La barca che trasportava Jose Fernandez si è schiantata sugli scogli del molo nord del “Government cut”, il canale artificiale che separa South Beach da Fisher Island costruito per facilitare l’accesso al porto di Miami: stava tornando da una battuta di pesca e il motivo dell’incidente si perde nelle mille variabili del contesto, nel buio, nel mare increspato, nella probabile alta velocità. Insieme a lui sono morte altre due persone e sui corpi verranno condotte delle analisi tossicologiche nei prossimi giorni; in ogni caso è paradossale che Fernandez abbia perso la vita nello stesso mare che soltanto otto anni prima lo aveva portato da Cuba agli Usa e che in un certo senso rappresentava la sua salvezza.
Le storie dei giocatori di baseball esuli della “Isla Grande” costituiscono ormai un genere letterario e quella di Fernandez non fa eccezione, anche se si distingue per un dettaglio. Nel 2007, a 15 anni, dopo tre tentativi falliti e un periodo in carcere, Jose era riuscito finalmente a fuggire da Cuba insieme alla madre Maritza. Il motoscafo su cui erano a bordo procedeva veloce verso le coste del Messico, quando all’improvviso qualcuno è caduto in acqua. Fernandez si è lanciato in mezzo alle onde. Soltanto qualche minuto dopo si renderà conto che quella che aveva tra le braccia e che aveva salvato dall’annegamento era sua madre.
«Quella notte ho pensato di morire molte volte», ha ricordato dopo. Dalle onde dell’Oceano Atlantico, Fernandez è passato alla polvere del deserto: per arrivare negli Usa la famiglia Fernandez ha dovuto attraversare a piedi il confine tra Messico e Texas, per poi stabilirsi a Tampa. Lì, piazzandosi sul monte di lancio, in poco tempo Jose è diventato la stella della Braulio Alonso high school, nel 2011 è stato selezionato dai Miami Marlins e ad aprile 2013 ha fatto il suo esordio nelle Major, vincendo il titolo di rookie dell’anno poco dopo.
Nelle quattro stagioni giocate, parzialmente compromesse da un serio infortunio al legamento del gomito nel 2014, ha messo insieme 38 vittorie su 76 partite, e una media Era di 2,58, costruita principalmente grazie a un uso efficace di fastball e curveball.
Fernandez, insomma, era ancora nel fiore dei suoi anni e mette i brividi guardare il suo profilo Instagram con le foto in spiaggia della moglie incinta. Commuove davvero leggere la lunga lista di messaggi dei colleghi, provvidenzialmente catalogati da The Player’s Tribune, aperti dalle condoglianze di Derek Jeter; come sono struggenti le lacrime del suo ultimo allenatore, Don Mattingly, o le magliette numero 16 appese nel dugout da Yoenis Cespedes e Yasiel Puig, anche loro esuli cubani. Impossibile non diventare sentimentali leggendo i ritratti del suo lato umano e psicologico, guardando i momenti più significativi della sua vita (come quello in cui ha abbracciato l’amata nonna per la prima volta dopo aver lasciato Cuba) o leggendo i titoli forti dei giornali locali.
Ma oltre a un ragazzo di 24 anni abbiamo perso anche una promessa del baseball. Per dare un valore alla carriera di Jose Fernandez e spiegare quali sarebbero potuti esserne gli sviluppi, serve ancora una volta affidarsi ai numeri che, per loro fortuna, restano impassibili di fronte a qualsiasi evento. Secondo FiveThirtyEight Jose Fernandez era destinato a Cooperstown: «La scomparsa di Fernandez lascia un vuoto non solo di personalità ma anche di un talento del calibro della hall of fame», scrive Neil Pane, motivando l’affermazione con le statistiche War e Fip alla mano. Dello stesso tenore, anche se con meno dati, l’analisi di Michael Bauman su The Ringer, che non ha avuto paura di sostenere che Fernandez era “il futuro del baseball”.