interesse tanto forte da far abbandonare ogni prudenza nei giudizi. Una reazione che spesso esce dai confini del razionale, visto che l’attuale livello di scouting dovrebbe permettere di conoscere in anticipo qualsiasi giocatore partecipante a un grande torneo internazionale. Ma, per quanto illogica possa sembrare, è la realtà che spesso governa il mercato attuale. Se i veri fenomeni si consacrano nelle notti di Champions, niente riesce a muovere i giocatori più delle notti estive.
A Marko Pjaca è bastata la partita giocata contro la Spagna per far scattare il meccanismo. La partita tra Spagna e Croazia era una delle più importanti della fase a gironi e chi ha seguito l’Europeo non se l’è persa. Impossibile frenare l’entusiasmo dopo averlo visto scherzare la transizione difensiva spagnola a piacimento. Uno dei più grandi talenti croati, con già un anno di Champions League alle spalle con partite contro Arsenal e Bayern, è passato in 90 minuti dall’essere un giocatore mezzo sconosciuto, difficile da decifrare, al desiderio proibito di mezza Europa.
Le squadre che già seguivano seriamente Pjaca da anni, e che si sono subito attivate dopo la partita con la Spagna, sono state principalmente le italiane. Il modo in cui Pjaca si è mosso in campo ha forse toccato delle corde profonde del nostro gusto calcistico. Il modo con cui sembrava più veloce e reattivo di chiunque altro in campo, la sensazione di totale imprevedibilità in movimento che lo circondava, la ferocia e la determinazione con cui eseguiva ogni singolo gesto. C’entra forse il fatto che abbiamo inventato il futurismo?
Pura velocità
Come fosse una sorta di incarnazione dell’ideale futurista, Pjaca è pura velocità e potenza in controllo: nel calcio tanto bloccato visto agli Europei, le sue cavalcate palla al piede e i suoi dribbling nello stretto hanno tentato di modificare l’intero contesto di gioco. Frutto forse di un pool genetico particolarmente fortunato (con una madre campionessa di judo e un padre famoso ex lottatore), nel dinamismo tecnico di Pjaca non c’è niente di davvero rivoluzionario per un calcio che ha avuto già Robert Prosinecki. Quello che però lo distanzia dai suoi connazionali è il rapporto che c’è tra queste doti atletiche e la velocità con cui controlla il pallone.
Se Prosinecki sembrava correre dritto affettando il campo su binari immaginari, Pjaca sa muoversi su direzioni e direttrici sempre diverse. La palla gli rimane sempre attaccata al piede, a disposizione per un dribbling improvviso eseguito a grande velocità. In un calcio sempre più organizzato nei minimi dettagli e dove hanno sempre più importanza i giocatori in grado di portare la superiorità numerica nella zona dove si trova il pallone, Pjaca è già adesso un profilo in grado di fare la differenza.
Il repertorio a disposizione di Pjaca per saltare l’uomo è vasto e va dalla pura tecnica all’esuberanza fisica tipica di un calciatore contemporaneo (186 cm per più di 80 kg). La scelta dell’azione non sembra mai premeditata, ma frutto della velocità di esecuzione e del ricco bagaglio da cui attingere. Pjaca sfrutta la sua velocità per rendere anche la finta più banale una sfida per l’avversario. In una recente intervista ha dichiarato di ispirarsi a Ronaldinho, a cui lo accomuna proprio la velocità di esecuzione. E se per quanto riguarda la tecnica, e anche l’estro, ci sarà, com’è normale, sempre un solco tra Pjaca e Ronaldinho, il croato riporta in piccola scala la formula vincente del suo idolo.
Pjaca fa parte di quella categoria di giocatori ultramoderni in grado di abbinare velocità a potenza a tecnica e abilità negli spazi stretti. Quello che sembrava quasi impossibile anni fa, prima dell’arrivo di Ronaldo (Il Fenomeno), e che ora è diventato quasi normale se pensiamo a giocatori come Bale e Douglas Costa. E nulla vieta a Pjaca di arrivare quanto meno vicino alla capacità che hanno questi giocatori di incidere con il pallone, di rendere vana qualsiasi marcatura individuale.
Dove massimizzare i profitti di Pjaca
Per sfruttare queste sue peculiarità le squadre in cui ha giocato lo hanno schierato dove potesse portare fuori equilibrio il sistema avversario. Nella Lokomotiva, dove ha esordito da professionista, giocava indifferentemente da ala destra o sinistra; nella Dinamo fin da subito anche al centro. La scorsa stagione ha giocato in ogni posizione: nelle sei partite dei preliminari di Champions League è partito a sinistra tranne che in due, dove ha iniziato dietro le due punte; nel girone invece sia punta, che trequartista, ma anche ala sinistra o destra. In Nazionale invece nelle 11 presenze è partito sempre ala destra, un ruolo che per evidenti doti naturali gli calza a pennello.
Pjaca può massimizzare il proprio valore giocando esterno d’attacco, da sinistra per esempio può rientrare sul destro e cercare la porta mentre a destra può arrivare più direttamente sul fondo. Eppure, per certi versi, sarebbe uno spreco togliere Pjaca dal centro. Ad alti livelli nel calcio contemporaneo vince chi domina il centro e spostarlo sulla fascia limiterebbe la sua influenza sul gioco, oltre a reprimere la sua insospettabile vena associativa.
Vederlo correre e tentare sempre di saltare l’uomo potrebbe far pensare a un giocatore troppo concentrato nel proprio gioco per scambiare con i compagni con continuità. Invece Pjaca è sempre pronto a trovare un appoggio, a chiudere un triangolo e a cercare il giocatore vicino se tra le linee. Decisamente meglio quando può associarsi che quando deve muoversi senza palla per ricevere in profondità. Non è affetto quindi da quella “visione tunnel” che porta molte ali a chiudersi da subito nella scelta iniziale.
Per assurdo potremmo dire che quest’assenza di monomaniacalità limiti Pjaca, che arriva a tirare in porta meno di quanto potrebbe. In Champions League quest’anno ha avuto una media di 1.2 tiri per 90 minuti. Un dato per nulla entusiasmante per un giocatore che ha esordito nelle prime due partite addirittura da attaccante centrale.
Per quanto questo dato nasca anche dalla forza delle squadre affrontate rispetto alla propria - Arsenal e Bayern -, tanto che Dinamo Zagabria ha segnato due gol su azione in tutto il girone, resta il fatto che non abbiamo un campione abbastanza grande di partite contro difese organizzate per poter giudicare davvero il suo rapporto con la porta.
In genere se ha tempo di caricare il tiro la forza che imprime sul pallone è tale da renderlo pericoloso anche dalla lunga distanza. Una situazione di gioco che può pesare ad ogni livello e categoria. Anche se la sua precisione può ancora migliorare.
Sul colpo di testa al momento c’è bisogno di partire proprio dalle basi, sia per la tecnica di salto e di impatto che di scelta del tempo. Il fisico non comune, l’esplosività nelle gambe e la giovane età lasciano però pensare a dei margini di crescita. Quando riceve spalle alla porta non ha problemi a proteggere il pallone in attesa di un compagno o a partire direttamente da questa posizione per trovare il modo di liberarsi dell’avversario. È un gioco tremendamente efficace per un giocatore che viene associato al ruolo di ala.
Pjaca usa il corpo per appoggiarsi all’avversario mentre fa scivolare la sfera sotto il piede. A quel punto prende tempo tempo in attesa di trovare il momento per far partire la scossa, eseguendo il movimento per liberarsi quell’attimo più veloce dell’avversario: girarsi, sganciarsi e partire in diagonale, o semplicemente prendere tempo in attesa dell’arrivo di un compagno su cui scaricare il gioco.
Questa sua attitudine naturale alla protezione del pallone va quasi in controtendenza con il gioco verticale e aggressivo che esprime fronte alla porta e dimostra i margini di utilizzo al centro. Da quella posizione Pjaca trova soluzioni non banali, anche se non sempre precise e spesso per compagni che non sono alla sua altezza. Anche quando chiama semplicemente un triangolo per risalire il campo o si appoggia dopo una conduzione spezzalinee.
Per un giocatore in grado di far gravitare su di se più di un avversario, creando superiorità numerica costante, avere l’opzione di un compagno avanzato fa la differenza tra un dribblomane velleitario uno in grado di distruggere un sistema difensivo.
Rubati a Ronaldinho.
Mettetevi nei panni del centrale che si vede arrivare questo cavallo imbizzarrito che lo punta con accanto due compagni che possono sfruttare lo spazio dietro la linea per attaccare la porta e il povero centrale non può neanche sapere quale dei due verrà servito. Forse adesso Pjaca non è ancora pronto per giocare al centro della trequarti contro difese che non lasciano la profondità alle spalle, ma svilupparlo in quella direzione non sarebbe un progetto troppo distante per la Juve. I piccoli dettagli che fanno vedere un giocatore in grado di leggere la difesa e gestire il pallone partendo trequartista ci sono tutti.
Forse il vero problema di averlo al centro sorge per quanto riguarda i compiti difensivi. Nella Dinamo Pjaca non ha mostrato certo grande attitudine al recupero di palla immediato. Schierato sulla trequarti al momento rappresenta più che altro una minaccia di ripartenza che un giocatore realmente attivo in fase di non possesso.
Un atteggiamento conservatore che non porta grandi problemi quando gioca sull’esterno avendo come solo compito quello di frapporsi tra il terzino avversario e il campo alle sue spalle. L’Europeo ha portato solo la partita contro la Spagna come esempio di un Pjaca totalmente inserito nell’idea di non dover usare solo il proprio fisico anche in fase difensiva. Non ha avuto problema ad andare in contrasto e a spendersi in accorciamenti improvvisi sul portatore facendo valere il gap atletico contro chiunque fosse in campo con la maglia diversa dalla sua. Si è quindi mosso tantissimo per non lasciare mai il solo Srna contro due avversari in fascia, e soprattutto contro il gap atletico che poteva creargli Jordi Alba. Ed è anche ripiegato più di quanto era lecito aspettarsi contro il Portogallo, sebbene in un contesto di gioco poco utile da usare come esempio della sua attitudine, visto che è entrato a squadra già stanchissime.
L’idea che mi sono fatto è quella di un giocatore che nel giusto contesto non ha problemi ad impegnarsi dal punto di vista difensivo e che può essere utilissimo per gli evidenti attributi atletici e fisici, ma che potrebbe metterci del tempo ad adattarsi a farlo in modo continuato. Nella Dinamo di fatto non doveva difendere e gli veniva chiesto solo di mantenere la posizione in Champions League. È chiaro che nella Juventus questo non sarà abbastanza.
E nella Juve?
L’aspetto difensivo alla fine indirizzerà la posizione in campo di Pjaca. Il periodo di adattamento, tanto nell’attitudine quanto alla capacità di letture, rischia di far saltare da subito l’idea di averlo come opzione a destra del 3-5-2. Anche se averlo sulla fascia potrebbe massimizzare i profitti delle sue conduzioni palla al piede, da sempre oro in Serie A (Bruno Peres!).
Ma avendo appena preso Dani Alves, e non potendo sapere in quanto tempo possa imparare il lavoro difensivo richiesto (parlo di tempo perché sono fiducioso del fatto che sarebbe solo quello il problema), penso sia una opzione da escludere a priori. Il ruolo di ala nel 4-3-3 causerebbe una modifica del contesto in cui la stella Dybala ha dato il meglio la scorsa stagione, e questo sembra un progetto che potrebbe arrivare a stagione in corso.
Nei primi mesi probabilmente Allegri userà Pjaca centrale, sia da seconda punta che da trequartista, a seconda del modulo scelto. Nel brevissimo periodo la cosa più semplice è immaginare Pjaca come arma tattica a partita in corso, in grado di spezzare la partita in due a squadre già stanche e con gli spazi che si aprono. Provando invece a immaginare il lungo periodo è da escludere un suo utilizzo da prima punta. Con la Dinamo l’ha fatto con due attaccanti esterni accanto, potendo partire praticamente da fermo: una situazione ben diversa dai movimenti richiesti a una coppia centrale.
Come trequartista Pjaca potrebbe invece essere una sorpresa positiva nella Juventus, soprattutto per le sue qualità più evidenti: la capacità di conduzione fronte alla porta, la predisposizione ad associarsi a compagni tecnicamente molto superiori a quelli della Dinamo Zagabria. Allegri ha una visione quasi meccanica del ruolo di trequartista, quindi Pjaca dovrebbe solo imparare i meccanismi voluti dal tecnico dopo la ricezione del pallone. Per il resto la tecnica di base e la velocità di esecuzione ne garantirebbero la riuscita, aumentando in modo notevole il potenziale della Juventus per dominare il centro del campo. Stesso approccio nel caso dovesse giocare seconda punta, dove non avrebbe problemi a mimare i movimenti già di Dybala, ma questo porterebbe la Juventus a dover pensare a un possibile ritorno dell’argentino al ruolo di prima punta con cui è esploso al Palermo. Una scelta rischiosa e che in ogni caso richiederebbe tempo.
Indipendentemente dal ruolo in cui verrà utilizzato, l’hype generato attorno a Pjaca sembra ampiamente giustificato, sia per quello che potrà dare da subito che per margini di crescita che paiono tanti e in grado di prendere direzioni molto diverse. In ogni caso l’Italia ha guadagnato un giocatore unico, che merita di essere osservato ogni settimana.