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L'inverno sta arrivando
22 set 2015
Di come in pochi anni l'Islanda abbia costruito un importante movimento calcistico da zero, qualificandosi a Euro 2016.
(articolo)
9 min
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«Siamo ambiziosi qui in Islanda. Prendiamo il calcio sul serio». Le parole di Sigurbjörn Örn Hreidarsson, una vita passata nel Valur, la seconda squadra più titolata d’Islanda, ci permettono di uscire subito dalla retorica del miracolo e della squadra mascotte che va oltre le proprie possibilità. La qualificazione della Nazionale islandese agli Europei del 2016 non è un exploit, ma il punto più alto di una crescita costante negli ultimi anni, che ha portato l’Islanda alla 23.esima posizione del ranking FIFA, sopra la Francia e la Svezia di Zlatan Ibrahimovic, ad esempio.

Le radici del progetto

Il 18 agosto 2004 Marcello Lippi esordisce da commissario tecnico dell’Italia. Si gioca un’amichevole in Islanda, sulla carta avversario morbido che non dovrebbe rovinare la prima del nuovo CT. L’Islanda invece batte 2-0 gli azzurri e il Laugardalsvöllur, lo stadio di Reykjavík che ospita le partite della Nazionale, registra il record di spettatori (20mila circa). Quel giorno allo stadio c’era in pratica il 7% della popolazione (rapportato all’Italia, è come se allo stadio ci fossero stati oltre 4 milioni di spettatori), a conferma del crescente interesse nei confronti del calcio da parte degli islandesi.

Gol di Gudjohnsen ed Einarsson. Nell’Italia giocano Sergio Volpi davanti alla difesa e Fabio Bazzani in attacco.

Tutte le analisi sulla crescita del movimento calcistico islandese si concentrano su due punti: la costruzione di nuove infrastrutture indoor, di campi in erba sintetica e di centinaia di campetti, che hanno consentito di non interrompere le attività durante i mesi invernali (vi stupirò, ma in Islanda fa freddo e il vento può essere molto forte: per questo il campionato dura cinque mesi, da inizio maggio a inizio ottobre); la rivoluzione che ha riguardato il percorso per diventare allenatori con il patentino UEFA B o UEFA A. Solo a partire dal 2002, infatti, si è professionalizzato il sistema d’insegnamento per aspiranti allenatori, con una serie di corsi riconosciuti dalla UEFA che hanno rimpiazzato il vecchio sistema.

«Non importa quanto sia grande il villaggio, ovunque ci sono allenatori preparati, bravi quanto quelli dei club di prima divisione», spiega Heimir Hallgrímsson, co-selezionatore della Nazionale, «I ragazzi ricevono lo stesso insegnamento a prescindere dal luogo in cui vivono. È un vantaggio enorme per il calcio islandese. Avere buoni allenatori e buone infrastrutture è un’ambizione di ogni villaggio e ogni villaggio è orgoglioso di produrre buoni calciatori».

I risultati degli investimenti della KSÍ, la federazione calcistica islandese, sono in questi numeri. I calciatori registrati sono circa il 7% della popolazione, mentre è possibile incrociare un allenatore ogni 450 abitanti circa. In Italia, per avere un termine di paragone, i calciatori non arrivano al 2% della popolazione, mentre il rapporto allenatori/abitanti è di uno ogni 2500 circa. Di pari passo anche il seguito è cresciuto in maniera esponenziale. In trasferta con la Nazionale in Olanda nella vittoria che ha dato la quasi certezza della qualificazione agli Europei c’erano 3000 tifosi.

Investimenti e programmazione hanno di certo rappresentato la base per la crescita del movimento islandese, ma spiegano solo in parte il grande traguardo raggiunto dalla Nazionale. In fin dei conti, buone infrastrutture e allenatori preparati si trovano dappertutto in Europa. Qual è quindi il vero vantaggio competitivo dell’Islanda?

Un modo originale per festeggiare la qualificazione.

Una Nazionale-club

Il punto è che tutto il sistema calcistico islandese, a differenza della stragrande maggioranza degli altri Paesi europei, lavora in funzione della Nazionale. I grandi progressi a livello di infrastrutture e di preparazione degli allenatori non hanno migliorato di molto i risultati dei club. Anche quest’anno nessuna squadra islandese si è qualificata ai gironi di Champions o Europa League.

Non è quello l’obiettivo primario. L’importante è far crescere buoni giocatori, che poi cercano la loro strada in giro per l’Europa. Spesso il percorso prevede una tappa intermedia nei vicini Paesi scandinavi, ma ci sono le eccezioni: Gylfi Sigurdsson è andato direttamente in Inghilterra (al Reading), Kolbeinn Sigthórsson in Olanda (all’AZ Alkmaar). In Islanda il campionato è ancora fermo al semiprofessionismo e per i club stranieri è semplice e poco costoso comprare i giocatori più promettenti quando ancora sono dei ragazzini.

Una magnifica eccezione.

Il percorso di formazione iniziato in patria prosegue quindi in campionati più competitivi, che consegnano alla Nazionale calciatori più forti rispetto a quando sono partiti. Le dimensioni dell’Islanda fanno il resto: i giocatori spesso si conoscono e crescono insieme, facendo la trafila delle selezioni giovanili fino ad arrivare a quella maggiore. Buona parte dell’Under-21 qualificatasi nel 2011, per la prima volta nella storia, agli Europei di categoria compone adesso l’ossatura della Nazionale maggiore.

L’Islanda ha in qualche modo ribaltato il rapporto club-Nazionale. Non esiste un “blocco” di giocatori di un club (si pensi ad esempio all’importanza che ha avuto storicamente la Juventus per l’Italia, Barcellona e Real Madrid per la Spagna, il Bayern Monaco per la Germania), ma è la Nazionale il “blocco” stesso, che poi rimanda i giocatori ai rispettivi club.

L’Islanda è a tutti gli effetti un club, con un undici titolare e un modello di gioco ben definiti. «Giochiamo sempre col 4-4-2, sempre veloci e con due attaccanti», spiega Arnar Bill Gunnarsson, un dirigente della federazione islandese, «Lo stile gioco è la prima cosa. L’impegno deve essere alto per tutto il tempo. Se un giocatore non si impegna non gioca». E il sistema di gioco è lo stesso dalla Nazionale maggiore alle selezioni giovanili. È questo il grande vantaggio dell’Islanda rispetto alle altre Nazionali ed è su questo vantaggio che ha costruito la qualificazione agli Europei, un capolavoro di organizzazione tattica del duo Lagerbäck- Hallgrímsson.

Semplicità e forza fisica

Il 4-4-2 giocato dall’Islanda è tanto scolastico quanto efficace. Nel girone di qualificazione agli Europei gli islandesi hanno subito gol solo dalla Repubblica Ceca (andata persa e ritorno vinto, sempre per 2-1). La fase difensiva è il punto di forza della squadra, la base sulla quale sono stati costruiti tutti i successi.

È praticamente impossibile trovare l’Islanda scoperta, anche se, comunque, non c’è nessun bus parcheggiato in area. Raramente gli islandesi pressano il primo possesso avversario, ma la linea difensiva viene tenuta ben fuori l’area di rigore.

La fase di non possesso comincia dai due attaccanti, il cui compito è impedire lo sviluppo basso della manovra avversaria. Inizialmente schermano le linee di passaggio dai centrali di difesa ai centrocampisti, poi, uscendo in pressione sul giocatore che imposta da dietro, lo costringono a lanciare lungo oppure indirizzano la manovra avversaria sulla fascia. È in quel momento che viene preparato il pressing e si cerca il recupero del pallone.

Il movimento dei due attaccanti è fondamentale nel creare superiorità nella zona della palla. Con il pallone in possesso del terzino avversario, entrambi ripiegano per schermare il passaggio indietro al centrale difensivo o in orizzontale al centrocampista in appoggio. Sul terzino esce l’esterno di centrocampo, che viene accompagnato dal movimento ad accorciare dei due centrocampisti: è in quella porzione di campo che l’Islanda cerca preferibilmente di recuperare la palla.

In questo caso si forma un quadrilatero sulla fascia. La linea di difesa resta una decina di metri fuori dall’area di rigore.

Il pressing, comunque, è tutt’altro che ossessivo. Se la squadra avversaria torna indietro o cambia gioco, i giocatori recuperano le loro posizioni. La priorità è non perdere compattezza: l’Islanda recupera palla soprattutto forzando l’errore avversario, specie costringendo al lancio lungo, forte della superiorità sulle palle alte. Nell’undici base solo due giocatori, il capitano Aron Gunnarsson e il terzino sinistro Ari Skúlason, sono sotto il metro e 80.

L’Islanda sfrutta questo strapotere fisico anche in fase di possesso. Sigthórsson e Bödvarsson, i due attaccanti, sono i riferimenti fin da inizio azione. Il lancio lungo a cercare la sponda delle due punte (più Sigthórsson di Bödvarsson) è una soluzione a cui si affidano spesso gli islandesi, soprattutto con i cambi di gioco del difensore centrale Kári Árnason. Non c’è nulla di casuale in questa scelta e la conquista delle seconde palle è organizzata strategicamente. Il colpitore di testa viene circondato dai compagni e quasi sempre l’Islanda riesce a guadagnare campo, anche se la punta perde il duello aereo.

Quando invece attacca palla a terra, la manovra è lineare. Gunnarsson e Sigurdsson, i due centrocampisti, si dispongono in verticale, con il primo a ricevere il passaggio dai difensori e il secondo a cercare la ricezione tra le linee. Gli esterni entrano dentro il campo per aiutare nella circolazione, ma non appena il pallone arriva sulla fascia tagliano per favorire lo sviluppo dell’azione sui lati. L’Islanda cerca continuamente il cross e non attacca quasi mai centralmente.

Spesso distrae la squadra avversaria da un lato per poi cambiare gioco e attaccare dall’altro. In questo caso sono fondamentali le sovrapposizioni dei terzini. In area, a cercare di chiudere l’azione, vanno in tre: i due attaccanti e l’esterno dal lato debole. Sono meccanismi mandati a memoria, che funzionano soprattutto quando l’Islanda attacca a sinistra con la coppia Hallfredsson-Skúlason, i crossatori più forti, e a tagliare centralmente va Bjarnason, il centrocampista con i migliori tempi di inserimento.

Il ruolo di Sigurdsson, la stella della squadra, nello sviluppo dell’azione è limitato. Viene sfruttato in particolare negli ultimi 30 metri come scarico centrale per i compagni che portano il pallone sulla fascia e come presidio del limite dell’area sui cross. L’obiettivo è trarre il massimo vantaggio dalla sua straordinaria capacità di calcio, permettendogli sempre di guardare la porta.

Sigurdsson è il capocannoniere della squadra con 5 reti ed è determinante soprattutto nei calci piazzati, la principale arma offensiva dell’Islanda, che ha segnato oltre la metà dei suoi gol nel girone di qualificazione da palla inattiva. Oltre che sul giocatore dello Swansea, tra l’altro, l’Islanda può contare su uno specialista come Emil Hallfredsson. E gli schemi da calcio piazzato non riguardano solo punizioni e angoli, ma anche le rimesse laterali.

Futuro radioso

In Francia troveremo insomma una squadra superorganizzata, con un’ossatura di buona qualità (oltre a Bjarnason e Hallfredsson, che in Italia abbiamo potuto seguire da vicino, occhio a Skúlason e Sigthórsson), un giocatore sopra la media, Sigurdsson e, forse, un totem come Eidur Gudjohnsen, che a 37 anni ha un ruolo limitato nella squadra, ma con la sua esperienza può essere decisivo fuori dal campo o in spezzoni limitati di gara. L’Islanda non farà la parte della comparsa e anzi il nuovo formato, che qualifica agli ottavi le quattro migliori terze, potrebbe darle concrete chance di andare oltre la fase a gruppi.

Non è una questione generazionale: anche l’Under-21 si sta confermando su ottimi livelli. Dopo essere stata eliminata con due pareggi dalla Danimarca nel playoff per gli Europei vinti qualche mese fa dalla Svezia, la nuova Under-21 islandese è prima nel proprio gruppo di qualificazione per gli Europei del 2017. L’Islanda ha già incontrato la Francia di Laporte, Rabiot e Coman è l’ha battuta 3-2. La nuova frontiera del calcio europeo si trova a due passi dal circolo polare artico. Anche noi faremmo bene ad alzare lo sguardo.

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