Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
La decisione del Faraone
26 nov 2013
Dopo un 2012 da Next Big Thing e un 2013 deludente, è possibile che la stella di Stephan El Shaarawy si stia già eclissando? Quale sarà il futuro del fuoriclasse milanista?
(articolo)
14 min
Dark mode
(ON)

La scena fin qui più ironicamente crudele della nuova stagione del calcio italiano l’hanno vista migliaia di persone, ma non è stata trasmessa durante una partita. È uno spot pubblicitario. C’è un ex allenatore molto famoso e vincente che guarda negli occhi un attaccante che nella vita reale ha passato un anno deludente. Allungando al calciatore il joypad di una Xbox, l’allenatore dice con intensità e comicità involontaria: «ora sei titolare». È capitato che nello stesso blocco pubblicitario fosse trasmesso anche un altro spot, di un altro marchio, ma con lo stesso calciatore come testimonial. Stavolta parla con un bambino triste e sconsolato che ha appena fatto un tiraccio verso la porta. Mentre l’arrangiamento del jingle dello spot si fa intimo e sentimentale, il calciatore spiega al bambino: «Sai, giocando ho capito una cosa. Che è proprio quando non va, che devi riprovarci. Sapendo che in campo non sei mai da solo. E vedrai che la palla che aspetti arriva anche all’ultimo minuto».

Quindici mesi fa, quando ancora non lo aspettava nessuno, Stephan El Shaarawy è diventato con una certa prepotenza la next big thing del calcio europeo. Ha segnato un sacco di gol, ha trascinato la sua squadra diventando insostituibile, ha ottenuto un posto da titolare in Nazionale. Poi, con la stessa rapidità, è scomparso. Di certo non è voluto, ma a un certo punto persino i suoi sponsor sono sembrati intenti ad appiccicargli addosso l’immagine crepuscolare del calciatore in fase discendente, prodigo di consigli, saggio al punto di prendere in giro il suo momento complicato, piuttosto che quella del vincente a cui voler assomigliare. È strano, ma d’altra parte quello che è successo negli ultimi quindici mesi a El Shaarawy ha pochi precedenti nella storia recente del calcio italiano.

«Ora sei titolare.»

Nella famiglia di Stephan El Shaarawy sono tutti laureati. Suo padre, Sabri, è egiziano: si è laureato in Psicologia al Cairo e si è trasferito in Italia, a Savona, nel 1982. Lì ha conosciuto Lucia, laureata in Infermieristica, che lavora alla ASL. I due oltre a Stephan hanno un altro figlio, Manuel, che si è laureato in Economia nel 2011. Chiunque abbia raccontato da dove venga Stephan El Shaarawy e non si sia fermato alla questione delle origini egiziane – pare che per un po’ non fu convocato nelle Nazionali giovanili perché lo credevano straniero – ha parlato di quanto la famiglia El Shaarawy sia unita, premurosa, stabile, presente, seria; di quanto lui abbia la-testa-sulle-spalle e di come fin da bambino sia stato seguito con scrupolo e attenzione.

Questa cosa della testa-sulle-spalle El Shaarawy la ripete spesso. Quando gli chiedono come si definirebbe, lui risponde «umile, perbene e buono con tutti». Parla sempre benissimo di suo fratello e recentemente lo ha scelto come agente. Ha conseguito la maturità nei giorni in cui firmava il suo contratto col Milan e lo ha fatto in una scuola pubblica. Non ha tatuaggi né orecchini. È musulmano come il resto della sua famiglia – la mamma è convertita – ma non fa il Ramadan, dice che la religione per lui «è soprattutto una questione di valori e di abitudini quotidiane legate alla mia famiglia». Ripete sempre che il suo idolo è Kaká, il calciatore bravo-ragazzo per eccellenza (come dev’essere giocare in squadra col tuo calciatore preferito di quando avevi dodici anni? El Shaarawy lo sa). Una volta l’anno torna nel campetto della sua prima squadra, l’ultima volta ha regalato alla società un defibrillatore.

Dice qualche banalità in meno dei suoi colleghi. Quando parla della testa-sulle-spalle, per esempio, invece di mettere il pilota automatico delle risposte preconfezionate racconta che è una gran fatica. «Non è facile non cascarci. Quando vedi i calciatori ti viene da dire: “ma come cazzo fanno a essere così presuntuosi?” L’ho pensato anch’io mille volte. Poi ti ci trovi dentro, con la gente che ti chiede foto e autografi, che ti pompa, e cominci a sentirti un fenomeno anche se non vuoi.» È uno dei pochi grossi personaggi del calcio italiano che si dichiara contento di come viene descritto dai giornalisti. «Io penso di essere riuscito a tenere i piedi per terra. Lo capisco da come mi descrivete. Mi piace il modo in cui mi vedete voi.» Se non lo ha fatto già, come è probabile, da qui ai prossimi 15 anni El Shaarawy avrà probabilmente molte occasioni per cambiare idea.

La prima stagione da professionista, al Padova.

Nel 2001, quando El Shaarawy ha nove anni e gioca nel Ruffinengo di Legino, il suo allenatore si rende conto di cosa ha tra le mani e lo propone inutilmente al settore giovanile della Juventus. Quando ha undici anni, nel 2003, il Genoa lo tessera. Quando ha sedici anni appena compiuti, nel 2008, El Shaarawy gioca per la prima volta in Serie A con il Genoa e diventa il più giovane esordiente nella storia della più antica squadra di club italiana. La leggenda vuole che dopo quella presenza – pochi minuti contro l’Udinese – l’allora allenatore del Genoa, Gian Piero Gasperini, lo rimandò due settimane ad allenarsi con la Primavera: perché tenesse la testa-sulle-spalle. La leggenda nella leggenda vuole che nel 2001 fosse stato lo stesso Gasperini, all’epoca allenatore delle giovanili nella Juventus, a rifiutare El Shaarawy perché troppo giovane. El Shaarawy è tutt’ora molto giovane e non sempre tutti realizzano quanto è giovane: è due anni più giovane di Balotelli, per fare l’esempio più semplice. Ha appena compiuto ventuno anni. Quando ha travolto il calcio italiano ne aveva diciannove.

El Shaarawy veniva da una stagione di rodaggio al Milan e soprattutto, l’anno prima, da un bel campionato in Serie B al Padova, in prestito dal Genoa, durante il quale si era tolto qualche soddisfazione e aveva cominciato a prendere le misure con i due principali nodi attorno ai quali sarebbero girati gli anni successivi della sua carriera: la sua posizione in campo e il suo ginocchio sinistro. Quando El Shaarawy arriva al Padova, l’allenatore è Alessandro Calori. All’inizio della stagione lo schiera trequartista centrale in un 4-3-1-2: funziona, senza entusiasmare. Poi Calori viene esonerato e lo sostituisce Alessandro Dal Canto, che fa giocare El Shaarawy attaccante esterno di sinistra in un 4-3-3. El Shaarawy esplode, gioca un gran girone di ritorno, porta il Padova alla finale dei playoff e attira su di sé le attenzioni di mezza Europa: a dar retta ai giornali di quel periodo, lo seguono gli osservatori di Inter, Manchester United, Manchester City, Zenit San Pietroburgo, Barcellona, Fulham. E quelli del Milan, che alla fine lo compra.

Lui è molto veloce, ha tecnica, ha progressione anche se non a testa alta: più come un esterno d’attacco, effettivamente, che come un trequartista. Più come Robben che come Kaká, per capirci. Con la palla al piede è una freccia, ha un bel dribbling: per questo all’inizio della carriera qualcuno lo immagina centrocampista e si spinge a paragonarlo addirittura a Marc Overmars. El Shaarawy da trequartista centrale combina poco, lui stesso ammette di avere difficoltà a giocare con le spalle rivolte alla porta. Sembra avere le qualità necessarie per giocare da seconda punta – è bravo negli spazi stretti, è veloce di gambe e di pensiero, ha anche doti finalizzative non indifferenti – però non si trova a suo agio, capisce che non gli viene bene e lo dice. Arrivato al Milan, quando commenta l’intenzione di Allegri di giocare col 4-3-1-2, dice: «cercherò di adattarmi» ed è consapevole che deve migliorare «a giocare un po’ di più in mezzo». Da esterno d’attacco invece è libero di vedere tutto il campo e soprattutto fare la cosa che preferisce: partire da sinistra, accentrarsi e tirare. Quel tipo di movimento, ripetuto centinaia e centinaia di volte ogni settimana tra partite e allenamenti, lo porta però a caricare eccessivamente il ginocchio sinistro: quello su cui fa perno per interrompere la progressione e accentrarsi, quello su cui getta tutto il peso del corpo prima di tirare. Così nel settembre del 2010 El Shaarawy si deve fermare due mesi – che poi diventano quattro – per una “tendinopatia rotulea degenerativa bilaterale”: infiammazione del tendine del ginocchio sinistro. Al Milan cercheranno di occuparsi di entrambe le cose: del ginocchio sinistro e del suo posto in campo.

Il movimento di El Shaarawy.

Quando El Shaarawy arriva al Milan, nel 2011, lo mandano subito in palestra: sostengono che il problema al ginocchio sinistro sia legato alla crescita e si risolva rafforzando la muscolatura, così da tenere una postura migliore e affaticare meno il tendine. Allegri lo tiene fuori dalla lista dei calciatori che possono giocare nel girone di Champions League, lo inserisce in quella della fase finale. El Shaarawy finisce una stagione interlocutoria con 22 presenze in campionato, soprattutto spizzichi di partita, e 2 gol segnati. In estate il Milan riscatta la metà del suo cartellino che era ancora di proprietà del Genoa, e mentre si libera in un colpo solo di Seedorf, Inzaghi, Nesta, Gattuso, Zambrotta, Ibrahimović e Thiago Silva, non immagina che l’anno seguente sarà Stephan El Shaarawy a tenergli in piedi la stagione.

All’inizio del campionato di Serie A 2012-2013, El Shaarawy ha diciannove anni. Nonostante alcuni nuovi fastidi al ginocchio sinistro inizia a segnare con regolarità mostruosa. Il resto della squadra è in difficoltà e lui di fatto se la mette sulle spalle. Segna 14 gol solo nel girone d’andata; per un pezzo del campionato guida da solo la classifica cannonieri; arriva in doppia cifra prima di Cavani, Milito, Di Natale. Prenota una vacanza estiva ai Caraibi pagata da Massimo Ambrosini, col quale aveva scommesso che avrebbe segnato più di dieci gol. In Champions League diventa il più giovane marcatore della storia del Milan e soprattutto segna un gol meraviglioso, uno dei più belli dell’anno, contro lo Zenit di San Pietroburgo. Parte da sinistra, si accentra, taglia in velocità tutta la difesa dello Zenit, salta l’ultimo difensore e tira incrociando prima di cadere a terra. Il giorno dopo la Gazzetta dello Sport gli dedica la prima pagina e titola cubitale: «FARAONICO». El Shaarawy in quelle settimane gioca praticamente sempre nel ruolo che preferisce: alla fine Allegri accantona momentaneamente il 4-3-1-2 e lo schiera esterno sinistro d’attacco in un 4-3-3 oppure in un 4-2-3-1, come contro lo Zenit.

Con l’arrivo del 2013 El Shaarawy perde l’efficacia del girone d’andata. Certamente influisce il fatto che non sia più una sorpresa, che gli avversari sappiano come si muove e si predispongano in modo da contenerlo. Ma ci sono soprattutto due cose nuove che cambiano lo scenario.

La prima è che il Milan acquista Mario Balotelli dal Manchester City. Allegri non cambia schema e continua a schierare El Shaarawy nel suo ruolo preferito, esterno sinistro in attacco, con Balotelli al centro e Niang o Boateng a destra. Le cose però non girano come prima: Balotelli è una prima punta atipica, cerca poco la profondità, viene incontro ai centrocampisti che portano il pallone, parte da lontano e spesso si allarga a destra o a sinistra, attira le attenzioni dei compagni e il gioco della squadra. El Shaarawy trova qualche automatismo e qualche spazio in meno.

La seconda è che, dopo aver giocato praticamente ogni partita da settembre a gennaio, El Shaarawy ricomincia a sentire fastidio al ginocchio sinistro. Per qualche settimana il fastidio sembra cronico: quelle cose che si curano solo col riposo e che possono riemergere in qualsiasi momento. Lo stesso El Shaarawy spiega: «Ho questo problema al ginocchio da circa 2-3 anni e ci convivo. Sto cercando di trattare il problema con i fisioterapisti del Milan ma ogni tanto si ripresenta». In quei giorni Roberto La Florio, il suo primo agente, ribadisce che il Milan sapeva di questo fastidio al tendine e dice che la ricaduta si deve al fatto che «in questi sei mesi non si è fermato un attimo»: basterà farlo riposare un po’. Le cose però non ricominciano a girare nemmeno quando El Shaarawy ritorna.

Va detto che né El Shaarawy né il Milan attribuiscono al ginocchio o a Balotelli il calo delle prestazioni. Ad aprile Allegri dice che il problema esiste ma «non a livello fisico bensì più a livello mentale. Nel calcio a volte si perde la realtà, un ragazzo di vent’anni si è catapultato in un mondo nuovo». L’amministratore delegato Galliani, qualche mese dopo, dirà che il problema di El Shaarawy era mentale e non fisico. Lo stesso El Shaarawy dice che con Balotelli si trova benissimo. Comunque El Shaarawy finisce la stagione con 37 presenze e 16 gol in campionato, una presenza e un gol in Coppa Italia, 8 presenze e 2 gol in Champions League, che è più di quanto quasi tutti i calciatori ventenni al mondo possano dire di aver fatto. In estate va a giocare la Confederations Cup con l’Italia ma anche Prandelli lo utilizza poco, la stampa scrive che è arrivato spremuto mentalmente e fisicamente dalla faticosa stagione col Milan: gioca soltanto venti minuti nel girone contro il Brasile, in semifinale contro la Spagna non mette piede in campo. La finale per il terzo posto contro l’Uruguay invece la gioca tutta, tempi supplementari compresi, e alla fine segna pure il suo calcio di rigore.

Il gol contro lo Zenit. Sempre partendo da sinistra e accentrandosi.

Nell’estate del 2013 i problemi di El Shaarawy si incrociano con quelli del Milan, al centro di una specie di lenta smobilitazione nonché del periodo più incerto da quando il suo proprietario è Silvio Berlusconi. Si fanno avanti alcune squadre interessate a comprare El Shaarawy, la più decisa stando ai giornali sembra essere il Manchester City: Galliani dice di aver ricevuto un’offerta superiore ai 30 milioni. L’offerta viene rifiutata ed El Shaarawy rimane al Milan, ma solo dopo alcuni giorni di incertezza e dopo un colloquio del calciatore con la società. L’impressione è che El Shaarawy volesse restare a Milano e questo sia stato decisivo: fosse stato disponibile a un trasferimento, l’affare sarebbe stato possibile. La posizione di El Shaarawy nel Milan sembra uscirne indebolita. Inoltre Allegri ha deciso di cambiare modulo: vuole giocare con almeno un trequartista, forse addirittura due, e non più con i due esterni larghi in attacco. Il Milan prende quindi Saponara, Birsa e Kaká, opziona Honda per gennaio, vende Boateng e mette Niang ai margini della rosa. In attacco Allegri vuole affiancare a Balotelli un attaccante in grado di giocare meglio in profondità, e dato che Pazzini è infortunato il Milan prende Matri. Anche quando Allegri chiede a Balotelli di giocare come prima punta, Allegri più di una volta preferisce Robinho a El Shaarawy come suo compagno di reparto. Motivazione: «Robinho conosce questo sistema di gioco». El Shaarawy evidentemente non altrettanto, secondo lui.

El Shaarawy segna un gol importante contro il PSV negli spareggi per la Champions League ma poi si ferma, a dimostrazione che le cose non girano: si fa male, ma non al suo solito ginocchio. Prima al bicipite femorale della coscia destra, poi quando è pronto al rientro si rompe il metatarso del piede sinistro. Su Twitter scrive: «Non ci credo!!!!!!» Dovrebbe tornare a disposizione del suo allenatore entro la fine di novembre, inevitabilmente da comprimario: e non sarebbe uno scandalo, considerato che gioca nel Milan e ha ventuno anni, se non fosse per la fiammata di fine 2012 e quello che aveva lasciato immaginare. Senza contare che rientra nel Milan peggiore degli ultimi anni, con in più un allenatore perennemente sull’uscio e uno scontro epocale in corso nella proprietà.

Al momento c’è una fila di squadre che vorrebbero prendere El Shaarawy quantomeno in prestito, da qui alla fine della stagione: quella posizionata meglio è il Genoa, per ragioni di consuetudine sportiva e familiare. Peraltro l’allenatore del Genoa è di nuovo Gasperini, che lo ha fatto esordire in Serie A e può promettergli di farlo giocare nel suo ruolo preferito. È un argomento forte, nell’anno dei Mondiali. Si parla anche del Galatasaray di Roberto Mancini. Le squadre inglesi invece vorrebbero comprarlo e basta, i nomi che circolano sono sempre quelli: Arsenal, Manchester City, Manchester United, Tottenham.

In condizioni normali il Milan non avrebbe ragioni per privarsi di El Shaarawy: ha venduto spesso i suoi calciatori migliori ma lo ha fatto dopo averli sfruttati e spremuti molto, non per monetizzare appena possibile. Ma come si fa a sapere cosa vuole e cosa serve al Milan nel lungo periodo quando nessuno sa chi sarà tra un anno non solo il suo allenatore ma addirittura il suo amministratore delegato? Allo stesso modo, in condizioni normali El Shaarawy non avrebbe ragioni per lasciare il Milan, tantomeno in prestito: i grandi calciatori giocano nelle grandi squadre, non inseguono lo scenario più comodo, anche a vent’anni. Tra sei mesi però ci sono i Mondiali di calcio e di questo passo El Shaarawy rischia di restare a casa, di fatto Rossi lo ha già scavalcato. A questo quadro, che già così sarebbe abbastanza delicato, va aggiunto che rimangono sullo sfondo i due problemi storici di El Shaarawy: deve risolvere una volta per tutte la grana col ginocchio sinistro – se è vero che si tratta di un problema legato alla crescita si tratta solo di aspettare e dosare gli sforzi, evitando di trasformarsi nel frattempo in un culturista: ma alla fine della stagione potrà reggere i ritmi dei Mondiali? – e deve imparare a essere efficace anche giocando in ruoli diversi da quello che preferisce. Cosa lo aiuterebbe di più, su questi fronti? Restare al Milan, andare via in prestito o andare via e basta? Ed eventualmente dove? Adesso o dopo i Mondiali? L’eccezionalità del quadro ha a che fare un po’ col caso e un po’ con l’eccezionalità sua e di quello che aveva mostrato prima di questo 2013 deludente. Mettendo tutto insieme si capisce perché quella che El Shaarawy prenderà nelle prossime settimane sarà la decisione più importante della sua carriera. Fin qui.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura