Magari non ne ve ne siete accorti, ma ricorre oggi il decimo anniversario del giorno in cui Riccardo Montolivo ha annunciato il suo addio al calcio. Sono state tante le conseguenze di quell’abbandono, ma non è di quelle conseguenze che voglio occuparmi: piuttosto, della notte in cui Montolivo maturò la decisione di mollare. Poche ore su cui da subito s’incrostarono assurde leggende, mentre i dettagli reali trapelavano a poco a poco e senza clamore.
Il 17 ottobre 2016, Montolivo aveva 31 anni ed era reduce da un intervento chirurgico al ginocchio sinistro: pochi giorni prima, giocando contro la Spagna in una partita di qualificazione ai mondiali, si era lesionato il legamento crociato anteriore e aveva lasciato il campo col volto sofferente di chi avrebbe fatto di tutto per rientrare. Non è stato così: quella è rimasta l’ultima partita della sua carriera. Mente, chi sostiene di averlo saputo da subito: l’operazione era stata un successo, i media gli amici i colleghi la famiglia gli erano stati accanto, e c’era stata un’ondata di solidarietà ancor più calorosa dopo il post in cui aveva risposto alle molte critiche mandando una metaforica carezza a chi gli augurava la morte.
Nessuno poteva immaginare cosa passasse per la testa di Montolivo quella notte, quando si è alzato dal suo solitario letto di ospedale e ha deciso che una carezza non sarebbe stata sufficiente. Ai suoi detrattori spettava un regalo più grande, un gesto tanto generoso da essere imbarazzante e impossibile da ricambiare. Dopo la cena, mentre il sole tramontava su un autunno pungente, l’infermiera si è rifiutata di restituirgli l’iPad, sul cui schermo il capitano milanista continuava a scorrere commenti velenosi. Non è stato sufficiente: incapace di prendere sonno, Montolivo fissava il soffitto, e sul soffitto leggeva ancora parole d’odio. Se chiudeva gli occhi, sentiva di nuovo i bisbigli ipocriti dei medici convinti che lui non potesse sentirli, e i cori di ragazzini che aveva ricevuto via WhatsApp sul suo numero privato, chissà come. Tutti – tweet, meme, sguardi, assenza di sguardi – non facevano che ripetere in forme diverse il medesimo concetto: “Meglio sarebbe se tu non ci fossi”.
Lo sussurrava col suo ronzio il distributore di merendine nel corridoio; gli faceva eco, in fondo al corridoio, un carrello cigolante; e dalla strada un clacson rincarava la dose a colpi di volgarità.
Seduto sul bordo del letto, lucido come un animale da preda, il capitano rossonero si è rimproverato un’ultima volta quel post così pacato, così notiziabile per una stampa sportiva in cerca di morali comode, e per imporsi di passare oltre si è ripetuto quell’aforisma di Nietzsche che recita più o meno così: «Se credi di aver sbagliato, pentirsi non servirà a nulla. Pensa piuttosto a fare d'ora in poi la cosa giusta». La cosa giusta. Le azioni non sono giuste o sbagliate in sé: una bugia può salvare una vita o distruggerla, una lama infilata in un ginocchio può essere un bisturi o un pugnale. E anche un’idea, che espressa su Facebook sembra una banalità da ragazzini, può essere testimoniata con un’azione che ne riveli la reale nobiltà.
I. Montolivo accetta il suo destino
E così Riccardo Montolivo, 181 centimetri per 76 chili, un ginocchio operato di fresco, si è staccato la flebo e si è sollevato in piedi, più o meno. Ha arrancato e poi strisciato, prima sul ventre poi sul dorso, lungo tutto il corridoio fino all’ascensore; prima di sgusciare sotto la guardina ha rubato una coperta dal reparto di geriatria ed è uscito in strada. Forte degli antidolorifici e dell’adrenalina, è arrivato in un internet point saltellando sulla gamba buona e ha pagato trecento euro di stampe; ha infagottato i circa milleduecento fogli caldi nella coperta e si è reincamminato. Aveva già deciso dove andare? Non si sa. Tutto ciò che abbiamo di quella notte sono i filmati delle telecamere di sicurezza, le interviste coi testimoni, le poche conferme della famiglia, e per il resto un lavoro decennale di ricucitura investigativa che ha dovuto fare a meno della versione del protagonista.
II. Montolivo si fa carico degli insulti e delle minacce
Sulle spalle, Montolivo portava chili di commenti e messaggi ingiuriosi; quelli che non aveva potuto stampare direttamente, li aveva trascritti e poi stampati; quelli che non si potevano visualizzare o recuperare, ma che sicuramente esistevano, se li era scritti da solo e poi stampati. Avanzava nel freddo umido della periferia milanese reggendo il fagotto coi denti pur di non fermarsi quando voleva strofinare le gambe nude; si accoccolava a terra, nascosto dalla coperta, quando passavano le auto. L’effetto degli antidolorifici, ormai, era svanito.
III. Montolivo cade per la prima volta
Alla stazione di Affori, il primo crollo: nelle immagini a bassissima risoluzione dell’epoca, sembra di vedere uno zoppo che si avvicina al muro di Berlino e viene freddato da una torretta. Un colpo solo, bam, e lui a terra. C’è un tizio che si avvicina al suo corpo violaceo, dà un’occhiata a Montolivo e non si sa se lo riconosce, fruga tra le risme di fogli nel fagotto ma non trova nulla di valore, allora prende la stampella e la lancia dall’altro lato della strada, così, a sfregio. Ripresa conoscenza, Montolivo cerca di arrivare alla fermata dell’autobus notturno; con la mano sinistra sorregge la gamba infortunata, con la mano destra tiene il fagotto, e come secondo punto d’appoggio preme la faccia contro il muro. L’autista che fuma a pochi passi non lo degna di uno sguardo.
IV. Montolivo incontra Galliani
Ammesso che a bordo dell’autobus ci fosse qualcuno, deve aver pensato del capitano che fosse un disperato come tanti; inoffensivo, con quel ginocchio gonfio come un pallone e il volto mezzo nero di fuliggine, ma anche irrecuperabile, impossibile da intercettare lungo il piano inclinato del suo destino. E davvero la strada di Montolivo era a senso unico, la sua posizione ormai troppo radicale per essere edulcorata o ritrattata; per quel sentiero, si poteva solo accompagnarlo.
Adriano Galliani, storico dirigente del Milan di Berlusconi, era da sempre un estimatore di Montolivo e suo sostenitore, anche nei momenti più difficili. Anche quella notte, dicono numerosi testimoni, Galliani c’era. Gli scettici parlano di autoconvinzione a posteriori di chi dice di averlo visto sull’autobus, ma d’altra parte come confondere una persona normale con Galliani? A pochi mesi dalla pensione, ancora lontano dall’intraprendere la sua attuale carriera da deejay, Adriano Galliani viaggiava sull’autobus notturno M2 in direzione San Donato. Chissà dov’era salito, chissà dov’è poi sceso – ma le sue parole di conforto, il suo messaggio d’amore, sono rimasti con Montolivo fino alla fine dell’exploit di quella notte, e anche dopo.
V. Montolivo è aiutato a portare il fagotto da una fila di prostitute
Si racconta che Galliani, dopo avere rincuorato il capitano e averlo incoraggiato a perseguire il suo disegno, abbia chiamato la fermata di Viale Zara, dove c’era una farmacia di turno, e lo abbia fatto scendere lì. Montolivo era devastato dal dolore ma non poteva rischiare di essere riconosciuto; per fortuna, preoccupate per quest’uomo seminudo e sfatto, lo hanno avvicinato delle prostitute che lo hanno dissetato e sono andate a comprare un antidolorifico. Abituate a tizi strani e alle stranezze di tizi presunti normali, le prostitute hanno acconsentito a non chiamare un’ambulanza, dato che Montolivo non voleva, ma hanno insistito per aiutarlo, e così si sono passate dall’una all’altra il fagotto fino alla Stazione Centrale, mentre Montolivo avanzava reggendosi a un carrello della spesa.
VI. Veronika gli asciuga il volto
Una delle prostitute, Veronika – che peraltro aveva un passato maschile, ma non per questo seguiva il calcio, anzi, aveva cominciato a seguirlo dopo la transizione, pur di opporsi a odiosi e insensati stereotipi di genere – ha capito chi avesse davanti, ma non ha parlato. Ha rivisto in lui la propria emarginazione, il proprio lavoro, denigrato dagli ignoranti come se fosse facile e redditizio, e quel rapporto complesso con un corpo che non risponde mai del tutto alla mente, né può affidarsi al cieco talento per scavalcarla.
Quando Montolivo le è scivolato accanto, sul suo carrello, Veronika lo ha rincorso, lo ha fermato nonostante le rimostranze, gli ha pulito il volto dal sudore e dallo sporco che aveva tirato su per mezza Milano, e lo ha nuovamente sospinto in direzione della prostituta successiva.
VII. Montolivo cade per la seconda volta
Il carrello, purtroppo, non era del tutto stabile, e i marciapiedi cittadini non erano levigati e privi di barriere architettoniche come lo sono oggi, per cui Montolivo a un certo punto si è ribaltato.
VIII. Montolivo ferma una ladra di biciclette
Finita la catena umana che gli aveva permesso di avanzare più leggero, il capitano non ha voluto attendere un autobus: caricato il fagottone sul carrello, ha iniziato a sfrecciare come uno skater giù per via Pisani verso Turati, Montenapoleone… e proprio lì, dalla distanza, ha avvistato una figura incappucciata, china al lavoro sul catenaccio di una bicicletta. Nella notte in cui aveva deciso che doveva essere il più buono di tutti, non ha esitato e si è lanciato contro il malfattore – che si è rivelata essere una malfattrice. Come una palla da bowling contro un birillo o come un proiettile contro un bersaglio, e sicuramente come un uomo a bordo di un carrello contro una giovane anoressica divorata dall’abuso di ketamina, Montolivo le è piombato addosso interrompendone i loschi traffici.
La ladra di biciclette si dimenava a terra, oppressa dal peso del calciatore e del mezzo, mentre piangeva per quella che si sarebbe rivelata una doppia frattura di tibia e perone. Agitando il seghetto con cui stava tagliando la catena, ha finito per infiggerlo nella coscia sinistra di Montolivo, che in quel momento si è reso conto di non avvertire alcun dolore. Merito dei farmaci? Di una reazione difensiva del corpo per non svenire? O forse un segno. Fatto sta che in quel momento, il capitano milanista – non tra i più noti, fino ad allora, per il peso delle proprie dichiarazioni – si produsse in una delle sue dichiarazioni più enigmatiche e, da un certo punto di vista, profetiche: «Figlia dei Tempi, non piangere su di me, ma piangi su te stessa e sui tuoi figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: cadete su di noi! E ai colli, copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?»
IX. Montolivo cade per la terza volta
Terminata la paternale profetica, rialzatosi e ripartito in direzione di piazza del Duomo, troppo veloce per fermarsi al gradino di fronte alla chiesa (al tempo ancora visibile in superficie), è caduto per la terza volta.
X. Montolivo interiorizza le critiche
Si è trascinato fino al centro della piazza, lavata e spazzolata da poco. Disposta la coperta come una tovaglia da picnic, ha iniziato a strappare i fogli coi messaggi dei suoi detrattori uno a uno, ingurgitando con metodo le striscette di carta, e urlando “Grazie‼ Ne voglio ancora‼”. A un certo punto, probabilmente sazio, ha estratto il seghetto dalla coscia dov’era ancora conficcato e ha iniziato ad amputarsi il piede sinistro, tagliando poco sotto il malleolo. Senza dolore, ma con notevole spargimento di sangue e scorno degli operatori della nettezza urbana che avevano appena concluso il turno.
Erano le sei del mattino. La piazza iniziava a essere attraversata dai primi esseri umani di quella giornata. Intorno a lui andava crescendo un capannello formato da una prima cerchia di piccioni e una seconda di curiosi – tra loro, apparizione mesta del solito Galliani – dispersi infine da una pattuglia dei carabinieri.
Montolivo è stato riportato in ospedale, mentre foto e video del suo gesto si spacchettavano e reimpacchettavano in forma di dati binari dagli smartphone verso i social network, e di profilo in profilo, di pagina in pagina, fino ai siti dei maggiori quotidiani nazionali. Nel pomeriggio, un’edizione straordinaria di Leggo rivelava che il capitano del Milan aveva annunciato il ritiro dal mondo del calcio, escludeva la possibilità di un futuro paralimpico, e donava la totalità dei propri averi agli hater, che il suo avvocato avrebbe provveduto a rintracciare uno per uno.