Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Il quasi miracolo del Rostov
08 mag 2016
Come Berdyev ha trasformato una squadra che lottava per la salvezza in un'armata da primi posti.
(articolo)
16 min
Dark mode
(ON)

La stagione 2015-16 rischia di essere ricordata come una delle più incredibili nella storia del calcio. I riflettori, inevitabilmente, sono tutti puntati sul Leicester City, ma nella lontana e meno mediatica Russia c'è una squadra che sta vivendo un “sogno” simile, per certi versi ancora più imprevedibile e inaspettato. Il Rostov, club fondato nel 1930, che nella sua bacheca vanta un solo trofeo peraltro conquistato recentemente: la Coppa di Russia del 2014. E che proprio dopo quello storico successo era precipitato in una spirale negativa con l'eliminazione immediata dall'Europa League e un avvio shock di campionato, con 10 sconfitte nelle prime 17 gare e ben 37 reti subite.

La dirigenza gialloblu, alle prese con gravi problemi economici non ancora del tutto risolti, era corsa ai ripari affidandosi alle cure del santone turkmeno Kurban Berdyev, che - tra lo stupore generale - aveva accettato una proposta apparentemente a lui sconveniente. Per quale motivo uno dei tecnici più vincenti e stimati di Russia, già artefice dell'exploit del Rubin Kazan, sarebbe dovuto ripartire da una piazza senza ambizioni, alla guida di una squadra ultimissima in classifica e pressoché spacciata?

L'unica risposta credibile è che a Berdyev stuzzichino in modo particolare le imprese impossibili, ci trovi gusto a esaltarsi nelle difficoltà.

A un passo dal sogno

Berdyev ha risollevato una squadra che pareva già condannata , mettendo a posto in un batter baleno la fase difensiva. I risultati non sono tardati ad arrivare: grazie a un filotto di sei vittorie consecutive, il Rostov si è guadagnato l'accesso ai playout con cui poi si è garantito la permanenza nella massima serie. Ma Berdyev non si sentiva appagato: accontentarsi di una salvezza, anche se raggiunta in extremis e partendo da una situazione disperata, forse era troppo poco per un tipo come lui e per questo ha alzato l'asticella, dicendosi convinto che il Rostov avrebbe potuto lottare per un posto in Europa la stagione seguente (d’altra parte, anche dopo la vittoria del secondo titolo con il Rubin, Berdyev non sembrava appagato: “Non sono soddisfatto per la seconda parte della stagione ma l'importante è che abbiamo ottenuto ciò che volevamo”).

E per mantenere fede alla parola data, il tecnico turkmeno ha chiesto un paio di rinforzi mirati. La proprietà lo ha accontentato, portando nel sud della Russia due fedelissimi di Berdyev fin dai tempi di Kazan: il possente centrale difensivo spagnolo César Navas (36enne che, prima di ricevere l'irrinunciabile chiamata del suo vecchio allenatore aveva già preso un biglietto di sola andata per la MLS) e il regista ecuadoriano Noboa.

A questi si è aggiunto Mogilevets, giovane centrocampista arrivato in prestito dallo Zenit, che Capello si era addirittura portato dietro in Brasile, in sostituzione dell'infortunato Shirokov.

Appena arrivato a Rostov-sul-Don, Christian Noboa si è presentato così ai suoi nuovi tifosi.

Con solo tre ritocchi rispetto alla problematica stagione precedente, e con un Pletikosa, un Dyakov e un Torbinskiy in meno, il Rostov ha iniziato il suo campionato, sorprendente fin dalle prime giornate. Complice anche il rendimento balbettante di un po' tutte le squadre principali, il Rostov è rimasto ai piani alti della Russian Premier League per tutto il girone d'andata. Sembrava certo, però, che dopo la ripresa dalla lunga sosta invernale la compagine gialloblu sarebbe rientrata nei ranghi, e che, nella migliore delle ipotesi, avrebbe potuto lottare per un posto in Europa come effettivamente aveva predetto Berdyev otto mesi prima. Ma nulla di più.

E invece, smentendo ogni pronostico, proprio dopo la pausa il Rostov ha definitivamente gettato la maschera, prendendosi 20 punti sui 27 disponibili (una media rovinata nello scorso week-end, con la beffarda sconfitta di Saransk maturata nei minuti finali) e mantenendo la porta inviolata per 8 partite consecutive. Soprattutto, sconfiggendo con pieno merito le rivali più accreditate al titolo, CSKA e Zenit (rispettivamente per 2-0 e 3-0).

Tutto a un tratto, quasi inconsapevolmente, senza rendersene conto, l'intero ambiente ha iniziato a crederci sul serio. Dai giocatori, motivati all'ennesima potenza, al pubblico, che ha fatto registrare incassi record nella storia del club, rendendo l'Olimp-2 un catino infernale, con un tifo incessante per 90 minuti. Un'estasi collettiva che ha colpito una città intera, che adesso ambisce con convinzione a un traguardo che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.

E qui tornano in ballo le analogie con il Leicester. Perché proprio dalla favola delle Foxes di Ranieri, i giocatori del Rostov hanno tratto ulteriori stimoli: "Se ci stanno riuscendo loro, nel torneo più ricco e competitivo del globo, perché non dovremmo farcela anche noi?". Un'immedesimazione totale, che potrebbe portare allo stesso identico risultato, nonostante il Rostov abbia perso il comando della Russian Premier Liga, in seguito all'incredibile sconfitta subita in casa del Mordovia Saransk, fanalino di coda prima di quella partita.

Una caduta inaspettata che conferma l'assoluta imprevedibilità del campionato russo. Un fulmine a ciel sereno, che però non pregiudica le possibilità di titolo del club della città più grande del sud della Russia: il calendario del Rostov lascia adito a qualche speranza (Dinamo, Ural e Terek gli ostacoli, teoricamente non insormontabili, da qui a fine campionato). Una battuta d'arresto che non ha però lasciato strascichi: venerdì, nell'anticipo della ventisettesima giornata, gli uomini di Berdyev sono infatti tornati subito al successo, regolando per 2-1 la pratica Lokomotiv Mosca e portandosi a -2 dal CSKA capolista.

Raramente Berdyev si lascia andare, ma quando succede è un vero e proprio spettacolo, la sua gioia è incontenibile...

La rivoluzione turkmena

Il primo cambiamento apportato da Berdyev, appena sedutosi sulla panchina del Rostov, è stato di natura tattica: per proteggere maggiormente una difesa fino a quel punto superata con disarmante facilità, ha rinunciato al suo tradizionale 4-2-3-1 (il modulo che tante gioie gli aveva regalato a Kazan) per un camaleontico 5-4-1.

In fase di possesso l'elastico modulo di partenza si trasforma in un 3-4-2-1, con i due terzini che si alzano e i due esterni d'attacco (solitamente Poloz e Kanga) che accentrano la loro posizione, agendo alle spalle dell'unica punta. Si viene a formare così una difesa a tre composta da Bastos, César Navas e Novoseltsev. Un reparto che non difetta di certo in quanto a centimetri e forza fisica, ma che potrebbe concedere qualcosa se infilato in velocità. Per evitare che ciò accada, il Rostov gioca con il baricentro basso, si chiude a riccio, fa densità a ridosso della propria area, con dieci uomini dietro la linea della palla pronti a colpire in contropiede.

Il Rostov è una squadra solida e compatta in cui tutti gli effettivi partecipano alla fase difensiva, concedendo poco agli avversari. Il collettivo colma le lacune individuali. Se il valore di un centrale esperto come César Navas, affidabile fin dai tempi del Racing Santander, non è in discussione, non si può dire lo stesso per i suoi due compagni di reparto, cresciuti esponenzialmente sotto la gestione Berdyev. In netta controtendenza con la moda del periodo che vuole i difensori, o addirittura i portieri, in grado di impostare l'azione, nessuno dei tre centrali del Rostov è all'altezza del compito e preferiscono evitare rischi inutili. Bastos e Novoseltsev non si fanno troppi problemi a spazzare il pallone in tribuna, se è necessario. Non si tratta di mancanza di coraggio, ma di conoscenza dei propri limiti.

E i risultati gli danno ragione: con 19 reti subite, quella del Rostov è di gran lunga la miglior difesa del campionato russo, e prima che la squadra crollasse a sorpresa a Saransk erano saliti a 8 gli incontri consecutivi nei quali Djanaev era rimasto imbattuto (14 i clean sheet in stagione!). L'osseta Djanaev è l'ennesima scommessa vinta dal tecnico turkmeno: con una strana carriera alle spalle, ritrovatosi titolare allo Spartak a 22 anni, ma per sempre segnato da due "papere" nel finale di campionato che di fatto costarono il titolo alla squadra moscovita (proprio a vantaggio del Rubin del suo futuro allenatore). Anche nel suo caso, la sensazione è che soltanto uno come Berdyev avrebbe potuto risollevare una carriera che sembrava più che compromessa.

Sulle fasce laterali, un po' a causa del limite sugli stranieri che vige in Russia (che penalizza il bielorusso Kalachev), un po' per la mancanza di elementi di spicco, Berdyev ha alternato diversi giocatori, riuscendo a trarre il massimo da ognuno di loro. A destra la prima scelta è proprio Kalachev, 35enne trasferitosi a Rostov-sul-Don nel 2006: un'ala vecchio stampo, con un buon dribbling, abile sia ad arrivare sul fondo che a concludere a rete. Nonostante la carta d'identità non giochi a suo favore, ha accettato senza problemi le nuove disposizioni tattiche, coprendo e percorrendo tutta la fascia.

Le alternative non sono esaltanti ma vengono spesso impiegate dal primo minuto per motivi "strategici" (nel campionato russo infatti non si possono schierare contemporaneamente in campo più di sei calciatori stranieri). Berdyev ha a disposizione dei terzini destri unicamente di copertura, attenti dietro ma per nulla pungenti in attacco (come Rotenberg, Terentyev e Margasov).

A sinistra nel mercato invernale è stata tappata una falla, dato che fino a quel momento mancava un mancino di ruolo: è arrivato a parametro zero Kudryashov, dai ceceni del Terek Grozny, un altro elemento di corsa e sostanza, lineare ma con una buona progressione e in grado di effettuare dei cross di buona fattura.

Il gioco delle coppie

I giocatori elencati fin qui, eccezion fatta per César Navas, possono essere definiti dei comprimari. Gli elementi dai quali dipendono le sorti del Rostov, invece, sono anzitutto il moldavo Gatcan e l'ecuadoriano Noboa, che formano un'inossidabile coppia di centrocampo, che Berdyev aveva già allenato a Kazan. Entrambi stanno disputando una stagione a dir poco straordinaria e rappresentano il cuore, i polmoni e il cervello del Rostov. Estremamente aggressivi e con un temperamento notevole, recuperano palloni in quantità industriale, senza poi buttarli via.

L'ecuadoriano è l'uomo d'ordine della squadra, il regista dai cui piedi passano tutte le azioni; è lui a illuminare la scena e a imbeccare con precisione chirurgica gli attaccanti, alternando il gioco lungo a quello corto. Il moldavo, invece, è il suo scudiero: corre per tre, pressa ogni avversario e, appena ne ha la possibilità, si sgancia, proiettandosi in area di rigore avversaria (alcune delle reti più pesanti nella stagione del Rostov portano la sua firma). Gatcan il condottiero, fascia di capitano al braccio e beniamino del pubblico di casa, sembra un uomo in missione: arringa in continuazione la folla, esulta come se avesse fatto un gol dopo ogni contrasto vinto, insegue ogni avversario come un indemoniato, dando l'impressione di essere quello che ci crede più di tutti.

L'entusiasmo di Gatcan è contagioso e in tempi non sospetti ha stregato persino qualche italiano: il culto del numero 84 ha generato un fan club ufficiale, una pagina Facebook e incontri dal vivo con il giocatore stesso, incredulo e convinto che si trattasse di uno scherzo.

Gatcan incontra, in ciabatte, i fondatori del suo fan club italiano.

Gatcan distrugge, Noboa crea; Noboa rifinisce, Gatcan (a volte) segna: si sono divisi i compiti e la loro alchimia sbalorditiva è uno dei principali punti di forza del Rostov.

Sulla trequarti, invece, giocano i due elementi che hanno maggior libertà d'azione, Kanga e Poloz. Il primo, fantasista del Gabon, è il giocatore più talentuoso nella rosa del Rostov; segna con il contagocce ma sforna parecchi assist. Kanga è capriccioso, dalla protesta facile, spesso coinvolto in risse, e da quando è arrivato in Russia ha rimediato più di un cartellino rosso (uno dei quali per aver mostrato il dito medio alla curva dello Spartak, che lo aveva fischiato e preso di mira per il suo colore della pelle).

Berdyev, consapevole della sua anarchia tattica, per non snaturarlo troppo lo lascia libero di svariare a piacimento, permettendogli di accentrarsi e di posizionarsi alle spalle dell'unica punta per poi imbeccarla in profondità.

Kanga saluta, a modo suo, il pubblico dello Spartak.

Poloz è meno lunatico e più concreto, un moderno esterno d'attacco rapido, tecnico e con un tiro secco e preciso. Preferisce partire da sinistra per tagliare verso il centro e concludere l'azione. È il giocatore del Rostov che più volte ha la possibilità di finalizzare, e con 7 gol è anche il miglior marcatore dei “Selmashi”.

Anche Poloz, così come Novoseltsev e Mogilevets, ha debuttato nella Nazionale russa di “Don” Fabio Capello, tra i primi ad accorgersi delle sue potenzialità.

Dmitry Poloz inizia e conclude l'azione, castigando la Lokomotiv Mosca, la squadra nella quale era cresciuto.

Perfezionarsi

A coronamento di una rosa già molto equilibrata, il Rostov ha messo a segno un colpo importante nella scorsa finestra di mercato invernale, strappando all'Ural (altra rivelazione del girone d'andata) Erokhin, elegante trequartista dai piedi buoni e dal fisico imponente, richiesto anche all'estero.

Berdyev lo sta inserendo gradualmente nel suo scacchiere tattico, e lo ha lanciato dall'inizio (al posto dell'indisponibile Gatcan) nel big match contro lo Zenit, in un'inedita posizione di interno di centrocampo. Erokhin lo ha ripagato con una splendida prestazione a tutto campo, impreziosita dalla rete del definitivo 3-0, realizzata con un siluro da posizione quasi impossibile.

Se Erokhin dovesse confermare quanto di buono fatto vedere a Ekaterinburg, a Rostov-sul-Don avranno di che divertirsi.

Il centrocampo è completato da due preziosi jolly, impiegabili sia in mezzo al campo che sulla trequarti: il già menzionato Mogilevets e il maliano (classe '94) Moussa Doumbia, entrambi essenziali per far rifiatare i titolari.

Il peso dell'attacco, invece, poggia tutto sulle spalle di Azmoun (21enne iraniano) e Bukharov (31enne tataro), alternati con intelligenza da Berdyev. Fin qui hanno segnato poco, appena 9 reti in due, ma si sono sobbarcati un lavoro sporco non indifferente, lottando su ogni pallone, partecipando costantemente alla manovra e aprendo gli spazi per gli inserimenti da dietro dei compagni.

L'emergente talento iraniano (paragonato in Patria, con eccesso di entusiasmo, a Messi...) manca ancora di cattiveria sotto porta, ma con Berdyev sta facendo dei passi avanti verso la definitiva consacrazione, sempre più prossima. Ama giocare sulla linea del fuorigioco, è difficile da fermare se servito in profondità, ma se la sa cavare altrettanto bene anche negli spazi stretti, favorito da un controllo palla di base e da un tocco che non passano inosservati.

Sardar Azmoun, l'astro nascente del calcio iraniano.

Bukharov è un ariete che le più fortunate stagioni della sua altalenante carriera le ha trascorse proprio a Kazan con Berdyev. Sostanzialmente è l'esatto opposto di Azmoun: poco mobile, dominante nel gioco aereo, perfetto per fare a sportellate con i difensori avversari. Sta segnando meno del previsto, ma nonostante ciò è tornato a essere un centravanti utile alla causa, e sembra aver lasciato alle spalle la negativa esperienza allo Zenit.

L'arte della difesa

A una prima e superficiale lettura lo stile del Rostov si potrebbe sintetizzare con il tradizionale catenaccio + contropiede. Ma significherebbe banalizzare il lavoro che c'è dietro, la cura certosina e maniacale dei dettagli, facendo un torto a Kurban Berdyev, l'uomo che ha reso possibile questa specie di miracolo. Anche perché il Rostov ha un piano per difendersi, e un piano per ripartire, non c'è improvvisazione.

Esattamente come il Rubin di un lustro fa (ricordate lo storico successo per 2-1 ottenuto al Camp Nou contro il Barça di Guardiola?), il Rostov dà il meglio di sé quando si trova sotto assedio: così compatto e corto tra i reparti da riuscire a chiudere tutte le linee di passaggio agli avversari, che si trovano ingabbiati e costretti a tornare indietro per ricominciare l'azione, in modo sempre più lento e compassato.

La furiosa reazione di Berdyev quando la sua squadra, nel recupero e in vantaggio di tre gol, concede un'occasione agli avversari.

Il Rostov è un cliente scorbutico, fastidioso, difficile da affrontare, che innervosisce e fa perdere la pazienza ai propri contendenti e sa come e quando punirli. Giocano d'astuzia, con una veemenza che prima di tutto intimorisce gli avversari e poi gli fa perdere le staffe. È impressionante il modo in cui riescono a far giocare male le squadre che si trovano di fronte; a tal proposito sono emblematiche le recenti prestazioni di CSKA e Zenit, irriconoscibili e, minuto dopo minuto, sempre più frustrate dal gioco del Rostov. Quella di saper indurre gli avversari a commettere errori banali è una capacità fin troppo sottovalutata, ma che dà grandi risultati.

Appena riconquistata la palla, poi, sono almeno tre o quattro i giocatori del Rostov a proiettarsi in avanti a tutta velocità, consapevoli del fatto che a servire loro il pallone sui piedi o, meglio ancora, sulla corsa, ci penseranno i rifinitori Noboa e Kanga.

La lezione di calcio inflitta il 24 aprile ai campioni in carica dello Zenit ha lasciato tutti a bocca aperta. Il Rostov, con contropiedi mortiferi finalizzati da Kanga e Azmoun, ha trafitto ripetutamente l'alta difesa avversaria, punendo la superbia di Villas-Boas. Da cineteca la rete del 3-0 finale, a opera di Erokhin. Tutti esultano come dei pazzi, Berdyev escluso, che si limita a indicare alla panchina di restare calmi.

Oltre a sfruttare i lanci lunghi e precisi di Noboa, e gli improvvisi cambi di gioco di Kanga, il Rostov è anche in grado di uscire da situazioni intricate palla al piede, con rapidi scambi di prima.

Le azioni che hanno portato ai gol nella sfida contro il CSKA (terminata 2-0) spiegano meglio di mille parole il modo di giocare del Rostov. Da rimarcare la pazienza con la quale i gialloblu hanno ricercato e costruito la rete del vantaggio, con un'azione piuttosto elaborata, da destra a sinistra, e viceversa, fino all'invenzione di Kanga, che dal cilindro estrae una traiettoria che coglie impreparata l'intera retroguardia moscovita. Il raddoppio è frutto di una ripartenza perfetta, con pochi e rapidi tocchi (pregevole lo scambio volante fra Erokhin e Noboa, a dimostrazione del fatto che al Rostov un po' di qualità non manchi).

Quello del Rostov è un gioco diretto, senza fronzoli ma tremendamente efficace. A maggior ragione in Russia, dove le squadre più competitive non hanno mai brillato in quanto a concentrazione, tendendo troppo spesso a staccare la spina. È proprio la concretezza di ogni reparto, in ogni momento della gara, il vero segreto dei “Selmashi”.

Una qualità che viene senza ombra di dubbio dall'allenatore: una figura spirituale, quasi mistica, e non solo per l'ormai celebre rosario musulmano, sempre tenuto ben stretto tra le mani, con il quale l'impassibile Berdyev segue ogni partita. Un personaggio pittoresco di cui si sa poco o nulla (tranne che nel tempo libero ama giocare a scacchi e studiare la letteratura russa), avvolto dal mistero anche per via della sua riluttanza a rilasciare interviste. Talmente misterioso da ispirare meme in cui impersonifica la morte, nei panni del giustiziere di CSKA, Spartak, Zenit e Lokomotiv, tutte sconfitte nell'ultimo mese e mezzo. E, ironicamente, Berdyev viene visto dalla stampa russa anche come una sorta di Robin Hood dei nostri tempi, che ruba ai ricchi per dare ai poveri (perché, se è vero che in questa stagione il suo Rostov ha battuto tutte le big di Russia, allo stesso tempo però ha generosamente lasciato diversi punti per strada contro compagini che lottano per non retrocedere).

César Navas che lo conosce bene ha detto di Berdyev: “È il miglior tecnico che abbia mai avuto, è preparatissimo e potrebbe tranquillamente allenare il Real o il Barcellona”. In ogni caso, il lavoro di Berdyev e di tutto il Rostov è sotto gli occhi di tutti. E il pubblico di Rostov-sul-Don deve stropicciarseli spesso, per assicurarsi che non si tratti di un sogno… Che riesca o meno nell'impresa di vincere il campionato, quella del Rostov è una storia interessante quanto quella del Leicester, da raccontare e ricordare.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura