Il 31 dicembre del 1999 il mondo si preparava all’arrivo del Nuovo Millennio col timore del Millennium Bug, un potenziale difetto informatico che avrebbe dovuto mandare in tilt i sistemi di elaborazione dati di tutto il pianeta.
Il basket italiano, al 31 dicembre 1999, affrontava l’arrivo del nuovo millennio da campione europeo in carica, dopo lo splendido trionfo di Parigi contro la Spagna, e con la consapevolezza di aver vissuto un decennio di altissimo livello: sebbene sia pur vero che gli anni ’80 erano stati più fecondi a livello di risultati internazionali (ben 5 trionfi italiani nell’allora Coppa dei Campioni), gli anni ’90 han visto passare nel nostro paese grandi giocatori e affermarsi squadre come Benetton Treviso, Fortitudo e Virtus Bologna che, nel corso degli anni, sono state anche grandi contributors a quella che è la pattuglia internazionale della NBA.
Alla mezzanotte del 1° gennaio 2000 in molti capirono che gran parte dei timori per il Millennium Bug erano infondati. Col senno di poi, quella data può aver rappresentato l’inizio di un periodo buio per quel Basket Italiano che era entrato nel terzo millennio da campione europeo in carica.
In soli quindici anni, dal 2000 al 2015, la geografia della pallacanestro nostrana è cambiata radicalmente, sconvolgendo campionati interi e distruggendo tanti centri di passione. Il tutto davanti a organismi che hanno assistito (e continuano ad assistere) inermi a questa sequenza impressionante di fallimenti, rinunce, esclusioni a campionato in corsa, continuando invece a teorizzare su un movimento in salute.
Considerando le squadre che han disputato uno dei primi tre campionati per livello (oggi A, A2, B, in passato al posto della B la vecchia B d’Eccellenza/A dilettanti) disputati interamente nel nuovo millennio, in oltre cento casi si è verificato un fallimento economico-sportivo o una situazione diversa rispetto al normale e naturale merito sportivo, vale a dire uno scambio o anche cessione del titolo sportivo (spesso effettuato per garantire l’effettiva sopravvivenza economica della squadra che decide di scendere di categoria), un’auto-retrocessione o un ripescaggio. Un dato che, di fatto, annulla o quantomeno altera pesantemente quei mesi di campionato che servono a determinare una classifica con rispettive posizioni finali.
Un Bug, appunto.
Più grande sei, più rumore fai quando cadi
Erano in 16 le squadre che, il 31 dicembre 1999, si stavano giocando il primo scudetto del nuovo Millennio, che si concluse con la prima, storica vittoria della Fortitudo Bologna. Soltanto cinque società (Milano, Cantù, Varese, Reggio Emilia, Imola) su sedici conservano oggi la stessa struttura e provenienza di 17 anni fa. Di quelle cinque squadre, solo l’Olimpia e Cantù hanno disputato tutte le successive stagioni della Serie A1.
La storica gara-4 di Treviso che consegnò il primo Tricolore all’altra metà delle Due Torri.
Serie A1 che, tranne un paio di eccezioni, ha visto in ogni stagione del suo Terzo Millennio almeno una versione del Bug che affligge la palla a spicchi nostrana. Nel primo quadriennio olimpico, quello che portò alle magiche notti di Atene, non c’è mai stata pace nel massimo campionato nazionale, con i fallimenti di Montecatini nel 2001, Verona nel 2002, Virtus Bologna (radiata dalla FIP come conseguenza del caso-Becirovic) nel 2003, e delle retrocesse del 2004, poco prima dei Giochi, Trieste e Messina (tra l’altro ripescata in A in seguito alla radiazione della Virtus).
Quella Messina retrocesse nonostante la presenza in squadra del due volte campione NBA Matt Bonner
A livello mediatico, l’argento di Atene ebbe una funzione “pulitrice”: tutto andava bene ed era legittimo dimenticare i quattro anni precedenti. Ma se da allora l’Italia non ha mai ripetuto risultati di quel livello, la giostra dei fallimenti e dei Bug è continuata senza sosta.
Dal fallimento del 2005 di Pesaro (dopo una stagione da quarti di finale in Eurolega, compresa l’impresa di Barcellona), al 2009, anno del punto più basso mai toccato dalla nazionale con la mancata qualificazione agli Europei, l’elenco ha visto aggiungersi anche i nomi di Roseto nel 2006, Napoli e Capo d’Orlando nel 2008 - non ammesse al campionato successivo per irregolarità economiche la prima e amministrative la seconda - e, soprattutto, la Fortitudo Bologna, retrocessa all’ultima giornata e poi dichiarata fallita.
L’incandescente finale di Teramo che condannò la Fortitudo alla retrocessione
Nemmeno l’avvento del nuovo decennio ha rappresentato un’inversione di tendenza. Il 2010 è l’anno di NapoRieti: dopo essersi trasferita a Napoli e aver allestito una sfarzosa e illusoria campagna acquisti culminata dall’arrivo in Italia di due ex-NBA come Robert Traylor e Damon Jones, l’ex Sebastiani del presidente Papalia si ritrova a girare il paese, per quattro mesi, con l’Under-19 reatina, riscrivendo tutti i record negativi del basket italiano (tardivamente annullati in seguito alla radiazione della squadra a stagione in corso).
La risposta al caso NapoRieti fu l’introduzione della “wild card”: la squadra classificatasi penultima a fine stagione avrebbe avuto la possibilità di salvarsi dalla retrocessione in Legadue pagando una penale di 500mila euro, da destinare alla seconda classificata di Legadue. Teramo si avvale di tale diritto, per poi fallire l’anno dopo, nell’estate 2012, annata caratterizzata anche dall’auto-declassamento della Benetton Treviso, che rinuncia al professionismo per motivi economici, limitando la propria attività al solo settore giovanile.
L’ultima partita giocata dalla Benetton, in serie A1, al PalaVerde di Treviso
Treviso che fu “protagonista negativa” anche dell’unica stagione, fino a questo punto, senza fallimenti o radiazioni in A1: il 2006-07, dove la Benetton fu penalizzata di 12 punti dopo aver vinto la Coppa Italia anche grazie al tesseramento irregolare di Erazem Lorbek. Quel -12 in classifica causò l’esclusione dai playoff: da quando sono stati introdotti nel campionato italiano (fine anni ’70), solo la Virtus Roma nel 1985 mancò la post-season da campione d’Italia in carica.
Se nel 2013, estate in cui il basket italiano riscopre il feeling con la Nazionale che esalta durante la prima fase dell’Europeo sloveno, non si assistono ad ulteriori Bug, nel 2014 la pallacanestro italiana viene sconvolta dal caso Siena, vincitrice degli ultimi 7 scudetti. Caso Siena che in realtà ha radici ben profonde, come spiegate in questo pezzo di Francesco Anichini. Radici sostanzialmente ignorate dai massimi livelli della pallacanestro nostrana fino al momento in cui, in una mattina del maggio 2014, la Guardia di Finanza arresta Ferdinando Minucci, deus ex-machina della Mens Sana e Presidente in pectore della Legabasket.
Il finale dell’ultima partita giocata dalla Mens Sana in Serie A1 nel suo fortino, il PalaEstra
L’appassionante gara-7 di finale Scudetto persa in volata dalla Montepaschi contro Milano rappresenta la fine annunciata della dominatrice dell’ultimo decennio di pallacanestro italiana. Il 2014 però segnò la parola fine anche per la corsa della Sutor Montegranaro, che dopo esser retrocessa all’ultima giornata (dopo otto stagioni consecutive nella massima serie) scompare dal basket professionistico ripartendo dai dilettanti.
Con l’auto-retrocessione volontaria di Roma, che nell’estate 2015 rinuncia alla Serie A1 dopo 35 anni nella massima serie, sono 16 le squadre di A1 che, dal 2001 ad oggi, sono state colpite da una varia accezione dal Bug, che va oltre il normale svolgimento di un campionato sportivo. Sedici, come le squadre che oggi disputano il campionato di Serie A.
Come però recita un proverbio campano, ‘O pesce fete d’a capa, il pesce puzza sempre dalla testa. Perché il Millennium Bug del Basket Italiano non si è certo fermato alla sola A1.
La dura vita delle Minors
Considerando i due campionati immediatamente inferiori, per livello, alla Serie A1, si può osservare come il Bug si sia esteso egualmente in maniera epidemica.
Calcolando esclusivamente dei “fallimenti” diretti, immediatamente successivi alla normale conclusione della stagione – e in alcuni casi anche durante lo svolgimento della stessa - sono ben 32 le squadre, senza particolari distinzioni geografiche, tra la Legadue/Serie A2 e le innumerevoli versioni del terzo campionato nazionale (B d’Eccellenza, A Dilettanti, Divisione Nazionale A, A2 Silver fino ad arrivare all’odierna Serie B) ad essere state vittime della scure del fallimento o dell’esclusione dai campionati decisa dalla FIP.
32, il doppio delle 16 di A1. 32, come le squadre che oggi disputano l’A2 unica, il secondo scoglio del basket professionistico italico.
Ad aggravare il tutto, questi 32 casi di Bug delle Minors si son verificati in un arco temporale più ristretto: dal 2005 al 2015. Tra questi 32 casi c’è di tutto: non ammissioni in seguito a promozioni (Fortitudo Bologna nel 2010 e Trapani nel 2011), abbandoni a stagione in corso (Lucca 2014), addirittura esclusioni durante lo svolgimento del campionato, come per NapoRieti nella A1 2009-10 (Napoli e Eagles Bologna 2013, Forlì e Veroli 2015), finanche squadre che si ritirano ancor prima dell’inizio del campionato (Firenze in B la scorsa estate); per le restanti squadre, la scure del fallimento si è abbattuta al termine di una stagione comunque conclusa (quando si è conclusa) con la permanenza nel campionato di categoria, con la cessazione delle attività e lo scioglimento del titolo sportivo, per ripartire in alcuni casi con nuove società da un campionato inferiore (spesso dilettantistico e regionale).
Il clamoroso buzzer-beater di Malaventura che sarebbe valso, per la Fortitudo Bologna, il ritorno in A2 nel 2010
Esiste però un’altra variabile del Bug, altrettanto frequente nelle stesse minors: l’incapacità di sopravvivere a una retrocessione.
Considerando sempre il secondo e il terzo campionato nazionale, nel nuovo millennio ben 29 squadre sono scomparse in seguito (non necessariamente immediato) a una retrocessione di categoria. Retrocessione che spesso comporta, specie nelle categorie inferiori dove i (pochi) soldi che girano sono spesso differiti nel tempo, un danno economico e organizzativo ben superiore alla semplice differenza di livello sportivo.
L’elevato numero di “retrocedi e poi muori” è stato condizionato anche dalle innumerevoli riforme che hanno modificato, nell’arco di 15 anni, le partecipanti ai vari campionati: la fu B d’Eccellenza, nel corso delle mutazioni che l’han portata a diventare A2 Silver per poi fondersi nella A2 unica, è progressivamente passata da 28 squadre partecipanti a 32, per poi scendere fino a 28, 24 e, nell’ultima stagione d’esistenza (prima della fusione) 16. Una schizofrenia che ha provocato confusione negli appassionati e non ha aiutato la continuità organizzativa e sportiva delle società: delle 28 partecipanti alla B1 2000-01 le “sopravvissute” alle varie variabili del Bug si possono contare sulle dita di una mano.
La partita che consegnò la promozione in A2 alla Moncada Agrigento, l’ultima vincitrice della fu B1 poi DNA Silver.
Effetti e Rimedi
Per assicurare il “riempimento delle caselle”, effetto diretto delle variabili del bug citate prima, nel Terzo Millennio è stato necessario ricorrere, tra i primi tre campionati, al ripescaggio di ben 33 squadre. Ripescaggi che, a differenza di quanto avvenuto sovente nel calcio italiano degli ultimi anni (si veda il caso della Fiorentina nei primi anni 2000 o al ranking previsto per determinare i ripescaggi in Serie B delle ultime stagioni), han pressoché sempre seguito la logica del merito sportivo: a mantenere la categoria causa guai altrui, nonostante il verdetto del campo avesse dato un altro responso, sono state squadre tra le prime delle retrocesse o delle non ammesse (ad esempio finaliste perdenti dei playoff) al campionato successivo.
Ripescaggi che han portato a debutti storici (Messina in A1 nel 2003, San Severo – nel 2010 -, Sant’Antimo e Ostuni – nel 2011 – in A2, Agropoli in A2 nell’ultima estate), dato slancio a nuove ere positive delle squadre coinvolte (Avellino in A1 nel 2006, Trento in B1 nel 2011 e il doppio ripescaggio di Capo d’Orlando in A2 nel 2012 e in A1 nel 2014), ma anche dato, col senno di poi, nuova “ristampa” a certi finali thrilling: si pensi al già citato canestro di Malaventura (Forlì fu ripescata proprio al posto della Fortitudo) o al tiro libero sbagliato di proposito, all’ultima giornata della Serie A1 2002, da Louis Bullock per l’Olimpia Milano per evitare il supplementare e il rischio di retrocessione (Livorno fu poi ripescata in A1, causa il fallimento di Verona).
Un giovanissimo Louis Bullock con la maglia di Verona, ancor prima di “salvare” Milano col tiro libero sbagliato più famoso della storia dell’Olimpia
Ripescaggio che avviene pressoché sempre, ma che ha spesso portato alcune squadre a non programmare bene il futuro, finendo poi vittime del Bug: è stato il caso, tra le altre, di squadre come Fabriano nel 2005, la stessa Ostuni nel 2011 e Forlì, esclusa a campionato in corso nella scorsa stagione dopo il ripescaggio dell’estate precedente.
Un modo per “evitare” il fallimento cui si è ricorso spesso negli ultimi tre lustri è stato il trasferimento del titolo sportivo, un fenomeno da leggere sotto molte chiavi di lettura: in alcuni casi è stato il motore per ripartire con un nuovo progetto di successo (le nuove versioni di Virtus Bologna, Pesaro, Verona, Trapani ad esempio). In altre occasioni il ripescaggio è stato un espediente per trasferirsi in piazze di dimensioni maggiori per rendere la squadra più “sostenibile”: espediente che ha visto successi (da Castelletto Ticino, che rinunciò alla promozione in A2 l’anno prima, a Caserta nel 2004 o da Soresina alla vicina Cremona – dopo la promozione in A1 – nel 2009) ma anche débâcle (da Ribera a Palermo nel 2006 o le nuove vite di Napoli, tra Sant’Antimo 2012 e Biancoblù Bologna 2013, e Novara, che fallì la stagione successiva all’acquisto del titolo della stessa Castelletto nel 2007).
Il ripescaggio è considerabile come un male necessario, che può anche produrre risultati positivi (l’epopea della Trento semifinalista di Eurocup parte da un ripescaggio in A Dilettanti nel 2011), ma resta comunque una diretta conseguenza del Bug.
Maurizio Buscaglia riuscì a salvare Trento nel 2011 solo via ripescaggio: in questa stagione ha allenato una semifinale europea da debuttante
Life After Bug
La vita dopo il Bug non è sempre agevole. In alcuni casi, tipo quello di Pesaro e Virtus Bologna, la risalita può essere abbastanza rapida (entro due anni); c’è chi ci ha messo sei anni come Capo d’Orlando, ripartendo fin dai campionati regionali; ed altri esempi altrettanto blasonati – come Treviso, Fortitudo e Siena – ci insegnano come il ritorno in “paradiso”, pur con nuove denominazioni e diverse strutture societarie, possa essere un cammino lungo, stancante e pericoloso.
Il ritorno in A2 della Fortitudo Bologna
Il 2015-16 si sta avvicinando alla sua fase conclusiva, e al momento in cui scrivo dobbiamo già registrare il primo bug (e possibilmente non ultimo) dell’anno. Non è sostenibile, né credibile, un movimento sportivo inaffidabile come lo è quello del basket italiano.
La ridotta affidabilità del movimento, foraggiato da dichiarazioni e comportamenti miopi che portano a immaginare un mondo dove tutto va bene, è prima di tutto causata dal fatto che i campionati stessi non sono credibili. Con quale spirito qualcuno dovrebbe avvicinarsi a uno sport dove non vi è certezza del domani? Dove non si può avere continuità tra campionati e la sicurezza di esistere anche solo sul brevissimo termine?
In questa stagione, 112 squadre stanno partecipando a campionati nazionali (A, A2, B). Un numero che è superiore all’equivalente calcistico (96 squadre tra A, B e Lega Pro), ma inferiore a quello delle squadre colpite da questa specie di virus dal 2000 ad oggi: contando la ventina abbondante di scambi di titoli sportivi che hanno coinvolto squadre partecipanti a uno dei primi tre campionati nazionali (e anche coloro che hanno rinunciato a disputare uno di questi tornei), sono ben 132 le squadre “vittime” di questa malattia.
Una lista interminabile, che non accenna a finire. Ed un Millennium Bug che si è trasformato sempre più in virus, che ha continuato a danneggiare un movimento tutt’altro che in salute, dove non può essere accettato il fatto che sia fisiologico pagare gli stipendi con due mesi di ritardo. Perché troppo spesso due mesi diventano quattro, otto, dodici. Diventano anni. E, soprattutto, danno vita ad una giostra che sembra ben lontana dalla conclusione, e che rischia di vanificare le poche isole felici della pallacanestro.