Forse soltanto tra qualche anno, o addirittura tra qualche decennio, con il distacco dall’attualità si riuscirà a percepire la portata dell’epoca tennistica che abbiamo vissuto dall’esplosione di Federer in poi. Un'epoca che non accenna a terminare, sebbene sempre più sfocata. Con il decimo Roland Garros di Nadal prima e l’ottavo Wimbledon dello svizzero ora – che stacca definitivamente Pete Sampras – la chiusura sul cerchio delle loro carriere sembra definitivo. Anche se il glorioso crepuscolo della storia di Federer lo ha portato in pochi mesi a un solo Slam da quota 20, un traguardo leggendario, che a questo punto merita di essere raggiunto.
Roger Federer ha vinto il suo ottavo Wimbledon, addirittura il primo senza perdere set, come gli era successo negli Slam soltanto all’Australian Open 2007. Lo ha fatto passando attraverso una finale morbida, che non verrà ricordata nella storia, totalmente differente da quella sfida onirica contro Nadal a Melbourne qualche mese fa. Ma più che dal duello contro Marin Cilic, l’ottavo Wimbledon di Federer sorge da radici molto più profonde. Da un percorso accidentato che solo chi ha l’umiltà di intraprenderlo – ed è più difficile per un giocatore dotato di così tanto talento – può attraversare con successo per rimanere grande sconfiggendo il tempo.
Il canovaccio che va in fumo
Marin Cilic partiva ovviamente da sfavorito ma, per quanto suoni assurdo a posteriori, gli ultimi due precedenti avrebbero dovuto dargli speranze. La penultima sfida tra i due era stata l’incredibile semifinale dello US Open 2014, dove il croato tra lo stupore generale aveva regolato Federer in tre set secchi. Lo scorso anno a Wimbledon era andata in scena una partita ancora più epica, che sembrava l’ultimo treno verso una vittoria a Wimbledon dello svizzero. Quel quarto di finale – pur perso da Cilic in cinque set dopo essere stato 2 set a zero avanti – doveva rappresentare un punto di partenza, anche tattico, per la finale 2017.
Cilic avrebbe dovuto insistere il più possibile sulla diagonale sinistra. Il nuovo rovescio di Federer, dopo la pausa di 6 mesi dello scorso anno, ha però stupito tutti ed è stato commentato così giusto ieri da Federer stesso: «Il mio nuovo rovescio in top mi ha fatto essere più aggressivo su tutte le superfici».
Tuttavia nel corso dei match si poteva notare come questo nuovo gesto abbia fatto migliorare in modo spaventoso Federer nel colpire in anticipo su una palla in fase ascendente, meno invece sulle palle più basse che l’erba naturalmente offre. Se sui campi duri di inizio stagione Federer andava a nozze con il suo nuovo rovescio, sull’erba era a proprio agio nella risposta alle seconde dell’avversario ma meno negli scambi “normali”. Il nuovo movimento prevede un leggero avanzamento del gomito già in fase di preparazione del colpo, che dà più naturalezza nell’anticipo – concetto non troppo dissimile al rovescio del tennis da tavolo o “ping pong”.
Cilic ha quindi provato fin da subito a comandare sulla diagonale sinistra, sia nel classico duello rovescio contro rovescio, sia spostandosi sul dritto e giocando lo sventaglio incrociato. Il croato era partito anche bene: sul 40 pari nel primo game in risposta ha avuto un colpo non impossibile per conquistarsi una palla break, che è poi arrivata nel secondo game in ribattuta. La sua partita sembrava promettente e la passerella trionfale di Federer non era per nulla scontata.
Fin dalla risposta Cilic vuole spostare lo scambio sulla direttrice sinistra. Federer non è letale con il rovescio come sul cemento e il croato, alternando rovescio bimane e dritto a sventaglio, comanda e chiude il punto.
Ma nel quinto game un recupero su una contro-smorzata di Federer gli ha causato una scivolata e un conseguente infortunio al piede. Proprio in quel game è arrivato il primo break della partita che spianato la strada verso l’ottavo Wimbledon.
Tuttavia Cilic già in quel momento non stava facendo una partita perfetta. Al termine del quinto game, dopo aver concesso il primo break, il croato aveva una percentuale di prime in campo molto bassa (42%) rispetto a quella che aveva mantenuto nel torneo (62%) e che era necessaria per battere un avversario più forte. Dall’istante dell’infortunio in poi, Cilic ha iniziato a fuggire dallo scambio tentando la via del serve and volley, al quale Federer ha trovato man mano confidenza a rispondere sempre più basso e nei suoi piedi. Oltretutto la velocità dei colpi da fondo del croato è diminuita di ben 9 miglia orarie (addirittura 14,5 km/h) tra primo e secondo set, di pari passo con quella dei piedi, e questo ha totalmente condizionato il suo piano tattico.
Terzo set: ormai la partita è segnata. Cilic prova ancora a spostare subito lo scambio sulla diagonale sinistra con un dritto lungolinea, ma sul successivo dritto a sventaglio mancano almeno uno o due passetti di avvicinamento nella ricerca della palla. Errore e break decisivo.
Il torneo di Cilic
Non è stato soltanto il Wimbledon dell'ennesima prova di grandezza di Federer. Nonostante una finale sciagurata bisogna anche sottolineare il torneo di Cilic, che ha trovato una consacrazione sulla superficie forse a lui più congeniale. Il croato ha attraversato percorsi impervi lungo la sua carriera, passando da giovane talento che sembrava bruciato fino ad essere campione di Slam e Master 1000. È stato uno dei top player che ha lavorato di più sul suo gioco dal punto di vista tecnico e la finale a Wimbledon, dopo il successo allo US Open, rappresenta un ulteriore tassello a una carriera che forse stiamo sottovalutando. Considerando il contesto generale - la scarsa forma, fisica o tecnica, di Djokovic, Nadal e Murray - l'approdo in finale di Cilic era tutt'altro che imprevedibile. Segno di un tennista che a fari spenti ha costruito una grande solidità nel circuito, purtroppo non accompagnata da un carisma all'altezza. In questo senso il croato non meritava un epilogo così inglorioso.
Cilic negli anni ha cambiato alcuni punti focali del suo gioco, a partire da un servizio inizialmente troppo debole e poco carico per un professionista di quella statura, in tutti i sensi. In passato esagerava con i kick e non dava loro nemmeno quella pesantezza che li rende a volte letali. Anche la preparazione del dritto è stata semplificata limitando i movimenti di avambraccio e polso, il che lo rende sia più reattivo in difesa e contrattacco, sia più ordinato e lucido nella ricerca di un dritto offensivo.
In particolare lo stop per doping – in circostanze mai del tutto chiarite – a cavallo tra il 2013 e il 2014 gli ha consentito con più calma di lavorare su questi due fondamentali insieme a Goran Ivanisevic. La brillantezza dello US Open 2014 è stata effimera, ma la base solida del suo gioco è diventata molto più consistente e gli consente ora di ottenere molti più risultati anche nei momenti dove la lucidità non è al massimo. La vittoria del Master 1000 di Cincinnati lo scorso anno in finale contro Murray – destinato a vincere tutto e diventare numero 1 – e la finale di Wimbledon sono le avvisaglie di una nuova solida aggressività di un giocatore ormai maturo e pericoloso per tutti.
Essere grandi, rimanere grandi
Non avrebbe senso attribuire all’infortunio di Cilic la causa dell’ottavo successo a Wimbledon di Federer. Avremmo tutti assistito a una partita sicuramente più combattuta e interessante, ma non era certo di una menomazione altrui che lo svizzero aveva bisogno per vincere un torneo in cui era favorito già alla vigilia e nel quale ha dominato tutti gli avversari.
Federer ha preso la scelta coraggiosa di fermarsi nella seconda metà del 2016, approfittandone per cambiare il rovescio grazie alle direttive di Ivan Ljubicic, dei cui effetti abbiamo parlato ampiamente sopra. Ha vinto tutti i tornei più importanti sul cemento (Australian Open, Indian Wells e Miami), dando loro un valore simbolico ancora più forte per aver sconfitto in tutti e tre il suo rivale classico, Rafael Nadal, affrontandolo in maniera inedita a viso aperto con il rovescio in top.
Così, grazie al nuovo colpo.
Tuttavia Federer si è preso una controversa pausa lungo tutta la stagione su terra battuta. A posteriori il dominio di Nadal su quella superficie ha tolto ogni rimpianto allo svizzero per non aver giocato e vinto alcun torneo sul rosso – a eccezione di Roma, vinto da Alexander Zverev, trofeo che ancora gli manca. È stato anzi bellissimo il discorso di Federer dopo la finale di Miami, nel quale ha quasi invitato il suo avversario a dominare la stagione sulla terra battuta, in un segno di grande rispetto reciproco e forse annunciando già in quel momento che lui, invece, la terra non l’avrebbe per nulla calcata: «Congratulazioni Rafa, so che ti stai allenando duramente con il tuo team per entrare in forma, la stagione su terra è dietro l’angolo e sono sicuro che farai a pezzi tutti».
Col senno del poi Federer si è forse presentato alla stagione su erba con troppo ritmo partita perso nel corso dei mesi. Ha perso il suo primo match a Stoccarda contro Tommy Haas, un giocatore al suo anno di addio a 39 anni, ma pur sempre erbivoro e reduce già da un turno precedente che lo aveva fatto arrivare più pronto alla sfida sulla superficie anomala.
Un’indecisione simile, su un punto importante, è il chiaro segno di mancanza di abitudine a fare delle scelte istantanee in momenti delicati.
Lo svizzero ha però poi vinto il torneo di Halle maltrattando Alexander Zverev in finale e si è presentato agli appuntamenti più caldi di Wimbledon acquistando progressivamente la giusta forma.
Di certo la parabola di Federer contribuisce ad espandere oltre l’inverosimile la sua grandezza. L’amore soggettivo e la considerazione effettiva che Federer ha sempre ricevuto sono stati immensi, ma la coda di carriera che sta vivendo sembra una sorta di overdose emozionale quasi soffocante. È stato totalmente incredibile vederlo così dominante sul cemento a inizio stagione, ma forse era ancora più incredibile che lui credesse già ancora così tanto in se stesso al punto tale da ritornare ad esserlo.
Il successo a Wimbledon è quello meno inaspettato, più consapevole e meno scioccante di questa fase della sua carriera. Ma se la finale di ieri ha avuto poco significato intrinseco, l’ottavo trofeo in mano costringe tutto l’ambiente tennistico a rivedere da un altro punto di vista la parabola finale di questo interminabile campione per capirne la portata. Che forse, un po’ come nelle catastrofi, è talmente grande da non poter essere capito sul momento, visto che ne siamo ancora tutti investiti.