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Il calcio italiano è davvero in rosso?
09 mar 2016
09 mar 2016
Proviamo a dare uno sguardo al futuro economico del calcio italiano.
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Nei giorni scorsi la Gazzetta dello Sport ha pubblicato un proprio studio sulla situazione economica del calcio italiano, con particolare riferimento ai debiti accumulati dalle squadre di Serie A nella stagione 2014/15. Il titolo “Allarme Rosso” ha reso immediatamente chiaro che l’obiettivo dell’articolo era quello di dimostrare una situazione gravemente deteriorata, al limite dell’insostenibile, partendo dal dato aggregato di 365 milioni di debiti accumulati dalle 19 squadre di Serie A (con l’esclusione quindi del Parma, nel frattempo fallito) contro i 220 milioni di deficit della stagione precedente. Proviamo ad analizzare in profondità questi numeri per capire cosa ci dicono davvero e quali sono le prospettive future per il movimento calcistico del nostro Paese.

Deficit 2014/15: un dato rilevante?
La prima cosa che dovrebbe balzare agli occhi è che il semplice dato costruito dalla sommatoria di utili e deficit di bilancio delle squadre non è del tutto indicativo, in quanto può essere fortemente condizionato da scelte economiche di società che ragionano (o dovrebbero ragionare) su piani pluriennali e non sul singolo bilancio.

Questa situazione è riscontrabile con grande chiarezza proprio nei bilanci 2014/15 e in particolare in quelli di Inter e Milan. I nerazzurri hanno volutamente caricato di voci negative il saldo finale del 2014/15 per alleggerire quello che sarà il deficit finale del 2015/16, vincolato al raggiungimento di un risultato richiesto dall’Uefa nell’ambito del rispetto delle norme relative al Fair Play Finanziario. In misura minore ma non marginale un’operazione del genere è stata fatta anche dal Milan, che ha preferito anticipare alcuni costi approfittando dell’assenza dalle competizioni europee e ha dovuto scontare anche gli effetti negativi della sospensione del consolidato fiscale che legava il bilancio del club a Fininvest.

Proprio l’applicazione del Fair Play Finanziario dell’Uefa ci fa presumere che nella prossima stagione i deficit di Inter e Roma (che, come il club di Thohir, deve sottostare ad alcune stringenti richieste dell’Uefa relative al bilancio) saranno inferiori a quelli del 2014/15. In particolare quello dei nerazzurri potrebbe essere abbattuto di una cifra vicina ai 100 milioni (l’Inter si è impegnata a chiudere la stagione con un deficit massimo di 30 milioni esclusi i costi virtuosi, che potrebbero far lievitare senza rischio di sanzioni il debito finale fra i 40 e i 50 milioni), diminuendo di quasi un terzo il deficit annuale complessivo dell’intera Serie A.

Per quanto riguarda la Roma, invece, i tifosi giallorossi non dovrebbero preoccuparsi più di tanto del fatto che all’interno dell’ultimo bilancio la società abbia dichiarato che è pronta ad affidarsi alla cessione di alcuni giocatori per far tornare i conti, in caso di scostamenti rispetto ai risultati economici attesi. È una frase che in realtà non è legata alla situazione della singola annata, ma è sempre presente nei bilanci delle società quotate in borsa a tutela degli azionisti per dimostrare la solidità del club dal punto di vista patrimoniale anche in caso di risultati particolarmente negativi sul campo e nella gestione economica.



Inoltre è necessario capire che il deficit complessivo della Serie A dipende in maniera notevole dalla realizzazione o meno delle famose “plusvalenze” relative alla vendita dei giocatori sul mercato. Un esempio concreto. Se ad agosto la Juventus avesse venduto Pogba per 80 milioni, il Napoli Higuain per 90 e Dybala fosse stato ceduto dal Palermo all’estero anziché alla Juventus, il deficit totale della Serie A si sarebbe più che dimezzato. Dall’indagine sarebbe risultato un calo del deficit globale rispetto all’anno precedente, ma nulla di realmente importante sarebbe cambiato nello stato generale del nostro campionato, visto che il bilancio del Palermo sarebbe stato identico, e Juventus e Napoli hanno una situazione economica invidiabile rispetto al resto dei club italiani anche senza dover vendere i loro due fuoriclasse. Insomma, a fronte di un deficit dimezzato si sarebbe ottenuto solo un impoverimento del tasso tecnico della Serie A senza minimamente risolvere i problemi economici, che comunque ci sono, del nostro calcio.

Più che una visione d’insieme del totale dei debiti, è più utile analizzare caso per caso la situazione delle singole squadre e in particolare di quei club medio-piccoli che difficilmente potrebbero contare su un aiuto economico importante da parte del loro presidente se i conti dovessero notevolmente peggiorare. A prima vista le situazioni un po’ più critiche riguardano i conti delle due genovesi e in misura minore delle due veronesi, ma nessuna delle quattro per il momento sembra vicina a ripetere l’epilogo disastroso del Parma.

Un ulteriore importante chiarimento, se si vuole provare a capire la situazione senza fermarsi alle apparenze, va fatto a proposito dell’indebitamento delle singole squadre. Spesso infatti viene usata come frase ad effetto per indicare problemi economici di una società l’annotazione che “il club X ha un indebitamento di Y milioni”, come se fosse assodato che un club sano di debiti non ne debba avere affatto. Non è così: utilizzare la leva dell’indebitamento è un utile escamotage per mantenere il più elevato possibile il livello della propria squadra, a patto che la situazione economica della società che ottiene il credito non peggiori dal momento in cui lo contrae (quando si presume che chi lo concede abbia la ragionevole certezza di averlo elargito a un soggetto capace di restituirlo, gravato di interessi) al momento in cui è chiamato a saldarlo. Semplificando molto ma per dare un’idea chiara, fare l’equazione “indebitamento = società a rischio fallimento” è come accusare chiunque abbia comprato casa con un mutuo di essere a un passo dalla bancarotta. Chiaramente non avrebbe senso.

Così anche per le squadre di calcio ogni bilancio fa storia a sé e la stessa Inter, da più parti attaccata per il suo elevato indebitamento, sembra per il momento avere buoni margini di manovra per sostenerlo, in parte ripagandolo e in parte molto probabilmente ottenendo un ulteriore rifinanziamento del debito a scadenze più distanti del tempo come Thohir ha già fatto quando è entrato in società. Il vero campanello d’allarme per una società scatta quando la sostenibilità aziendale viene messa in dubbio da tutti i soggetti finanziari adibiti a farle credito (banche o altre istituzioni finanziarie) e i rubinetti vengono improvvisamente chiusi. Per ora per l’Inter e le altre squadre di Serie A non ci sono evidenze in questo senso.



Un diverso punto di vista e le possibili soluzioni: i compiti di Stato e Lega
Con queste precisazioni non si vuole ovviamente sostenere che il calcio italiano goda di ottima salute. Si vuole provare però a vedere la situazione da un’altra ottica e dare un’altra possibile spiegazione a questa tendenza cronica al deficit di bilancio da parte di molti club di Serie A.

Uno dei problemi più importanti, ad esempio, risiede nell’approccio culturale del nostro calcio che accetta con riluttanza le squadre dai bilanci sani ma che sul campo non ottengono risultati. Non è affatto una rarità sentire tifosi e giornalisti accusare la dirigenza di una squadra di non spendere soldi, chiedere ogni anno nuovi acquisti e condizionare a campagne acquisti espansive il rinnovo dei propri abbonamenti. In un clima così influenzato dal risultato sul campo, è abbastanza evidente che la maggior parte dei presidenti sia spinta a ricorrere il più possibile a leve finanziarie, che incidono poi sui bilanci di fine stagione, più di quanto siano propensi a fare i propri colleghi stranieri (con le dovute eccezioni) per mantenere competitive le proprie squadre. L’importante è non fare il passo più lungo della gamba come accaduto a Ghirardi in Serie A e ad altri club di B e soprattutto Lega Pro nel corso delle ultime stagioni.

Per aiutare le squadre a non prendere la strada dell'indebitamento senza ritorno tramite l’aumento dei ricavi o l’ottimizzazione dei costi sarebbe necessario uno Stato Italiano più attento ai problemi dei club e che capisca l’impatto positivo che potrebbe avere sull’economia nazionale un campionato più attraente a livello mondiale. Per ottenere questo risultato sarebbe necessario rendere molto più facile la creazione di stadi di proprietà che portino anche il nostro campionato nel terzo millennio. Alcune squadre sono finora riuscite a compiere l’impresa pur se fra mille difficoltà, ma basti pensare che anche club dalle importanti potenzialità economiche come Inter, Milan e Roma per un motivo o per l’altro si trovano a rinviare il proprio progetto di anno in anno. E ogni stagione persa sulla via del rinnovamento rischia di allargare sempre di più la forbice con i campionati concorrenti, primo fra tutti la sempre più ricca Premier League.

Nella promozione del prodotto “calcio italiano” fino a questo momento a risultare molto deficitaria è stata anche la Lega, persa fra beghe interne e incapace di avere una visione dell’espansione mondiale del calcio all’inizio del secolo, quando la nostra Serie A aveva tutte le carte in regola per costruirsi un ruolo di leader nel ricco mercato dell’Est. Chi invece è riuscita a monopolizzare il mercato asiatico è stata proprio la Premier League, che ha costruito il suo format in modo tale da poter trasmettere in prima serata in Asia gran parte delle sue partite di punta disputandole nel pomeriggio inglese, mentre la nostra Serie A si è appiattita sulle richieste delle tv nazionali proponendo quasi tutti i big match alle 20.45 ora italiana, corrispondenti alla tarda notte dell’Est Asiatico. Allettati dalla quantità elevata di soldi messa sul piatto dai broadcaster italiani nel breve periodo, i nostri presidenti hanno perso di vista la possibilità di aumentare esponenzialmente i ricavi a livello mondiale in un periodo in cui il nostro calcio ha dovuto affrontare anche “Calciopoli”, con tutte le ricadute negative sull’intero movimento.



Dal lato dell’ottimizzazione dei costi invece la Lega ha mostrato un’attenzione superiore che ha recentemente portato alla realizzazione della versione italiana del “Fair Play Finanziario”, che entrerà in vigore in maniera molto soft a partire dalla prossima stagione, pensato per aiutare i club in situazioni difficili a intraprendere una strada di risanamento dei conti obbligata e che non possa essere messa in discussione da tifosi o mezzi di comunicazione. A grandi linee la versione tricolore del Financial Fair Play richiederà dal 2018/19 che il deficit complessivo del triennio precedente non sia superiore al 25% dei ricavi medi ottenuti nello stesso periodo, quindi non esattamente il tanto chiacchierato “pareggio di bilancio” ma uno “sforamento” contenuto dei costi rilevanti (fra i quali non verranno contati fra gli altri gli investimenti in infrastrutture o nel settore giovanile) rispetto a un bilancio senza perdite. In questo modo, quindi, le “big”, che hanno strutture societarie capaci di sostenere debiti un po’ più elevati, non verranno penalizzate eccessivamente rispetto alle squadre medio piccole per le quali un disavanzo di qualche decina di milioni potrebbe rappresentare un vero e proprio problema di sopravvivenza. In via transitoria per la prima stagione d’attuazione i vincoli saranno ancora meno stringenti, visto che verrà preso in considerazione solo l’eventuale deficit di bilancio del 2017/18 e metà dell’eventuale passivo del 2016/17.

Nonostante ciò, alcuni indicatori della situazione finanziaria saranno rilevanti già a partire dalla prossima stagione. Anche in questo caso bisogna precisare che non è vero che chi non li dovesse soddisfare non potrebbe fare mercato, ma verrebbe solamente chiamato a una scelta: o coprire la parte eccedente del buco di bilancio con un intervento della proprietà o degli azionisti (tramite per esempio un aumento di capitale che certifichi la solidità dell’azienda) o accettare di essere vincolato a chiudere la successiva sessione di calciomercato (o le successive, nei casi più gravi) con un saldo in attivo in modo da indirizzare il bilancio verso un consolidamento dei conti societari.

Solo chi, dopo essere stato colto in fallo, non terrà fede a quanto concordato con la Lega rischierà in un periodo successivo la non concessione della “Licenza Nazionale” con la conseguente esclusione dal campionato. La tempistica di eventuali interventi sanzionatori seguirà a grandi linee quanto recentemente successo in Europa con il Galatasaray, per il quale l’Uefa ha aperto una procedura d’infrazione il 16 maggio 2014 concordando un piano di rientro biennale che i turchi non hanno soddisfatto meritandosi l’esclusione annunciata alcuni giorni fa.

Una misura positiva, quindi, che permetterà al deficit totale delle squadre di Serie A di diminuire con regolarità nel giro di pochi anni. Per quanto riguarda la prossima stagione, invece, oltre ai già citati probabilissimi miglioramenti di bilancio delle tre squadre con i debiti maggiori (Inter, Milan e Roma), una grossa mano la dovrebbero dare anche i 180 milioni in più garantiti dal rinnovo dei contratti televisivi nazionali ed esteri relativi alla Serie A e alla Coppa Italia che andranno a incidere positivamente sul fatturato complessivo delle 20 squadre partecipanti al massimo campionato.

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