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La rielezione silenziosa
09 mar 2017
Carlo Tavecchio è stato rieletto alla presidenza della FIGC, impensabile solo 30 mesi fa. Cosa è successo nel frattempo? Cosa aspettarci nel futuro?
(articolo)
17 min
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Era due anni e mezzo fa, non una vita. Nervi a fior di pelle, urla, l'idea di una rissa incombente e Carlo Tavecchio eletto presidente della Figc a dispetto di Opti Pobà, le banane, le donne handicappate, i discutibili appoggi e un'idea di calcio e di rappresentazione delle istituzioni che non corrispondeva alla richiesta di cambiamento che arriva dal basso.

Si pensava: comunque una spinta verso il nuovo c'è, si sta creando un movimento, il calcio ha capito e alla fine del mandato del democristiano di lungo corso appena eletto qualcosa accadrà. Erano giorni di forte polemica, ma drammaticamente vivi: c'era tensione e un confronto su due modi ideali di intendere il calcio. Non era fortissimo il candidato schierato contro Tavecchio (Albertini) infatti l'elezione fu senza sorprese. Ma sarebbe stata una questione di tempo, si pensava. Si trattava di aspettare trenta mesi, sei dei quali peraltro il presidente della Federcalcio li aveva vissuti senza poter mettere piede nelle stanze del pallone europeo e mondiale perché squalificato per le frasi razziste.

Alla fine di questi trenta mesi però Tavecchio è stato rieletto e mancava poco che non ce ne accorgessimo. Paradossalmente è stato rieletto battendo Abodi (54,03 per cento contro 45,97) anche con più fatica dell'agosto 2014, ma non c'è mai stata la percezione della battaglia. Perché non c'è stato uno scontro sugli ideali: la contrapposizione è stata blanda e Tavecchio se l'è giocata benissimo. È un politico navigato, ha anestetizzato il dibattito, spento nel tempo le urla delle componenti di opposizione più pesanti dal punto di vista elettorale utilizzando il suo potere. Nel frattempo ha anche imparato a star attento, a non usare parole di troppo, a non esporsi: ha reso tutto un gioco di palazzo, tenendo così fuori le opinioni esterne, quelle di chi il cambiamento lo reclama, non lo vede e abbandona sfiduciato la nave. Chi spera in un calcio più credibile dell'attuale campionato di serie A, in progetti più rivolti al futuro e in investimenti reali per far crescere il pallone, fermo almeno a due anni e mezzo fa, quando suonava l'allarme e Tavecchio veniva eletto nonostante tutto.

Ma come siamo arrivati a una rielezione che solo trenta mesi ci sembrava implausibile?

Lotito a fari spenti

Uno dei più grandi argomenti a disposizione degli oppositori è stata, sin dalla sua prima elezione, l'eccessiva influenza di Claudio Lotito. Il grande tessitore della prima elezione di Tavecchio non è stato in realtà fermo nemmeno stavolta: ad esempio ha discusso a lungo con Mauro Baldissoni, direttore generale della Roma, una delle poche grosse società rimaste contrarie alla presidenza uscente della Federcalcio, mettendo sul tavolo una frase delle sue: «È un suicidio andare contro. Perché a voi Tavecchio vi ha pure aiutato».

Lotito sembrava scomparso ma ha continuato ad avere il suo ufficio in via Allegri. Ufficialmente è l'ufficio di Beretta, in quanto presidente di Lega, e sempre secondo la versione ufficiale Lotito lo occupa lui perché Beretta non ci va mai. Al di là di ogni giro di parole, però, lui è lì, anche se non se ne parla più. È sparito dai radar, non più con la giacca della Nazionale come a Bari, non più esondante, ma composto. Quando poi, proprio a ridosso delle elezioni, qualcuno ha ricordato a Tavecchio il peso di Lotito e l'ufficio in Figc, lui ha liquidato tutto con una scrollata di spalle, dicendo che a breve al quinto piano del palazzo della Federcalcio ci saranno solo l'ufficio suo e quello di Michele Uva, direttore generale.

La tela per Agnelli

Tenere buono Lotito è senz'altro stato utile per convincere Andrea Agnelli, uno dei nemici più feroci della scorsa elezione. Agnelli aveva parlato di Tavecchio come di «una sconfitta per tanti». Aveva provato a rompere il fronte legato all'advisor Infront, a mettersi a capo di una cordata che partiva dai punti in comune con la Roma, sembrava uno dei soldi blocchi di partenza di agosto 2014: da lì, in qualche modo, sarebbe partito il cambiamento che Tavecchio appena arrivato in Figc non poteva rappresentare. Fino allo scorso ottobre.

Quando all'assemblea dei soci della Juve ha espresso la sua inattesa preferenza: «Dopo due anni e mezzo Tavecchio e il direttore generale Uva hanno una conoscenza della macchina molto superiore, adesso puoi permetterti di gestire con un respiro più lungo. In assenza di alternative questo ticket può dare le migliori garanzie per fare le riforme. Tavecchio peraltro ha espresso con atti e prese di posizione la volontà di smarcarsi da tutor invasivi in precedenza».

Smarcarsi di tutor invasivi, ovvero di Lotito, può bastare a convincere Agnelli? Ovviamente no. C'è un lungo lavoro di Tavecchio con il presidente juventino che porta alla tregua: c'è la Nazionale che torna allo Stadium e forse anche un occhio chiuso su quei due scudetti in più che la Juve sbandiera e la Figc non riconosce. Non solo: c'è l'elezione di Evelina Christillin, juventinissima e parecchio legata alla famiglia Agnelli, nel consiglio della Fifa (l'ultimo italiano era stato Antonio Matarrese, nel 2002) voluta fortemente da Tavecchio. C'è, anche, l'impegno di Tavecchio a introdurre le seconde squadre, tema caro alla Juventus.

In questo il cambio di marcia del presidente federale è visibile sovrapponendo il programma dell'elezione del 2014 e quello attuale. Nel primo diceva che «se le seconde squadre sono un concetto che deve essere ancora verificato e approfondito anche in una prospettiva di comparazione con altre realtà europee, le “seconde proprietà” possono offrire nuove risorse in termini di formazione dei giovani e spesso possono salvaguardare anche importanti realtà calcistiche territoriali altrimenti destinate a scomparire». Un programma che, insomma, favoriva le seconde proprietà care a Lotito, proprietario anche della Salernitana.

Ora, invece, scrive che «oltre alle seconde proprietà e in una prospettiva di riforma complessiva e di risanamento e contenimento numerico dell'intero settore professionistico, occorre definire le modalità di funzionamento delle “seconde squadre”. Dalla recente stretta collaborazione con la Federazione tedesca ho tratto spunti interessanti per la fattibilità del progetto». L’idea di Tavecchio è di mettere le seconde squadre nella terza serie (la LegaPro), come fa la Federcalcio tedesca.

In ultimo, ma solo per avere il rullo di tamburi a sigillare un accordo difficile ma forse fondamentale per la rielezione, c'è la possibilità di trovare un compromesso sulla causa per Calciopoli. La Juve non sembra averci rinunciato, Tavecchio finge che a occuparsene debba essere il Consiglio Federale, ma la svolta di Agnelli è troppo forte per non avere questo grande fine.

C'erano una volta le catene di Uliveri

L'Assoallenatori ha votato per Tavecchio. L'Assoallenatori, nel sistema elettorale della Figc, che prevede il voto ponderato, ha 26 delegati che valgono il 10 per cento. Ora immaginate se l'Assoallenatori avesse votato per Abodi: avremmo un nuovo presidente federale, il regno di Tavecchio sarebbe caduto. Ma c'è un motivo per cui lo sforzo d'immaginazione nel vedere gli allenatori contro Tavecchio non viene difficile.

Renzo Ulivieri, confermato di recente alla presidenza dei tecnici italiani per il quarto mandato consecutivo, è stato sempre un feroce oppositore del presidente della Figc. Ha votato per Albertini nelle scorse elezioni, è quello che quando Tavecchio ha detto frasi sgradevoli contro ebrei e gay ha replicato con veemenza: «Il presidente di una federazione non dovrebbe usare un simile linguaggio. Certe frasi non dovrebbero mai essere pronunciate da nessuno, figuriamoci se a farlo è il presidente della Figc» e prima ancora, in campagna elettorale, era stato durissimo: «La frase sulle banane di Tavecchio rientra nella sua quotidianità, il linguaggio è quello. Tavecchio secondo noi è inadeguato a ricoprire quel ruolo. Ha un occhio solo, quello imprenditoriale. Il calcio femminile nelle sue mani sta morendo. Se dovessi dargli un consiglio mi rivolgerei come ha fatto sua moglie: “Ma chi te lo ha fatto fare?”. Ognuno deve essere consapevole dei propri limiti e della propria inadeguatezza».

Ma cosa ha spinto Ulivieri a passare dall'essere l'uomo che nel 2011 si incatenò davanti alla Figc per protesta contro una decisione presa dalla Lnd presieduta da Tavecchio a diventare decisivo per l'elezione in Figc della stessa persona che contestava platealmente? A leggere le sue dichiarazioni sembra di vedere Jake in The Blues Brothers, quando inventa scuse incredibili di fronte all'ex fidanzata: «Non ti ho tradito. Dico sul serio. Ero rimasto senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tight. C'era il funerale di mia madre. Era crollata la casa. C'è stato un... terremoto. Una tremenda inondazione. Le cavallette».

Occorre seguire tutto con lo stesso spirito con cui si guarda il film, perché il percorso per spiegare il cambio di casacca è tortuoso: «Siccome la contesa è fra due concorrenti che sono espressioni delle leghe e non delle componenti tecniche noi dovevamo fare una valutazione che nasceva da un rapporto che noi intanto avevamo avuto con la Lega dilettanti». Una rottura che si allarga perché Allenatori e Calciatori hanno sempre votato insieme. E invece stavolta per Abodi c'era solo l'Assocalciatori, che si è sentita tradita.

Ulivieri ha proseguito: «So bene che la nostra associazione è spesso andata di pari passo, nelle decisioni principali, con l'Associazione calciatori. Ma non c'è una condizione particolare per cui dobbiamo andare sempre per la stessa strada. Mi spiego: se per esempio Tommasi o Nicchi si fossero candidati alla presidenza federale, li avremmo sostenuti essendo candidature tecniche. Ma essendo quelle di Tavecchio e Abodi candidature che provengono dalle leghe, allora riteniamo di agire con autonomia».

A un certo punto sono finite nel calderone anche le origini di estrema destra di Abodi, per Ulivieri un modo di difendersi dall'accusa di essere l'uomo che ha il busto di Lenin in casa e poi vota per un vecchio democristiano.

La verità però può fare a meno delle capriole: Ulivieri ha scelto di votare Tavecchio per due questioni, la creazione dei centri federali territoriali e un piano pluriennale che assegni ad ogni squadra di calcio un tecnico dotato di patentino. In pratica, quasi 1.500 allenatori impiegati in più rispetto a prima. È una spiegazione molto più semplice, senza cavallette.

Anche gli arbitri cambiano giacchetta

Gli arbitri contano il due per cento nell'elezione del presidente della Figc. Poco e, per prassi, spesso non prendono posizione per il desiderio di rimanere indipendenti. Prassi interrotta proprio ad agosto 2014, per votare contro Tavecchio. Cosa che è costata anche una contrapposizione frontale, quando Lotito ha chiesto l'introduzione del sorteggio integrale e il presidente della Federcalcio si è schierato al suo fianco. Nicchi sapeva che l'attacco di febbraio 2015 alla classe arbitrale era una rivalsa per il voto ad Albertini. E difendeva la posizione: «Volevamo dare un segnale. I nostri timori, espressi alla vigilia delle elezioni, si stanno rivelando esatti. La Figc si occupasse dei soldi tolti agli arbitri se davvero Tavecchio vuole difenderci... La questione è seria: c’è il rischio di non finire la stagione. Capisce cosa vuol dire? Quando non avremo più soldi in cassa, l’Aia non manderà gli arbitri sui campi di calcio».

Ma questa volta quel due per cento di voti è andato a Tavecchio, che due anni e mezzo fa era un avversario. È stata la condanna per Abodi. Non perché sarebbe bastato il due per cento per cambiare l'esito, ma perché sarebbe stato un incoraggiamento a votare diversamente per i sostenitori timidi di Tavecchio. Lo ha detto il candidato sconfitto: «Quel due per cento per me era sacro e rimane sacro. Nei numeri si vede che quel dato almeno psicologicamente ha inciso».

Altro cambio di voto in corsa, altre motivazioni. Stavolta chiare: Tavecchio ha lasciato inalterati i soldi per la classe arbitrale e ha anche trovato uno sponsor per l'Aia. Ha pagato moneta, ha visto cammello.

È stata, pare, la trattativa più lunga. Risolta solo la notte prima grazie all'intervento di Cosimo Sibilia, altro tessitore che potrebbe diventare il vicario di Tavecchio. È stato lui, a mezzanotte, a telefonare al presidente federale dicendo: «Gli arbitri stanno con noi. È fatta». Così nasce un nuovo personaggio con cui forse dobbiamo imparare a fare i conti.

Cosimo Sibilia, l'uomo in più

Cosimo Sibilia è un senatore di Forza Italia e ha un cognome noto nel mondo del calcio: suo padre, Antonio, è stato il presidente che ha portato l'Avellino in serie A. Ora è a capo della Lega Nazionale Dilettanti, eletto all'unanimità dopo aver compiuto l'impresa di farsi sostenere tanto dal presidente del Coni Giovanni Malagò, quanto da Carlo Tavecchio stesso, che aveva interesse a che la Lnd rimanesse in mani amiche. Perché i dilettanti pesano per il 34 per cento nell'elezione del capo della Figc. Per intenderci basterebbe un accordo tra loro e i calciatori (che rappresentano il 20 per cento) per garantire un'elezione. In teoria bastano anche Lnd e LegaPro (insieme fanno 51 per cento). Da lì, dal resto, è partito Tavecchio. E per questo il presidente federale non cessa di controllare questo gigantesco bacino di voti.

Tavecchio, del resto, gestisce in qualche modo i soldi della Lega Dilettanti. È tutt'ora presidente del cda di Lnd Servizi, che è la cassaforte della Lega, quella a cui la Figc presieduta sempre da Tavecchio gira i 10 milioni di fondi della Legge Melandri.

Tavecchio li dà a Tavecchio, mentre qualche metro più in là c'è Tavecchio che è anche presidente di Lnd Immobiliare, l'immobiliare della Lega. Un intreccio di potere e soldi, una pace siglata tra il presidente del Coni e quello della Figc dopo lo scontro di agosto 2014. Nel frattempo Sibilia coltiva ambizioni, e siccome prima o poi bisognerà candidare un nome nuovo, se conserva queste abilità nel portare gente dalla sua e continua a governare i “grandi elettori” dilettanti, stiamo parlando del successore di Tavecchio, quando questa era tramonterà.

La riforma dei campionati in versione elettorale

Tavecchio resterà in carica fino al 2020. Si trova alla guida di una Figc divisa quasi in due: ha bisogno di tenere tutto insieme fino alla fine del mandato, deve essere molto politico. Lo è stato andando a prendere uomini dall'opposizione delle scorse elezioni per garantirsi la conferma nello scranno più alto del pallone, sta già facendo capire di avere intenzione di farlo per l'intero quadriennio olimpico. Ne è prova la bozza di riforma dei campionati che ha inserito nel suo programma.

Occorrerebbe partire da una riflessione sull'attuale campionato di serie A: da febbraio, ma forse anche prima, non è rimasto molto per cui combattere. E non c'entra la forza della Juve e la sua corsa verso lo s

Scudetto, ma la formula a venti squadre con solo tre retrocessioni. Di fatto si sa da tempo chi andrà in serie B a fine stagione perché c'è uno squilibrio evidente.

Bisognerebbe ridurre le squadre (e ridistribuire i diritti tv, ma quello è un altro discorso) ma Tavecchio ha avuto l'appoggio delle società di serie A e non ha nessuna intenzione di toccarle: nel suo programma dice che «nel rispetto della volontà più volte espressa dalla maggioranza delle sue società e anche dalle componenti tecniche, non sembra attualmente percorribile la riduzione del numero di squadre. Occorre lavorare su una Serie A a 20 squadre, almeno sino alla stagione 2020/21». Ovvero fino alla scadenza del suo mandato.

Ma non c’è solo la conferma delle venti squadre, ma anche la riduzione del numero di retrocessioni a due (un altro posto potrebbe essere giocato in uno spareggio tra una squadra di serie A e una di B). Quindi, un campionato potenzialmente ancora meno interessante, con sole due squadre destinate a scendere di categoria.

Perderebbe squadre la serie B (che ha appoggiato Abodi) passando da ventiquattro a venti, mentre il vero taglio (per arrivare da 102 squadre professionistiche a 80) sarà per la Lega Pro, che può sembrare un caso ma è la Lega guidata da uno dei suoi più grandi oppositori, Gabriele Gravina, che scalzando il gruppo di riferimento di Macalli ha rischiato di spostare l’asse di questa elezione. Si passerebbe dalle attuali 60 partecipanti a «ridurre le squadre in 3/4 stagioni a 40 (2 gironi da 20) tramite blocco dei ripescaggi per i primi due anni e/o un meccanismo che preveda l’aumento del numero di retrocessioni per il terzo anno o minor numero di promozioni dalla Serie D».

Non si scontenta nessuno (con la serie A ci ha provato, ma poi ha ceduto perché si votava), tranne l'opposizione.

Da "inadeguato" a uomo delle riforme

La massiccia dose di anestetico entrata nel dibattito ha permesso anche a Tavecchio di passare da essere definito «inadeguato» a passare per l’uomo delle riforme. Ne ha fatte davvero? Alcune le ha iniziate, altre le ha promesse in questo secondo mandato, altre, come quella dei campionati, sarebbe meglio non le facesse.

Tavecchio ha preso alla lettera l’invocazione arrivata un po’ da ogni parte del modello tedesco. E lo ha adattato all’italiana. Così probabilmente, a leggere il programma, accadrà per le seconde squadre. Così, soprattutto, sta accadendo su quello che è il motivo di vanto sbandierato da Tavecchio: i centri federali previsti dal progetto sono duecento. I numeri sono destinati, per forza di cose, a crescere: per ora però sono venti e funzionano, secondo il piano, un giorno a settimana (il lunedì) per due ore e mezza.

Ne ha parlato Repubblica nei giorni scorsi, evidenziando come non sia previsto ancora nemmeno lo scouting sul territorio, per allargare il movimento a chi non ne fa già parte, mentre in Germania il motto è «se un talento nasce tra le montagne, i nostri scout lo scopriranno», che sintetizza il monitoraggio di 600mila bambini all’anno anche in periferia o nelle scuole.

Di certo il presidente ha riportato la Nazionale al centro della discussione, con un impegno visibile e la sua chiara volontà di rinforzare l’area tecnica: uno dei primi passi dopo la rielezione sarà quello di nominare Giampiero Ventura direttore tecnico, allargando così le sue competenze a tutte le squadre nazionali oltre che alla squadra maggiore. Tavecchio insiste molto su una supervisione di tutte le formazioni azzurre sotto ogni punto di vista, al punto da aver reso il Club Italia una struttura più stabile, divisi per aree (area medica, area performance e ricerca, area scouting e area match analysis).

Sul resto, anche sull’incentivazione del calcio femminile (che dovrebbe passare dalle proprietà affidate anche ai club maschili) c’è discreta vaghezza, che fa pensare che il calcio italiano si stia facendo bastare poco e che, in fondo, questa campagna elettorale per la presidenza della Figc non è stata condotta guardando programmi, ma pensando ai propri posizionamenti.

Perché Abodi non bastava

Andrea Abodi non ce l’ha fatta. Voleva una Federazione trasparente, ha lottato pure, ma occorre dire che aveva qualche punto debole. Il più grande di tutti: è stato al fianco di Tavecchio finché non ha deciso di candidarsi. Ha iniziato a smarcarsi silenziosamente quando con la sua Lega di B non ha rinnovato il contratto con Infront (lui che peraltro è stato tra i fondatori di Media Partners, l’azienda che poi ha aperto all’ingresso di Infront stessa) e sembrava stesse dicendo che lui non voleva più entrare in quel reticolato di potere peraltro ora finito quasi nel dimenticatoio per i cambi al vertice dell’advisor della Lega e della Figc e per la stessa dose di anestetico utilizzata per la campagna elettorale.

Ma Abodi non è mai sembrato di rottura vera e propria perché veniva dalla stessa parte e questa Tavecchio se l’è giocata: «Ha firmato ogni mia delibera e approvato i miei bilanci federali». Sarebbe stato diverso con un altro candidato?

Probabilmente avrebbe tolto alibi a chi ora li ha utilizzati (come Ulivieri), probabilmente avrebbe dato davvero il segnale di rinnovamento che non vuol dire lo stesso potere con facce più belle, ma proprio un altro tipo di potere. Per questo non ha sfondato, perdendo pezzi e non accorgendosi, mentre era nella stessa Federazione di Tavecchio, che il suo competitor aveva trovato modo per far cambiare casacca ad almeno metà dell’opposizione. Così si è arrivati a una competizione che non ha mai dato la reale percezione di un Tavecchio in bilico. Nonostante sembrava un presidente a termine ad agosto di tre anni fa.

Invece sarà lì fino al 2020, sembra contro la volontà di quasi tutti i tifosi, a sentire gli umori. Ma è una prova che, in fondo, chi ama il calcio è una parte marginale del ragionamento dei grandi capi. La spinta per il cambiamento continuerà ad arrivare dall'esterno, le questioni saranno affrontate sempre dentro il palazzo.

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