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La Fiorentina verticale di Stefano Pioli
02 gen 2018
Il tecnico emiliano ci ha messo poco a trasferire un'identità forte alla propria squadra, ma questo ha comportato anche alcuni effetti negativi.
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In un clima da piena smobilitazione, già inaugurato in realtà nell’ultima parte della gestione Paulo Sousa e proseguito in estate con la decisione dei Della Valle di mettere in vendita la società e i giocatori di maggior talento (Bernardeschi, Kalinic, Borja Valero e Vecino), a Stefano Pioli è toccato l’arduo compito di dare credibilità al 2017/18 della Fiorentina, di levigarlo affinché assumesse le sembianze dell’inizio di un nuovo corso, allontanando quindi la prospettiva di una stagione interlocutoria. Un pericolo concreto, se si considera l’indebolimento oggettivo della rosa e il rafforzamento delle formazioni di prima fascia. D’altro canto, senza l’assillo di doversi qualificare per forza ad una competizione europea, Stefano Pioli può lavorare con un certo margine di tranquillità.

In più di una circostanza Pioli ha insistito sulla volontà in questo campionato di «gettare le basi» per una Fiorentina più competitiva nel prossimo futuro, auspicando durante la conferenza stampa di presentazione di «poter rimanere a lungo in questa società». Da buon allenatore identitario – con un’idea di calcio molto precisa, almeno quanto quella del suo predecessore – ha sfruttato questi mesi per prendere conoscenza di un roster allestito in gran parte negli ultimi giorni del mercato (del gruppo degli attuali titolari, 6 sono arrivati nella seconda metà di agosto) e plasmare la viola sui rigidi principi di gioco che aveva caratterizzato le sue ultime esperienze alla Lazio e all’Inter. Pioli ha scelto un undici tipo in tempi brevi e l’ha portato a giocare il suo calcio intenso e frenetico, scandito da una ricerca esasperata della verticalizzazione e una fase difensiva aggressiva.

Pioli, uomo verticale

Nelle prime partite dell’anno l’allenatore emiliano aveva provato a dare continuità al 4-2-3-1 delle amichevoli estive, proponendo un sistema nella realtà dei fatti molto più fluido, visto che Benassi poteva essere catalogato come esterno destro solo nominalmente. L’ex capitano del Torino in pratica si comportava da mezzala, accentrandosi in fase di possesso per aprire il campo alle discese del terzino destro Bruno Gaspar, ma in questo modo la squadra era costretta a delle scalate macchinose nelle transizioni difensive: se il laterale portoghese non riusciva a rientrare in posizione, a volte era Veretout che da mediano di destra scendeva in difesa, altre indietreggiava Benassi, ma in questi casi spesso si creava un buco nella zona centrale. Stesso discorso in fase offensiva, dove Benassi non lavorava in connessione con Gaspar e la fascia poteva rimanere scoperta, oppure il terzino riceveva palla in situazioni di inferiorità numerica.

La copertura non omogenea degli spazi in fase offensiva: con Chiesa in possesso, Thereau e Simeone eseguono lo stesso movimento, Benassi si è accentrato, Gaspar non fa in tempo ad alzarsi e nessuno attacca il lato debole.

Dalla partita con l’Udinese dell’8a giornata, Pioli ha deciso di virare sul 4-3-3, istituzionalizzando la posizione di Benassi, interno a tutti gli effetti, e allargando di qualche metro quella di un attaccante. Ma a prescindere da questa modifica, non sono variati i temi sviluppati dalla Fiorentina nelle due fasi.

Al centro del gioco della Fiorentina c’è la volontà di arrivare il prima possibile alla porta avversaria, con un’azione rapida costruita da dietro o anche frutto di un recupero palla negli ultimi due terzi di campo. Una perenne tensione verticale, che fa della squadra di Pioli un arco costantemente teso: l’arciere non può scegliere il momento in cui scoccare la freccia né tanto meno la velocità, ma soltanto in che direzione mandarla. Parliamo infatti della terza formazione col rapporto più basso tra passaggi e tiri ogni 90 minuti: 29.27 (quindi un tiro ogni trenta passaggi, più o meno), dietro solo alla Roma, seguita dal Sassuolo. Questo dato ci aiuta a capire il taglio diretto che Pioli ha voluto dare a questa squadra.

Non c’è interesse a consolidare l’azione, men che meno a mettere in sicurezza la costruzione bassa - anche perché tolto Astori, nessuno degli altri difensori, Sportiello su tutti, ha particolari proprietà di palleggio o visione di gioco. L’uscita del pallone è affidata prevalentemente ai difensori centrali, il cui obiettivo è quello di recapitare la sfera al centrale di centrocampo, Badelj (che non si abbassa a fare la classica salida lavolpiana) o alla mezzala, Veretout, i giocatori più geometrici e caparbi nella distribuzione a disposizione di Pioli.

Si tratta di un inizio azione pressoché standardizzato, che quasi prescinde dal contesto e che trova riscontro anche nei numeri: i primi 4 giocatori per passaggi tentati nella rosa toscana sono in effetti quelli che compongono il quadrilatero da cui origina il gioco: Badelj (67.9 passaggi effettuati ogni 90’), Pezzella (60.6), Astori (59.8) e Veretout (57.1); mentre il quinto, Laurini, risulta decisamente staccato, a quota 39.8 passaggi p90’.

Tanto per fare un raffronto circa il differente controllo della palla rispetto alla scorsa stagione, con Paulo Sousa erano ben 9 i giocatori che effettuavano almeno 50 passaggi per 90 minuti: la Fiorentina di Pioli è una squadra molto più diretta, la chiave per tentare di disorganizzare le linee avversarie non è il possesso, ma la velocità di trasmissione e l’entropia offensiva.

Una volta che uno dei due centrocampisti entra in possesso del pallone, l’opzione primaria è il lancio in profondità per uno dei 3 attaccanti, solitamente Simeone o Chiesa, o in alternativa si appoggia al terzino più vicino, il quale nel frattempo è salito all’altezza della linea mediana. Gli esterni bassi, a loro volta, cercano subito gli attaccanti, con un lancio alle spalle della difesa o un appoggio corto, ma se la linea di passaggio verticale viene chiusa, tornano al centro, e da lì si riparte per innescare il terzino sul lato debole.

La struttura posizionale offensiva della Fiorentina: il quadrilatero di costruzione Astori-Pezzella-Badelj-Veretout, due laterali aperti a dare ampiezza (Laurini e Thereau) e 3 giocatori nell’ultimo terzo di campo, Chiesa, Benassi e Simeone. Anche lo sviluppo dell’azione è peculiare: Pezzella si appoggia a Badelj, che lancia di prima in profondità sulla corsa di Simeone e Benassi (i quali attaccano lo stesso spazio), ignorando Chiesa che si era proposto sul corto.

Contestualmente alla salita dei laterali bassi (Biraghi e Laurini, quest’ultimo sembra ormai preferito a Mario Gaspar), gli attaccanti esterni (Chiesa e Thereau) o in alternativa un’ala e una mezzala, principalmente Benassi, si avvicinano al centravanti (Simeone) con lo scopo di liberare le fasce agli stessi terzini, che non appena ricevono con un po’ di spazio vanno al cross, indipendentemente dalla posizione e dalla situazione, per provare a loro volta a sfruttare la densità di maglie viola che si forma a centro area. Per questo i toscani sono terzi in Serie A per numero di cross ogni 90 minuti (23) e Biraghi è il quinto in campionato per cross complessivi e il giocatore della Fiorentina ad aver completato il maggior numero di passaggi chiave per 90 minuti (2.1).

Una strategia di stampo quantitativo, non certo qualitativo: i gigliati occupano la 13a posizione in campionato nella graduatoria dei cross utili (100) e la 5a in quella dei traversoni sbagliati (sempre 100). La Viola è quarta per media tiri ogni 90’ (17.2) ma la prima per numero di tiri fuori (7.9). Pioli, un po’ come accadeva nell’Inter della scorsa stagione, non ambisce a una forma di efficienza che passa dalla qualità, ma punta a sgrezzare la quantità.

Nessuno dei tre attaccanti si inserisce nell’half space tra Felipe e Mattiello per offrire una linea di passaggio a Gaspar, aspettano tutti il cross del portoghese.

Il concetto di squadra monodimensionale, capace di interpretare un unico spartito quando attacca, è acuito da un atteggiamento che non è cambiato anche contro squadre reattive, come Crotone e Spal, le quali hanno lasciato la palla alla viola preferendo una difesa passiva. Anche in questo caso la Fiorentina, pur sforzandosi di creare i presupposti per una manovra più paziente, ha finito per arrendersi alla propria natura e giocare negli ultimi 40 metri il suo consueto calcio con l’obiettivo di andare in profondità nel minor tempo possibile, ma senza curarsi di disorganizzare prima la fase difensiva avversaria.

Tempesta offensiva

Oltre che al sinistro di Biraghi, l’ex tecnico nerazzurro sta delegando ampie libertà di movimento ai suoi giocatori offensivi, i quali possono svariare in tutte zone del campo allo scopo di attirare gli avversari fuori posizione e aprire gli spazi all’inserimento di una mezzala o, ancora meglio, alle sgroppate di Federico Chiesa. L’ala dell’Under 21 possiede uno strappo e una progressione palla al piede capace di dilatare le linee avversarie, oltre ad un tiro temibile anche dalla lunga distanza. Ma il suo è uno stile istintivo, frenetico, quasi selvaggio, che lo porta spesso a preferire la soluzione individuale all’assistenza per il compagno.

Pioli sta cucendo su Chiesa, il giocatore di maggior prospettiva della rosa, un contesto intenso e liquido, che gli permetta di agire in condizioni a lui favorevoli ed esprimere così tutto se stesso. Più che metterlo a proprio agio, però, questo caos sembra accentuarne allo stesso tempo pregi e soprattutto difetti, e non è detto che sia un bene per un attaccante ancora acerbo a livello decisionale. Chiesa ha segnato sì 4 reti e sta andando alla conclusione con buona continuità (3.58 tiri ogni 90 minuti), ma con una precisione rivedibile (solo il 47% delle conclusioni centra la porta); in più completa appena il 1.52 dribbling p90’, il 51,1% sul totale. Un dato modesto per un elemento che vive la partita come un susseguirsi di duelli individuali con il suo marcatore, viziato oltretutto da un’inclinazione a ricevere palla da fermo piuttosto che sulla corsa (in contraddizione con il suo stesso dinamismo straripante).

In questo sistema in cui l’ala classe ’97 fagocita la maggior parte dei possessi, viene penalizzato un finalizzatore puro come Simeone, relegato ad un lavoro da esca-raccordo non propriamente nelle sue corde, che talvolta lo spinge lontano dalla porta (specialmente quando all’argentino viene affiancato nei finali di gara Babacar). Inoltre questo tourbillon di interscambi non conferisce alla squadra degli scaglionamenti offensivi omogenei, con diversi giocatori che vanno a sovraccaricare il lato forte (anche a costo di pestarsi i piedi) e sguarnire il lato debole.

Qui ad esempio Benassi e Gil Dias si trovano a pochi metri e di fatto suggeriscono a Badelj lo stesso passaggio.

In una manovra dall’evoluzione vorticosa, diventa prioritario sbilanciare l’avversario più attraverso il dribbling che non associandosi con i compagni. Anche per questo Pioli, specialmente nella prima parte della stagione, ha dato spazio sulla fascia destra a Gil Dias: l’ala portoghese ama ricevere sulla figura per isolarsi con il marcatore e provare a superarlo, possibilmente entrando dentro al campo con il suo piede forte, il sinistro. Dias completa sì 2.6 dribbling su 4 tentati, ma una volta uscito dalla prima giocata fatica a chiudere la seconda a causa di una tecnica di calcio approssimativa (che si traduce anche in un numero consistente di palloni persi, 4.1).

Motivo per cui ha rivestito subito una certa centralità in questa fase offensiva Cyril Thereau, l’unico elemento nell’ultimo terzo di campo deputato a restituire una parvenza di ordine, a mantenere la calma nella tempesta. Il francese, che negli anni precedenti si è sempre spartito l’area con un’altra punta, a Firenze sta giocando più indietro, agendo come una sorta di enganche, che grazie alle sue conduzioni e alla capacità di proteggere palla dovrebbe aiutare la squadra a risalire il campo.

La sua corsa sembra quasi descrivere la traiettoria di un moto circolare: partendo dal centro sinistra si abbassa in zona centrale per fornire una linea di passaggio sicura ai centrocampisti e, nel caso venga ignorato, prosegue la corsa verso l’altra fascia fino a tornare in area nel punto di partenza. Parliamo però di un giocatore elementare nella lettura del gioco, dal passo blando, poco incline al dribbling e che quando viene servito spesso si limita a indirizzare la sfera verso il compagno più vicino. A Thereau va però riconosciuta l’umilità nel provare a riciclarsi in un ruolo non suo a 34 anni, una crescita nel corso della stagione a livello atletico e un’ammirevole generosità nel lavorare in funzione dei compagni, più che per la ricerca del gol (su azione ha segnato solo una doppietta all’Udinese, la sua ex squadra).

L’asimmetria delle due mezzali, che sull’uscita del pallone vanno a formare un 4-2-3-1.

Quando la squadra vuole far uscire la palla dalla difesa, si può notare il movimento asimmetrico degli interni di centrocampo, che trasforma il 4-3-3 in un 4-2-3-1. Veretout, il più interessante tra gli acquisti estivi, tendenzialmente si affianca a Badelj per aiutare il croato nell’impostazione dell’azione, Benassi invece si alza alle spalle del centrocampo avversario e in pratica ricalca i movimenti delle prime partite dell’anno, adesso però in maniera più funzionale rispetto allo sviluppo del gioco.

Se il centrocampista francese si sta facendo apprezzare per la sua abilità nel miscelare quantità e qualità, oltre che per la personalità con cui sa stare in campo, l’ex Torino dal canto suo in maglia viola ha incrementato i propri numeri offensivi, passando dagli 1.6 tiri e 1.1 passaggi chiave dell’ultimo anno agli attuali 2.1 tiri e 1.7 passaggi chiave. Un profilo, quello di Benassi, che incarna nel bene e nel male l’idea di calcio del suo allenatore: sa buttarsi negli spazi, muove palla rapidamente e vede la porta, ma il suo stile verticale lo porta a ricercare con troppa fretta la giocata risolutiva, enfatizzando il trend collettivo.

Difesa aggressiva

La fase offensiva si lega a doppia mandata a quella difensiva. La propensione a verticalizzare le giocate è finalizzata, oltre che alla ricerca immediata della porta, alla possibilità di andare eventualmente a contendere la seconda palla o cercare un recupero alto della stessa. Quando gioca in avanti, la Fiorentina sale e mantiene la squadra corta: in spazi stretti è più semplice fare densità sulla zona palla e tentare una riaggressione immediata, o comunque costringere l’avversario alla giocata lunga; ma anche su fasi statiche (come un rinvio del portiere avversario o un fallo laterale) la Fiorentina forza le transizioni difensive, orientadosi con la prima linea di pressione sull’uomo.

Solitamente è uno degli interni di centrocampo a chiamare la pressione: su palla coperta uno tra Benassi e Veretout esce sul proprio omologo, a cui non resta che il passaggio all’indietro o laterale. Sullo scarico il centrocampista viola prosegue la corsa e va ad attaccare il destinatario del passaggio, innescando la pressione collettiva. Se lo scarico è diretto a un difensore centrale, Simeone prende quello non in possesso, le ali si orientano sui terzini avversari, un altro centrocampista si alza per marcare l’opzione di passaggio più vicina e la difesa accorcia per compattare i reparti e mettere in fuorigioco gli attaccanti.

In alternativa è Simeone a chiamare la pressione corale, schermando la giocata in verticale del centrale difensivo e indirizzando l’azione avversaria sulle fasce, in modo da facilitare il recupero palla dei compagni usciti in pressing con uno spazio più stretto da coprire.

Qui ad esempio escono Benassi e Badelj, con il resto della squadra che accorcia in avanti. Fazio è costretto al lancio lungo.

Proprio il trio di centrocampo spicca nel dato sui palloni recuperati, complessivamente 142, che vede tutti e tre i giocatori nella top 30 del ruolo. Tra l’altro con numeri simili: Badelj 56, Benassi 43, Veretout 42. Rimanendo sul piano statistico, l’atteggiamento aggressivo della Fiorentina in fase difensiva emerge anche dalle classifiche dei falli (14.7) e dei tackle (18.2) a partita, in cui occupa in entrambe il terzo posto.

In questo gioco così intenso, si stanno segnalando i due difensori centrali Astori e Pezzella, che hanno trovato fin da subito un buon sincronismo. Sia l’argentino sia l’ex difensore della Roma sono a proprio agio nel difendere anche lontani dalla propria posizione, e in più sono bravi a darsi copertura reciprocamente quando il compagno rompe la linea per seguire l’attaccante.

Quando gli uomini di Pioli non sono in grado di andare a prendere l’avversario in zone alte di campo, si difendono in posizione (nelle ultime settimane il tecnico emiliano è passato dal 451 in fase difensiva al 442, con Thereau e Simeone in attacco, Veretout e Chiesa sugli esterni). Ma trattandosi di una formazione che in fase offensiva si muove in maniera caotica e alza molti uomini, non sempre riesce a tornare in posizione. In particolare, la squadra di Pioli sta avendo problemi nella copertura dell’ampiezza, sia per limiti a livello di tattica individuale dei terzini, sia perché gli esterni alti hanno difficoltà a rientrare sotto la linea della palla. E, pur concedendo solo 10.6 tiri a gara (4° miglior score in A, dietro a Napoli, Juve, Milan, ma davanti a Roma, Inter e Lazio), i toscani scendono al settimo posto nella classifica degli xG concessi, 21.09, in linea con il numero di gol subiti, 20.

L’efficienza della fase difensiva però è innegabilmente cresciuta nelle ultime settimane (la viola è reduce da 4 clean sheet consecutivi), in cui la squadra ha saputo interpretare anche delle gare più passive, giocate con sistemi differenti. Come a Napoli, in cui si è schierata con un 4-4-2 votato alla difesa posizionale, o ancora con Genoa o Cagliari (contro il grifone col 4-3-3, in Sardegna col 3-5-2), contro cui ha mantenuto sì il baricentro medio-alto, ma ha rinunciato alla pressione sui difensori per orientarsi in funzione del centrocampo avversario.

L’importanza dell’identità

Stefano Pioli ha avuto il merito in questi primi mesi di aver indicato alla Fiorentina la via da percorrere e di averle conferito un’identità riconoscibile, ricreando attorno alla squadra entusiasmo e fiducia dopo i pareggi esterni contro Lazio e Napoli, che hanno dimostrato che la viola può imporre il proprio contesto e fare risultato anche contro le prime della classe. In campionato i toscani oltretutto sono in striscia utile da 7 partite e si trovano a soli 3 punti dal sesto posto che vale la qualificazione all’Europa League.

Rimangono tuttavia delle perplessità circa l’opportunità di un gioco improntato sull’intensità e sulla verticalità, in una rosa in cui alcuni giocatori sono più propensi al controllo della palla, tipo Badelj, e altri elementi associativi come Saponara o Eysseric finisono ai margini del progetto (Eysseric è rimasto in panchina in 5 delle ultime 7 sfide di campionato, Saponara, penalizzato da una condizione deficitaria, da quando è rientrato dall’infortunio al piede ha messo assieme 45 minuti in 8 giornate).

Sarebbe importante per la viola riuscire ad inserire almeno uno di questi due trequartisti per implementare la creatività, il gioco centrale nell’ultimo terzo di campo e al tempo stesso rendere la manovra più lineare.

La Fiorentina al momento non è sicura di che ambizioni avere e Pioli non sembra avere fretta di scoprirlo.

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