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Il momento più bello dell'anno
15 apr 2016
Presentazione delle otto serie dei playoff NBA, che da domani ci toglieranno il sonno.
(articolo)
23 min
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Eastern Conference

Cleveland Cavs (1) vs Detroit Pistons (8)

Di Lorenzo Bottini (@BottDontLie)

Nella vita ci sono tre cose certe: la morte, le tasse e LeBron alle Finals. E mentre per le prime due si può barare a scacchi o aprire un conto a Panama, sfuggire alla legge del Re sulla costa Est può essere un pochino più complicato: per dirla con la brutalità dei numeri, James in carriera è 10-0 nel primo turno dei playoff e, nonostante Detroit si sia aggiudicata tre dei quattro scontri stagionali, ESPN garantisce a Cleveland l’87% di possibilità di aggiudicarsi la serie. Van Gundy infatti ha riportato i Pistons ai playoff dopo i proverbiali sette anni di sventura, ma difficilmente potrà rovesciare la monarchia lebroniana.

Stan The Man in due anni da plenipotenziario nella Motor City ha completamente ribaltato la precedente edizione dei Pistons, costruita sull’impossibile convivenza di tre lunghi, e ha plasmato una squadra a sua immagine e somiglianza, con un centro dominante e un playmaker capace di attaccare dal pick and roll centrale grazie allo spazio costruito dagli esterni ibridi, intercambiabili e dotati di un tiro dalla distanza da rispettare.

Un'idea di gioco che si avvicina molto a quella messa a punto dalla squadra di James, ovvero tirare con frequenza da tre, dare battaglia a rimbalzo offensivo e cambiare su tutti i blocchi. Il problema per Detroit è che i Cavs tutto ciò lo fanno meglio, grazie ad un maggior affiatamento e a un indiscutibile talento individuale, e questo gioco degli specchi deformerà ancor più le differenze reali.

Da quando Tyronn Lue è stato nominato capoallenatore la squadra ha ritrovato quella coesione nello spogliatoio che mancava con Blatt e in particolare si è almeno tentato di rimettere Kevin Love al centro del progetto tecnico, rispolverando i suoi post-up e cavalcando le situazioni in cui lavora come bloccante. La sua capacità di aprire il campo sia in situazione dinamica (0.91 PPP), sia come spot-up (1.06 PPP) rende l’attacco Cavs il più efficiente ad Est (108.1) e obbligherà Detroit a scegliere se intrappolare James uscendo forte sul blocco o restare con il tiratore.

In teoria la squadra di Van Gundy ha vari corpi da poter spendere su James potendo scegliere tra Marcus Morris, Tobias Harris e il rookie Stanley Johnson. In realtà deve solo sperare che in campo scenda la versione distratta e sotto ritmo vista fino ad un mese fa e non quella in pieno slancio playoff ammirata di recente. Confrontare i numeri messi insieme fino a febbraio con quelli di aprile serve solo a confermare come ormai LBJ abbia un controllo totale del suo corpo e possa decidere a piacimento quanta pressione esercitare sull’acceleratore. È probabile che affronterà questa serie con il limitatore acceso usando queste partite per rimettere in ritmo Kyrie Irving. L’ex Duke, da quando ha scoperto su Instagram il tradimento della sua Kehlani, ha avuto un brutto periodo di sei partite in cui ha tirato con il 37% (prima di riprendersi con Atlanta) e ha denunciato i soliti problemi difensivi - tanto che, con Dellavedova al suo posto, i Cavs guadagnano la bellezza di 11 punti di Net Rating. Avrà un cliente scomodo in Reggie Jackson, giocatore tanto incostante quanto infiammabile, e principale responsabile delle imbeccate per Drummond.

Dre è quella montagna di 130 chili che giganteggia nelle aree pitturate alla continua ricerca del rimbalzo, cosa che gli riesce all’incirca 15 volte a partita. In questa serie però avrà pane per i suoi denti: la sua prepotenza fisica si scontrerà sotto canestro con l’energia cinetica di Tristan Thompson, perciò preparatevi ad assistere a un possibile sequel di Pacific Rim 2.

Toronto Raptors (2) vs Indiana Pacers (7)

Di Fabrizio Gilardi (@Fazzettino)

Gli Indiana Pacers hanno iniziato la stagione al grido di "rivoluzione!", "smallball!", "pace-and-space!", "Paul George stretch four!" e tutto il resto, facendo di necessità virtù (l'addio di David West), ma anche convinti che lo stile di gioco che li aveva portati alle Finali di Conference 2014 fosse poco adatto per l'NBA odierna. Risultato: il numero di possessi giocati è cresciuto (11º pace, nel 2014 era il 20º), ma in attacco restano sotto media (23º), pessimi a difesa schierata (28º), con pochissime soluzioni piedi per terra e al ferro (peggiori 5), e abbondanti dosi di tiri dalla media distanza (4º per volume, ma 24º per percentuale di realizzazione).

In sostanza: sono sinceramente brutti e tutt'altro che moderni. In compenso la difesa è incredibile, la 3ª migliore di tutta la lega. Senza punti deboli, specie tra gli esterni (l'ennesima reincarnazione di Monta Ellis passa sotto traccia, ma è tremendamente hipster ed affascinante), eccellente nel forzare palle perse e soprattutto in grado di commettere pochi falli e quindi, sulla carta, limitare i viaggi in lunetta dell'avversario di turno, cosa che ai playoff può anche fare la differenza. E quando Ian Mahinmi (credibilissimo candidato ad un posto in uno dei due quintetti difensivi... !) e Lavoy Allen (!!!) sono in campo insieme (circa 10' a partita in stagione, ma solo 9 minuti totali nelle sfide contro Toronto) in area non si entra (56% a rimbalzo, Defensive Rating 93.4 e soprattutto Net Rating +12.6). Piccolo dettaglio: nelle partite punto a punto salta tutto per aria (-3,3).

I Raptors invece sono uno dei misteri più intricati della lega: sono i più efficienti in transizione, ma non corrono mai (penultimo pace); nonostante questo e i pochissimi assist (ultimi), hanno un grande attacco (5º); il quintetto titolare assicura partenze ad handicap (5ª peggior squadra nei primi 6 minuti di partita), la panchina risolve i problemi (solo gli Spurs fanno meglio). I segreti? Kyle Lowry, ormai Superstar a tutti gli effetti; Patrick Patterson 6º uomo dell'anno o giù di lì; DeMar DeRozan, che all’ultimo anno di contratto e direttamente dagli anni '90 (un po' come i Pacers, del resto) va al ferro a piacimento, guadagna una marea di liberi (ma contro Indiana come visto potrebbe essere complicato) e per il resto vive a 5 metri dal canestro; e Norman Powell, che è il più grosso maquestodadovediavoloèuscito?!? della stagione dopo Josh Richardson.

Kyle Lowry risponde ai dubbi su stile di gioco, star power e solidità dei Raptors

La stagione di Toronto è stata clamorosa anche e soprattutto negli scontri diretti con altre contendenti, sia ad est che ad ovest e dovrebbe, FINALMENTE, essere arrivato il momento della prima vittoria della propria storia in una serie di Playoffs al meglio delle 7 partite - nonostante la sostenibilità fuori dalla regular season dei loro punti di forza sia tutta da testare. La visione è consigliata ai feticisti delle partite ai 90 punti, con curiosità riguardanti le combinazioni di lunghi che entrambi gli allenatori metteranno in campo (a proposito di hipsterismi, evoluzioni e reincarnazioni: Biyombo e Scola!) e più in generale le letture tattiche (Casey è un fenomenale gestore di uomini, ma dal punto di vista di X&O's ha spesso lasciato a desiderare).

Possibili X-factors: DeMarre Carroll, infortunato in pratica per tutta la stagione e fiore all'occhiello della (eccellente, vedi anche Cory Joseph) free agency di Masai Ujiri; Monta Ellis e Myles Turner, che in caso rispettivamente di ritorno ed esplosione a certi livelli di produzione offensiva potrebbero essere la soluzione al marginale problema (...) che Indiana incontra al momento non indifferente di fare canestro.

Miami Heat (3) vs Charlotte Hornets (6)

Di Nicolò Ciuppani (@NickRamone)

La serie tra Heat e Hornets sarà la più equilibrata del primo turno. Le due squadre che condividono lo stesso record si sono spartite i confronti stagionali con due vittorie a testa e le ultime partite sono entrambe finite con 3 punti di scarto.

Miami e Charlotte sono due squadre difficilmente decifrabili: per lunga parte della stagione entrambe senza il miglior giocatore (Chris Bosh e Michael Kidd-Gilchrist), ma tutte e due in grado di superare le aspettative date le assenze. Charlotte è una squadra che si presenta ai playoff con un attacco e una difesa tra le prime 10 della lega, ma è quart’ultima per percentuale di tiro (43.7%); gli Heat invece sono una squadra dalle mille facce e che gioca meglio quando i suoi migliori giocatori non sono in campo assieme.

Gli Hornets hanno rivoluzionato l’attacco, con Nicolas Batum che si è dimostrato il collante perfetto per liberare spazi in area e permettere a Kemba Walker di sfruttarli per buttarsi a canestro alla ricerca del fallo. Gli Heat invece hanno rivoltato la loro stagione spostando Luol Deng a fare il 4 titolare e facendo uscire Hassan Whiteside dalla panchina.

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Gli Hornets hanno ormai stabilmente spostato Al Jefferson a comandare la second unit, affidando a Frank Kaminsky e Cody Zeller l’impellenza di vedersela con i lunghi avversari. Il secondo, in particolare, è la vera gemma difensiva di questa stagione: è il più veloce centro nella lega per NBA.com ed è perfettamente in grado di cambiare sui pick & roll e contenere il palleggio del portatore, togliendo quindi qualsiasi vantaggio all’attacco avversario.

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Kaminsky d’altro canto non è ancora minimamente in grado di proteggere l’area e tende a sparire dall’attacco per lunghi tratti della partita, ma se entra in ritmo è abbastanza intelligente da prendere costantemente in controtempo l’avversario o punirlo se ritarda nell’uscita.

Gli Heat, dal canto loro, hanno cambiato modo di giocare una volta perso Bosh e adesso il quintetto titolare è un nutrito gruppo di tiratori in cui Dwyane Wade può giocare più interno (nelle serate in cui il tiro non lo assiste), oppure portare palla (quando le gambe gli sono più favorevoli). Gli altri quintetti sono esempi di attacchi che cercano costantemente il ferro: quando Dragic porta palla si trova più a suo agio con Stoudemire nel pick & roll, e senza Wade è più libero di gestire il contropiede come meglio crede; Whiteside e Winslow sono in grado di annichilire chiunque in difesa, specie nelle serate in cui Hassan è molto più consistente che funambolico. Winslow però è ancora molto indietro come tiratore: il suo baricentro è ancora troppo basso al momento del tiro e i suoi compagni non si fidano a passargli la palla, perciò aspettatevi gli Hornets pronti a battezzarlo per gran parte della serie e raddoppiare Wade e Dragic.

Entrambe le squadre sono dei piccoli capolavori dei propri allenatori, Clifford e Spoelstra, due coach estremamente versatili ed eccezionali negli aggiustamenti tra una gara e l’altra, cosa che può portare entrambi a estremizzare le loro idee di pallacanestro nel corso della serie. La chiave per gli Hornets sarà liberare l’area in attacco, possibilmente con largo impiego di Troy Daniels e Marvin Williams in modo da permettere a Kemba di fare il Kemba. Per gli Heat invece l’obiettivo sarà quella di annichilire la second unit degli Hornets, che è il loro punto debole nelle serate in cui Jefferson e Jeremy Lin non sono particolarmente ispirati in attacco.

Se le partite saranno punto a punto aspettatevi Miami uscirne vincente, visto che hanno numerosi veterani a cui dare la palla nei minuti finali e il fattore campo a favore.

Atlanta Hawks (4) vs Boston Celtics (5)

Di Marco Vettoretti (@IlVettoJr)

La serie di playoff che ad est, stando ai seed delle due squadre, si annuncia come la più equilibrata è senza dubbio quella che pone di fronte gli Atlanta Hawks di Mike Budenholzer, Allenatore dell’anno nel 2015, e i Boston Celtics di Brad Stevens, tra i più seri candidati al medesimo riconoscimento al termine di questa stagione (al netto di Steve Kerr).

Il rush finale con cui entrambe hanno raggiunto la campanella finale della regular season, chiudendo con l’identico record di 48 vittorie e 34 sconfitte, dovrebbe consentire alla serie di partire subito con le marce alte, e viste le quattro sfide stagionali mandate in archivio, è lecito iscrivere gli Hawks nella casella dei favoriti. Seppur con un margine molto ristretto.

Pur trattandosi di due squadre che fanno dell’attacco bilanciato il proprio credo (66.3 di Ast% per Atlanta e 61.6% per Boston, seconda e quinta nella Lega), è dalla parte opposta del campo che si deciderà la serie. Di fronte, infatti, si troveranno due delle tre migliori difese della Eastern Conference (98.8 punti su 100 possessi per gli Hawks, 100.9 per i Celtics) e due delle prime tre per palloni recuperati a partita.

Più di ogni altro, Atlanta avrà bisogno del suo miglior Jeff Teague, che nelle ultime 10 partite giocate ha messo a referto 20.6 punti e 6.5 assist, inclusi i 24 e 7 con 5 rimbalzi fatti registrare il 9 aprile proprio contro Boston. Dalle sue prestazioni passeranno molti dei destini della serie, fermo restando che il backcourt biancoverde ha la rapidità necessaria per restare sulle piste sia dell’ex Wake Forest che del tedesco Dennis Schröder. Entrambi gli allenatori potranno fare affidamento su un parco lunghi atipico e versatile, per quanto sottodimensionato. Stevens, in particolare, potrà godere dell’assenza di Splitter, irrilevante nella sua prima stagione in Georgia, e giostrare tra il gioco in post di Jared Sullinger e la vena perimetrale di Kelly Olynyk, lasciando ad Amir Johnson l’ingrato compito di abbassare la saracinesca nel proprio pitturato.

Per l’ex Toronto, ad ogni modo, sarà tutt’altro che facile: Al Horford ha ampliato di un passo il proprio range da un anno all’altro, mettendo in faretra un tiro dall’arco credibile, come si può vedere dalle due chart.

Ultimo appunto: Paul Millsap ha mandato in archivio una delle sue stagioni più complete dal punto di vista statistico, sia offensivamente che difensivamente, visto che è il migliore della NBA per defensive win shares davanti a nomi quali Draymond Green e Kawhi Leonard.

Western Conference

Golden State Warriors (1) vs Houston Rockets (8)

Di Daniele V. Morrone (@DanVMor)

Sembra passato un lustro, ma le due squadre che si sono giocate la finale di Conference la scorsa stagione, adesso si affrontano in un primo turno in cui la reale domanda non è se Houston può provare un incredibile upset, ma quante partite può realisticamente vincere in casa. Perché all’incredibile stagione dei record degli Warriors ha fatto da contraltare l’enorme flop della stagione dei Rockets e neanche il più entusiasta dei tifosi texani può realisticamente ammettere di avere una qualche speranza. Se è vero che i playoff sono un altro sport rispetto alla regular season, la distanza in questi mesi tra le due squadre si è fatta talmente ampia da far sembrare più probabile un 4-0 che un 4-1.

Se non ricordate com’è andato l’ultimo scontro in stagione regolare, quest’azione lo riassume fedelmente.

Perché anche solo per vincerne una i Rockets devono sperare innanzitutto che mentalmente gli Warriors siano arrivati demotivati dopo la rincorsa alle 73 W, che l’MVP abbia la giornata no al tiro e al contempo che Harden sia in stato di grazia da tre e oltretutto di prendere da subito la scelta giusta su come affrontare la serie: che sia con il quintetto base (difficile), quello small ball con Ariza da 4 (forse) o quello delle torri con Howard e Capela insieme (auguri).

Con un attacco tra i primi 10 della lega, ma una difesa da squadra dedita al tanking (105.6 di rating difensivo), i Rockets hanno poche altre opzioni che non siano giocarsela a chi fa più canestri. Perché il quadro della difesa è pessimo a dir poco: i Rockets non sanno seguire i movimenti senza palla (con gli ormai famosi lapsus di Harden), non sanno andare a rimbalzo difensivo (dove sono ultimi visto che prendono 31.7 rimbalzi difensivi a partita, o se preferite il 73% di quelli disponibili), e la difesa in transizione è uno spettacolo più unico che raro - in senso dispregiativo (prendono 20 punti a partita da palle perse).

Sì però quest’anno c’è Beverly per marcare Steph Curry, no? Good luck Patrick.

Posto che chiunque deve sperare di vedere in campo il meno possibile il celebre Lineup of Death degli Warriors (quel mostro pentafronte che ha seminato terrore e distruzione quando in campo in stagione), Houston deve provare a tamponare il possibile cambiando su qualsiasi blocco e cercare di andare al ferro. Subito e sempre. Un piano a dir poco impossibile.

Con anche i tifosi texani che puntano più che altro a non uscire con uno sweep, l’incentivo per seguire la serie sta nel vedere la sfida tra il miglior giocatore al mondo e quello che vale da solo un intero attacco. Oppure per chi vuole prendersi i popcorn e vedere in quanto tempo riuscirà Draymond Green a far uscire Howard per falli. Ma anche e soprattutto per chi vuole vedere come dei personaggi permalosi come gli Warriors abbiano preso il fatto che quasi tutte le attenzioni dei media siano andate per l’ultima partita di Kobe invece che per il loro record storico.

San Antonio Spurs (2) vs Memphis Grizzlies (7)

Di Francesco Andrianopoli (@Fletcher_Lynd)

Se Kobe ha oscurato gli Warriors, lo stesso si può dire per l’epica cavalcata di Golden State, che è riuscita a far passare in secondo piano una stagione di San Antonio da migliori dieci di ogni epoca (soltanto sette squadre, per essere pignoli, hanno mai raggiunto il traguardo delle 67W).

Gli Spurs arrivano a questa serie sereni, riposati, forti della consapevolezza nei propri mezzi che due decenni di successi possono garantire e senza neppure i favori del pronostico a mettere pressione; dall’altra parte, il momento e l’umore dei Grizzlies non potrebbero invece essere più distanti.

Ve li ricordate i Grizzlies del Grit and Grind? Vi ricordate quella squadra che difendeva forte, giocava a ritmo bassissimo, picchiava dal primo all’ultimo minuto senza mai mollare, ed era lo spauracchio di qualsiasi testa di serie (come gli stessi Spurs ricordano molto bene dal 2-4 dei playoffs 2011)?

Beh, quei Grizzlies non esistono più: la squadra ha perso per infortunio prima Marc Gasol e poi Mike Conley, il primo e il secondo miglior giocatore; i veterani Randolph e Allen sono stati a loro volta fermi ai box a lungo; l’acquisto di Jeff Green si è rivelato fallimentare; e per smuovere un po’ le acque si sono ridotti a mettersi in casa nientemeno che la (non molto) lucida follia di Lance Stephenson e quel che resta di Chris Andersen (per voi GRIZZILLA).

Nel post All-Star Game hanno messo assieme un miserrimo record di 11-18, chiudendo la stagione con 6-10 a marzo e addirittura 1-6 nel mese di aprile: sono una squadra fisicamente allo stremo delle forze e tecnicamente priva di certezze e punti fermi. Per di più, gli scontri diretti stagionali sono stati disastrosi: il 4-0 degli Spurs non rende l’idea del totale dominio imposto dai texani a queste sfide, in cui Memphis, su 192 minuti complessivi, è stata in vantaggio complessivamente per undici; tutti, rigorosamente, nei primi quarti.

Tony Allen e compagni riescono a tenere botta sul perimetro grazie ai tanti specialisti difensivi in rosa, ma non hanno alcuna contromisura per LaMarcus Aldridge (+49 di plus-minus nei tre scontri diretti in cui ha giocato) e più in generale al gioco in post degli Spurs, se non quella di affollare l’area e quindi esporsi al massacro quando San Antonio fa girare la palla. Nell’altra metà campo, se possibile, la situazione è ancora più drammatica, perché una squadra che non ha mai avuto un attacco fluido si trova oggi ad aver perso i suoi primi due creatori di gioco e a doversi inventare soluzioni estemporanee coinvolgendo giocatori arrivati da poco o che non dovevano essere nient’altro che ottavi o noni nella rotazione secondo i piani originari della franchigia.

Il pronostico, quindi, sembra chiuso, anzi granitico: da un punto di vista strettamente logico, tecnico e tattico, sarebbe già un miracolo che riuscissero a portare a casa una W.

Ma se pensate che il Grizz and Grind sia morto, Tony Allen ha qualcosa da dirvi:

I Grizzlies sono comunque una squadra esperta, orgogliosa, molto ben allenata da Dave Joerger: cercheranno di tenere il ritmo basso, di picchiare, di sporcare i meccanismi degli Spurs sugli esterni e cercare di trasformare la partita in un lungo succedersi stagnante di isolamenti.

Se volete vedere del basket esteticamente gradevole, rivolgetevi altrove: ma se volete vedere due squadre che non si amano, non si risparmieranno colpi bassi, ma si rispettano e (a prescindere dal risultato sul tabellone) daranno tutto in ogni singolo possesso, questa è la serie che fa per voi.

Oklahoma City Thunder (3) vs Dallas Mavericks (6)

Di Dario Vismara (@Canigggia)

Se gli incontri in regular season contano qualcosa in fase di preview di una serie di playoff (e dopo anni che provo a scriverne, sinceramente, ancora non l’ho capito), allora i Dallas Mavericks non hanno una speranza di vincere questa serie. Nelle quattro partite contro i Thunder — di cui una senza Kevin Durant e un’altra con Russell Westbrook espulso nel secondo quarto — non solo non hanno mai vinto, ma hanno subìto un’emorragia di punti (114.5 su 100 possessi) con un differenziale di -10.6. Certo, in una di quelle partite i Mavs hanno tenuto a riposo tutti i titolari, ma in più di un’occasione si sono fatti rimontare dai Thunder, che notoriamente in questa stagione si sono ritrovati dalla parte sbagliata delle rimonte, avendo perso ben 14 partite in cui erano in vantaggio dopo il terzo quarto (anche se solamente 5 su 46 quando erano avanti di 5 o più punti, quindi hanno perso più che altro partite che già erano tirate).

Che ci sia un problema nel crunch time per Oklahoma City però è cosa nota: in questa stagione nella definizione classica di “clutch” — ultimi 5 minuti di partita e punteggio entro 5 punti — i Thunder hanno un differenziale su 100 possessi di -8.3, solo il 24° nella NBA, e un record di 22-22. I Mavericks, invece, si sono ritrovati più di chiunque altro a giocarsela punto a punto fino all’ultimo (224 minuti totali) e in quelle situazioni eseguono in maniera encomiabile, con un Net Rating di +16 che segue solo quello — totalmente senza senso — degli Warriors di +38.6 (TRENTOTTOPUNTOSEI).

Quindi il piano partita per Dallas è facile, no? Rimanere attaccati con le unghie e con i denti fino all’ultimo quarto con le rotazioni vorticose e geniali di Rick Carlisle, sperare che i Thunder vadano in confusione e aggrapparsi al solito, immortale Dirk Nowitzki — che e ha ancora oggi un impatto enorme per la sua squadra, con un Net Rating di +3.6 con lui in campo che crolla a -3.7 con lui fuori.

Cosa vuoi che sia, metterne 40 a 37 anni suonati?

“Aggrapparsi” è la parola chiave della stagione dei Mavs: nonostante le cose di fossero messe male già dall’estate con l’affaire-DeAndre Jordan e siano proseguite peggio con i vari infortuni (tra cui il più pesante a Chandler Parsons, che ha già chiuso la sua stagione), la squadra è rimasta aggrappata ai playoff combattendo con le unghie e con i denti, vincendo sette partite in fila — grazie a un incredibile J.J. Barea da 24 punti e 7 assist di media nella striscia — proprio quando sembrava destinata all’oblio della lottery.

Basterà per salvarsi contro i Thunder? Improbabile. E non solo perché ci sono Westbrook e Durant al picco delle loro carriere (+12.3 di Net Rating quando in campo insieme, miglior coppia non-Warriors della NBA), ma anche perché l’attacco dei Thunder, secondo migliore della lega, rappresenta un enigma irrisolvibile già solo a partire dal pick and roll alto che coinvolge Westbrook e chiunque sia marcato da Nowitzki in quel momento, esponendo la sua — inevitabile, purtroppo — lentezza di piedi. E se la lineup completata da Andre Roberson, Serge Ibaka e Steven Adams rappresenta il miglior quintetto base della NBA (+17.8 di differenziale in oltre 800 minuti), i dubbi nascono quando si passa alla panchina: di chi ci si può fidare tra Kanter (106.5 con lui in difesa…), Morrow, Waiters, Foye e Singler?

Perché il problema dei Thunder non è mai stato far convivere Westbrook e Durant, ma trovare il giusto supporting cast da mettergli attorno. La risposta a quella domanda e ai dubbi sui finali di partita le troveremo già da questa prima serie.

L.A. Clippers (4) vs Portland Trail Blazers (5)

Di Davide Casadei (@vPone)

Questa stagione dei Blazers è stata come quando c’è un grosso cataclisma e vengono fuori storie di bambini, anziani e cagnolini salvati e tutti parlano di miracolo ma nessuno parla dei pompieri. La corsa alla storia di Warriors e Spurs e l’addio di Kobe hanno oscurato la magnifica stagione della banda di Stotts, che ha stracciato le preview stagionali (anche la nostra, sì) e si è assicurata il quinto posto in vista dei playoff.

I numeri ci danno una chiave evidente di lettura sulla quale si giocherà la contesa. I Clippers controllano solo il 73.8% dei loro rimbalzi difensivi - peggio dei Sixers, per intenderci - mentre i Blazers attaccano con ferocia l’area avversaria portando spesso due uomini a disturbare la difesa. Tra questi c’è un candidato sleeper per il premio di sesto uomo dell’anno, Ed Davis. Dalla presa delle sue mani passerà qualche extra possesso, magari anche decisivo nel grande svolgimento della serie.

I Clippers d’altro canto sono sull’orlo dell’isteria cestistica da quando sono nati, come franchigia intendo. Evitato il disastro nucleare post-pizzinfaccia di Griffin all’amico magazziniere, è proprio dal recupero della superstar che bisogna partire. In condizioni ottimali, è un rebus insolvibile per chiunque - citofonare Spurs.

Chris Paul, nel frattempo, come ogni anno degli ultimi 5 è all’ultimo treno: fa qualche fermata poi scende. I maligni lo vedono come un leader carismatico ma perdente. Giocherà “with a chip on his shoulder” e un CP3 concentrato in difesa sporca il tabellino come i bimbi coi crayon.

Terry Stotts è un mago strategico che ha orchestrato un roster di specialisti in rampa di lancio. I Blazers non hanno nessun motivo di alzare i ritmi - 26° per punti in contropiede - e le due guardie titolari non sono esattamente Bowen e Gary Payton nel difendere la linea da tre. Ma scambiare un 50% ai liberi con un 40-45% nelle triple è una mossa che ogni uomo intelligente dovrebbe fare. Stotts è un potenziale allenatore dell’anno, quindi purtroppo per noi ci sarà dell’hack-a-Jordan. Taaaanto hacking. Alla lunga potrebbe essere dura da digerire, contando che le partite sono sulla costa ovest aka sveglia alle 4:30.

Alla fin dei conti questo non è un buon accoppiamento per Portland, che forse avrebbe preferito i Thunder. Il Dinamico Duo Lillard-McCollum ha sofferto la difesa asfissiante delle guardie avversarie e Damian nei confronti diretti - persi-3-vinto-1 - ha messo a referto le prestazioni peggiori dell’anno. Considerato che l’attacco nasce e muore dalle mani di quei due, si rischia l’asfissia offensiva. Serve una hero performance a testa per ogni partita - e semplicemente non accadrà.

Con Griffin sano, questo è un 4-1 Los Angeles con biglietto aereo compreso per la carneficina nella Bay Area. Ma visto che non conosciamo le sue reali condizioni, sospendo il giudizio e confido per ragioni di spettacolarità in uno speciale #LillardTime di dieci minuti. Gli ultimi cinque minuti delle due gare in casa, mettiamola così. I Clippers se la portano a casa alla sesta, più probabile alla settima.

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“Good offense beats good offense” è il mantra dei Blazers per sperare di allungarla più possibile. Poi però il karma ti risponde con un buzzer-beater di JJ Redick. Mai fidarsi dei Dukies e delle paroline indiane. Mai.

Intermezzo ludico: queste due squadre sono state protagoniste di un disguido burocratico molto simpatico. Il giorno dell’epifania McCollum era stato erroneamente riportato a tabellino come inactive. Un beat writer dei Blazers - un anarchico il cui unico scopo nella vita è sovvertire l’ordine delle cose - sparge la voce che sta all’allenatore della squadra avversaria decidere se è il suddetto possa solcare il parquet. Doc Rivers delibera e volge verso il rifiuto: scandalo a corte. Roba che lo schiaffo di Anagni sono carezze. Così questa potrebbe essere la prima serie di playoff NBA nella storia in cui per un cavillo fittizio nelle maglie del regolamento trenta uomini attorno ai due metri arrivino a mazzolarsi in campo.

E io che credevo di odiare la burocrazia.

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