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Il limbo di Mourinho
01 feb 2017
Alla sua prima stagione sulla panchina del Manchester United, l’allenatore portoghese ha dovuto cambiare più di un’abitudine.
(articolo)
16 min
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Il forte romano di Mamucium (o Mancunium) venne costruito lungo tre fasi: la prima nel 79 d.C., addirittura in legno, sotto il comando di Giulio Agricola. A circa tre chilometri e quasi duemila anni di distanza, la fortezza moderna dell’Old Trafford ha conosciuto due grandi periodi di consolidamento: quella dei “Busby babes”, guidati appunto dall’allenatore Matt Busby; e dopo circa 17 anni di mediocrità, quella del grande Manchester United di Sir Alex Ferguson.

Per la terza fase della fortificazione, la società ha deciso di accorciare i tempi: le stagioni deprimenti con Moyes e van Gaal hanno spinto verso un allenatore garanzia di successo immediato. Uno come Mourinho: così diverso dallo stile dello United (come ricordato da Sir Bobby Charlton e Cantona), ma capace di rendere competitivo un gruppo in poco tempo, e di resistere a ogni pressione ambientale.

Per costruire una squadra di successo, però, servono materiali diversi, come per un forte: per uno come Mou, abituato ormai alla legge di Guttmann per cui il ciclo di un allenatore può durare al massimo tre anni, adattarsi all’ambiente dello United è una delle più grandi sfide della carriera. L’allenatore più mordi e fuggi del calcio contemporaneo si ritrova nel tempio della stabilità, un caso unico: la più titolata squadra inglese deve a solo due leggendari manager ben l’83% dei trofei vinti in quasi 140 anni di storia.

Non è solo una sfida di adattamento a una filosofia calcistica. Solo quattro allenatori nella storia del calcio inglese hanno vinto il campionato con due o più squadre diverse: Mourinho deve dimostrare di conoscere una ricetta unica per vincere la Premier League.

Slow Mou

Cosa succede, però, quando scopri che il solito metodo non funziona più? Nella prima fase della stagione, Mourinho si era affidato al 4-2-3-1, cadendo nella “trappola Deschamps”: cioè schierare Pogba nel doble pivote, riducendone così l’apporto offensivo e creando buchi nella propria trequarti. A fargli da spalla, addirittura Fellaini: persino Wilmots aveva capito che in quel ruolo il centrocampista belga è una calamità per la propria squadra, creando sempre spazi alle sue spalle, incapace di coprire la posizione e dettare i tempi della squadra. Rooney era il trequartista, per un triangolo di centrocampo molto squilibrato, e con Ibrahimovic centravanti si determinava inevitabilmente una trequarti statica.

Le prime tre partite, concluse con tre vittorie, avevano forse illuso tutti sulla facilità del cambiamento: la sconfitta nel derby contro il City di Guardiola ha invece messo in luce diversi problemi di gioco.

Da quel momento è iniziato un periodo difficile per Mourinho, acuito dalla sconfitta contro il Watford: bisognava studiare una nuova rotta. La squadra diretta, intensa e fisica che Mou aveva immaginato non stava funzionando granché: troppo sguarnita la zona centrale, poco mobile la trequarti, difficoltà nelle transizioni. La forza fisica di molti suoi giocatori, la capacità di dominare i duelli aerei e di scavalcare le linee rendeva lo United comunque una squadra adatta alla Premier: ma non a sufficienza per rimanere al vertice.

Non fate scendere Pogba: qui si abbassa davanti alla propria area e invece di servire subito Carrick, che gli fa segno con le mani di dargliela sui piedi, il francese si gira e lancia lungo verso la fascia sinistra. Passaggio telefonato, l’avversario intercetta e può ripartire in una pericolosa transizione offensiva (addirittura 6 vs 5).

Mourinho quindi ha deciso di rallentare, invece di aumentare l’intensità: riflettere su cosa mancasse alla sua squadra, inserire giocatori intelligenti e meno istintivi in campo. La titolarità di Rooney ha cominciato a traballare: l’inserimento di Herrera nel doble pivote ha permesso a Pogba di giocare sulla trequarti.

Il centrocampista basco è l’uomo ombra, colui che permette al sistema di funzionare, con movimenti, pressioni, circolazione rapida, chiusura delle linee. Come tutto ciò che è essenziale, Herrera non ruba l’occhio, ma i suoi dati parlano chiaro: è il terzo miglior centrocampista della Premier per intercetti (3,5 per 90 minuti), una percentuale di riuscita dei passaggi dell’88%, 1,4 passaggi chiave per 90 minuti. Il suo ingresso tra i titolari ha permesso a Fellaini e Pogba di avanzare; ma soprattutto di recuperare palla più in alto e difendere meglio in zona centrale nella propria trequarti. Herrera è il pesce pulitore del centrocampo dello United: si abbassa sia per supportare la manovra che per schermare la propria trequarti, velocizza il gioco quando serve, libera Pogba di molte incombenze difensive, copre le falle di dinamismo di Fellaini o Carrick.

Il triangolo di centrocampo che non funziona: troppo scollegati dalla difesa, Fellaini inutile da interno, Pogba schiacciato su Herrera.

Per arrivare alla svolta cruciale, al cambiamento più radicale, Mourinho ha avuto bisogno di altro tempo: un pareggio a Liverpool con la sua squadra rinchiusa nella metà campo, in un 6-3-1 volto esclusivamente a non subire; e soprattutto la sconfitta per 4-0 nel suo vecchio stadio, Stamford Bridge, contro il Chelsea di Conte. I “Red Devils" erano chiaramente disfunzionali, si muovevano per compartimenti stagni e senza grande armonia: i grandi solisti erano come girasoli di Van Gogh, rivolti in direzioni diverse. Per ritrovare velocità, Mourinho ha deciso di rallentare e affidare le chiavi del gioco al buon vecchio Carrick (36 anni a luglio, e in scadenza di contratto), pare addirittura su suggerimento di Sir Alex Ferguson (che ha sempre apprezzato l’allenatore portoghese).

Here comes the sun

«C’è una lunga lista a cui bisogna aggiungere il nome di Paul Pogba: quella dei compagni di squadra che stimano Michael Carrick. Ne ho parlato con Pogba, e Carrick lo ha reso libero (di giocare come preferisce – ndt). […] Ci sono molti centrocampisti di movimento e fatica, ma quanti con un tocco, due tocchi riescono a tagliare le linee e dare velocemente il pallone al numero 10? Nel frattempo che gli altri centrocampisti riescono a vedere i passaggi che Carrick effettua normalmente, gli spazi si sono già chiusi. […]. È una farsa che Carrick non abbia avuto un ruolo importante nella Nazionale inglese. Come ha detto Xabi Alonso, Carrick avrebbe ottenuto 80 presenze nella Spagna, se solo fosse stato spagnolo».

Le parole di Rio Ferdinand, che raccolgono anche la stima più volte dichiarata da Xabi Alonso, rappresentano in estrema sintesi l’utilità e l’intelligenza del regista dello United, e anche i problemi di riconoscimento nel proprio paese. Troppo cerebrale per un calcio intenso (“huff and puff”, come dice Ferdinand), poco appariscente ma equilibratore del gioco in entrambe le fasi, in un campionato che ama spesso travolgere gli equilibri tattici.

Carrick libera tutti, con l’aiuto di Herrera: si crea quasi un “trapezio magico” con Pogba e Mata. Il capitano crea un filo diretto con Rashford, sottolineando la sua capacità di tagliare le linee.

Per capire quanto un giocatore possa cambiare l’intelligenza collettiva di una squadra, basta pensare alla media dei cross effettuati dallo United nelle 8 partite che Carrick ha giocato per intero in Premier League: 18, contro i circa 29 delle altre partite (quasi il 40% in meno).

L’ingresso del capitano in squadra ha permesso a Mou di passare con sufficiente solidità al 4-3-3, con ogni giocatore nel suo ruolo migliore: una svolta che era necessaria per cambiare l’inerzia della stagione. Con un pacchetto di centrali difensivi in difficoltà con il pallone (la coppia Jones-Smalling vista contro lo Stoke è forse la peggiore da questo punto di vista: ma Bailly è in Coppa d’Africa e Rojo era influenzato), la salita del pallone dal basso poggia necessariamente sul regista. Da quando Carrick è entrato in squadra stabilmente, lo United da inizio novembre ha raccolto 13 vittorie, 5 pareggi e l’ininfluente sconfitta contro l’Hull nella semifinale di ritorno di Coppa di Lega (con una striscia di 6 vittorie consecutive in Premier). In generale, con Carrick in campo la squadra vola: da inizio stagione si contano 14 vittorie, 3 pareggi e una sconfitta.

In questo video, l’importanza di Carrick, in una lunga azione contro il Sunderland, si evidenzia in tutte le fasi di gioco, oltre ad abilitare le migliori qualità dei compagni. Il numero 16 dello United si abbassa per iniziare l’azione e serve Mata dietro la linea dei centrocampisti addirittura con uno scavetto, mentre Herrera si avvicinava per garantirgli una soluzione. Lo United poi non riesce a sviluppare bene l’azione, e Lingard perde palla quasi sull’area di rigore avversaria: allora Herrera si fionda in avanti a recuperare il possesso, nella sua funzione di pesce pulitore. A quel punto Carrick, Pogba, Herrera e Lingard si sistemano a rombo creando una specie di rondo da gioco di posizione, con in mezzo il povero Ndong. Il rombo si allarga e Carrick, in posizione più arretrata, trova una nuova verticalizzazione taglia linee per Lingard; Pogba può provare prima il dribbling e poi l’inserimento in area; sul cross di Mata respinto, Carrick arriva anche a chiudere l’azione con un tiraccio da fuori (per escludere ogni possibilità di una transizione avversaria).

Con Carrick, Mourinho rinuncia consapevolmente a fisicità e dinamismo per aumentare l’equilibrio di squadra e tra le fasi: la volontà di rompere completamente con il passato, con il lento e prevedibile United di van Gaal, non può essere pienamente soddisfatta. Il gioco è un mix particolare di calcio posizionale e kick and rush britannico: la squadra si trova in un limbo e non riesce ad elaborare una sintesi definitiva. I “Red Devils" sono davanti al Chelsea per numero di passaggi brevi e per possesso palla: Conte sta riuscendo in quello che a Mourinho appare ormai difficile, cioè costruire una squadra intensa e verticale, perfetta per la Premier.

Il gioco di questa stagione condivide alcuni punti con quello dello scorso anno, come la percentuale elevata di passaggi riusciti (84,8%, prima squadra in Premier, anche meglio del City!), dovuto soprattutto a giocate troppo elementari. Ma ancora di più spicca la difficoltà creativa sulla trequarti e la scarsa intraprendenza: con soli 10.5 dribbling per 90 minuti, il Manchester United è la peggiore tra le grandi, addirittura la nona in tutto il campionato (sia per dribbling tentati che per riusciti). Un dato perfettamente in linea con la squadra timorosa e dogmatica di van Gaal, che nella passata stagione in media aveva realizzato circa 10 dribbling per 90. Ma se nel calcio di posizione il dribbling è fondamentale per generare vantaggi collettivi, nello United non ci sono pochi giocatori in grado di dribblare costantemente: Pogba, Martial, Valencia e Mkhitaryan.

Lo United ha tagliato le linee e sorpreso l’avversario nell’inizio azione, ma non riesce a concretizzare: in un’azione di possesso consolidato, Ibra svuota l’area e Mata è costretto a corrergli addosso con il pallone; Blind è in ritardo nel sovrapporsi, il centro area è vuoto, il lato debole pure e solo Mkhitaryan capisce di dover attaccare la profondità. Ecco perché deve giocare sempre.

Proprio l’armeno è stato inserito in squadra per ridare dinamismo alla trequarti, dopo aver sistemato il centrocampo: la soluzione di Mou per occupare le linee senza la staticità di Rooney e la fisicità di Fellaini. Il classico movimento di Mkhitaryan è ad accentrarsi dietro la linea dei centrocampisti avversari, creando lo spazio per l’inserimento di Valencia (strumento offensivo utilizzato spesso), e riuscendo a combinare con Pogba sulla trequarti; in aggiunta, quando viene schierato sulla sinistra, può accentrarsi per provare il tiro. È un elemento unico in rosa, per la sua abilità di farsi trovare tra le linee, giocare passaggi chiave (2,8 per 90, il migliore) e per la capacità di attaccare in transizione. Ma il vero fulcro creativo del Manchester United risiede nella combinazione Pogba-Ibra.

Special partnership

L’Ibra del centrocampo, Pogba, si è unito al vero Ibra: poteva essere una battaglia di ego, è diventato un grande amore calcistico. Nessuna coppia offensiva ha creato così tante occasioni da gol (passaggio chiave che si conclude con tiro) in Premier League, e nessuna squadra è così dipendente da due singoli (tanto che il 39% delle azioni dello United si sviluppa sulla sinistra). Come sperimentato dal Liverpool a metà gennaio, bloccare questa affinità elettiva significa ridurre di molto la pericolosità dei “Red Devils".

Pogba è necessario per far progredire l’azione, in una squadra che soffre di staticità: uno dei 5 giocatori in Premier che porta più in avanti la squadra con le sue conduzioni o passaggi.

Il ruolo e le prestazioni di Pogba continuano a essere oggetto di dibattiti e critiche, ma la sua importanza per la squadra è evidente: non c’è nessuno capace di fornire un contributo così ampio in entrambe le fasi. Secondo per tiri per 90 minuti (dietro Ibra, appunto), primo per dribbling riusciti (2,7 per 90), quinto per duelli aerei vinti (3 per 90 minuti), secondo per numero di passaggi, quinto per passaggi chiave (2 a partita), terzo per numero di tackles e secondo per numero di gol (4 finora in Premier, 7 contando tutte le competizioni). Il ruolo di mezzala lo ha reso libero di associarsi sulla trequarti e di inserirsi in area: una risorsa di cui lo United ha disperato bisogno. Proprio la presenza in area è uno dei problemi per Mourinho: con Ibra in giro per il campo a tirare fuori i difensori, spesso la squadra lascia l’area sguarnita. E senza i gol dello svedese, 14 in 21 partite, la sterilità della squadra raggiungerebbe vette “vangaaliane”.

A volte lo United è troppo passivo: qui nessuno prova ad uscire sul portatore, Pogba cammina per il campo invece di andare in raddoppio su Oxlade-Chamberlain. Quando difende troppo in basso, la squadra non sa più come risalire il campo, se non con il lancio lungo.

I problemi offensivi della squadra di Mou però derivano anche dalla staticità del proprio centravanti: in transizione, sono davvero pochi i giocatori offensivi su cui si può contare (Pogba, Valencia, e quando gioca Mkhitaryan). Anche per questo, lo United non riesce ad essere davvero diretto e intenso come vorrebbe: Ibra, dopo il periodo parigino, è ormai un giocatore associativo, quasi come Mata. Il Rooney trequartista degli ultimi anni non può trovare spazio, perché renderebbe la manovra offensiva ancora più lenta e farraginosa: rimane una grande arma a partita in corso, per la sua abilità realizzativa (dopo il gol all’ultimo minuto di recupero contro lo Stoke, Rooney è il più grande marcatore nella storia del Manchester United: 250 gol, uno in più di Sir Bobby Charlton) e nel cambiare il contesto di gioco.

Eppure allo United servirebbe una seconda punta da affiancare a Ibra: un giocatore abile nell’attaccare la profondità e nel saltare l’uomo. Martial da ala sinistra continua a non convincere e la presenza contemporanea di Mkhitaryan e Mata sulla trequarti crea un imbuto in zona centrale. A Mourinho mancano i gol, e l’ultima partita in Premier contro lo Stoke City ne è un esempio lampante: ben 25 tiri, 8 nello specchio della porta, una traversa, ma per segnare c’è voluta la splendida punizione di Rooney. Lo United ha segnato solo 33 gol in 22 partite (di cui uno solo su rigore), ed è l’unica squadra tra le prime sei ad avere segnato esattamente quanto ha creato (gli expected goals erano pari a 32.71 prima dell’ultima partita), mentre tutte le altre sono overperforming. La qualità dei tiri non è eccelsa (quinta con 0, 096 xG per tiro), ma forse significa semplicemente che lo United non può segnare più di così: oltre a Ibra e Rooney, nel pacchetto offensivo ad aver raggiunto la doppia cifra in carriera ci sono Mkhitaryan (1 volta in Bundesliga, oltre al campionato ucraino), Martial (1 volta in Premier), Mata (1 volta in Premier e 1 nella Liga), Fellaini (1 volta in Premier), tutti curiosamente con 11 gol. Centrocampisti, ali, trequartisti dai gol occasionali, niente di più, ma che in questa squadra si devono in qualche modo sobbarcare l’onere di realizzare più spesso del loro solito.

Questo è il gioco che Mou vorrebbe sempre vedere: diretto, veloce, con tre passaggi si arriva in porta e si mette Ibra in condizione di segnare.

Mourinho non ha ancora un piano definito per costruire una nuova fortezza United ed è ancora molto ondivago, sia nella scelta dei titolari che nello stile di gioco: dopo che Klopp aveva bloccato Carrick con una marcatura specifica di Lallana, contro lo Stoke è tornato Fellaini da mezzala, con Herrera in regia. Le conseguenze sono state nette: un gioco più diretto ma meno efficace (ben 37 cross), con Fellaini schiacciato sulla posizione di Mata e Pogba costretto ad arretrare. Nella partita di FA Cup contro il Wigan (squadra di Championship), Mou è tornato al 4-2-3-1 con addirittura Schweinsteiger vicino a Fellaini: il tedesco finora aveva giocato solo 16 minuti e addirittura l’ultima volta in cui era stato schierato titolare risale a più di un anno fa. Il risultato è stato molto soddisfacente, oltre al 4-0 finale: Schweinsteiger non solo ha segnato ma è stato il vero fulcro della squadra (111 passaggi con il 93% di precisione, 1 passaggio chiave, 3 intercetti e 3 tackle), a dimostrazione che lo United gioca meglio quando inserisce intelligenza a centrocampo. E chissà adesso che il tedesco non possa rivelarsi addirittura un giocatore chiave della seconda parte di stagione.

Cosa succede con Fellaini al posto di Carrick: a inizio azione è Valencia a condurre, perché i centrali Smalling e Jones sono troppo a disagio con il pallone ed Herrera non si fa vedere. Mata si abbassa talmente tanto da diventare terzino destro; Pogba e Fellaini non occupano il centro della propria metà campo e non forniscono facili linee di passaggio; Valencia è costretto al lancio lungo, che trova Mkhitaryan in fuorigioco (come sempre l’unico ad attaccare la profondità).

Il vero segreto del successo a Old Trafford è lavorare con lentezza, senza frenesia: seminare, aspettare e raccogliere. Non c’è una ricetta unica, ma solo una grande storia di valori che si tramandano, con l’obiettivo del successo. Proprio per questo, forse c’è bisogno di un Mourinho diverso dal solito, meno aggressivo, più lungimirante, che pensi davvero sul lungo termine: da questa tappa al Manchester United potrebbe dipendere gran parte della sua legacy.

Difficile cambiare così tanto però a metà stagione: Mou ha creato un Manchester United solido, con la miglior striscia di risultati in Premier (imbattuto da 13 partite: 7 vittorie e 6 pareggi), con una difesa abile nella copertura della zona centrale e che concede poche occasioni; ma con difficoltà creative, abile nei momenti di caos della Premier ma ancora incapace di dominare appieno le partite. La squadra lascia ancora molto possesso all’avversario, un po’ per scelta e un po’ per meccanismi di pressing abbastanza scoordinati; con il pallone cerca la verticalità, ma alterna l’impostazione palla a terra con fasi di caos creativo (in cui spesso si ricorre a Fellaini per puntare sulle seconde palle). Il Man United oscilla tra due poli opposti, così come il suo allenatore; in una stagione che è ancora stretta tra la morsa del fallimento (l’attuale sesto posto) e il trionfo (in finale di Coppa di Lega e ancora pienamente in corsa in FA Cup ed Europa League).

Potrebbe essere solo una stagione di assestamento, in una difficile transizione dai meccanismi di van Gaal: e il prossimo anno magari basterà il solito Mou, quello delle seconde stagioni (storicamente le migliori ovunque sia andato: Champions all’Inter, Liga al Real, Premier al Chelsea). Ma chissà se davvero il portoghese pensa mai al futuro, nella sua fuga senza fine dalle panchine europee.

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