Immaginiamo che nel dicembre del 2013, sei mesi dopo l’ufficializzazione della nuova franchigia di New York, il CEO del City Football Group Ferran Soriano avesse indetto una conferenza stampa per annunciare il nome del nuovo allenatore, e che il nome di quell’allenatore fosse stato Patrick Vieira: nessuno si sarebbe stupito più di tanto. Sarebbe stata una mossa coerente con quanto detto da Soriano riguardo al reale progetto del CFG. «Vogliamo che tra cinque anni guardare il Manchester City sia la stessa cosa che guardare il New York City o il Melbourne City: che sia possibile riconoscerci per il nostro gioco, splendido e meraviglioso».
Patrick Vieira è entrato a far parte dello staff tecnico del Manchester City subito dopo il suo ritiro dal campo, vale a dire quattro anni fa. Oggi è l’Executive Development Football, il coach dell’U-21 e dell’U-19 dei "citizens". Collabora strettamente con Manuel Pellegrini, ed è al centro dei programmi della City Football Academy perché spetta a lui il compito di formare i giovani ormai giunti in limine alla prima squadra. Per i suoi trascorsi da calciatore, esperienza ne avrebbe avuta da vendere. Sarebbe potuto essere il primo Designated Coach della MLS e il progetto di riconoscibilità del CFG sarebbe stato al sicuro.
La Major League Soccer non ha mai avuto, nella sua storia, tecnici dai nomi altisonanti, non possiamo sapere che impatto avrebbe potuto avere l’ingaggio di un Guardiola, oppure di un ex campione del mondo come Vieira, in termini di hype, autorevolezza e rottura. Sarebbe stato maggiore o minore di quello di Beckham, Kaká o David Villa?
Nella stagione 2015 gli allenatori delle squadre MLS sono quasi tutti statunitensi, fanno eccezione tre britannici e un colombiano; molti non hanno neppure quarant'anni e leggere la lista è come fare un tuffo nel passato del calcio yankee degli anni Novanta e del primo decennio degli anni Duemila: Mastroeni, Berhalter, Ben Olsen, Klopas e Kinnear sono tutti ex calciatori.
Solo io trovo Patrick “Babe” Vieira incredibilmente a suo agio sul prato dello Yankee Stadium?
Nel dicembre del 2013, però, il nome uscito dalla bocca di Ferran Soriano è stato quello di Jason Kreis. La scelta del primo allenatore nella storia del New York City Football Club è stata, allora, coerente con il trend del campionato, una forma di tacito rispetto per un’usanza che non ti appartiene ma che comprendi e vuoi onorare.
Claudio Reyna, anche lui ex calciatore con un passato peraltro nel City inglese, oggi è il Direttore Sportivo del NYCFC. Parlando di Kreis ha detto: «Jason è quel tipo di leader che ogni squadra vorrebbe avere al comando. La sua esperienza, e la sua passione per il calcio di qualità hanno fatto di lui la scelta ideale per guidare il NYC nella sua prima stagione. E poi è un vero pioniere della MLS». E nelle parole di Soriano c’è la conferma di un sentimento diffuso di rispetto: «La sua esperienza nella MLS parla da sé».
Forse i tempi non sono ancora maturi per un Designated Coach, ma poco dopo Soriano ha aggiunto: «E potrà arricchire la sua esperienza lavorando con il nostro team a Manchester per tutto il 2014» (il NYC ha fatto il suo esordio nella MLS solo nel marzo 2015 e l'annuncio è di mesi precedente).
Non voglio dire che l’immagine di Jason Kreis l’esperto ne sia uscita ridimensionata; ma di certo ha assunto nuove sfumature, trasformandosi in quella di Jason Kreis l’apprendista.
In questo Dallas Burn vs DC United, Kreis segna il 2-2 su calcio di rigore e fa un bagno di folla, prima che a decidere la partita sia uno shootout.
Nella MLS since before it was cool
Kreis è diventato un nome familiare ai trivia della MLS già dai primi anni di vita della Lega. Nel 1996, durante l’edizione inaugurale, ha messo a segno la prima rete nella storia dei Dallas Burn (a quanto pare, irreperibile in rete). Ovviamente è stato subito inserito nella selezione della West Conference per l’All-Star Game di quell’anno. Nel 1999 è stato il primo calciatore statunitense a essere nominato MVP del campionato.
Quando nel 2004 la franchigia di Salt Lake City, il Real, si è presentata al Draft, la prima chiamata è stata per Jason Kreis: questo significa che dopo il nome, il logo, lo stadio, l’allenatore, quando è arrivato il momento della prima componente imprescindibile per il gioco del calcio, cioè il primo giocatore della rosa, la scelta è ricaduta su di lui. Chiaro che non poteva esimersi dal mettere anche lì a segno la primissima rete della squadra.
I record da first-timer di Jason Kreis non si fermano al calcio giocato: oltre ad essere il primo a segnare un gol nella storia di ben due squadre diverse (uso un’immagine da prendere con le molle, da interpretare con i dovuti schermi, ma è come se Kreis fosse il primo marcatore della storia sia del Sassuolo che del ChievoVerona) e il primo a raggiungere quota 100 reti nella MLS, anche quando ha smesso la maglia numero 9 e si è calato nel ruolo di allenatore ha marcato il segno.
La prima esperienza da coach professionista («La prima vera volta che ho allenato è stato a Omaha, in Nebraska, quando avevo 14 anni. Allenavo ragazzini di 8 anni, stavo sempre a pensare a come avrei potuto mettere insieme una squadra, a come avrei voluto che quella squadra giocasse») è sulla panchina del Real Salt Lake, nel 2007, cioè l’anno dopo il suo ritiro. Aveva 34 anni, appena compiuti, e chiaramente era il coach più giovane della Lega.
Nel giro di due anni ha portato il Real alla vittoria della MLS Cup; nel giro di quattro a una storica finale di CONCACAF Champions League (persa contro i messicani del Monterrey); nel giro di sei a una seconda finale MLS Cup (persa contro lo Sporting Kansas City). Nel mezzo ha saputo costruire un gruppo di successo, che non ha mai fallito l’accesso ai playoff, e che, soprattutto, ha raggiunto qualcosa che deve aver ingolosito il City Football Group: la riconoscibilità.
Anche la sua prima rete con il Real sembra impossibile da recuperare. In compenso c’è la 100.esima rete di Jason: sassata à la Pogba, esultanza à la Klose. Le linee delle yard sul campo se le osservi a lungo ti fanno venire il mal di testa. Lo speaker si profonde in elogi. Chissà se qualcuno ha mai giocato sul suono che fa la frase Jason Kreis Superstar.
Il miracolo Real Salt Lake
«Nel mio mondo ideale, tutti i centrocampisti sono versatili. Voglio giocatori dalla mente aperta; non mi interessa uno che sia bravo sulla fascia. Per giocatore versatile intendo uno che sia così intelligente da capire le situazioni e dire: "Oh, questo è quello che il coach vuole che faccia ora"», ha dichiarato in una lunga intervista a Sports Illustrated.
Negli anni ha fatto del Real Salt Lake una macchina dagli ingranaggi ben oliati, con un gioco che potesse essere un marchio di fabbrica, un gioco realsaltlakish™: 4-4-2 con centrocampo a rombo, giocatori che si scambiano le posizioni «perché non esiste una scatola in cui riporre i giocatori: per me è tutta questione di fluidità».
Anche quando non lo ammette esplicitamente si capisce da lontano un miglio che il prototipo di centrocampista perfetto per Kreis è Kyle Beckerman.
Il suo motto è: «Vai dove c’è uno spazio da riempire», e credo che non valga solo per il centrocampo, ma anche più in generale per la sua carriera: la priorità è sempre stata insinuarsi dove c’era una pagina bianca su cui scrivere una storia. A partire dalle origini: nato in Nebraska, cresciuto in Louisiana, posti storicamente lontani dalle principali direttrici del soccer. E poi esploso calcisticamente nel cuore metodista dello Utah.
Negli spogliatoi del Rio Tinto Stadium, la casa del RSL, ci sono molte scritte tipo: «La vera stella in campo è la squadra»; sermoni motivazionali funzionali alla costruzione di quella che Kreis chiama una "team-first mentality". In un contesto del genere il suo ruolo è simile a quello di un “Pastore”. L’intuizione vincente, a Salt Lake, è stata quella di creare uno zoccolo duro (Nick Rimando, Kyle Beckerman, Álvaro Saborío) al quale affiancare giocatori nuovi anno dopo anno, con un occhio al salary cap e un’attenzione particolare a ragazzini da svezzare o sconosciuti da sdoganare.
«Non vado di certo a comprare Beckham per il solo fatto che sia Beckham e che mi faccia vendere più maglie».
Forse la citazione di Becks non era proprio a caso.
Durante l’intervista per Sports Illustrated, Brian Strauss gli ha fatto una domanda provocatoria e, col senno di poi, lungimirante. Gli ha chiesto, in poche parole, se le priorità sarebbero state le stesse (cioè puntare sul gruppo e non sul nome di richiamo) anche avendo tutti i soldi del mondo da spendere. NYC, in quel momento, non esisteva neppure.
«Assolutamente», ha risposto con quella che non so distinguere cosa fosse, se sincerità o innocenza o sprovvedutezza o un mix di tutte e tre: «Non sono molto esperto, ma non mi pare di aver mai visto Messi parlare di sé stesso: parla sempre di quanto gli facilitino il gioco i compagni che ha accanto. È tutta una questione di movimenti, di combinazioni, tipo: ora cambiamo tutti posizione e quando perdiamo palla ci concentriamo e ci diamo una mano l’un l’altro per riconquistarla».
Ma Kreis si rende conto del suo potenziale provocatorio: «Un sacco di persone, e credo sia vero, e non ho nessun motivo per nascondermi, mi hanno descritto come uno che ha sempre provato a dimostrare agli altri che si sbagliavano», ha confessato in un’intervista su ESPN FC.
Nel 2009, dopo la vittoria in MLS Cup, il Real Salt Lake è stato accolto alla Casa Bianca.
Vi sbagliate e sono qui per dimostrarvelo
Nel video del Real Salt Lake alla Casa Bianca colpiscono tre cose: a) la verve brillante di Barack; b) lo sguardo di Kyle Beckerman quando il Presidente stringe la mano a tutti quelli che sono in prima fila e non a lui, che è il capitano della squadra; c) il cenno di ringraziamento di Nick Rimando, da marine in congedo.
In realtà, l’aspetto più interessante è il rapporto tra Jason Kreis e Barack Obama. Kreis non si scompone quando Barack spara una raffica di battute sulla sua tenuta fisica, su quanto sia in forma, su quanto sembri ancora un calciatore in attività. Si trattiene, ma è intuibile l’intima esplosione di gioia quando Barack cita una sua frase: «Abbiamo creduto in noi stessi più di quanto gli altri credessero in noi».
È una frase pronunciata da Kreis a caldo dopo una vittoria, ma somiglia più a una frase da stampare sulle banconote da 100 dollari. Sarebbe pure un claim perfetto per la MLS.
The Apprentice
«Stiamo ancora al punto in cui dobbiamo lottare per il rispetto nel mondo del calcio; inutile nasconderlo, è proprio così», dice Kreis. Si trova a Barcellona, al seguito del Manchester City, e il motivo per cui è con i "citizens" ha molto a che vedere con i concetti di rispetto, autorevolezza, riscatto.
C’è stato uno scambio di tweet tra Kreis e alcuni puristi che mi ha fatto riflettere. In sostanza si criticava (credo si chiami lesa maestà) il fatto che dopo esser stato nominato allenatore di NY Jason fosse stato inviato per direttissima a Manchester con in dosso i panni dell’apprendista. Lui, che in otto anni a Salt Lake si era confermato come uno tra i migliori, se non il migliore, coach statunitensi.
«Sarei un bugiardo se dicessi che sono arrivato qua e ho ricevuto da tutti un’accoglienza fantastica per il calcio americano. Tutti pensano che siamo molto, molto indietro. C’è chi pensa che il calcio USA sia arcaico».
«Mi fanno domande tipo: ma vi allenate tutti i giorni voialtri laggiù? Ed è stato uno che è nel mondo del calcio professionistico. Dover rispondere a una domanda del genere illustra esattamente la nostra posizione».
KickTv ha prodotto un bel documentario sulla parentesi “scolastica” di Kreis alla City Football Academy. È vero che Soriano, il CEO del gruppo, quando lo ha introdotto a Manchester ha invitato tutti a trattarlo come “collega” e non come “ospite”. Ma è anche vero che da ogni singolo fotogramma trasuda un’atmosfera come di pacata sottomissione: ci si potrebbe provare a scorgere dell’umiltà, ma con un po’ più di malizia è evidente che il suo starsene in disparte dipenda dalla poca considerazione che avverte nei suoi confronti.
Non si fa per niente fatica a capirlo da come entra in campo, da dove si dispone, da quanto sembra vergognarsi quando la palla capita tra i suoi piedi (al minuto 7:13).
La scena più bella del documentario è quella in cui Kreis si trova all’interno dell’ufficio dello staff tecnico nel centro d’allenamento di Carrington (al minuto 3:40). È arrivato in macchina, guidando a destra; ha parcheggiato nel posto riservato a Soriano e in generale sembra molto felice che gli inservienti e le guardie all’ingresso lo riconoscano e lo salutino.
Impugna dei fogli con gli schemi, con i movimenti dei giocatori in campo: sarà una mia fissazione, ma mi sembra che i suoi occhi siano puntati sul centrocampo (piccolo inciso: a una domanda della stampa di casa, che gli chiedeva se l’accordo tra Manchester City e New York prevedesse un libero scambio di giocatori, Kreis ha risposto: «Purtroppo non è che posso prendere Fernandinho in prestito», e mi ha colpito che non abbia detto Dzeko o Agüero o Silva o Yaya Touré, ma Fernandinho. Fine dell’inciso).
«Jason che ne pensi?», lo coinvolge Vieira. «Scusa ma non te l’ho chiesto prima». Jason dice la sua, Patrick annuisce convinto. Ma nella dinamica della scena c’è tutto il dislivello mascherato da orizzontalità: sembra quasi che Vieira lo stia interpellando per obbedire a una raccomandazione, o per buona educazione.
One hand in the air for the Big City
Un’ulteriore scena del documentario: Jason osserva giocatori come fossero pesci esposti nella teca di un ristorante al mare. In virtù di un accordo interno al City Football Group, il New York City può prelevare fino a quattro giovani da Manchester e portarli nella Grande Mela a fare esperienza. Dice: «Questo mi piace. Questo è un gran giocatore». Per quanto ne sappiamo potrebbe pure essere Shay Facey, l’unico U-21 che effettivamente ha portato con sé. «Il nostro grande problema, però», continua, «è che non abbiamo ancora neppure un giocatore!».
L’idea è che Soriano e Reyna abbiano scelto Kreis essenzialmente per un motivo: perché è uno dei più bravi, se non il più bravo in assoluto in MLS, a costruire un gruppo, e soprattutto perché sa come si fa a partire da zero. E per zero non intendo una situazione di demoralizzazione diffusa, o calciatori da formare: intendo proprio da zero.
Jason Kries nel primissimo giorno di allenamento. Anche se è di spalle si può intuire quella mescolanza di paura per l’ignoto e voglia d’avventura che caratterizza i Primi Giorni di tutto.
«I tifosi non tollereranno nessun prodotto di bassa qualità, perché ci sono un sacco di altre opzioni cui possono dirigere le loro attenzioni». Kreis è consapevole che per far amare il calcio, per farlo amare a NYC, c’è bisogno di dedizione o, per citare un’altra scritta lapidaria nello spogliatoio del Rio Tinto: commitment, impegno.
Le scelte del Draft sono molto eloquenti, in questo senso. Per essere sicuro di non sbagliare, o per provarci almeno, Jason si è portato dietro un bel pezzo di Salt Lake: cinque giocatori (tra i quali i centrocampisti Grabavoy e Velásquez e il difensore Wingert) e due assistenti.
Già contro i New England Revolution, i primi timidi segni di "Kreisizzazione" della squadra sono stati evidenti: Mix Diskerud, Grabavoy e Velásquez si sono scambiati spesso posizione, si sono incuneati negli spazi, tra le linee, alla ricerca della palla e della combinazione mai scontata, al contrario sempre funzionale.
In un’intervista rilasciata prima dell’esordio allo Yankee Stadium, David Villa ha parlato a lungo della proprietà, dei compagni di squadra, di Lampard, dello stadio e dei tifosi. Poi, quasi en passant, ha dedicato una frase anche all’allenatore, come fosse l’ultimo dei protagonisti cui lasciare gli onori del proscenio: «Ha uno stile molto europeo, e ha studiato molto a Manchester».
Il motivo principale per il quale ad allenare New York c’è Jason Kreis e non Patrick Vieira è che non serve—non in questa fase del progetto—una presenza imponente e statuaria come quella dell’Empire State Building, ma qualcosa di più placido e al contempo avvolgente.
Rassicurante, come sa essere Jason, come sono le acque dello Hudson e della baia quando si incontrano a metà strada, sotto il ponte di Brooklyn, per cingere Manhattan.