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Il più forte giocatore italiano, di FIFA
14 dic 2016
Intervista a Mattia Guarracino, campione nazionale di FIFA, sicuramente più forte di voi.
(articolo)
13 min
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Nel fenomeno di crescita di un videogioco in fenomeno eSportivo FIFA è ancora indietro. È paradossale, vista la sua popolarità e il fatto che possa comunque attingere dallo stesso bacino dello sport più popolare al mondo, ma il videogioco prodotto da Electronic Arts non riesce ancora ad attirare la stessa audience, interesse e visibilità di altri titoli, come League of Legends, che invece si è ormai istituzionalizzato come eSport vero e proprio. È difficile dare una motivazione semplice e netta a questo ritardo.

Quando incontro Mattia Guarracino, probabilmente il miglior giocatore italiano di FIFA al momento (è stato campione italiano ininterrottamente dal 2008 al 2014, con la sola eccezione del 2009) e presto anche il primo videogiocatore ad essere tesserato da una squadra di calcio in Italia, mi dice che non si è ancora cristallizzata una modalità di gioco di successo: non è ancora chiaro se da un punto di vista dell’intrattenimento dello spettatore sia meglio giocare uno contro uno o a più giocatori, o se con squadre reali o inventate.

FIFA sta crescendo

In questo contesto si inserisce il discorso su FUT Champions, l’ultima innovazione proposta da EA per superare questo tipo di problemi. In FUT, modalità online che nel migliore dei casi dà accesso ai principali tornei compresi i Mondiali, ad ogni giocatore viene inizialmente assegnata una squadra casuale di basso livello, composta principalmente dai cosiddetti Bronzo (cioè giocatori con una valutazione complessiva tra il 55 e il 65) e qualche altro giocatore di livello più alto, intorno al 75. Giocando o acquistando direttamente i crediti si possono poi acquistare giocatori più forti e comporre così gradualmente la propria squadra.

Ognuno può impostare un nome e una divisa personalizzata per la propria squadra e per evitare che tutti prendano gli stessi giocatori l’EA si è inventata il concetto di intesa, ovvero che giocatori della stessa nazionalità o dello stesso campionato giochino meglio tra loro. «Però puoi incastrare i vari campionati mettendo, che ne so, Callejon, che gioca in Serie A, collegato a Iniesta, che è spagnolo», mi dice lui. Guarracino, in arte Lonewolf92, mi dice che FUT sta conquistando tutti i principali tornei e potrebbe essere la chiave di volta per il successo futuro di FIFA nell’ambito degli eSport: «Molto spesso nei tornei si gioca Real-Real, o Real-Barcellona. Sono sempre queste due squadre che dopo un po’ stancano, anche dal punto di vista visivo. FUT, invece, è più bello a vedersi: magliette diverse, nomi diversi, squadre diverse. È meglio anche da un punto di vista dello streaming, no? Quando uno streamma i tornei, che la gente vede, è più interessante da vedere che la solita Real-Real».

È parlando di FUT che la mia ingenuità romantica viene meno e scopro con grande sorpresa che Guarracino, in trattativa avanzata per diventare un tesserato a tutti gli effetti dalla Sampdoria, nei tornei ufficiali non giocherà effettivamente con la Sampdoria: «Cerchi di prendere qualche giocatore a livello più alto, almeno per il gioco, nell’overall. Perché i vari Ronaldo, Benzema hanno 90, 91, mentre un Muriel ha 78. Quindi nei tornei non si può utilizzare proprio la Sampdoria».

Matrimonio di convenienza

Anche quello che si sta realizzando negli ultimi anni tra gli eSport e il calcio reale è più assimilabile ad un matrimonio di convenienza che ad una storia d’amore vera e propria: i club cercano di mettere le mani su quel bacino di consumatori enorme rappresentato dai videogiocatori e in cambio i videogiochi ottengono quella visibilità che solo i grandi marchi del calcio possono offrirgli.

Ci sono sempre più club e campionati di calcio che stanno acquistando o creando da zero team eSportivi. Fuori dall’Italia, dove la Sampdoria è per adesso l’unico club ad aver dimostrato interesse nel mettere sotto contratto un videogiocatore, ad esempio ci sono già PSG, West Ham, River Plate, Schalke 04, Sporting Lisbona, Manchester City, Valencia, tanto per nominare i più importanti. Ligue1 e Brasilerao sono invece i primi due campionati ad avere un doppelgänger eSportivo: la prima con FIFA, il secondo con PES. Sembra tuttavia che non sia ancora chiarissimo come utilizzarli precisamente. Ci sono squadre che hanno acquistato team già affermati, altre che hanno preso piccoli team di basso livello, altre ancora che hanno addirittura composto team di videogiochi non calcistici (come lo Schalke 04, che ha anche un team di League of Legends).

Anche parlando con Guarracino, non si ha l’impressione che la Sampdoria abbia una strategia definita. Non sembra che il videogiocatore abbia uno scopo particolare per adesso, a parte, ovviamente, rappresentare la squadra blucerchiata: «Lo scopo è quello di partire subito per il torneo internazionale, o europeo almeno. Adesso comunque tenterò di qualificarmi per i mondiali, i FIFA Interactive World Cup, o i FUT Champions. Poi, quando ci sarà il campionato italiano che ancora non hanno annunciato, sicuramente proverò anche quello. Però è ancora presto per parlarne». Una delle ipotesi più ciniche è che Ferrero stia cercando un modo innovativo per riempire i suoi cinema.

La finale dei FIFA Interactive World Cup del 2016, a New York.

Reale e virtuale

In ogni caso, il fatto che il calcio virtuale e quello reale si stiano intersecando in maniera così profonda sta facendo riaffiorare quell’inquietudine inconscia sotterranea, sempre presente quando si parla di eSport, che il primo possa influenzare il secondo fino ad arrivare a soppiantarlo. Il New York Times, ad esempio, solo qualche settimana fa spiegava «come i videogiochi stanno cambiando il modo in cui viene giocato il calcio». Una paura che, nella cosiddetta società post-fattuale, emerge anche in alcune notizie fake, come quella che l’Hoffenheim abbia scoperto Firmino su Football Manager.

In questo senso, mi aspettavo da Guarracino una visione del calcio plastificata, da videogioco per l’appunto. Ma quando gli chiedo se Cristiano Ronaldo, secondo lui (e non solo) il migliore giocatore di FIFA, sia anche il suo calciatore preferito nella realtà lui subito scuote la testa rispondendomi con il nome tecnicamente più lontano da CR7 e anche dall’idea di un giocatore “da FIFA”: «No, io sono sempre stato un amante di Veron. Elegante, secondo me un centrocampista perfetto. Anche se a livello di contrasti era un pochino scadente, però mi piaceva come giocava. Adesso come adesso in realtà non ci sono giocatori che mi piacciono. Certo, Iniesta affascina. Però Ronaldo, Messi: fortissimi, ma non mi dicono niente».

Certo, lui è un tifoso della Lazio (e anche un ex giocatore biancoceleste, fino agli Allievi Nazionali) e forse è ancora troppo poco giovane, ma forse dovremmo smussare un po’ l’idea che FIFA e i videogiochi in genere stiano deviando il corso naturale del calcio.

L’idea che FIFA stia spingendo il calcio ad essere più individualista e dribblomane è affascinante ma con pochi riscontri nella realtà. Il calcio reale sta sempre più spingendo i sistemi a mettere le individualità a proprio servizio e FIFA lo sta seguendo. Ho giocato a FIFA ’17 e superare l’uomo in dribbling è difficilissimo, esponenzialmente più complesso dei vecchi FIFA o PES in cui si poteva davvero segnare partendo in corsa dal calcio d’inizio.

È lui a dirmi che i due piani possono correre pacificamente in parallelo, completarsi: «A livello italiano, [FIFA] non supererà mai il calcio: è ovvio che tra una partita di FIFA e una di calcio guardo la seconda. Secondo me [i tifosi] possono guardare entrambi. E poi il videogioco dura molto poco, quindi non è una cosa che ti stanca, non sono 90 minuti reali. Se ci sono un paio di sfide, come Sporting Lisbona-West Ham, all’interno dello stadio prima della partita, magari i tifosi la possono guardare mentre aspettano: è un passatempo». Al contrario, si ha l’impressione che per adesso stia avvenendo invece il contrario, e cioè che il calcio tradizionale stia permeando FIFA in quasi ogni suo aspetto.

Secondo lui, ad esempio, il mondo del gaming legato a FIFA sarà presto inglobato totalmente dai club calcistici tradizionali: «Da quanto ho capito, Electronic Arts sta già organizzando i primi tornei a livello solo di club. Quindi chi non fa parte di un club è svantaggiato perché questi tornei sono ad invito. Ed è ovvio che fa gioco molto anche a FIFA perché è effettivamente più bello vedere un torneo di giocatori che fanno parte di una squadra che a sua volta fa parte anche del gioco. Quindi secondo me, se prendono piede questi primi eventi, allora [il mondo del gaming] verrà totalmente preso dalle squadre di calcio. O almeno rimarranno solamente quei pochi team già affermati». Guarracino mi dice anche che le faide e le rivalità tra giocatori, un fenomeno a cui FIFA per adesso sembra essere immune per una presunta maggiore correttezza dei suoi videogiocatori rispetto agli altri eSport, «forse si creeranno con le squadre».

È incredibile, inoltre, che persino in un videogiocatore come Guarracino sopravvivano molti dei principi cardine della scuola calcistica italiana, come l’adattamento all’avversario e l’importanza della fase difensiva: «Io paragono FIFA alla boxe: se il tuo avversario ha il gancio o fa sempre il gancio, tu devi stare molto sulla difensiva. Mentre se gioca più a viso aperto, tu devi attaccare di più. Quindi, dal punto di vista strategico, [FIFA] è molto simile a uno sport perché la tua strategia varia da avversario ad avversario». Quando gli chiedo se ha un modulo preferito lui mi risponde: «Ogni anno cambio, in realtà, perché dipende sempre poi dal gioco, però io ho sempre amato le tre punte, per esempio. E ho sempre giocato molto col possesso palla, come il Barcellona. Ma non ti nascondo che a volte ho giocato anche con cinque difensori dietro, chiuso, facendo anche gioco magari, però più verticale e veloce. Quindi dipende sempre e comunque dall’avversario. Perché se l’avversario è forte in fase offensiva tu non devi farlo segnare. Se subisci gol poi li prendi a valanga».

Andando ad un livello d’astrazione ancora superiore, è affascinante vedere come l’essere umano si infili in ogni singolo spiraglio libero lasciato dal realismo del videogioco, in un ambiente che invece immaginiamo asettico e automatizzato. Guarracino, ad esempio, ammette che una parte dell’allenamento della tecnica consiste nello studio sui bug del videogioco: «A FIFA ’07 tu potevi segnare da dietro il centrocampo, ma chi non giocava [a livello sportivo, nda] non lo sapeva. Quindi tu ogni tanto sparavi questa bomba particolare e entrava. Nel 2011, se tu mettevi cross manuale dalla trequarti di centrocampo (ma dovevi essere abbastanza preparato per farlo) facevi questo cross al contrario che finiva sotto l’incrocio. Oppure al 2008 tu correvi verso il basso, poi facevi un cross girandoti e il portiere tendeva a rimanere dentro la porta, quindi a non uscire con i pugni, e tu avevi quasi la possibilità di segnare di testa: 80 volte su 100 facevi gol. Oppure ci sono delle finte particolari che, se le fai nel momento giusto, l’avversario va a vuoto sempre. Da FIFA ’15 hanno cercato di levare questa sorta di bug ma alla fine esce sempre qualcosa: per esempio, l’anno scorso se tiravi sul primo palo, in base ad una certa tecnica, segnavi sempre». Guarracino mi confida anche di aver vinto il campionato italiano del 2008 mettendo Messi in una difesa a tre: «Era veloce e recuperava gli attaccanti».

Tutti i gol di Lonewolf92 al campionato italiano del 2014.

Freddezza

E questo non per banalizzare la tecnica reale del gioco che, rinnovandosi ogni anno e basandosi su finezze come quanto piegare l’analogico o quanto premere il tasto del tiro, arriva ad un livello di complessità che un giocatore amatoriale come me probabilmente non arriverà mai a comprendere del tutto, quanto per mettere in luce come la componente psicologica, umana sia ancora quella determinante.

Guarracino mi dice che dal vivo ha vinto molti incontri con avversari più forti di lui che online, probabilmente, avrebbe perso: «Il bello è vedere le reazioni dell’avversario, da cui riesci a capire molto di come sta lui psicologicamente. C’è chi si innervosce. Ovviamente tu devi capire anche com’è l’avversario, se è una persona che soffre. Se vedi che sta in difficoltà, che si innervosisce, tu devi cercare di farlo innervosire sempre di più. È come la boxe, quando prendono in giro l’avversario di fronte, magari parte il cazzotto che va a vuoto, si spostano e lo mandano KO. Stesso discorso».

Mi racconta, ad esempio, di quando ha vinto la finale del campionato italiano nel 2013: «Vinsi la finale per 6-0. Ma non perché il mio avversario era più scarso di me, e non perché tutti gli altri che sono arrivati dietro di noi erano più scarsi o meno allenati di me, ma perché dal punto di vista mentale hanno ceduto, come il finalista. Io l’avevo già battuto ai gironi, e lì già c’è una crisi psicologica dal suo punto di vista. Appena dopo l’inizio mi è entrato da dietro: rigore, cartellino rosso. Si è giocato la finale. E allora una persona che faceva le riprese è venuto lì e mi ha detto: “Lo sai cos’ho notato di differente tra te e gli altri? Che gli altri mentre tenevano il pad lo stringevano totalmente, e avevano un tremolio, tu invece sembrava che accarezzassi il joystick”».

Un altro aneddoto, riguardo ad una sua sconfitta avvenuta nel 2012, racconta invece l’altra faccia della medaglia: «Agli ottavi la prima partita la vince lui, la seconda la vinco io, la terza la stavo vincendo 2-0. Lui recupera il 2-2 e lì mi è partita la testa. Ad un certo punto mi fa il 3-2, prende la bottiglietta dell’acqua, beve e fa un gesto come per dire: “Alla tua”. Sono rimasto calmo. Ultima azione, faccio un cross. Avevo sempre segnato da quel punto con Ibrahimovic (usavo il Milan nel 2012). E invece prendo la traversa e va fuori».

Guarracino su Rai1, a Petrolio.

Il controllo mentale sull’incontro e sull’avversario è talmente importante che finisce per paragonare FIFA anche al poker: «Se inizi a soffrire la persona anche a livello mentale è praticamente finita». Un aspetto che ha assunto un’importanza tale, tramite il trash-talking, i gesti provocatori e la tecnica, che le alte sfere del videogioco stanno cercando di limitarlo. Guarracino, ad esempio, mi dice che la melina, cioè il possesso palla difensivo, è stato vietato ai tornei.

Vincere da soli

Boxe, poker: in ogni caso è evidente che Guarracino concepisca lo sport in maniera del tutto individuale, che è sicuramente straniante quando si parla di calcio: «Dal punto di vista dello sport preferisco essere solitario: preferisco sport come il tennis, che se devo perdere perdo per colpa mia, se devo vincere, vinco perché sono stato bravo io». Quando gli chiedo se ha un allenatore mi risponde: «No, perché non lo seguirei, quello è il mio problema. Preferisco sbagliare. L’esperienza adesso mi porta a fare l’allenatore di me stesso. Ma forse all’inizio mi serviva un po’ di più».

Ma quando anche io inizio a pensare che persino il suo nickname, Lonewolf, rimandi a quell’individualismo che molti indicano come uno degli effetti del videogioco sulla nostra realtà, è lui a riportarmi di nuovo ad una dimensione ancestrale tipica del calcio tradizionale: «Proprio agli inizi, al primo torneo richiedevano un nickname. Io avevo 14 anni, quindi ero abbastanza piccolo, e chiesi a mio padre che nickname potessi scegliere. Allora mi ha iniziato a tirare fuori un po’ di nomi di fumetti che leggeva lui. È uscito anche Lonewolf e mi è piaciuto subito. Sai, lupo solitario… anche se poi in realtà non è proprio così. È nato tutto in maniera abbastanza casuale: poi ho messo il mio anno di nascita, ma insomma, era uno dei fumetti che leggeva mio padre». A quanto pare, anche a FIFA, l’identità sportiva si forma a partire da una storia d’amore tra un padre e un figlio.

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