Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Il doping ha ucciso l'atletica?
23 mar 2016
A pochi mesi dalle Olimpiadi, il punto sullo scandalo del Meldonium, che sembra non avere fine.
(articolo)
13 min
Dark mode
(ON)

Carl Lewis ha parlato: «L’atletica leggera sta morendo». Non può lasciare indifferenti se a dirlo è un atleta che ha segnato questo sport per due decenni, che ha scritto pagine importanti e riscritto la storia dello sport come fenomeno di massa, e che è peraltro stato scelto tra gli ambasciatori delle Olimpiadi che Los Angeles vorrebbe organizzare nel 2024. In particolare Lewis si scaglia contro “il suo” salto in lungo, la specialità che ha dominato dal 1984 al 1996. Lewis ha fatto notare che Greg Rutherford ha sì vinto l'oro a Londra nel 2012, ma col suo 8.31 metri è lontanissimo da quell'8.95 che diede la vittoria a Mike Powell nel 1991.

Ma se il salto in lungo è messo male, non è che l'atletica in generale sia messa meglio, e con lei anche la nazionale statunitense. «Quando io, Michael Johnson, Joyner-Kersee e Edwin Moses ci siamo ritirati, eravamo in vetta al mondo e l'atletica era un faro». Da quel momento in poi secondo il grande ex è invece iniziato il declino: «Pensate ai Mondiali del 2015 a Pechino, cos’hanno vinto gli americani? (Quattro titoli, di cui solo la 4x400 nello sprint). Tutti dicono che l’atletica funziona ancora, ma ai Mondiali di Helsinki (1983) e di Roma (1987) c'erano 60mila spettatori. Ormai ai Mondiali si arriva a stento a 25mila persone in tribuna, il 60% dei meeting è sparito e lo stesso vale per gli sponsor. Il nostro sport sta ormai morendo». Non tutti lo hanno applaudito.

Lo chiamavano il figlio del vento perché vinceva sempre, e con una leggerezza che gli altri non avevano. Il Grande Gatsby della pista, in grado di ripulire l’atletica dal sudore e dalla bestialità dei vari Ben Johnson, rendendola chic. Lo hanno definito arrogante, egoista, narcisista e se n’è sempre fregato. Lewis, dall’alto delle sue dieci medaglie, ha sparato a zero su un mondo che se la sta vedendo davvero brutta, a soli cinque mesi dall’inizio delle Olimpiadi di Rio. E Lewis non ha neanche fatto una piccola menzione al vero elefante nella stanza, ovvero il doping.

Senza pace

La Russia non dà segnali di redenzione dopo le accuse mossele dalla Wada a novembre di “doping di Stato”, e anzi si ritrova ancora una volta nell’occhio del ciclone del Meldonium.

Dopo l’ammissione di Maria Sharapova di aver fatto uso per dieci anni di questo farmaco anti-ischemico, sotto prescrizione del “medico di famiglia” per scompensi nell’elettrocardiogramma e per alcuni indicatori di diabete ereditario, la bolla Meldonium è esplosa. Infatti si è subito scoperto che a partire dal primo gennaio 2016, data in cui la Wada ha dichiarato fuorilegge il farmaco, sono 55 gli atleti trovati positivi. Soprattutto in Russia, dove il Meldonium è commercializzato come fosse una vitamina e assunto come tale: su 4.316 test effettuati l’anno scorso su atleti russi, 724, e cioè il 17%, era positivo alla sostanza (al tempo non ancora vietata) mentre tra gli atleti non russi la assumevano solo 182 su 8.230, il 2.2%.

Yulia Efimova, ranista quattro volte campionessa mondiale e bronzo a Londra 2012, è l’ultima, ma questo punto si può prevedere non ultima, a finire nella rete del Meldonium, aggiornando una lista che si fa ogni giorno più lunga e pesante. Per lei la situazione è davvero grave perché si tratta di recidiva: nel 2014 era stata trovata positiva ad un anabolizzante e squalificata per 14 mesi dalla Federnuoto internazionale. Così da poter rientrare ai Mondiali casalinghi di Kazan e mettersi al collo un oro e un bronzo. Adesso Yulia potrebbe essere al capolinea della carriera a 24 anni non ancora compiuti, rinunciando per sempre al sogno olimpico. La notizia è stata data da SportExpress ed è stata confermata in pochi minuti da diversi media russi.

Poco prima era toccato al biathleta Eduard Latypov.

Sharapova a Los Angeles ha dichiarato di non aver letto la mail della Wada del 30 settembre 2015, che avvisava gli atleti dell’inserimento del Meldonium tra le sostanze proibite. Come se non avesse attorno uno staff di assistenti e medici a sua disposizione h24. Dichiarazione che ha lasciato perplessi in molti, come Mattia Losi che, sul Sole 24 Ore, ha scritto: «Per curare il diabete, ha usato per anni a insaputa di tutti un farmaco che in quasi tutti i Paesi del mondo viene ritenuto inutile per questa patologia. Credere alle sue scuse è come sottoscrivere una dichiarazione che certifica che gli asini volano».

Negli Stati Uniti la Food and Drug administration, l’ente governativo che regolamenta i prodotti alimentari e farmaceutici, ne proibisce la vendita. Come scrive Linda Rubin su Forbes, il Meldonium non si produce e non si trova sul suolo americano, se non importato dalla Lettonia con il nome Mildronate. Ora Sharapova, che abita negli Stati Uniti da quando ha otto anni, come poteva usarlo dal 2006 quando persino i dottori delle federazione tennistica russa hanno giurato di non essere al corrente del suo uso?

La terza puntata del documentario tedesco è andata in onda proprio la sera in cui Sharapova ha convocato la sua conferenza stampa

Se non bastasse questo nuovo colpo alla credibilità dello sport russo c’è un altro documentario dell’Ard, la rete televisiva tedesca, che rivela come Vladimir Mokhnev, coach già squalificato, continui tranquillamente ad allenare a Gubkin, 600 chilometri a sud di Mosca, mentre un altro tecnico, Yuri Gordeev, accanto a lui, offre di vendere prodotti illegali («Ma non parliamone per telefono»). In più ci sono le rivelazioni su Anna Antselevich, nuovo segretario generale della Rusada, la donna che avrebbe dovuto riabilitare l’agenzia antidoping russa ma che in passato, quando era una semplice impiegata, avrebbe avvisato gli atleti delle date dei test a sorpresa. Sua voce al telefono: «Va bene se facciamo il test la settimana prossima? Così abbiamo tempo e non ci sono problemi».

Per Prokop Clemens, presidente della federazione di atletica tedesca, la situazione in Russia non è cambiata: «Le condizioni per la partecipazione ai Giochi non sono state soddisfatte».

La Iaaf, federazione internazionale di atletica, ha acquisito il materiale dell’Ard, ma devono esserci veramente pochi dubbi se Craig Reedie, presidente della Wada, l’agenzia antidoping mondiale, dice: «Le speranze dell’atletica russa di mandare i suoi atleti a Rio e di veder revocata l’attuale sospensione sono seriamente compromesse. C’è ancora molto lavoro da fare nel paese». Mancano meno di cinque mesi ai Giochi.

La Russia non è un piccolo concorrente che chiede visibilità per una settimana, ma una grande potenza sportiva che ha sempre lottato per il comando nel medagliere. Ora rischia di sparire dallo sport olimpico più importante. La Russia pecca: come prima, più di prima, questa la tesi del broadcast tedesco e non solo. Lo ha confermato anche Dick Pound, ex presidente della Wada: «Sembra che ci sia qualche evidenza che stanno solo cambiando le sedie a sdraio sul Titanic. La mia ipotesi è che la Russia potrebbe non farcela per Rio. La Iaaf e la Wada non rischieranno la loro reputazione facendo finta di nulla».

I casi di positività toccano molte discipline: nuoto, tennis, pattinaggio, volley, ciclismo. L’ultima caduta nel Meldoniumgate è Ekaterina Konstantinova, 21 anni, nazionale dello short-track. Subito difesa dal presidente della federazione russa pattinaggio, Alexey Kravtsov: «Molto probabilmente si tratta di errori di laboratorio. È una congiura contro le stelle del ghiaccio, sono sicuro che riusciremo a provare la completa innocenza degli atleti. Abbiamo dei dati sulla questione ma non possiamo renderli pubblici». Pound non ha voluto mancare di commentare l’affaire Maria: «Merita assolutamente di essere squalificata».

Meldoniumgate

Ma non è finita perché il Meldonium, che già insospettiva ai tempi di Londra 2012, è stato monitorato ai Giochi europei di Baku del luglio 2015. Quasi 6.000 atleti in gara dei quali il 20% proveniente da paesi dell’Est. Sui 762 atleti testati complessivamente, 66 (l’8,7% del totale) sono risultati positivi al farmaco, 13 dei quali poi sono finiti anche sul podio. I dati di questa ricerca sono contenuti in uno studio pubblicato sul “British Journal of Sports Medicine”. Sono ben 15 su 21 gli sport frequentati da chi assumeva Meldonium.

indimenticabili momenti alla cerimonia di apertura dei primi Giochi Europei

Davanti a tutti la canoa velocità (15 casi), seguita da lotta libera (11), sport acquatici (9), ginnastica artistica (7). Solo badminton, scherma, calcio, judo, tiro e tennistavolo ne sono usciti del tutto puliti. Non sono state rese note le nazionalità degli atleti. Il lavoro di ricerca si basa sui test antidoping, ma anche sulle autodichiarazioni, a precisa richiesta, dei partecipanti, e infine sulle dichiarazioni rese dai Comitati olimpici. Solo due su 50 dichiararono di aver portato in Azerbaigian quantità di Meldonium.

La notizia relativa alle analisi dei Giochi di Baku ha avuto una grossa risonanza nelle redazioni sportive, certo ben più grande dei Giochi stessi che furono un mezzo flop. Tanto da portare ad avventurarsi in conti arditi e facendo diventare il condizionale modo indicativo e cadendo in un grosso qui pro quo: infatti si è voluto estendere all’intera cifra degli atleti partecipanti la percentuale di chi è risultato positivo al Meldonium (che, vale la pena ricordare, all’epoca non era ancora fuorilegge) e tirando fuori la assurda cifra di 490 “dopati”. Nella relazione del British journal queste cifre non ci sono ovviamente e se vi va potete leggerlo qui.

Voglio soltanto sottolineare il fatto che, come detto, il Meldonium è usato come medicinale generico in sette nazioni che hanno preso parte ai Giochi di Baku: Lettonia, Russia, Ucraina, Georgia, Azerbaijan, Bielorussia, Moldova. E che queste nazioni hanno portato ai Giochi il 23,2% degli atleti in gara (1.306 su 5.632). Negli altri 43 Stati che erano presenti a Baku il Meldonium è forse conosciuto sotto i vari nomi che prende ma sicuramente non utilizzato come medicinale. Anche questo lo potete leggere nella relazione finale. Quindi se vi voleste sbizzarrire con la statistica dovreste partire da quei 1.306 atleti che per lo meno sanno di cosa parliamo quando parliamo di Meldonium.

Subito dopo la conferenza di Sharapova, è stata comunicata la positività al Meldonium di altri sette atleti russi, fra cui la medaglia d’oro olimpica nello short-track Semion Elistratov e il suo compagno di squadra, il campione del mondo Pavel Kulizhnikov. Il ministro dello sport russo, Vitaly Mutko, oltre a criticare le decisioni della WADA, ha detto che con ogni probabilità altri atleti verranno trovati positivi al Meldonium. Fra questi non ci sarebbero solo atleti russi ma anche svedesi, etiopi e ucraini. Secondo le parole di Mutko, il ministero dello Sport ha informato per tempo tutte le federazioni della proibizione dell’uso del Meldonium. In pochi giorni siamo già a dodici atleti fermati e la frana sembra non finire.

Cosa ci fanno tutti questi atleti con quello che, al di là del divieto o meno (che vale ricordarlo è scattato soltanto dal primo gennaio del 2016), rimane un farmaco da usare sotto prescrizione medica? Il Meldonium inizia a essere commercializzato nel 1975 come cura ai problemi cardiaci, in quanto aiuta la circolazione e aumenta la quantità di ossigeno presente nel sangue. Questo fa scattare parecchi campanelli d’allarme perché permette agli atleti di recuperare velocemente le energie durante gli allenamenti. Inoltre, per alcuni, è un buon coprente per l’Epo. L’inventore del farmaco si chiama Ivars Kalvins, professore dell’Istituto per la sintesi organica lettone, che lo ha sintetizzato negli anni Settanta come farmaco per la crescita dei maiali e che solo in seguito è stato usato sugli umani.

Kalvins ha detto alla Cnn che vietare il Meldonium potrebbere “uccidere qualche atleta”

Il principale produttore di Meldonium è l’azienda lettone Grindeks, che nel suo sito spiega che può essere usato per curare malattie cardiovascolari e che il periodo consigliato per la sua assunzione è al massimo sei settimane. Sergei Sheremetiev, medico della squadra russa di salto con lo sci, sostiene di averci lavorato per vent’anni e di averlo somministrato ai suoi atleti almeno un paio di volte all’anno. Ha detto inoltre che in Russia è usato regolarmente nell’hockey, nello sci, in vari sport invernali e nell’atletica. La Grindeks ha dichiarato in un comunicato ufficiale che non crede che l’uso del Meldonium dovrebbe essere proibito agli atleti, perché non può aumentare il livello delle prestazioni.

Si allarga il fronte

Se la Russia piange, l’Etiopia (e il Kenya) non ride e di mezzo c’è ancora il famigerato Meldonium. A finire nel polverone doping tocca anche al Paese delle sorelle Dibaba e di Haile Gebrselassie. Il dominio della Nazione africana, dal mezzofondo alla maratona, negli ultimi anni è stato clamoroso. Come clamorose sono le dichiarazioni di Bililing Mekoya, segretario della federazione nazionale. Tre atleti definiti "top runners" sono stati sospesi per essere risultati positivi a controlli antidoping, mentre su altri tre atleti sono in corso degli accertamenti e presto «potrebbero essere presi provvedimenti». I nomi restano top secret.

Oltre a questi casi acclarati (e a tanti altri che potrebbero seguire, stando ad attendibili voci), c’è quello della 25enne Abeba Aregawi, iridata dei 1500 a Mosca 2013, oltre che oro indoor europeo 2013 e mondiale 2014. L’atleta etiope di nascita, e svedese per matrimonio dal 2012, è risultata positiva al farmaco lettone a un test a sorpresa effettuato ad Addis Abeba in gennaio.

Aregawi ai tempi del titolo mondiale a Mosca

Singolare il caso di Aregawi, che una settimana prima di essere trovata positiva al Meldonium era finita nella bufera per l’accusa di evasione fiscale delle autorità di Stoccolma. L’atleta si era difesa affermando di non aver mai vissuto nel Paese scandinavo. Scatenando così le ire di tanti, al punto d’essere tacciata d’avere due mariti. Quello etiope è Yemane Tsegay, argento mondiale di maratona in carica, secondo qualcuno a sua volta in possibili cattive acque.

Altre rivelazioni sono state fatte dal medico della Nazionale etiope Ayalew Tilahun che, parlando ad un convegno, ha detto che atleti dell'Etiopia sono di recente risultati positivi per steroidi, testosterone, efedrina e per furosemide, un diuretico che serve da «coprente». Anche Ayalew non ha voluto fare nomi, «perché ci sono delle indagini in corso». Nove in tutto gli atleti finiti sotto inchiesta per esiti sospetti a controlli dei mesi scorsi, cinque dei quali, come da più parti ribadito, di «categoria top».

Intanto, per lo stesso Meldonium è caduto nella rete il 27enne Endeshaw Negesse (probabilmente uno dei nove di cui si parla), maratoneta da 2h04’42” (Dubai 2013), vincitore a Firenze 2012 e a Tokyo 2015. Dietro la sua vicenda la strana figura di un faccendiere turco di origini russe, sulle cui tracce potrebbe presto mettersi la Iaaf, già allertata. È prematuro ipotizzarlo, ma se le responsabilità dovessero allargarsi come pare, persino l’Etiopia sarebbe a rischio sospensione. Con tutto ciò che questo, a cinque mesi dall’Olimpiade di Rio, comporta.

Per quanto riguarda il Kenya il britannico Craig Reedie, presidente della Wada, pur riconoscendo che qualche passo avanti è stato compiuto (sono stati trovati finanziamenti ad hoc), ha ribadito che la federazione del Paese africano, dopo i tanti casi di corruzione recenti, ha tempo fino al 5 aprile per adeguarsi ai parametri antidoping internazionali: se non lo farà, i suoi atleti non saranno ammessi ai Giochi. Il Kenya deve certificare un vero e proprio cambio di rotta, infatti a partire dal 2011 sono stati 40 i suoi atleti a fallire i test antidoping e solo a gennaio diciotto sono stati sospesi per un totale di 55 anni. Tra questi anche Rita Jeptoo, l’ultima dominatrice della maratona di Chicago. Senza dimenticare anche i tre dirigenti della Federazione sospesi con l’accusa di corruzione nell’ambito dell’assegnazione a Doha dei mondiali del 2019.

Mancano 135 giorni alle Olimpiadi di Rio.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura