La storia di Roberto Néstor Sensini, come tutte quelle che tra l'apertura e la chiusura formano un cerchio, ha una dose di fascino combinata con un senso di forzatura. Nel 1911 il nonno, Pacifico Sensini, lasciò l'Italia, Macerata, per emigrare in Argentina; e lui nel 1989 fa il tragitto inverso. Arriva in Friuli, da dove comincia un percorso circolare: prima Udinese, Parma, Lazio, poi di nuovo Parma e Udinese. Il suo esordio ufficiale in Serie A è contro la Roma (27 agosto 1989) e contro la Roma sarà la sua ultima gara da calciatore (22 gennaio 2006). Di mezzo ci sono 384 presenze in serie A, quasi diciassette anni. In quel momento è la più lunga permanenza in Italia di un giocatore straniero.
Se ragiono sul tipo di calciatore che è stato Sensini, la prima cosa che mi viene da dire è: Jolly. Così l'album Panini indicava il suo ruolo, negli anni in cui attaccavo la sua figurina tra quattro angoli. Una parola suggestiva che collegavo al Joker, ancora sotto l'effetto del primo Batman di Tim Burton. Nel calcio il Jolly è quello che si mette a disposizione, quello che trascura le sue inclinazioni e dà retta all'allenatore e alle sue esigenze. Di Sensini mi affascinava questa generosità, questa capacità (che in me proprio non vedevo) di dimenticare sé stesso per il bene del collettivo. È una figura sempre adattata, che copre ogni zona di campo come se fosse la sua, ma non ne ha una propria. C'è un ruolo che preferisce, di suo, il Jolly? Qualcuno glielo chiede mai?
Anche Sensini è stato giovane
“Boquita” o anche “El Bocón”, com'è soprannominato per la grossa bocca, nasce il 12 ottobre 1966. Il suo paese, General Lagos, ha quattromila abitanti e dista quindici chilometri da Rosario. La maggior parte dei siti internet sostiene che sia nato in una cittadina vicina, un posto che si chiama Arroyo Seco, “Ruscello secco”. Mi affido a quello che dice lui (qui a 0:23). Il punto di riferimento è comunque la città dove scorre il Paranà, dov'è nato Che Guevara, dove si sfidano il Rosario Central e il Newell's Old Boys.
Nella squadra del suo paese, il piccolo Club Libertad di General Lagos, comincia a dare i primi calci. Durante un torneo in notturna, un osservatore del Newell's lo nota e si sbriga a tesserarlo. Così Sensini finisce nelle prestigiose giovanili dei “Lebbrosi” di Rosario, allenato dal giovane Marcelo Bielsa. Mentre nella stessa città sta nascendo Leo Messi, lui passa in prima squadra, e ci resta (1986-1989). Nel 1988 perde la finale della Libertadores ma vince il campionato argentino, insieme ad Abel Balbo, in una squadra interamente uscita dalle giovanili del club. L'anno dopo Balbo va al River Plate, e in attacco il Newell's promuove un diciannovenne che si chiama Gabriel Omar Batistuta.
Gol di Sensini in NOB-Argentinos Jrs 1987-88: non il primo, non quello che fa tutto da solo: quello che riceve da Balbo e segna a porta quasi vuota. Il Jolly deve sapere come farsi trovare al posto giusto al momento giusto.
Nel 1987, intanto, il Ct Carlos Bilardo lo ha aggregato alla Seleccion. Esordisce il 16 dicembre (Argentina-Germania Ovest), a ventun anni e con appena 22 partite disputate nella massima serie argentina. Giocherà tre mondiali (1990, 1994 e 1998), sarà capitano della Seleccion (dal 1998 al 2001), vincerà due volte la Copa America (1991, 1993) e otterrà la medaglia d'argento alle Olimpiadi '96. Al Mondiale 2002 deve rinunciare perché s'infortuna poche settimane prima, uno strappo muscolare, ed è il suo maggior rimpianto: con quattro partecipazioni avrebbe eguagliato Maradona. Se contiamo che era stato convocato dalla rappresentativa giovanile “Renato Cesarini”, che accompagnava la nazionale durante il trionfo di Messico '86, le spedizioni mondiali sarebbero state cinque.
Nell'esperienza messicana con quella squadra di ragazzini, scattò delle foto posando insieme a quelli che erano i suoi idoli (Maradona, Valdano, Burruchaga). Ma, spiegherà: “Il rullino che mi ero portato dietro non si era agganciato”, e le foto non vengono. La consolazione arriva presto: un anno dopo è lui stesso un calciatore della nazionale maggiore e durante un allenamento conosce Maradona: «Mi lanciò la palla urlando "cornuto". Gliela restituii allo stesso modo».
Ai mondiali italiani del '90 l'Argentina va in fondo. Lo fa grazie a Diego ma anche alle parate di Goycochea, al quale Sensini mostrava a modo suo il rispetto dovuto: "Era diventato una star, dovevo servirgli la colazione in camera". Boquita viene impiegato nella prima gara, la clamorosa sconfitta contro il Camerun. Poi non gioca più fino all'epilogo, la finale contro la Germania Ovest (la squadra contro cui aveva esordito in albiceleste, a proposito di circolarità). Ed è proprio Sensini a commettere (o non commettere...) il fallo da rigore che farà alzare la coppa ai tedeschi.
Il rigore di Argentina-Germania Ovest, in un servizio d'epoca di una classe che dovreste ricordarvi quando scegliete la musica per le compilation di calcio su YouTube.
Quando arriva in Friuli ha ventitré anni, lo prendono in giro perché porta dei calzoni corti e stretti come usa in Argentina. Ci resta per quattro stagioni (1989-1993), mettendo insieme 149 presenze – cioè giocando quasi sempre. A fare i conti, nella sua carriera è stato impiegato davvero molto, a livello di minutaggio oltre che di presenze. Chi lo ricorda come un simpatico gregario, una specie di mascotte, si stupirà a sapere che Sensini è stato quasi sempre titolare nelle sue prime dieci stagioni italiane (1989-1999). E che poi, con un'unica eccezione (2001-02, l'ultimo anno a Parma, 16 presenze e 1.278 minuti), giocherà almeno venti partite di campionato fino alla sua ultima stagione da calciatore inclusa. E all'epoca aveva trentanove anni.
Il primo anno a Udine è una retrocessione in B. Il secondo, un ritorno in serie A vanificato da una penalizzazione che toglie i punti necessari. Balbo si laurea capocannoniere del torneo cadetto. Nel 1991-92 la promozione arriva davvero, e l'anno successivo vince lo spareggio contro il Brescia di Hagi per restare nella massima serie.
Gol di Sensini in Udinese-Sampdoria 1989-90: "Incornata vincente".
La maturità in quel Parma.
Nel 1993 arriva la chiamata del Parma, che deve sostituire l'infortunato Georges Grun. Per il club è un momento di passaggio: è andato via Osio, Melli si appresta a fare l'ultima stagione, è stato acquistato Gianfranco Zola. Sensini ha ventisette anni, accetta. Di lui, arrivato da poche settimane, il mister Nevio Scala dice: “Mi sembra un giocatore vecchio, nel senso che pare di aver fatto tanta strada insieme. Ha subito dialogato con i compagni, non c'è stato bisogno quasi di insegnargli nulla”.
Porterà la maglia gialloblu per sei stagioni gloriose. In quella d'esordio, vince la Supercoppa Europea (contro il Milan di Capello) e arriva in finale di Coppa delle Coppe. Nel 1994-95, i crociati conquistano la Coppa Uefa. L'anno seguente viene acquistato un Pallone d'Oro, Hristo Stoičkov, che a ventinove anni lascia Barcellona per Parma. Erano anni così. Il bulgaro però non porta quel salto di qualità che ci si aspettava e va via a fine stagione, come anche mister Scala.
È finito un ciclo, arriva un nuovo allenatore, Ancelotti, col quale Sensini avrà un ottimo rapporto: lo chiama “Cabezòn, per quel testone ricco di simpatia e umanità”. Il giovane tecnico di Reggiolo ottiene un secondo posto nel 1996-97, che grazie alle nuove regole consente al Parma di qualificarsi per la Coppa Campioni: è il punto più alto raggiunto nella storia dei ducali. La stagione successiva si chiude con un quinto posto. L'ultimo anno di Sensini a Parma coincide con l'arrivo di Malesani. In quella squadra ci sono Buffon, Thuram, Cannavaro, Veron, Crespo. E c'è anche Abel Balbo. Boquita mette in bacheca un'altra Coppa Uefa e la Coppa Italia 1999. Poi fa le valigie per Roma.
Sintesi di Parma-Bordeaux, Quarto di Finale d'andata della Coppa Uefa 1998-99, anno della vittoria, in cui Sensini segna pure.
Nell'Udinese, nel Parma, nella Lazio, Sensini ha giocato indifferentemente in difesa e a centrocampo. Centrocampista nel 3-5-2, terzino destro o sinistro nella difesa a quattro, centrale difensivo nel 3-4-1-2. Piuttosto tozzo, forte nei contrasti, giocatore di rottura ma capace di buoni inserimenti offensivi, soprattutto sui calci piazzati. Sicuro, affidabile, equilibrato. Disponibile.
Doppietta (!) in Parma-Inter 1994-95.
Cominciare a invecchiare in quella Lazio
La Lazio di Eriksson è la squadra più forte in cui sia capitato: tra gli altri ci sono Nesta e Veron, Salas e Nedved, Simeone e Roberto Mancini. È una tappa bizzarra nella carriera di Sensini, come una vetta da cui inevitabilmente ridiscendere una volta che la si è toccata. In quei mesi (1999-2000) vince lo Scudetto, la Supercoppa Europea 1999 (contro il Manchester United), un'altra Coppa Italia e una Supercoppa italiana. Boquita si ritaglia un suo spazio, in campionato gioca 23 gare (1.427 minuti), e risulta utilissimo a una squadra che prova a competere anche in Champions League.
Sembra incredibile sia rimasto in biancoceleste per un anno soltanto, un anno peraltro in cui i tifosi non sapevano dove voltarsi tra i fuoriclasse. Il ricordo affettuoso se l'è conquistato per il suo carattere buono, generoso, allegro. Sensini è uno che si lega ai posti, uno che dà il massimo e riceve altrettanto.
Quando già aveva smesso di giocare, disse: “Tengo una gran admiración por la gente. En todos los clubes, me trataron muy bien”. Sensini è uno che sui giornali finisce lontano dalle pagine sportive solo per aver subito un raggiro, uno che, quando gli chiedono di com'è cambiato il calcio, si lamenta perché un diciassettenne che ha fatto due partite “è più conosciuto di un grande medico della città”.
Gol di Sensini in Torino-Lazio 1999-2000. Prima, a 0:20 circa, c'è Mihajlovic che dà una gomitata in area pensando di non farsi vedere da nessuno, e invece rosso e rigore. Il gol arriva a 1:30, appostato sul secondo palo, Sensini spunta come un Jolly dal mazzo.
Chiudere il cerchio.
Fra il 2000 e il 2002 torna a Parma, romanticamente, per un biennio che sembra un dignitoso tramonto. Boquita viene messo un po' da parte, non gioca più tanto (in campionato fa 36 presenze e appena 2.254 minuti, in due anni). C'è anche il lieto fine, la Coppa Italia che il Parma vince nel 2002, a oggi l'ultimo trofeo ducale. Sensini sta per compiere trentasei anni, potrebbe ritirarsi in Argentina e magari farsi un'ultima stagione da venerato maestro.
Ma gli sfugge il Mondiale di Giappone e Sud Corea, quell'estate, e già il lieto fine si rovina. E poi, soprattutto, c'è un'altra tappa in cui può tornare a far sosta. Il cerchio deve essere tracciato per bene.
L'Udinese, quindi. È il 2002 e trova una situazione tutta diversa, solida e ambiziosa, in confronto a una decina d'anni prima. C'è un allenatore, Luciano Spalletti, poco più grande di lui: sarà il tecnico che lo rilancerà e quello con cui Sensini avrà più dialogo. Sia nel primo che nel secondo anno Boquita gioca titolare, e la squadra centra la qualificazione in Uefa. Il 2004-05 si chiude con una storica qualificazione in Champions League e Spalletti che se ne va, sostituito da Cosmi.
Nei suoi ultimi mesi da calciatore, quasi quarantenne, Sensini partecipa a quella sfortunata avventura europea, che si conclude con l'eliminazione dal girone. Questo e i risultati deludenti in campionato portano all'esonero di Cosmi, nel febbraio 2006. La società chiede a Sensini di diventare allenatore in tandem con Loris Dominissini. È così che Boquita smette di giocare: per mettersi a disposizione. Chiude con il record di presenze (240) di un calciatore straniero nella storia dell'Udinese, e con quel record di longevità che verrà superato solo da Javier Zanetti.
Gol in Cagliari-Udinese 2005-06. Il senso del gol di Sensini in area di rigore non è da tutti, effettivamente.
La parentesi sulla panchina friulana (due pareggi e quattro sconfitte in campionato, eliminazione dalla Coppa Uefa, prima delle dimissioni), a distanza di cinque anni la giudicava una scelta sbagliata: “Non c'erano i presupposti per poter far bene, i giocatori mi vedevano ancora come un compagno”.
Quando si crede così nei ritorni, nella circolarità dell'esperienza, un po' c'è anche la paura di mettere un punto. Quei record fanno pensare che finirla con il calcio giocato gli sia particolarmente complicato. Ed è abbastanza prevedibile che smettere di fare il giocatore, per Sensini, significhi diventare allenatore. Non ci si vede proprio fuori dal campo, magari “atrás de un escritorio”, dietro a una scrivania, per fare il dirigente. Così, la panchina. E il ritorno nella sua terra.
Allena l'Estudiantes per alcuni mesi tra 2007 e 2008, con un inizio incoraggiante e un mezzo disastro alla fine. Poi, ovviamente, torna ai Newell's Old Boys. Prende la squadra nel gennaio 2009, dopo un periodo di assestamento ottiene buoni risultati (su tutto, un memorabile record di 6 vittorie consecutive), ma poi tra le accuse di ultra-difensivismo e le vittorie che non arrivano più si dimette nell'aprile 2011. Qualche mese dopo, a febbraio 2012, va al Colon di Santa Fe dove Batistuta è il segretario tecnico.
La presentazione come nuovo tecnico del Colon (seduto accanto, c'è Batistuta).
L'esperienza non è esaltante, a marzo 2013 le strade si separano per i risultati mediocri. La carriera da allenatore non sembra essere nel segno felice di quella di altri ex calciatori del Newell's, come Bielsa o Pochettino. E il suo percorso fa che non si possa dubitare della sua buonafede quando dice che in Italia vorrebbe allenare Parma o Udinese.
Dallo scorso giugno siede sulla panchina dell'Atlético de Rafaela. Una piccola squadra della provincia di Santa Fe, che partecipa alla Primera División ma nella sua storia ha quasi sempre militato in serie inferiori. Non ci sono nomi di grido, il capitano Adrián Bastía è un mediano trentaseienne che Sensini ha già allenato nel Colon. Un contesto insomma più facile da gestire rispetto alle esperienze precedenti.
In questo Torneo Inicial i biancocelesti hanno messo insieme, finora, quattro vittorie, due pareggi e quattro sconfitte. Nella Copa Argentina hanno raggiunto un'insperata semifinale, persa poi con l'Huracán. La città di Rafaela ha centomila abitanti, come Udine. E a Boquita viene da augurare che sia l'inizio di una lunga storia, come quando arrivò in Italia coi calzoni corti e stretti.