Nelle ultime due stagioni prima di questa, il Manchester City ci ha abituato a partenze a razzo prima di perdere gradualmente ed inesorabilmente di quota. Cinque vittorie nelle prime cinque partite del 2015/2016 furono il canto del cigno di Manuel Pellegrini, che riuscì a vincere solo 14 delle 33 gare restanti. L’anno scorso, alla sua prima stagione in Inghilterra, Guardiola cominciò con sei vittorie di fila in campionato, 10 in tutte le competizioni e tre gol a partita di media, prima di un calo in cui oltre a finire al centro delle critiche Pep arrivò persino ad ammettere di sentirsi già al crepuscolo della sua carriera di allenatore.
Il recente passato della squadra di proprietà dello sceicco Mansour ci invita alla cautela, ma a questo punto della stagione, e con un campione decisamente più significativo a disposizione, lo Shuttle guidato da Guardiola ha ormai lasciato l’orbita terrestre e sembra non volerci tornare: nessun altra squadra in Europa esprime un tale senso di domino, che si tratti di classifiche, statistiche avanzate o pura e semplice osservazione.
18 partite, 17 vittorie, un solo pareggio - in campionato contro l’Everton, dopo essere rimasti in 10 uomini già nel primo tempo e aver dominato al punto da meritare, forse, addirittura la vittoria. Un ritmo incredibile che finora ha significato qualificazione ai quarti di Carabao Cup (la vecchia League Cup), la qualificazione agli ottavi di Champions League con due turni di anticipo e, soprattutto, la migliore partenza nella storia della Premier League.
Dallo scisma del calcio inglese del 1992, l’unica altra squadra capace di raccogliere 34 punti nelle prime 12 partite, fu il Manchester City 2011/2012 allenato da Roberto Mancini, ma la squadra di Guardiola è riuscita a fare meglio in termini di differenza reti (+33 contro +31). Allargando la prospettiva, le uniche due squadre ad avere più punti degli “Sky Blues” nei cinque maggiori campionati europei sono Napoli e Paris Saint-Germain: entrambe a quota 35 avendo giocato e pareggiato una partita in più.
Le facce della nuova stagione
Prima dell’inizio del campionato i bookmakers avevano incoronato il Manchester City quale favorito assoluto alla vittoria finale, ma 8 punti di vantaggio sul Manchester United secondo, sono un solco che in pochi si sarebbero aspettati di vedere scavato in così breve tempo. La fiducia sugli uomini di Guardiola era ben riposta: pur chiudendo il campionato 2016/2017 solo al terzo posto con ben 15 punti di distacco dal Chelsea di Conte, il City aveva chiuso la stagione primo per expected goals generati e primo per expected goals concessi. Un dato tipico per le squadre del tecnico catalano, ma tutt’altro che scontato considerato che la sua squadra attuale non può vantare la stessa superiorità tecnica sul resto del campionato che avevano il Bayern e il Barcellona.
Nonostante il miglior attacco e la miglior difesa in termini di prestazione attesa, il City aveva chiuso l’annata con un pessimo ruolino di marcia casalingo (per una squadra che punta al titolo), una produzione offensiva al di sotto delle aspettative e una difesa da più di un gol subito a partita e più volte sotto accusa nel corso dell’anno, sia a livello collettivo che individuale. Al tempo stesso, “l’over-performance” di Chelsea e Tottenham si era protratta per tutto il campionato, posizionandole ai primi due posti della classifica. In questo inizio di stagione, il City sembra essere riuscito a liberarsi degli effetti negativi della varianza: è tuttora primo in xG generati (2,42 a gara), ma sta segnando persino di più del previsto (3,33 reti a partita) e sorprendentemente la spaventosa - positivamente - media di gol subiti (0,58) è pressoché pari a quella attesa (0,60).
Il City è la prima squadra della storia del calcio ad aver coinvolto 6 giocatori, con gol o assist, in più di 10 marcature, a questo punto della stagione: quando si parla di distribuire il talento offensivo e non concentrarlo solo nei piedi di uno o due giocatori.
A poco più di un anno dalla sua entrata in carica, Guardiola ha profondamente rivoluzionato il club, a cominciare dalla rosa. Dei 20 giocatori utilizzati finora in campionato (19 se si esclude Mangala, prestato nel frattempo al Valencia), cinque sono arrivati a Manchester quest’estate e cinque nella scorsa stagione; mentre Sterling, De Bruyne e Otamendi sono arrivati solo un anno prima dell’insediamento di Guardiola. Questo processo ha ringiovanito notevolmente la rosa, passata da un’età media di 28,4 nell’ultimo anno di Pellegrini ai 27,0 anni di oggi, e tagliato definitivamente i ponti con il 2013/2014, l’ultima stagione di successo del precedente ciclo dei Citizens. Se si esclude la permanenza di Kompany, Fernandinho, Touré, Silva e Agüero, tutti veterani ancora in grado di giocare un ruolo determinante, tutti gli altri giocatori di quell’annata hanno lasciato l’Etihad Stadium.
Probabilmente con due anni di ritardo, Guardiola ha posto fine all’annosa questione terzini, dando il benservito a tutti e quattro i laterali difensivi ultratrentenni in rosa fino alla scorsa stagione: Sagna, Zabaleta, Kolarov e Clichy. Se si esclude il serbo, non a caso l’unico per cui la società ha ricevuto un corrispettivo in denaro, nessuno di loro era più in grado di giocare a questi livelli. Alla modica cifra di quasi 150 milioni di euro, sono arrivati a sostituirli Mendy, forse il miglior terzino sinistro d’Europa nella passata stagione (che però si è infortunato quasi subito), Walker, sicuramente il miglior terzino destro della Premier, e Danilo, un ricambio di livello desideroso di uscire dall’ombra di Carvajal e, pur essendo destro, capace di giocare su entrambe le fasce.
È un po’ come se Pep fosse consapevole dei limiti della sua squadra fin dall’inizio ma si sia preso più tempo del dovuto, dando una chance a tutti: un po’ perché nemmeno un club come il City può permettersi un saldo (stimato) da -250 milioni in una sola sessione di mercato, un po’ perché forse aveva bisogno di conoscere approfonditamente alcuni dei suoi calciatori per non avere rimpianti, come successo ad esempio con Delph, che dopo mesi nel dimenticatoio si è rivelato uno dei giocatori chiave di questi primi mesi in un ruolo che non era il suo.
L’arrivo di Ederson sembra aver risolto il problema del portiere: tra dicembre e metà gennaio, Claudio Bravo, arrivato la scorsa estate, aveva concesso 14 gol su 22 tiri in porta subiti. Il brasiliano non è solo quasi dieci anni più giovane, più atletico e più alto del cileno, ma è persino più bravo nel gioco coi piedi e certamente nelle uscite. Freddo sotto pressione, sicuro nel gioco corto e con un calcio lungo telecomandato, Ederson è un portiere-libero forse persino più di Neuer e sotto la guida del suo attuale allenatore rischia di ridefinire ulteriormente i confini del ruolo.
Quanti portieri al mondo hanno questa sensibilità con i piedi?
Il quinto acquisto, Bernardo Silva, è andato ad aumentare ulteriormente la qualità globale della rosa sostituendo numericamente Nolito, altro giocatore bocciato nella passata stagione. Il portoghese non ha ancora trovato molto spazio, anche perché non c’è stato motivo di ruotare l’undici titolare, ma la sua fantasia e consapevolezza tecnica gli permetteranno di essere un’arma micidiale in termini di penetrazione del blocco avversario. Il fatto che possa giocare praticamente in cinque posizioni dello schieramento tipo lo renderà molto utile nelle prossime partite, soprattutto nel tour de force di fine anno. Se il City ha un punto debole è quello che non è ancora coperto numericamente a centrocampo, con lo stesso Fernandinho che, di fatto, non ha un vero e proprio alter-ego in panchina (Gündogan va ancora recuperato fisicamente ed è stato fin qui principalmente impiegato da mezzala).
Dire che sia stato unicamente lo scientifico reclutamento in fase di calciomercato a fare la differenza rispetto alla scorsa stagione sarebbe però ingeneroso. È stato l’incessante lavoro a livello individuale sui giocatori già presenti in rosa e l’immancabile entusiasmo con cui Guardiola allena, a far sì che il livello di apprendimento del suo modello di gioco sia cresciuto a livello esponenziale e che molti calciatori siano migliorati a vista d’occhio nei fondamentali.
L’esempio più eclatante è quello di Stones: da difensore più pagato di sempre era diventato lo zimbello della critica dopo una serie di errori, ma in questa stagione non sembra lo stesso difensore di quella passata, tanto è preciso in chiusura e attento in marcatura. Guardiola ha spiegato che il nazionale inglese ha avuto bisogno di tempo per assimilare il salto di qualità e il fatto di dover giocare tre volte a settimana, cosa che non faceva all’Everton. Quello che conta è che ora, anche se con un anno di ritardo, Guardiola ha il difensore che voleva, in grado di essere determinante tanto con la palla che senza.
Il nuovo Manchester City
Grazie al lavoro del tecnico e alla devozione dei calciatori nei suoi confronti, il collettivo ha beneficiato dei progressi dei singoli e viceversa. Dopo alcune settimane in cui aveva schierato una difesa a tre e flirtato con l’idea di schierare contemporaneamente Agüero e Jesus anche a lungo termine, Pep Guardiola ha trovato un undici che potremmo definire “tipo”, cosa sorprendente se si considera quanto era solito intervenire sulla formazione titolare ai tempi del Bayern.
Il Manchester City gioca con un 4-3-3 (o 4-1-4-1 che dir si voglia). Otamendi e Stones proteggono la porta di Ederson, Walker gioca a destra, mentre, con Mendy infortunato, Delph è stato riadattato con ottimi risultati a terzino sinistro. Fernandinho è praticamente insostituibile davanti alla difesa, ma ancora di più lo è De Bruyne, che sta vivendo una stagione da pallone d’oro, mezzala come David Silva. Sono invece in quattro a contendersi i tre ruoli dell’attacco, tutti con un rendimento stellare: in ordine di contributo offensivo: Agüero (1,64 gol più assist per 90 minuti in campionato, fresco del titolo di nuovo migliore marcatore nella storia del club), Sané (1,41), Sterling (1,21) e Gabriel Jesus (1,17).
Questi ultimi quattro più De Bruyne e Silva sono già stati coinvolti direttamente in almeno 10 marcature ciascuno se si considerano tutte le competizioni: nessun’altra squadra ha mai potuto contare su di una statistica del genere già a questo punto della stagione. La proposta di gioco del City è talmente variegata e complessa, e il talento offensivo è così equamente distribuito che è impossibile impedirgli di segnare (e segnare e segnare ancora).
Ma il fatto che l’undici titolare del Manchester City si sia stabilizzato non vuol dire che Guardiola abbia perso la propria attitudine di sperimentatore. Se gli interpreti sono più o meno sempre gli stessi, sono i compiti che essi svolgono in campo ad essere differenti di partita in partita, tarati per massimizzare la pericolosità offensiva e far leva sui punti di debolezza dell’avversario di turno. Gli unici due che non mutano più di tanto il loro atteggiamento sono Otamendi e Stones, ma, ad esempio, anche loro sono chiamati ad avere un diverso atteggiamento nei passaggi a seconda della partita.
Gli esterni sono oggettivamente quelli a cui viene richiesta maggiore poliedricità. A volte Delph ha agito propriamente da esterno invertito, andando ad affiancare Fernandinho a centrocampo in fase di possesso, mentre Walker si allineava con Stones (pivot difensivo) e Otamendi a formare un 3-2-4-1. Un modo per avere immediata superiorità numerica in fase di uscita e rispondere a eventuali marcature a uomo sul mediano brasiliano. Quando questo tipo di schieramento si è concretizzato, Sterling e Sané si sono mantenuti larghi, quasi a pestare la linea del fallo laterale.
Delph in posizione di esterno invertito accanto a Fernandinho, Walker arretrato in linea con i centrali per trasformare il 4-3-3 in 3-2-4-1 e guadagnare superiorità numerica fin dalla costruzione bassa.
Non sono però mancate giornate in cui i due esterni offensivi si sono stretti vicino al centravanti, lasciando le corsie libere per le avanzate dei terzini (nel ritorno col Napoli il cambio di atteggiamento è avvenuto a gara in corso), finalmente in possesso dei mezzi atletici per soddisfare i requisiti fisici necessari a svolgere questo tipo di ruolo sia in attacco che in difesa e di quelli tecnici per rappresentare un pericolo costante sulle fasce, senza che fossero altri giocatori offensivi a sacrificarsi in una posizione più lontana dal centro.
O persino situazioni più estreme in cui la squadra era sbilanciata tutta su un lato per colpire un punto debole: è accaduto ad esempio contro il Chelsea, con Silva, De Bruyne e Sterling tutti a giocare sul lato destro.
Dal report Wyscout della partita con l’Arsenal si nota come Delph (#18) e Walker (#2) abbiano mantenuto un posizionamento largo - da terzini classici - durante il match.
La solidità delle idee di Guardiola
I ruoli e i compiti dei giocatori all’interno del 4-3-3 sono in continuo divenire, ma i principi di gioco del tecnico catalano sono invece ricorrenti. Innanzitutto le distanze tra i calciatori in campo sono mantenute allo scopo di allontanare gli avversari gli uni dagli altri: i giocatori del City sono sempre abbastanza lontani da indebolire le linee avversarie, ma allo stesso tempo vicini quanto basta per permettere una circolazione di palla rapida, sicura e soprattutto progressiva. Questo, anche grazie all’incredibile sensibilità di tocco della maggior parte degli interpreti.
Oltre alle distanze, il posizionamento dei giocatori offensivi deve far sì che tutti e cinque i corridoi del campo siano occupati da almeno un elemento: ciò complica ulteriormente la vita alle difese avversarie moltiplicando le opzioni di passaggio del portatore di palla. I "citizens" fanno largo uso dei cambi di gioco: dopo aver attirato l’avversario su un lato con una circolazione più o meno prolungata, si cerca l’esterno dalla parte opposta per costringere la difesa avversaria a muoversi da un lato all’altro. Le interazioni tra Silva e De Bruyne sono altrettanto importanti: quando la pressione è concentrata su una mezzala, l’altra ha la possibilità di muoversi nello spazio interno e ricevere palla, costringendo gli avversari a lasciare la propria posizione, disorganizzando le linee di difesa.
Un esempio di come il “juego de posición” del Manchester City costringa l’avversario ad indietreggiare verso la propria area di rigore e a lasciare spazi consentendo di far avanzare il gioco tra le linee. Tutti e cinque i corridoi del campo sono occupati e la fluidità posizionale degli interpreti è massima: Sterling centrale, Agüero a destra.
Questa combinazione quasi scientifica di posizioni e distanze, alla base del gioco di posizione di Guardiola, consente ai giocatori di disorganizzare il pressing avversario e far avanzare il gioco, generando il possesso ritmato tipico del City di questo inizio di stagione, che costringe l’avversario ad indietreggiare gradualmente fino alla propria trequarti. Guardiola lo ha spiegato con una sua famosa frase: «L’intenzione non è quella di muovere la palla, ma piuttosto di muovere l’avversario». Una volta raggiunto l’ultimo terzo di campo le libertà dei giocatori offensivi si moltiplicano ed è possibile assistere a momenti di pura estasi calcistica, come il gol di Jesus al Leicester di sabato scorso.
Il possesso palla del City schiaccia sistematicamente l’avversario, mettendo per larghi tratti della gara i propri talenti in attacco in condizione di combinare tra di loro e di esprimere tutta la propria qualità in un contesto più libero. Inoltre, sono in posizione ideale per un’immediata riaggressione ogniqualvolta il pallone viene perso. Le azioni offensive si moltiplicano una dietro l’altra finché la pressione sulla difesa avversaria non la costringe all’errore o a lasciare quel tanto di spazio che basta per essere freddata da una delle tante bocche di fuoco a disposizione di Guardiola.
Secondo il database di James Yorke, il City si è preso l’81% dei tiri totali nelle gare di campionato affrontate fin qui, cioè almeno il 10% in più di quanto abbia fatto qualsiasi altra squadra dal 2009/2010 ad oggi. Una percentuale che rende bene l’idea di quanto le gare della squadra di Guardiola siano state a senso unico e non solo grazie agli oltre 17 tiri di media scagliati a partita.
Nelle passate sette stagioni, infatti, nessuna squadra ha chiuso le prime 12 partite subendo meno di 7,7 tiri di media: quest’anno il City è a 5,8 conclusioni concesse ogni 90 minuti. Il gegenpressing non è solo una potente arma offensiva, ma permette al City di recuperare palla lontano dalla propria porta, limitando il tempo in cui è costretto a difendere in maniera canonica. La migliorata struttura in fase di possesso e un maggiore equilibrio nel livello di intensità dei reparti hanno migliorato nettamente la gestione delle transizioni difensive, con le velleità di ripartenza avversarie che sono spesso vanificate in brevissimo tempo.
Ora come ora il Manchester City è una vera e propria macchina da guerra: il gol è l’inesorabile prodotto del dispotico dominio della palla e dello spazio che è in grado di esercitare. Anche il Napoli, il più forte avversario affrontato in carriera a detta dell’allenatore catalano, l’unica formazione riuscita a metterli in seria difficoltà in questa stagione, non ha potuto far altro che soccombere di fronte ad un attacco così letale, concedendo 6 gol in 180 minuti.
Guardiola - che, per inciso, ha dichiarato che si può e si deve ancora migliorare, soprattutto in previsione di dicembre - ha zittito definitivamente i suoi detrattori, dimostrando di essere in grado di prendere una squadra a fine ciclo e ricostruire praticamente da zero e in brevissimo tempo un inarrestabile juggernaut. Ora non gli resta che aprire l’ennesimo ciclo vincente, limando gli ultimi difetti di quella che già ora possiamo considerare la migliore squadra d’Europa.